Non c’è la faccio più. Devo capire tante cose su di me, ho paura e sono sincero sono scettico che un

28 risposte
Non c’è la faccio più. Devo capire tante cose su di me, ho paura e sono sincero sono scettico che una terapia possa essere d’aiuto, però la mia testa è diventata pesante e io sono stanco, stanco della vita e voglio trovare una soluzione.
Narro solo un episodio che mi attanaglia più di tutti e poi magari scelgo qualcuno a cui affidarmi. Non riesco più a socializzare con nessuno, mi sento sempre giudicato, ho paura di mostrarmi e rimango sempre solo, sfuggo dalla società, preferisco la solitudine. Ad esempio avevo paura di fare l’università e pensai di fare una telematica, poi con il passare del tempo ho capito di star bene con la solitudine e ho ben pensato di fare la magistrale alla statale proprio per vedere se mi sbloccassi un po’. E invece sono tre mesi che non ho fatto conoscenza con nessuno e sono sempre solo, cosa che non mi dispiace però tipo dovevo vedermi con delle ragazze per un progetto e sono fuggito per paura, inizio a tremare e faccio solo pensieri strani, come se mi auto giudicassi. Non mi sento mai all’altezza di nulla, mi sento ignorante e come se non valessi nulla. Poi ho tante altre situazioni che vorrei rimediare, qualcuno può aiutarmi. Sarà difficile perché non mi espongo facilmente tengo tutto dentro
Dott.ssa Ilaria Innocenti
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Firenze
Buonasera, spero di poterle dare qualche spunto utile. Credo che quello che sente nei confronti di una potenziale terapia (difficoltà ad affidarsi) rifletta quello che avviene anche in ambito relazionale nella vita (paura del giudizio che la porta a mettere in atto un meccanismo difensivo di evitamento), per questo lo spazio terapeutico rappresenta una buona occasione per sperimentarsi in un luogo protetto rispetto a ciò che nella vita è difficile, sembra insormontabile. Dall'altra parte, c'è in lei una spinta, non è arreso perché sente di potercela fare a dare spazio a questa parte di sé più sociale. Credo che le sarebbe molto utile fare un lavoro di psicoterapia atto, da un lato, a comprendere come mai tenda a isolarsi e a giudicarsi e, dall'altro, a dare più spazio alla parte di sé che vorrebbe far emergere, visto che la fa soffrire questa solitudine. Un saluto, Ilaria Innocenti

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Dott.ssa Elena Gianotti
Psicologo, Psicoterapeuta
Milano
Buongiorno, grazie per la sua condivisione. Posso solo immaginare la fatica che sta facendo, e la paura che una terapia difficilmente la aiuti. Questa paura però è un meccanismo di difesa, che la blocca e le impedisce di muoversi e fare qualcosa per provare a cambiare la sua situazione. Il primo passo l'ha fatto: rendersi conto che non ce la fa più e scrivere qui, cercare aiuto. Si affidi a un professionista che le ispiri fiducia, magari esperto di relazioni, che possa accoglierla e ascoltarla: il primo modo per cambiare è chiedere aiuto e sentire che in questa posizione non si può più stare. Se avesse altre domande o avesse bisogno di supporto mi trova a disposizione, anche online. Un caro saluto, dott.ssa Elena Gianotti
Dott.ssa Laura Bova
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Quartu Sant'Elena
Buonasera,
mi dispiace che tu stia vivendo questo periodo così difficile inuno dei momenti in cui dovresti essere positivamente e dfunzionalmente proiettato verso il tuo futuro.
dalle tue parole si percepisce tanta sofferenza e voglia di cambiare questo stato di cose, perchè pensi che una terapia non possa esserti utile ?
forse con l'ausilio di un professionista potresti risalire alla reale causa di questa insicirezza nei rapporti sociali.
qualsiasi cammino dal più piccolo al più lungo inizia sempre da un primo passo.
fai questo primo passo e vedrai che starai meglio.
In bocca al lupo
Dott.ssa Laura Bova
Dott. Pietro Pignatelli
Psicologo, Psicologo clinico
Bari
Gentilissimo, la sua descrizione restituisce un vissuto complesso, ricco di elementi significativi che meritano attenzione. Vorrei innanzitutto dirle che comprendo il suo scetticismo nei confronti del supporto psicologico. Molte persone, per ragioni diverse, come lo stigma culturale, esperienze terapeutiche poco soddisfacenti o la naturale difficoltà di esporsi emotivamente davanti a qualcuno che inizialmente è percepito come un estraneo, faticano a fidarsi o a immaginare che un percorso psicologico possa realmente portare un cambiamento positivo.
A mio avviso, tuttavia, le difficoltà emotive e relazionali trovano spesso proprio nella psicologia, e in alcuni casi nella collaborazione con la psichiatria, il loro principale spazio di cura. Non si tratta di percorsi “miracolosi” né di soluzioni immediate, ma di strumenti fondati su anni di ricerca e di pratica clinica, pensati per aiutare le persone a comprendere meglio se stesse e a vivere in modo più sereno e sano la propria vita. Una cosa che condivido spesso nei primi colloqui è che il vero lavoro lo fa la persona che porta la propria esperienza: noi psicologi accompagniamo e sosteniamo questo processo, facilitando la comprensione dei propri vissuti, dei pensieri e di quei funzionamenti più profondi che influenzano il modo in cui ci comportiamo e ci relazioniamo.
Rispetto a ciò che racconta, e con i pochi elementi che ho a disposizione, emerge una forte ambivalenza nel modo in cui vive le relazioni. Da un lato appare il desiderio di stare da solo, o forse un senso di sicurezza maggiore nella solitudine; dall’altro, sembra emergere anche un bisogno autentico di contatto con l’altro. Tuttavia, questo desiderio sembra attivare emozioni, pensieri e reazioni psico-fisiche difficili da gestire, che rendono l’incontro con l’altro più complesso e faticoso.
Un percorso psicologico potrebbe aiutarla a esplorare con maggior chiarezza questi vissuti, a comprenderne le origini e a riconoscere perché episodi come quello che descrive suscitino giudizi severi verso di sé, pensieri che definisce “strani” e forme di autocritica così intense. Guardare questi aspetti nella loro interezza, collocarli nella sua storia personale e imparare gradualmente ad accogliere parti di sé che oggi risultano difficili può rappresentare un passaggio fondamentale. Sono convinto che questo lavoro possa sostenerla nel contattare ciò che desidera davvero e nel mobilitare le risorse necessarie per raggiungere una maggiore serenità.
Dott.ssa Letizia Nobilia
Psicologo, Psicologo clinico, Neuropsicologo
Roma
Gentile utente,
grazie per aver trovato il coraggio di scrivere: non è affatto scontato, soprattutto quando ci si sente “stanchi” e pieni di timore.
Da quello che descrive emerge una grande sofferenza, fatta di solitudine, paura del giudizio e una sensazione costante di non valere abbastanza. Sono esperienze molto faticose, ma non indicano che “non c’è soluzione”: indicano piuttosto che sta portando da solo un peso enorme da molto tempo.
È comprensibile anche lo scetticismo verso la terapia: quando si è così stanchi, è difficile credere che qualcosa possa davvero aiutare. Ma spesso il primo beneficio non è “risolvere tutto”, bensì non essere più soli dentro a queste paure, poterle dire senza sentirsi sbagliati.
Quello che racconta sono segnali che uno spazio terapeutico potrebbe aiutarla davvero, passo dopo passo, rispettando il suo ritmo e senza forzarla a esporsi più di quanto si senta pronto.
Il fatto che stia cercando un modo per stare meglio è già un movimento importante.
Un caro saluto.
Dott.ssa Susanna Brandolini
Psicologo, Psicologo clinico
Treviso
Buonasera,

