Buon pomeriggio. Da anni combatto contro la dipendenza dal cibo. Non ho la forza di smettere. Mangio

39 risposte
Buon pomeriggio. Da anni combatto contro la dipendenza dal cibo. Non ho la forza di smettere. Mangio per noia, solitudine, nervosismo. Non ho mai capito da dove nasce questa mia dipendenza. Fin da piccolina mangiavo di nascosto. Mia mamma nascondeva spesso merendine ma io aprivo gli armadi e, appena le trovavo, le mangiavo incolpando qualcuno o dicendo bugie del tipo è venuto Tizio a casa.
Vorrei tanto capire il perché di questa mia dipendenza e cercare di gestire il rapporto con il cibo. Grazie a tutti.
Dott.ssa Sabrina Pittarello
Psicologo, Psicologo clinico
Collegno
Buon pomeriggio,
innanzitutto, la ringrazio per aver condiviso la sua storia e per la sua apertura. È importante riconoscere il coraggio che ci vuole per affrontare queste sfide. La dipendenza dal cibo può essere complessa, spesso legata a emozioni come noia, solitudine e nervosismo, come ha descritto.
Potrebbe essere utile esplorare insieme a un professionista il suo passato e le esperienze che ha vissuto da piccola, per capire meglio l'origine di questo comportamento. Spesso, mangiare può essere un modo per gestire emozioni difficili o per colmare un vuoto interiore.
La inviterei a riflettere sui momenti in cui sente il bisogno di mangiare di nascosto o in eccesso: ci sono eventi scatenanti o emozioni specifiche che emergono? Comprendere queste dinamiche può essere il primo passo verso una maggiore consapevolezza.
Un supporto psicologico può anche aiutarla a sviluppare strategie per gestire questi impulsi in modo più sano, esplorando modi alternativi per affrontare le emozioni sottostanti.
La incoraggio a proseguire questo percorso di scoperta di se stessa per trovare un equilibrio nel suo rapporto con il cibo e migliorare il suo benessere complessivo.
Resto a disposizione per qualsiasi dubbio o chiarimento.
Un caro saluto.
dott.ssa Pittarello

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Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Buon pomeriggio,
ti ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità la tua esperienza. Il rapporto con il cibo può diventare complesso quando assume una funzione che va oltre il semplice nutrimento: spesso il cibo viene utilizzato come strumento per colmare vuoti, gestire emozioni difficili come la noia, la solitudine o l’ansia, o per ricercare conforto e sicurezza.

Il fatto che già da bambina ti capitasse di mangiare di nascosto potrebbe indicare che il cibo era diventato per te un modo per affrontare emozioni non espresse o situazioni percepite come faticose. Con il tempo, questo meccanismo può trasformarsi in una vera e propria dipendenza, perché il cibo, pur dando un sollievo momentaneo, non risolve alla radice i bisogni emotivi che lo hanno attivato.

Comprendere l’origine di questo legame e imparare a gestirlo richiede un percorso delicato, che non può ridursi alla sola forza di volontà. È importante esplorare quali emozioni si celino dietro la spinta a mangiare e costruire strategie alternative e più funzionali per affrontarle.

Per approfondire e lavorare su queste dinamiche, è consigliato rivolgersi a uno specialista che possa accompagnarti in un percorso personalizzato e mirato.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott.ssa Valentina Penati
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Milano
Buonasera e grazie per la condivisione di una problematica, quella della rapporto con il cibo, che è molto diffusa e di cui per fortuna sempre più si parla. Le ragioni alla base dello sviluppo di un comportamento disfunzionale con il cibo possono essere molteplici e andrebbero indagate con un colloquio clinico ad hoc al fine di poterle focalizzare e comprendere la funzione di tale comportamento, per poterlo poi dismettere e adottare strategie di gestione più adattive. Qualora fosse interessata ad approfondire non esiti a contattarmi, Valentina Penati
Dott.ssa Martina Baiocchi
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
La ringrazio per aver condiviso questo suo vissuto così personale e profondo. Immagino quanto possa essere faticoso convivere con questa difficoltà e quanto desideri comprenderne le radici.
Quello che descrive è molto significativo: il cibo spesso 'riempie' e potrebbe essere collegato ad un vuoto, ad una mancanza che di solito è emotiva. Quando da bambini il cibo viene associato a momenti di cura, affetto o conforto, può acquisire una funzione regolativa delle nostre emozioni - diventa un modo per calmarci, consolarci o gestire stati emotivi difficili come possono essere la noia, la solitudine o il nervosismo che lei menziona.
Anche il tema della segretezza che emerge dai suoi ricordi d'infanzia - il mangiare di nascosto, le bugie - potrebbe raccontare qualcosa di importante sul suo bisogno di trovare uno spazio tutto suo, forse in risposta a dinamiche familiari che meriterebbero di essere esplorate.
La invito ad approfondire questo tema in uno spazio terapeutico sicuro in cui può ricostruire con il professionista la storia di questa relazione con il cibo, comprenderne il significato nella sua vita e scoprire nuove possibilità di regolazione emotiva.
Un caro saluto, dott.ssa Baiocchi
Gentile utente,

Grazie per aver condiviso questa parte così intima della sua storia. Immagino il peso che si porta dentro da anni, questa lotta continua contro la dipendenza dal cibo, e la sua difficoltà nel comprendere le radici di questo comportamento.