quello che ha condiviso è profondamente umano e richiede un grande coraggio, soprattutto in un momento in cui si sente stanco, appesantito e poco fiducioso nell’aiuto esterno. Il fatto stesso che abbia deciso di scrivere, nonostante la paura e lo scetticismo, indica che una parte di Lei desidera davvero stare meglio. Ed è una parte preziosa, che merita ascolto e rispetto.
Da ciò che racconta emerge una sofferenza che non dipende dal “valere poco”, ma dal peso di una paura che da tempo Le impedisce di sentirsi libero nelle relazioni: la paura del giudizio, della valutazione, di mostrarsi per come è. Quando questo timore diventa costante, il corpo e la mente iniziano a reagire con il tremore, l’evitamento, l’auto-critica. Non è un segno di fragilità, ma un meccanismo di protezione che, con il tempo, si è irrigidito.
La solitudine può dare sollievo nell’immediato, ma rischia di trasformarsi in una sorta di “bolla” che conferma i timori invece di scioglierli. E non c’è nulla di strano nel fatto che il cambio di ambiente universitario non sia bastato a farla “sbloccare”: le parti più vulnerabili di noi non cambiano perché le mettiamo semplicemente in un contesto nuovo. Hanno bisogno di essere accompagnate, comprese, rassicurate.
Il punto importante è che ciò che vive si può affrontare. Non è una condanna. È un insieme di paure e pensieri che, se portati in un contesto sicuro, possono essere trasformati. Il percorso psicologico non funziona imponendo cambiamenti dall’esterno; funziona creando un luogo dove Lei possa finalmente dare un nome alle sue sensazioni, ridurre quel giudice interiore severo, capire l’origine di questo peso e imparare, passo dopo passo, a stare diversamente nelle relazioni… e con se stesso.
E non deve “esporsi tutto subito”: uno psicologo accoglie i suoi tempi. Il percorso è pensato proprio per chi tende a tenersi tutto dentro; non c’è alcuna richiesta di confidarsi immediatamente o senza protezione.
Se vorrà, potrà raccontare quell’episodio che più la tormenta, oppure potrà semplicemente scegliere un professionista per un primo colloquio conoscitivo. Non deve avere tutto chiaro adesso: deve solo concedersi un primo passo. Il resto si costruirà insieme.
Se desidera proseguire o chiedere altro, sono qui per ascoltarLa.