Mentre la leggevo, mi chiedo:
- Qual è la "storia" del suo rapporto con il cibo che le viene in mente ripensando alla sua infanzia? Quali sono i "personaggi" principali di questa storia? Quali emozioni sono associate al cibo?
- Mangiare è l'unico modo che ha sviluppato nel corso degli anni per "gestire" la noia, la solitudine e il nervosismo, o ha anche altre strategie? Se sì, quali?
- Cosa significa per lei "dipendenza dal cibo"? Quali sono i pensieri, le sensazioni fisiche, le azioni che la portano a mangiare in modo compulsivo?

Inoltre, sono curioso di sapere:
- Qual è il "racconto" che si snoda nella sua mente quando mangia di nascosto? Cosa prova in quei momenti? Cosa teme che possa accadere se viene scoperta?
- Come mai, da bambina, sentiva il bisogno di nascondere il suo comportamento e di incolpare gli altri? Cosa significava per lei "dire la verità"?
- Se potesse riscrivere la "storia" del suo rapporto con il cibo, come la immaginerebbe? Quali elementi vorrebbe che fossero presenti?

Capisco il suo desiderio di liberarsi da questa dipendenza e di imparare a gestire il suo rapporto con il cibo in modo più sano ed equilibrato. Vorrei invitarla a considerare questa esperienza come un'opportunità per esplorare le sue emozioni, per comprendere i suoi bisogni e per riscoprire il suo valore.

Forse, questo può essere un momento per esplorare la "storia" del suo rapporto con il cibo, per analizzare criticamente i "personaggi", gli "eventi" e i "temi" che l'hanno caratterizzata, e per individuare i "copioni" che si sono ripetuti nel tempo.

Un saluto.
Dott.ssa Silvia Bellini
Psicoterapeuta, Psicologo
Entratico
Gentilissima,

ti ringrazio per aver raccontato con sincerità la tua storia. Parlare di dipendenza dal cibo non è facile: spesso porta con sé vergogna, sensi di colpa e la sensazione di non avere controllo. In realtà, ciò che descrivi non parla di mancanza di forza, ma di un bisogno più profondo che cerca espressione proprio attraverso il cibo.

Quello che racconti — il mangiare di nascosto da bambina, il senso di segreto, la paura di essere scoperta — mostra che questa relazione con il cibo ha radici lontane e che non riguarda solo la fame o il piacere del mangiare. Il cibo, per te, sembra essere diventato un compagno nei momenti di solitudine, un modo per calmare nervosismo e noia, forse un rifugio sicuro quando le emozioni erano troppo difficili da gestire o da condividere.

Vorrei rassicurarti su un punto: non è un difetto di carattere né una mancanza di volontà. Spesso le dipendenze alimentari nascono come risposte creative che la mente trova per proteggerti o consolarti in momenti in cui altre risorse non erano disponibili. Il fatto che tu oggi riesca a vedere questo schema e a desiderare di comprenderlo meglio è già un passo molto importante.

Il percorso che ti aspetta non è fatto di divieti o privazioni, ma di conoscenza di te stessa: capire quali emozioni cercano consolazione nel cibo, quali bisogni non detti stanno dietro quel gesto, e come trovare altri modi — più sani e gentili — per darti ciò di cui hai bisogno.

Ti incoraggio a cercare un supporto terapeutico che ti aiuti a esplorare con delicatezza la tua storia, senza giudizio. Il cibo non è il tuo nemico, ma un linguaggio attraverso cui il tuo corpo e la tua mente stanno chiedendo ascolto.