Un caro saluto,
Dott.ssa Susanna Brandolini
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Capisco quanto possa essere faticoso vivere con questa sensazione costante di giudizio, paura e autosvalutazione. Dal tuo racconto emerge un forte carico emotivo che ti accompagna da tempo e che sta limitando aspetti importanti della tua vita: le relazioni, gli studi, la possibilità di sentirti sereno con te stesso.
La tendenza a evitare situazioni sociali, il timore di non essere all’altezza e il bisogno di “fuggire” quando sei di fronte agli altri sono segnali molto comuni quando si vive un forte livello di ansia sociale o una bassa autostima. Queste emozioni non indicano debolezza: sono risposte apprese, spesso nate da esperienze passate, che nel tempo diventano automatiche e difficili da gestire da soli.
Essere scettico rispetto alla terapia è comprensibile, soprattutto quando si è stanchi e si ha la sensazione di non riuscire più a farcela. In realtà, proprio questo tuo desiderio di capire cosa ti sta accadendo e di trovare una soluzione è un primo passo importante. Un percorso psicologico può aiutarti a:


comprendere l’origine di questi pensieri e di queste paure,


imparare strategie concrete per gestire l’ansia nelle situazioni sociali,


lavorare sulla percezione di te stesso e sul senso di valore personale,


sentirti meno solo dentro le tue difficoltà.


Non devi cambiare tutto da un giorno all’altro, né “esporti” più di quanto ti senta pronto a fare. Il percorso terapeutico è uno spazio sicuro in cui puoi portare gradualmente ciò che senti, senza giudizio e senza pressioni.
Per tutte queste ragioni, ti incoraggio ad approfondire con uno specialista: non perché “tu abbia qualcosa che non va”, ma perché meriti un aiuto concreto, competente e rispettoso del tuo tempo e della tua sensibilità.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott. Damiano Maccarri
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
Gentilissimo,
Hai un carattere introverso e molto ansioso e questo non è, di per sé, negativo. Quello che potrebbe giovarti è un programma calendarizzato di sfide sociali e relazionali che ti abituano alle interazioni sociali, a vincere le proprie insicurezze generalizzate, a imparare la calma e l'auto-centratura quando ci si confronta con gli altri.

Non credere di avere solo lati negativi: l'elemento che più mette a rischio il successo nella vita non è l'insicurezza, ma l'eccessiva sicurezza in sé stesso: autoreferenziale, infantile e fragile, anche se abilmente mascherata, molto spesso.

Il percorso non sarà facile, ma se fatto con metodo e criterio, vedrai che potrai risolvere questa distorsione della tua naturale introversione.
Dott.ssa Laura Elsa Varone
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Quello che descrivi — questi pensieri che ti sminuiscono, la sensazione di non essere mai all’altezza, l’idea di “valere poco” — non è un indice della tua reale capacità o del tuo valore personale. Sono pensieri automatici negativi, molto comuni quando ci si trova in un periodo di stress emotivo o quando si è abituati a rivolgere verso sé stessi uno sguardo particolarmente severo.
La mente, in questi momenti, tende a presentare le proprie ipotesi come se fossero fatti. Ma un pensiero non è un dato di realtà: è un prodotto della mente, e può essere esplorato, messo alla prova, modificato.
Il fatto che tu senta il bisogno di “rimediare” a molte situazioni e allo stesso tempo faccia fatica a esporti dice che stai vivendo con un forte carico interno. Tenere tutto dentro protegge nel breve periodo, ma nel lungo termine ti lascia solo con i tuoi giudizi e senza un reale confronto. Non è un difetto: è una strategia che hai imparato. E le strategie si possono cambiare.
Un percorso psicoterapeutico può aiutarti proprio su questo:
– a riconoscere i meccanismi con cui la tua mente genera e mantiene questi pensieri;
– a comprendere come nascono queste valutazioni così dure su di te;
– a costruire modalità più realistiche, meno punitive e più funzionali di guardarti e di stare nelle relazioni.
E non è necessario “esporsi tanto” fin dall’inizio: il lavoro terapeutico parte sempre da ciò che riesci a dire, dai piccoli spiragli che apri, con un ritmo che puoi sostenere.
Chiedere aiuto qui è già un primo passo.
Significa che una parte di te non vuole più restare intrappolata solo in quel giudizio.
E questo è un ottimo punto da cui iniziare.
Saluti,
Dott. Dario Martelli
Psicologo clinico, Psicologo, Psicoterapeuta
Torino
Buonasera, lei dice di essere scettico nei confronti di una psicoterapia ma mi sembra in realtà che sia una soluzione adeguata per ciò che racconta. Proprio la paura del giudizio e questa fobia sociale che descrive in poche righe non possono che essere affrontate con una psicoterapia. Se ri tiene di provarci sono disponibile anche online. Saluti Dario Martelli
Dott. Nicolò Paluzzi Monti
Psicologo, Sessuologo, Psicoterapeuta
Firenze
Questa sensazione di “non farcela più”, di testa pesante e di stanchezza esistenziale, non parla di debolezza: parla di un Sé che sta lottando da solo da troppo tempo. Nel modello costruttivista intersoggettivo diremmo che stai vivendo un forte conflitto identitario, in cui la parte che vorrebbe aprirsi agli altri viene continuamente sovrastata da una parte più antica, spaventata, che usa la solitudine come meccanismo di autoprotezione emotiva.