Con vicinanza e stima,
Silvia Dott.ssa Bellini
Buongiorno,
grazie per aver condiviso la sua esperienza. L'esperienza che ci ha riportato è più comune di quanto si pensi: il cibo, fin da piccoli, è un mezzo attraverso cui tentare di gestire emozioni come solitudine, noia, nervosismo oppure un rifugio nei momenti di maggiore fragilità. Il fatto di non riuscire a bloccare questo meccanismo non significa mancanza di forza di volontà, ma probabilmente avere trovato – spesso senza rendersene conto – una strategia che nell’immediato funziona e che porta una sensazione di immediato benessere, ma che alla lunga non risolve facendo sentire in trappola.
Capire come funziona operativamente questa modalità e trovare alternative più funzionali è possibile. In alcuni casi piccoli cambiamenti nelle abitudini e nella consapevolezza possono già fare la differenza; in altri, lavorare con un professionista permette di individuare più velocemente come funziona il problema e costruire strategie concrete per vivere il cibo non più come nemico, ma come parte equilibrata della propria vita.
Un caro saluto,
Melania Monaco
Dott.ssa Giulia Virginia La Monica
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Trento
Buon pomeriggio,
spiacente per il vissuto che pare essere un combattimento quotidiano.
Le consiglio una presa in carico professionale in modo da lavorare sia sull'approccio con il cibo (aspetto comportamentale) che sul vissuto annesso per cui potrebbe utilizzare il cibo come regolatore (es. alcune persone lo usano in senso protettivo, sedativo, compensativo).
Un saluto
Dott. Daniele Gallucci
Psicologo, Terapeuta, Psicologo clinico
Roma
Gentile utente,
un sostegno psicoterapeutico le sarà certamente utile nell'inverstigare le radici di un bisogno che ad oggi trova debilitante, e nella ricerca di un rapporto più soddisfacente con il cibo.
cordiali saluti
dott. Daniele Gallucci
Dott.ssa Giada Casumaro
Psicologo, Terapeuta, Professional counselor
Rovereto sulla Secchia
Salve, grazie per essersi aperta su un tema che è sicuramente difficile.
Il cibo ci lega inevitabilmente alle emozioni e possono essere diverse le motivazioni per cui affronti determinati momenti attraverso il cibo. Non è sempre sbagliato utilizzarlo purché sia consapevole o vissuto serenamente.
Il discorso è molto ampio e non conoscendola è difficile aiutarla.
Se le fa piacere rimango disponibile per dei colloqui in cui affrontare il tema.
Buona giornata
Dott.ssa Casumaro Giada
Dott. Sergio Borrelli
Psicologo, Psicologo clinico
Tradate
La sua domanda è molto importante, anche perché esprime il suo disagio.
In questo modo lei apre un tema che va in profondità e che quindi va affrontato con la dovuta attenzione e delicatezza.
Per questo le propongo un primo colloquio conoscitivo, anche online.
Dott.ssa Chiara Gagliano
Psicologo, Psicoterapeuta
Mantova
Buon pomeriggio,
ti ringrazio per aver condiviso con sincerità la tua esperienza: già il fatto di parlarne apertamente rappresenta un passo importante. Il rapporto con il cibo, quando diventa un rifugio per emozioni come noia, solitudine o nervosismo, spesso non riguarda solo il mangiare in sé, ma porta con sé significati più profondi che meritano di essere ascoltati.
Molte persone si trovano a vivere dinamiche simili, iniziando già dall’infanzia: il cibo diventa un modo per colmare vuoti, calmare emozioni difficili o sentirsi al sicuro. Comprendere da dove nasce questa dipendenza, come racconti di desiderare, è possibile proprio attraverso un percorso psicoterapeutico. In questo spazio, sicuro e non giudicante, potresti dare voce a quelle emozioni e trovare strategie più funzionali per gestirle.
Nella mia esperienza clinica, l’ipnosi e le tecniche di rilassamento possono essere strumenti preziosi per entrare in contatto con le radici più profonde del rapporto con il cibo e favorire un cambiamento concreto e duraturo.


Un caro saluto,
Dott.ssa Chiara Gagliano
Psicoterapeuta – Tecniche di rilassamento e ipnosi
Dott. Antonio Fumagalli
Psicoterapeuta, Psicologo
Milano
Buona sera,
grazie per aver condiviso con tanta sincerità la sua esperienza. Quello che descrive è un tema molto diffuso: il cibo, oltre a nutrire il corpo, spesso diventa anche un “regolatore emotivo”, un modo per gestire sentimenti come la noia, la solitudine, l’ansia o lo stress. Non si tratta quindi solo di “forza di volontà”, ma di un meccanismo appreso nel tempo che può avere radici profonde nella propria storia personale.

Il fatto che già da bambina cercasse conforto nel cibo e che ricorresse a strategie come nasconderlo o mentire per consumarlo, può indicare che il rapporto con il cibo si sia intrecciato precocemente con bisogni emotivi non espressi o non riconosciuti. Oggi la sensazione di “non avere la forza di smettere” è in realtà il segnale di quanto sia difficile affrontare da soli questo tipo di dipendenza, perché non riguarda solo l’alimentazione ma il modo in cui si affrontano emozioni e relazioni.

Un percorso di psicoterapia potrebbe aiutarla a dare significato a questa esperienza, a comprendere l’origine del suo legame con il cibo e soprattutto a sviluppare strategie più sane per prendersi cura di sé. Non si tratta di eliminare il cibo come rifugio dall’oggi al domani, ma di costruire nuove possibilità di ascolto e gestione delle emozioni.

La invito quindi a non colpevolizzarsi: il fatto che senta il desiderio di capire e di cambiare è già un primo passo importante. Con il giusto supporto potrà gradualmente ritrovare un equilibrio più sereno nel rapporto con il cibo e con se stessa.