Il fatto che alla magistrale tu non sia ancora riuscito a costruire relazioni non significa che non ne sei capace: significa che stai cercando di entrare nel mondo con un sistema interno che è in “allarme costante”. Quel tremore, quei pensieri strani, l’autogiudizio, non raccontano un difetto personale, ma uno schema di vergogna e autosvalutazione che si è formato nel tempo per difenderti da qualcosa che un tempo ti sembrava troppo grande.

La tua scelta di “provare comunque”, nonostante la paura, dice molto di te: c’è una parte che vuole vivere e che sta cercando un modo diverso di stare nelle relazioni. Ed è proprio questa parte che, in un contesto terapeutico, può finalmente essere ascoltata senza giudizio.

Quando dici “non valgo niente, mi sento ignorante, non sono all’altezza” stai esprimendo il nucleo vulnerabile della tua autostima. Non è la verità su di te: è una narrazione interna che si è consolidata e che oggi si riattiva ogni volta che entri in contatto con gli altri. È comprensibile che fuggire sembri più semplice.

Ma la fuga, come hai già intuito, non ti libera: ti congela.

Il fatto che tu dica “ho paura che una terapia non serva” è uno dei segnali più comuni quando la sofferenza dura da molto: è la parte disperata del Sé che non vede più alternative. Ma proprio perché senti questa stanchezza profonda, proprio perché ti stai “affacciando” sulla tua storia, è il momento in cui un percorso può davvero aiutarti. Non perché un terapeuta ti “aggiusta”, ma perché insieme si costruisce un nuovo modo di comprenderti — un nuovo significato personale.

E non devi raccontare tutto subito: molte persone che vivono ciò che stai descrivendo fanno fatica a esporsi. Un buon terapeuta lo sa. La terapia non parte dalla tua capacità di parlare, ma dal sentirti al sicuro mentre impari a farlo a piccoli passi.

La domanda che potresti porti è:
“Cosa succederebbe se smettessi di affrontare questa battaglia da solo?”
Spesso è lì che inizia il cambiamento.

Un percorso non è un salto nel vuoto: è un luogo dove puoi finalmente mettere giù quella stanchezza e capire, con qualcuno accanto, che la tua paura non è una condanna ma una traccia da comprendere.

E tu meriti davvero di non portare tutto questo da solo.
Dott.ssa Simona Santoni
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Salve, grazie per la sua condivisione. Capisco quanto possa essere faticoso vivere con questa sensazione di pesantezza, di giudizio continuo e di solitudine forzata. Quello che di cui parla non è assolutamente raro e non significa che lei “non valga nulla” ma che si trova in un momento di forte stress emotivo e in cui potrebbe essere necessario un supporto.
La sincerità e consapevolezza con cui descrive ciò che sta vivendo e il desiderio di trovare una soluzione sono già un primo passo importante. Anche lo scetticismo verso la terapia è comprensibile poiché significherebbe avvicinarsi a qualcosa di nuovo e farlo proprio mentre ci si sente vulnerabili può mettere paura, spaventare.
Un percorso psicologico potrebbe aiutarla a comprendere da dove arrivano queste paure e questi pensieri svalutanti e soprattutto a costruire modi nuovi e più sicuri di stare nelle relazioni. Si lavora un passo alla volta, con i suoi tempi.