Un caro saluto.
Dott.ssa Cristina Sinno
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Gentile utente, grazie per aver condiviso con sincerità il suo vissuto. Il rapporto con il cibo che descrive non è solo una questione di “forza di volontà”, ma spesso ha radici profonde legate alla storia personale, alle emozioni, ai bisogni non riconosciuti o non ascoltati.
Iniziando un percorso di psicoterapia con me potremmo partire proprio da qui: non dal sintomo, ma dal senso che ha assunto per lei, nel tempo, quel comportamento. Mangiare di nascosto, raccontare bugie, cercare conforto nel cibo… sono segnali che meritano ascolto, non giudizio.
Un percorso potrebbe aiutarla a comprendere più a fondo questa dinamica e a costruire un rapporto con il cibo (e con sé stessa) più consapevole e gentile. Se lo desidera, sono disponibile per un primo colloquio. Per qualsiasi informazione non esiti a contattarmi, sono disponibile anche per terapie online ed ho aderito anche al programma "bonus psicologo". Un caro saluto, d.ssa Cristina Sinno
Dott.ssa Carmen Tedeschi
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Napoli
grazie per aver condiviso una parte così profonda e delicata della tua esperienza. Riconoscere e raccontare con tanta sincerità il proprio rapporto con il cibo è già un atto di coraggio e un primo passo importante verso il cambiamento.

Il fatto che tu identifichi emozioni come la noia, la solitudine e il nervosismo come possibili "attivatori" del comportamento alimentare è molto significativo. Nella terapia cognitivo-comportamentale lavoriamo proprio su questi aspetti: aiutiamo a riconoscere i pensieri, le emozioni e le situazioni che contribuiscono a innescare certe abitudini, per poi sviluppare strategie più funzionali per rispondere a quei bisogni emotivi.

Il comportamento del mangiare di nascosto, anche fin dall’infanzia, può essere stato un modo per regolare emozioni difficili o soddisfare bisogni che non trovavano altri spazi. Non c’è giudizio in questo: spesso i comportamenti che oggi ci creano sofferenza sono nati come tentativi di farci sentire meglio, di proteggerci.

Un percorso terapeutico può aiutarti a fare chiarezza su questi legami profondi e soprattutto ad acquisire strumenti pratici per gestire il comportamento alimentare in modo più consapevole. Non si tratta solo di “forza di volontà”, ma di apprendere nuovi modi di prenderci cura di noi stessi, anche attraverso piccoli passi concreti.
Dott.ssa Virginia Balocco
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Quello che lei racconta con grande sincerità è una modalità di espressione della sofferenza che può essere piuttosto comune. Il rapporto col cibo può assumere, sin dall’infanzia, significati profondi che hanno a che fare con la nutrizione non solo in un senso pratico ma anche emotivo e relazionale: può diventare una modalità per calmare emozioni intense, colmare vuoti e bisogni non riconosciuti, cercare conforto o protezione. Non si tratta di una mancanza di volontà ma di una possibile modalità trovata nel tempo per affrontare emozioni difficili e poco affrontabili.
Comprendere come nascono queste dinamiche e quale funzione hanno avuto nel proprio sviluppo richiede tempo e un percorso di esplorazione personale. Può essere utile, ad esempio, un sostegno psicologico che aiuti a riconoscere i bisogni emotivi sottostanti, a sviluppare strumenti alternativi per gestire noia, solitudine o nervosismo, e a ricostruire un rapporto più sereno con il cibo.
Crescendo possiamo apprendere modalità che ci portano a nasconderci, a credere di non poterci esporre e a pensare di poter vivere la nostra sofferenza unicamente nel segreto.
Quello che lei fa con la sua domanda è già un passo molto importante: parlare di questo problema e chiedere aiuto significa portarlo finalmente alla luce, restituirgli dignità e non doversi più nascondere. Con un percorso mirato si può lavorare su queste dinamiche e trovare strategie più sane e soddisfacenti per prendersi cura di se stessi.
Dott.ssa Elda Valente
Psicologo, Psicologo clinico
Torremaggiore
Buongiorno, il rapporto umano con il cibo ha degli aspetti particolari, è la nostra fonte di vita, ci serve per produrre energia e per vivere ogni giorno; sicuramente gli argomenti: “fame” e “vuoto” hanno a che fare con le nostre sfere relazionali, a partire dalle primissime della nostra vita. Un aspetto fondamentale è che lei ha parlato di “dipendenza”, questo potrebbe aprire a tanto rispetto alle sue esperienze e a come vive le relazioni. Le consiglio di iniziare un lavoro di psicoterapia, per guardare questo aspetto ma anche su altri che potrebbero aiutarla a srotolare quella matassa che porta con sé.
Resto a disposizione per eventuali chiarimenti, cordialmente, dott.ssa Elda Valente
Dott.ssa Rossella Carrara
Psicologo, Psicologo clinico
Bergamo
Buongiorno, le consiglio un percorso di psicoterapia. Cordiali saluti.
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buon pomeriggio, capisco quanto possa essere doloroso sentirsi intrappolata in un rapporto con il cibo che sembra sfuggire al controllo. La sua condivisione mostra non solo la fatica che porta con sé da anni, ma anche una grande consapevolezza di quello che sta vivendo e il desiderio di affrontarlo. Il fatto che lei riesca a raccontare le sue esperienze, a partire dall’infanzia fino a oggi, è già un segnale di forza e di volontà di cambiamento. Spesso, quando il cibo diventa una fonte di consolazione, non si tratta solo di fame fisica, ma di un bisogno emotivo. La noia, la solitudine e il nervosismo che cita non sono cause banali, ma veri e propri stati interni che il cibo riesce a placare nell’immediato, pur lasciando poi un senso di frustrazione. In termini cognitivi, si crea un’associazione: ogni volta che compare una certa emozione spiacevole, la mente propone come soluzione rapida il ricorso al cibo, perché in passato ha dato sollievo, anche se temporaneo. Questo circolo tende a rinforzarsi nel tempo, fino a sembrare una dipendenza senza via d’uscita. Il fatto che fin da piccola cercasse il cibo di nascosto e che sentisse il bisogno di giustificarsi o di dire bugie racconta molto bene come non fosse solo una questione di appetito, ma anche di emozioni complesse come la paura del giudizio o il bisogno di sicurezza. Col passare degli anni, questi comportamenti diventano schemi radicati, che si riattivano quasi automaticamente. Un percorso cognitivo-comportamentale può aiutare a lavorare proprio su questi schemi. Da un lato, permette di esplorare e comprendere meglio il legame tra emozioni e cibo, riconoscendo i momenti in cui il bisogno non è legato alla fame fisica ma a una tensione interna. Dall’altro, insegna strategie concrete per fronteggiare le emozioni senza dover ricorrere al cibo come unica via di sollievo. Un passaggio fondamentale è anche imparare a non vivere le ricadute come fallimenti, ma come occasioni per capire meglio i propri meccanismi e allenarsi a rispondere in maniera diversa. È importante sottolineare che lei non è priva di forza, anche se ora può sembrarle così. La dimostrazione sta proprio nel fatto che continua a cercare risposte e che non ha smesso di desiderare un rapporto più sereno con il cibo. Questo significa che la motivazione è presente e che, con un supporto adeguato, può trasformarsi in cambiamento reale e duraturo. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott.ssa Federica Giudice
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