Un caro saluto,
Simona Santoni - Psicologa
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Salve, da ciò che scrive emerge con molta chiarezza quanto questo periodo sia faticoso per lei. La sensazione di essere sempre giudicato, la paura di mostrarsi, il desiderio di nascondersi e allo stesso tempo la voglia di cambiare, creano un peso enorme che qualsiasi persona, al suo posto, sentirebbe. Non c’è nulla di esagerato in quello che prova: quando per troppo tempo si vive con timori e auto-critiche così forti, è normale arrivare a sentirsi stanchi, sfiniti, quasi svuotati. La cosa importante, però, è che in mezzo a tutta questa fatica c’è ancora una parte di lei che cerca una soluzione, che osserva ciò che le succede e che desidera tornare a respirare più leggero. Il fatto che si stia interrogando se farsi aiutare o meno non è un segno di debolezza, ma di consapevolezza. La diffidenza verso la terapia è comprensibile quando ci si sente così in difficoltà: molte persone temono di non riuscire ad aprirsi, di essere valutate o di non sapere da dove iniziare. Ma spesso è proprio all’interno di un percorso sicuro e rispettoso che si scopre di poter condividere, poco alla volta, ciò che per troppo tempo è rimasto chiuso dentro. Da ciò che racconta sembra che da anni viva un conflitto molto doloroso. Da un lato sente il bisogno di costruire relazioni, di confrontarsi, di uscire dalla solitudine. Dall’altro, l’ansia la blocca, la fa tremare, la porta a scappare e a sentirsi sbagliata. Ogni volta che vorrebbe aprirsi, la mente le rimanda l’idea di non essere all’altezza, di non valere abbastanza, di non sapere cosa dire. E questo circolo vizioso rinforza la paura e la sensazione di fallire ancora prima di provarci. È un meccanismo che molte persone vivono quando la propria autostima è stata per lungo tempo messa a dura prova. La sua scelta di iscriversi alla magistrale in presenza, pur sapendo quanto le relazioni la mettano in difficoltà, racconta una grande forza. Nonostante la paura, ha provato a mettersi nella condizione di cambiare. Questo è un segnale importante, perché dimostra che, dentro di lei, la volontà di stare meglio c’è e che non si è arresa. Il fatto che oggi fatichi a parlare con i colleghi o che sia scappata da quell’incontro non significa che non sia capace, ma solo che sta attraversando un momento in cui la paura prende il sopravvento. Quando per troppo tempo si vive isolati e ci si giudica con tanto rigore, le situazioni sociali diventano enormi e spaventose, come se ogni possibile errore valesse più di tutto il resto. La buona notizia è che questo tipo di difficoltà può essere affrontato, passo dopo passo. Lei non ha bisogno di cambiare radicalmente da un giorno all’altro, ma di essere accompagnata a uscire lentamente da quella sensazione di inadeguatezza che la fa sentire meno degli altri. È proprio questo il punto in cui un supporto psicologico può fare davvero la differenza: offrire uno spazio in cui non deve dimostrare nulla, in cui può portare anche il silenzio, la paura e la confusione senza sentirsi giudicata o spinta a parlare prima di essere pronta. Molte persone, all’inizio, credono di non riuscire a esporsi, poi scoprono che poter raccontare tutto ciò che ora sembra troppo pesante da dire è uno dei passi più liberatori. Lei non è sbagliata e non è sola in quello che prova. Quella sensazione di non valere nulla è un pensiero che nasce dalla stanchezza, dalla paura e da anni di auto-critica, non da una verità su di lei. La persona che oggi si sente bloccata è la stessa che ha avuto il coraggio di riprovare, di iscriversi a un’università in presenza e di cercare aiuto proprio mentre sente di non farcela più. Questa determinazione, anche se ora è soffocata dalla paura, rappresenta una base molto solida da cui ripartire. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Gentile utente,
essere scettici verso un aiuto esterno alle sue difficoltà è normale. Perché esporsi nella propria fragilità? Perché affrontare i demoni personali, invece di eluderli semplicemente? Sono strategie di protezione della sua mente verso qualcosa che non si sente in grado di controllare e verso qualcosa che non sa come andrà a finire. La sua mente le consiglia di rimanere in un territorio conosciuto, dove ci sono ostacoli e dilemmi, ma anche le sue certezze costruite nel tempo, per esempio il fatto di star bene da solo e di riuscire nei suoi obiettivi accademici.
C'è però anche un'altra voce che sta cominciando a fare breccia dentro di lei e che l'ha portata a scrivere su questo forum. Un bisogno emergente di vivere una socialità diversa, più ricca, più stimolante e persino entusiasmante. E' nella natura umana l'esigenza di condivisione e convivialità, ma c'è anche la paura del confronto sociale, del paragone, del giudizio altrui. Sono aspetti che minano le sicurezze personali e ci mettono di fronte a emozioni complesse da gestire: ansia sociale, senso di inferiorità, paura, vergogna, imbarazzo.
La solitudine non è necessariamente negativa, anzi a volte si sceglie di rimanere soli per dedicare tempo a sé stessi, per riflettere sulle priorità e costruire progetti personali importanti. Ma non deve essere una solitudine della mente, che si chiude in sé stessa e cerca le soluzioni ai problemi contando unicamente sulle sue forze, oppure cerca di autoriferirsi continuamente con il rischio di una critica eccessiva e un abbassamento dell'autostima.
La sua motivazione a progredire da questa situazione è forte ed trapela bene dalle sue parole. Ha voglia e necessità di integrarsi meglio con il medio-ambiente, di sentirsi libero nella comunicazione con gli altri e di condividere con il mondo le sue potenzialità. Ed è un obiettivo personale importante perché la nostra natura, il senso stesso della vita, si realizza al meglio quando miglioriamo il mondo intorno a noi.
Come fare? Un affiancamento psicologico mirato alla crescita personale, alla gestione delle emozioni e alla comunicazione positiva potrebbe fare al caso suo. Non si tratta tanto di aprirsi e raccontare tutto di sé, quello lo deciderà lei di volta in volta se lo riterrà importante e funzionale. Si tratta, piuttosto, di avere strumenti di riflessione corretti e strategie di azione vantaggiose per il suo benessere personale, che rappresentano al meglio i suoi valori. Si tratta anche di raggiungere un livello di autostima e autonomia nei pensieri e nei comportamenti tale da mostrare onestamente la versione migliore di sé stessi, senza paura delle conseguenze, del confronto o dell'opinione degli altri. In questo modo, si possono costruire relazioni positive e superare le barriere oggi imposte dall'ansia sociale.
Le nuove esperienza spaventano sempre e così sarà anche nell'eventualità lei intraprendesse un percorso psicologico. Ma è stando con quella paura che si può crescere e superare i propri limiti. Non si migliora senza affrontare le difficoltà di petto, senza fallire e poi ripartire, senza sbagliare per poi apprendere.
Se lo desidera posso darle maggiori informazioni su un percorso di questo tipo, anche online.
Le auguro il meglio, Dott. Antonio Cortese
Dott.ssa Tania Zedda
Psicologo, Psicologo clinico
Quartu Sant'Elena
Buongiorno e grazie davvero per esserti aperto così tanto.
Si sente chiaramente quanta fatica ti porti addosso e quanto ti costi scrivere queste parole, soprattutto se sei scettico rispetto alla terapia. Il fatto che, nonostante i dubbi, tu stia comunque cercando qualcuno a cui affidarti, raccontando un pezzo così importante della tua vita, è già un segnale di quanto tu desideri stare meglio, anche se magari non ci credi fino in fondo.
Quello che descrivi non parla di una tua incapacità, ma di quanto sia diventato pesante per te stare in mezzo agli altri. Ti senti giudicato, ti giudichi tantissimo da solo, ti senti mai all’altezza, ti definisci ignorante, “che non vale nulla”. È come se la tua mente fosse diventata un posto affollato di critiche costanti, e l’unico modo per trovare un po’ di pace fosse evitare le situazioni sociali, chiuderti, stare solo. Nel breve sembra che funzioni, perché l’ansia cala, ma a lungo andare ti fa sentire ancora più sbagliato e ancora più distante dagli altri.
Anche la scelta dell’università racconta tanto di te: inizialmente la telematica per proteggerti, poi la magistrale alla statale per provare a sbloccarti. È un gesto di coraggio enorme, anche se poi ti sei ritrovato comunque da solo e bloccato. Non è perché “non sei capace di farti amici”, ma perché ti sei lanciato in qualcosa di difficile senza avere accanto qualcuno che ti aiutasse a gestire l’ansia e tutti quei pensieri che ti aggrediscono.
Quando racconti dell’incontro con le ragazze per il progetto, del tremore, dei pensieri strani, della fuga, si vede bene quanto il problema non sia la mancanza di volontà, ma il fatto che in quei momenti la paura prende il controllo. Non è debolezza, è il tuo sistema che si è abituato a proteggerti così, anticipando il giudizio e il rifiuto per cercare di non farti soffrire.
In un percorso psicologico non ti verrebbe chiesto di “esporti bene” fin dall’inizio. Puoi arrivare esattamente come ti senti adesso: scettico, chiuso, con la tendenza a tenere tutto dentro. Anche dire semplicemente: “Non so da dove iniziare e faccio fatica a parlare di me” può essere il primo passo. In terapia si lavora proprio su questo: alleggerire il peso di quei pensieri durissimi su di te, capire da dove arrivano, iniziare a mettere in discussione l’idea di essere “sbagliato”, e trovare modi graduali e sostenibili per tornare a stare tra le persone, senza sentirti sempre sotto esame.
Capisco che pensi che sarà difficile, ed è vero che sarà faticoso. Ma la stanchezza che senti adesso non significa che non c’è via d’uscita: significa che hai fatto da solo per troppo tempo. Ed è proprio per questo che meriti di non farcela più da solo. Grazie ancora per aver scritto tutto questo, è già un atto di cura verso di te.
Dott.ssa Chiara Bernardini
Psicoterapeuta, Psicologo
Milano
Da quello che racconti emerge, da un lato, il desiderio di cambiare, capire te stesso e uscire dall'isolamento; dall'altro, una paura molto forte del giudizio che ti porta ad evitare situazioni sociali e a sentirti bloccato. Da una parte scrivi per cercare il supporto di un terapeuta, dall'altra sei scettico rispetto al fatto che una terapia possa aiutarti.
Le reazioni che descrivi non indicano che ci sia qualcosa di sbagliato in te, ma che stai attraversando un periodo di forte sovraccarico emotivo. Sarebbe importante esplorare da dove nascono queste tue paure, come si attivano nelle diverse situazioni, come poterle gestire al meglio.
Perché pensi la terapia non possa aiutarti? Forse parlare con una persona preparata, esterna alla tua vita, potrebbe aiutarti ad aprirti e sentirti meno giudicato e mettere ordine tra i tuoi pensieri e nel tuo vissuto !
Dott.ssa Mariapaola Anania
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buongiorno, grazie per la condivisione. Potrebbe provare ad intraprendere un percorso psicologico magari potrebbe smentire il suo scetticismo.. penso che abbia bisogno di un aiuto, per provare a sbloccarsi e prendere maggiore consapevolezza delle sue risorse . Resto a sua disposizione e le ricordo che é possibile prenotare dal mio profilo una video consulenza gratuita di 20 minuti. In bocca al lupo.
Dott.ssa Mariapaola Anania, psicologa e psicosessuologa clinica e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale in formazione
Dott.ssa Lucrezia Lovisato
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Torino
Grazie per aver condiviso la tua esperienza. Da ciò che descrivi, stai vivendo un periodo di forte sovraccarico emotivo, con ansia nelle situazioni sociali, sensazione di essere giudicato, evitamento e una stanchezza che ti pesa molto.
La stanchezza mentale, l’isolamento, l’evitamento delle situazioni sociali, il tremore e i pensieri svalutanti sono segnali che richiedono attenzione professionale, non perché tu abbia qualcosa “che non va”, ma perché, come riferito da te stesso, da solo non riesci più a controllare questi sintomi.
Il fatto che tu ti definisca scettico verso la terapia non è un ostacolo: è umano. Quando si è abituati a tenere tutto dentro, quando esprimersi fa paura, quando ci si sente vulnerabili, è normale dubitare che qualcuno possa davvero capire o aiutare.
Hai raccontato un episodio molto significativo, e lo hai fatto con sincerità, Questo già mostra che forse non sei così chiuso come credi.
La terapia funziona quando viene considerata un lavoro di squadra. Non è un processo in cui il terapeuta “aggiusta” la persona, né uno in cui il paziente deve cavarsela da solo. Ognuno ha un ruolo preciso, e il cambiamento avviene dall’incontro di questi due ruoli. Non è necessario essere “sicuri”, “convinti” o “bravi a parlare” per andare in terapia ma significa semplicemente esserci, portare ciò che si riesce, anche poco, anche in modo confuso o faticoso. È sufficiente iniziare così.
Dott.ssa Sabrina Rinaldi
Psicologo, Psicologo clinico
Monza
Ciao, il fatto di scrivere qui è in qualche modo una richiesta di essere visto. Forse nella solitudine non ci stai così bene se hai avuto dentro di te una spinta a cercare l’altro, forse però l’altro ti fa così paura che ti nascondi per evitare possa scoprire chi sei, così come lo strano animale di Kafka nel racconto “La tana”. Dalla tana si può uscire se si ascolta il sibilo della vita e ci si lascia aiutare.
Dott. Michele Basigli
Psicologo, Psicologo clinico
Perugia
Ciao, grazie per aver condiviso così apertamente i tuoi pensieri.
Quello che descrivi è comprensibile: avere un legame così speciale con tuo fratello può rendere le conversazioni con altre persone meno soddisfacenti, e aspettarsi che uno psicologo “rispecchi” certe caratteristiche iconiche è naturale, ma molto difficile da realizzare.