l fatto che già da bambina sentisse il bisogno di mangiare di nascosto fa pensare che il cibo sia diventato presto un rifugio, un modo per regolare emozioni difficili da esprimere o condividere.
Non c’è una sola causa: a volte entrano in gioco fattori familiari, esperienze precoci, difficoltà nella gestione delle emozioni. Ciò che conta oggi non è giudicarsi, ma iniziare un percorso per comprendere meglio il legame tra ciò che prova e il bisogno di mangiare. Potrebbe essere utile anche affiancare, se lo desidera, un nutrizionista che lavori in sinergia con la parte psicologica.
Il primo passo l’ha già fatto: prendere consapevolezza e chiedere aiuto. È un percorso che richiede tempo, ma è possibile imparare a non sentirsi più “in balia” del cibo e ritrovare un equilibrio più sereno.
Buongiorno, da quello che racconta si capisce molto bene quanto il cibo, per lei, non sia semplicemente nutrimento, ma qualcosa che ha assunto un valore diverso. Non si tratta di una questione di mancanza di forza di volontà, come spesso si tende a pensare, fin da bambina, come scrive, il cibo era già qualcosa di più intimo, da cercare anche di nascosto, con tutto il carico di sensi di colpa che ne derivava. Questo ci dice che non è un’abitudine nata per caso, ma una modalità appresa e radicata nel tempo, che oggi continua a condizionarla. È comprensibile quindi che si senta in difficoltà, da una parte il desiderio di smettere, dall’altra la fatica nel trovare alternative quando arriva quel bisogno urgente di mangiare per colmare un vuoto o gestire un’emozione. In realtà, il nodo sta proprio qui, non tanto nel cibo in sé, ma nel capire quale emozione o bisogno profondo lei sta cercando di placare in quei momenti.
Un percorso psicologico può aiutarla a dare un nome a quelle emozioni e, soprattutto, a costruire modi nuovi per affrontarle, senza che il cibo sia l’unica soluzione possibile. È un lavoro delicato ma molto liberatorio, perché permette di togliere al cibo quel ruolo di “compagno obbligato” e restituirgli semplicemente il suo posto di nutrimento e piacere, senza segreti e sensi di colpa.
Il fatto che lei oggi senta il bisogno di capire e non solo di resistere è un passo molto importante, significa che sta iniziando a guardare questa difficoltà in modo più profondo e consapevole. Resto a disposizione. Un caro saluto
Salve Signor x, mi spiace per la condizione che riporta e di cui sembra essere consapevole. La dipendenza da cibo, come tutte le dipendenze, sono sintomi, la punta dell'iceberg. Bisognerebbe capire cosa mette "a tacere" quel cibo di cui lei, in alcuni momenti, sente il bisogno. Le consiglio vivamente un percorso psicoterapeutico, per rimettere i pezzi insieme e capire come poter gestire le sue emozioni e i suoi vissuti senza ricorrere al cibo. Resto a disposizione per qualunque cosa.
Cordialmente,
Dott. Rebecca Volpes
Dott. Giuseppe Zucaro
Psicologo, Psicologo clinico
Corato
Buongiorno, grazie per aver condiviso la tua storia con tanta onestà — non è affatto scontato, e dimostra quanto tu abbia già iniziato un percorso di consapevolezza importante.
Quello che descrivi — il mangiare per noia, solitudine o nervosismo, l’impulso incontrollabile, il senso di colpa che segue — è molto comune in chi vive una relazione conflittuale con il cibo, spesso radicata in esperienze che risalgono all’infanzia, come hai ben intuito tu stessa.
Il fatto che da piccola mangiassi di nascosto, e che ti trovassi a mentire per coprire quei momenti, suggerisce che il cibo non era solo nutrimento, ma forse un modo per gestire emozioni difficili, per auto-consolarti o per ottenere un piccolo momento di piacere o controllo in un contesto in cui magari ti sentivi inascoltata, sola o sotto pressione.
Nelle dipendenze alimentari — e in particolare nella cosiddetta "fame emotiva" — non è tanto importante “avere forza di volontà”, quanto interrompere i meccanismi che alimentano il bisogno compulsivo, e costruire nuove strategie per affrontare emozioni, vuoti e abitudini radicate.
Con l’approccio strategico, lavoriamo proprio su questo: non cercare per forza il “perché” originario, ma individuare come il problema si mantiene oggi, e iniziare fin da subito a cambiare quegli automatismi che ti tengono intrappolata in un rapporto disfunzionale con il cibo.
Tu non sei il tuo sintomo. Sei molto di più, e puoi imparare a distinguere i tuoi veri bisogni da quelli che il cibo sta temporaneamente "coprendo".
Se lo desideri, possiamo fissare un incontro — in studio oppure online — per iniziare a lavorare insieme in modo concreto, delicato e rispettoso della tua storia.
Dott. Daniele Migliore
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Gentilissima, grazie per aver condiviso la sua esperienza.
Immagino la fatica che sta vivendo, e la difficoltà nel gestire il cibo non più solo come nutrimento ma come un linguaggio che ha accompagnato momenti di solitudine e forse di vuoti affettivi.
Il cibo può assumere la forma di un legame interno che serve a calmare, consolare o riempire vuoti che non hanno trovato parole né ascolto.
Forse più che un problema di volontà andrebbe visto come una storia che abbia bisogno di una narrazione diversa.
La possibilità di un percorso con un professionista potrebbe aiutarla a trovare un senso a questo intreccio tra affetti, vergogna e bisogno. Potrebbe dunque concedere una trasformazione in qualcosa di meno segreto e doloroso, restituendole la possibilità di sentirsi compresa e sostenuta.
Le auguro tutto il meglio,