Vorrei però offrirti un punto di vista: la terapia non funziona perché il terapeuta incarna un ideale o ti impressiona con saggezza o ironia. Funziona perché crea uno spazio sicuro in cui puoi esplorare te stesso, i tuoi pensieri e le tue emozioni senza sentirti giudicato, anche se il dialogo non è “straordinario” come quello con tuo fratello.

Il fatto che tu non abbia ancora trovato una persona con cui sentirti completamente in sintonia è comprensibile e non è un fallimento: significa solo che il tipo di connessione che cerchi è raro. Se mai decidessi di provare di nuovo, l’obiettivo potrebbe essere trovare qualcuno curioso, attento e capace di seguirti senza banalizzare, piuttosto che qualcuno che soddisfi un ideale di perfezione.

Il tuo messaggio mostra grande chiarezza e profondità: questo è già un indicatore importante di quanto tu sappia cosa cerchi e di quanto valore dai alla qualità dei rapporti.

Rimango a Sua completa disposizione.
Un caloroso saluto.
Dott. Michele Basigli

Se vuoi, posso scrivere **una versione più breve e diretta**, come una risposta reale che uno psicologo potrebbe inviarti via messaggio, senza perdere il tono empatico. Vuoi che lo faccia?
Dott. Luca Rochdi
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
Gentile utente,
la ringrazio per aver trovato il coraggio di condividere qualcosa di così delicato. Capisco quanto possa essere difficile esporsi, soprattutto quando si convive da tempo con sensazioni di paura, autosvalutazione e solitudine. Il fatto che abbia scritto questo messaggio, nonostante lo scetticismo e la fatica, è già un passo importante: significa che una parte di Lei desidera davvero stare meglio.
Le emozioni che descrive — la sensazione di essere giudicato, la tendenza a isolarsi, il timore di non sentirsi all’altezza, fino al tremore e all’evitamento delle situazioni sociali — sono esperienze molto comuni quando si affrontano periodi di forte sofferenza psicologica. Non indicano una debolezza, ma un carico che da solo è diventato troppo pesante da sostenere.
È comprensibile che oggi la terapia Le sembri un’incognita: quando si è stanchi, sfiduciati o quando si è sempre tenuto tutto dentro, l’idea di affidarsi a qualcuno può spaventare. Tuttavia, il percorso psicologico non è un esame da superare né un giudizio. È uno spazio sicuro, protetto, dove può sentirsi accompagnato nell’esplorare ciò che sta vivendo, comprendere meglio le sue paure e imparare strategie per gestirle.
Il fatto che abbia provato a mettersi alla prova, come nel caso dell’università in presenza, mostra una forte motivazione al cambiamento. Non è un fallimento non essere riuscito subito a fare nuove conoscenze: significa solo che in questo momento sta affrontando difficoltà che meritano attenzione e supporto.
Un professionista può aiutarLa a:
- comprendere l’origine di queste sensazioni di inadeguatezza;
- lavorare sulla paura del giudizio e dell’esposizione;
- gestire i momenti di ansia intensa;
- recuperare fiducia nelle proprie capacità e nel valore che possiede;
- trovare modi più gentili di stare in relazione con se stesso e con gli altri.
Se deciderà di iniziare un percorso, potrà scoprire che chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma di forza.
Sarei felice di accompagnarla in questo percorso.
Se dovesse avere dei dubbi, può contattarmi premendo il tasto 'messaggio' sul mio profilo.
Resto a disposizione attraverso consulenze online.
Dott. Luca Rochdi
Grazie per aver condiviso il suo vissuto. Quello che descrive è davvero difficile da portare da solo, e il fatto che sia riuscito a metterlo in parole è già un passo molto importante. Non è facile ammettere di essere stanchi, confusi o spaventati, eppure lo ha fatto: questo dice molto della sua forza, anche se ora fa fatica a riconoscerla. È comprensibile essere scettici rispetto alla terapia, soprattutto quando ci si sente così svuotati. La terapia non chiede di “esporsi tutto e subito”: è uno spazio in cui può procedere al suo ritmo, dove qualcuno l'accompagna con delicatezza nel comprendere cosa le sta succedendo, senza giudizio. Non deve avere tutto chiaro prima di iniziare: il lavoro si fa insieme.
Rimango a disposizione.
Dott.ssa Martina De Luca
Dott.ssa Martina Scandola
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
Capisco la stanchezza e la difficoltà che stai vivendo. Sentirsi soli, bloccati e sempre sotto giudizio è molto faticoso, e il peso che descrivi è reale. La tua mente sembra pronta a difenderti, ma questa difesa ti limita e ti isola, rendendo anche i gesti più semplici difficili.