Dott. Daniele Migliore
Dott.ssa Federica Trobbiani
Psicologo clinico, Psicologo
Albano Laziale
Gentile Paziente Anonima,
Chiedersi da dove nasce il suo bisogno di ricercare il cibo è un primo passo importante anche se, immagino, complicato. Alla base possono esserci motivi diversi, che dipendono dalla propria storia e che fanno assumere al cibo un significato del tutto personale e soggettivo.
Se desidera imparare a gestire il rapporto con il cibo mi sento di consigliarle di intraprendere un percorso di psicoterapia, inteso come uno spazio sicuro in cui condividere la propria storia con una persona qualificata ed empatica, che la aiuterà a comprendere le origini di questa dipendenza e, pian piano, a gestirla.

Un caro saluto,
Dott.ssa Federica Trobbiani
Dott.ssa Giorgia Signorini
Psicologo, Psicologo clinico
Riccione
Caro/a utente, si regali un percorso di psicoterapia, dove riuscirà a conoscere se stess*, il suo funzionamento e a creare un sano rapporto con il cibo. Un caro saluto, dott.ssa Giorgia Signorini
Dott.ssa Tonia Caturano
Psicoterapeuta, Sessuologo, Psicologo
Pioltello
Buon pomeriggio,
grazie per aver condiviso con tanta sincerità una parte così profonda del tuo vissuto. Il legame tra cibo ed emozioni è spesso molto più complesso di quanto si possa pensare. Mangiare può diventare, fin da piccoli, una strategia per colmare vuoti, gestire solitudini, calmare nervosismi… o semplicemente per cercare un conforto che, in quel momento, sembrava mancare altrove.
Il fatto che tu riconosca questo meccanismo, e che oggi desideri comprenderlo meglio, è già un passo significativo. La tua storia — fatta di merendine nascoste, piccole bugie, e forse di un bisogno silenzioso di essere vista e accolta — merita uno spazio in cui poter essere ascoltata con attenzione e rispetto, senza giudizio.
Da tempo mi occupo di disturbi alimentari e di tutto ciò che ruota attorno al rapporto con il cibo e con sé stessi. Se mai sentissi il desiderio di approfondire questi temi in un contesto protetto, sarebbe un piacere poterti accompagnare in questo percorso di esplorazione e consapevolezza.
Un caro saluto



Dott.ssa Marisa Mula
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Gentile paziente anonimo, la domanda che porta richiede uno spazio adeguato di cura in cui esplorare un sintomo strutturato da anni come dice lei: la risposta la troverà in un percorso di psicoterapia. La porterà a capire come mai utilizzi il cibo come strategia di regolazione emotiva, dove abbia acquisito questa modalità, come si sia sviluppata nel tempo, e cosa ci sia dietro questo bisogno costante di riempire: quale vuoto stia cercando di colmare lo può sapere solo lei, se se la sente può esplorarlo con un/a professionista che le ispiri fiducia ad aprirsi. Si prenda cura del suo sentire, mi raccomando.
Dott.ssa Valeria Randisi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Casalecchio di Reno
Buonasera, la compulsione a mangiare si colloca fra i disturbi della nutrizione. Il fatto che lo faceva fin da piccola, sta a significare che probabilmente era un suo modo di gestire altre emozioni o situazioni che viveva. Non so quanti anni lei abbia, ma le suggerisco di provvedere subito con un percorso di cura. Purtroppo non è qualcosa che si può controllare con la propria volontà, è necessario individuare le cause e risolverle.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Dott.ssa Chiara Visalli
Psicologo, Psicologo clinico
Palermo
Buon pomeriggio cara utente, innanzi tutto la ringrazio per aver voluto condividere qui la sua esperienza, che immagino possa diversi sentimenti di vergogna e di malessere. E' già un primo grande passo quello che chiedere un consiglio, un aiuto.
Quello che lei descrive, più che una "dipendenza da cibo", potrebbe essere una forma di disturbo alimentare conosciuto come Binge-Eating (BED). Esso colpisce persone le quali, fin da piccole, non hanno saputo regolare le proprie emozioni (noia, solitudine, nervosismo - quelle che riferisce lei, ma potrebbero essere anche gioia, tristezza, rabbia, etc) in nessun altro modo se non attraverso l'appagamento, spesso momentaneo, del cibo... Arrivando così ad abbuffarsi, anche molto spesso (come una sorta di "dipendenza").
Naturalmente, questa non è una diagnosi del suo caso, perché non la conosco e dovremmo approfondire la frequenza, la durata, le quantità di cibo, oltre che la sua intera storia familiare, personale e medica. Piuttosto, questo è un consiglio a vedere il suo problema sotto una luce diversa ed a interrogarsi rispetto alla possibilità di chiedere la consulenza da parte di un Centro di Disturbi Alimentari (ci sono Servizi Sanitari Pubblici, da verificare sul suo territorio, oppure privatamente).
Il rapporto con il cibo ha anche e soprattutto un aspetto affettivo, perché da bambini è attraverso l'allattamento e la nutrizione che passa l'affettività, si creano legami con i genitori, si imparano a regolare le sensazioni di fame/sazietà ma anche le emozioni stesse. Dunque, quando i problemi riguardano questo rapporto col cibo, non vanno sottovalutati: hanno spesso origini e radici più profonde, che hanno bisogno di essere viste e riconosciute, per poter poi stare meglio e vivere in un maggiore equilibrio (fisico, e soprattutto psichico).
Sperando di esserle stata d'aiuto, rimango a Sua disposizione per eventuali altri chiarimenti e/o approfondimenti, oppure per aiutarla a trovare professionisti specializzati sul suo territorio.
Grazie ancora per la sua apertura e per il suo tempo,
Chiara Visalli - Psicologa Clinico Dinamica
Salve.
In queste sue poche righe, percepisco una grande voglia di risollevarsi da questa situazione. Faccia un passo in più, ma decisivo: contatti uno psicologo perchè possa aiutarla a comprendere le origini della sua dipendenza, ma soprattutto le potrà fornire mezzi e tecniche con cui poterla gestire.
Buon cammino!
Dott.ssa Monica Angeloni
Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Buon pomeriggio, l'impulsività a mangiare quando ci si trova in uno stato emotivo particolare può dipendere da diversi fattori, come anche lo stress. Se questa condizione le crea disagio nella sua vita quotidiana le consiglio di intraprendere un percorso psicologico così da farle capire la natura di questo impulso. Ogni nostra azione è mossa non solo dall'intenzione ma a volte le nostre emozioni sono più forti e ci sovrastano.
Dott.ssa Lavinia Sestito
Psicologo clinico, Psicologo
Roma
Buon pomeriggio a te.
E' molto importante ciò di cui ci parli, il motivo c'è ed è antico nel tempo, ha cause profonde che in una valida terapia potresti andare a comprendere, risolvendo il problema che non ti porta mai ad essere "sazia" e corrisposta.
Un caro saluto
Lavinia
Dott.ssa Donatella Valsi
Psicologo, Psicologo clinico, Sessuologo
Roma