È normale sentirsi scettici riguardo alla terapia, soprattutto quando si teme di non trovare ascolto o comprensione. Ma un buon percorso terapeutico può partire proprio da dove sei, accogliendo la tua fatica senza forzature, senza giudizio, e aiutandoti a osservare le paure e le tensioni che ti bloccano.
Non devi avere tutto chiaro per iniziare: bastano la sincerità e la voglia, anche minima, di essere accolto e ascoltato. La tua sofferenza non è il tuo carattere, ma una risposta a paure profonde, e può essere compresa e trasformata passo dopo passo.
La ringrazio per aver condiviso qualcosa che immagino le pesi molto. La paura del giudizio e la difficoltà a esporsi che descrive sono vissuti profondi, e il fatto che abbia trovato le parole per esprimerli è già significativo. È comprensibile provare scetticismo o timore: quando mostrarsi è difficile, anche chiedere aiuto può sembrare un passo enorme. Un percorso psicologico può offrire uno spazio in cui comprendere meglio da dove nascono queste sensazioni, perché oggi sono così forti e che ruolo hanno nella sua storia personale. Dare voce a ciò che si vive, con tempi e modi sostenibili, può diventare un primo modo per alleggerire il peso che sente e iniziare a ritrovare un orientamento.
Dott.ssa Rossella Carrara
Psicologo, Psicologo clinico
Bergamo
Buongiorno, le consiglio un percorso psicologico che l'aiuti a ritrovare la fiducia in se stesso. Cordiali saluti.
Dott.ssa Chiara Lagi
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Carissimo, ciò che descrive è un disagio profondo che la sta sovraccaricando da tempo. Il fatto che, pur tra dubbi e timori, stia cercando una via d’uscita e riconoscendo la fatica che porta con sé, è un indice di grande lucidità e coraggio. La paura costante di essere giudicato, la sensazione di non essere mai all’altezza, i tremori e l’evitamento delle situazioni sociali, insieme al progressivo ritiro dalla vita universitaria, rientrano frequentemente nel quadro clinico dei disturbi d’ansia. Ciò che sta vivendo sembra in effetti caratterizzato da: un’iper-attivazione del sistema di minaccia (paura di esporsi, timore del giudizio); schemi radicati di autosvalutazione (sentirsi inadeguato, “ignorante”, senza valore); evitamento come strategia per ridurre il disagio (isolarsi, rimandare, fuggire dalle interazioni). Questi elementi, nel tempo, generano esattamente ciò che riferisce: stanchezza mentale, senso di fallimento, calo dell’autostima e crescente chiusura sociale. La sua frase “sono stanco della vita” è un segnale che merita attenzione. Non necessariamente indica un’intenzione autolesiva, ma descrive spesso la frustrazione di chi non riesce più a sostenere il proprio livello di stress emotivo. Proprio in questi momenti è importante cercare un contatto professionale umano, non restare soli nel tentativo di gestire tutto. Il fatto che desideri “capire e trovare una soluzione” rappresenta già un movimento terapeutico: molte persone avviano un percorso proprio da questa consapevolezza iniziale. Un professionista potrebbe aiutarla sia sul piano sintomatologico, lavorando su ansia, evitamento e regolazione emotiva, sia su quello più profondo, legato all’autostima e alla percezione del Sé. Un primo passo possibile potrebbe essere individuare uno specialista e fissare una seduta esplorativa: un incontro conoscitivo senza impegni, utile per comprendere come si sente e se può nascere un’alleanza terapeutica. La decisione di continuare o meno spetterà soltanto a lei. Un caro saluto.
Dott.ssa Chiara Lagi
Dott.ssa Laura Forghieri
Psicologo, Psicologo clinico
Bagnoli
Buonasera, la ringrazio per la descrizione molto precisa e la condivisione dei suoi stati d'animo interni. Credo che proprio per quello che ha descritto possa essere importante farsi aiutare con un percorso psicologico in quanto proprio attraverso un percorso è possibile rispondere a tutte le sue domande e all'interno della stanza di terapia prendere consapevolezza delle paure. Lavorare sulle proprie paure, anche se può sembrare spaventoso all'inizio, consente di prendersene cura e con il passare del tempo e della terapia queste paure diventano più piccole e ci consentono un pò alla volta di vivere meglio. Cordialmente. Dott.ssa Laura Forghieri

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