Salve, Quello che condivide tocca un punto molto importante: spesso il rapporto con il cibo non riguarda solo “cosa” o “quanto” mangiamo, ma soprattutto “perché”. La sua esperienza, iniziata fin da bambina, ci parla di emozioni come noia, solitudine, nervosismo, e  il rapporto con il cibo è stato probabilmente un  "modo" per affrontarle.
In un percorso psicoterapeutico, andare a scoprire il significato profondo di questo specifico comportamento può essere molto prezioso: comprendere cosa c’è dietro quel bisogno di mangiare può aprire nuove strade di consapevolezza e migliorare la gestione di questo comportamento.
È importante sapere anche che, quando si impone una forte restrizione su alcuni cibi, spesso il cervello reagisce in modo opposto, aumentando ancora di più il desiderio e portando a sentirsi in colpa. Questo ciclo diventa difficile da spezzare proprio perché non riguarda solo la forza di volontà, ma anche meccanismi emotivi e psicologici profondi.
Il fatto che lei abbia espresso con tanta chiarezza il suo vissuto è già un passo importante. Con il supporto adeguato può iniziare a trasformare questo rapporto con il cibo in qualcosa di più libero e sereno, scoprendo nuove chiavi di lettura su di sé. Saluti, Dott.ssa Donatella Valsi
Dott.ssa Mariella Schwederski
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Seriate
Un percorso psicoterapeutico volto a esplorare la sua relazione con il cibo e il modo in cui vive le relazioni, potrebbe essere un buon punto di partenza per rispondere alle sue domande.
I sintomi che sperimentiamo hanno molto da dirci, ma a volte non è facile dare loro un significato. Un obiettivo iniziale in psicoterapia potrebbe proprio essere quello di rielaborare il sintomo, per entrare in contatto con sé stessi e, forse, scoprire parti di sé che sono rimaste nascoste. Chissà come sarebbe entrare in contatto con la “...noia, solitudine,” e il “nervosismo” e chissà cosa si nasconde dietro a queste sensazioni?
Le auguro il meglio in questo cammino.
Dott. Diego Ferrara
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Quarto
Gentile utente di mio dottore,

intraprenda un percorso di psicoterapia, vedrà che con il tempo troverà le risposte che cerca e riuscirà a guardare ad un benessere più a lungo termine.

Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Dott.ssa Maria Betteghella
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Salerno
Rispondere a questa domanda non è semplice, e tanto meno in chat. La dipendenza da cibo potrebbe avere a che fare con il suo corpo: essere una gratificazione, o una punizione? Un gioco perverso con sua madre, cui sta ancora cercando di fare dispetti? Si è mai liberata del senso di colpa? Come vede, in chat non è possibile discuterne.
Sarebbe il caso di iniziare a riflettere su quanto è motivata a rispondere a questa domanda e ad approfondire il suo rapporto con il cibo, anche in un incontro online.
Cordiali saluti
Dott.ssa Francesca Torretta
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Busto Arsizio
Potrebbe chiedersi: cosa sta cercando davvero nel cibo, oltre al gusto? È un modo per colmare vuoti, calmare emozioni difficili, sentirsi al sicuro?
Un percorso terapeutico potrebbe aiutarla a dare un senso a questa storia che parte dall’infanzia e a costruire strategie nuove per affrontare noia, solitudine e nervosismo senza dover ricorrere sempre al cibo.
Spero possa lavorare su di sé e stare meglio presto.
Cordialmente
Dott.ssa Francesca Torretta
Dott.ssa Sandra Petralli
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Pontedera
Salve, la dipendenza dal cibo spesso nasce da una combinazione di fattori emotivi, familiari e comportamentali, e il comportamento che descrive da bambina può aver creato un legame tra cibo e gestione delle emozioni o della solitudine. È possibile lavorare su questo rapporto attraverso la psicoterapia, ad esempio con approcci come l’analisi bioenergetica o la psicoterapia umanistica, che aiutano a riconoscere le emozioni sottostanti e a trovare modi più salutari per gestirle. Con un percorso costante, si può imparare a riprendere il controllo e vivere il cibo senza sensi di colpa o compulsioni. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli

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