Buonasera, ho una relazione da 8 anni, di cui 6 di convivenza. All'inizio era tutto perfetto, po

24 risposte
Buonasera,
ho una relazione da 8 anni, di cui 6 di convivenza.
All'inizio era tutto perfetto, poi nel 2021 lui ha avuto una fase depressiva lieve (non diagnosticata) a causa di scelte di vita drastiche (cambiare lavoro, lasciando la ditta di famiglia).
Ne parlavamo insieme e gli davo la sicurezza di esserci e condividere la sua decisione, però non ho capito fino a che punto lui fosse "giù".
La cosa si è riversata sul rapporto: ha smesso di guardarmi, toccarmi, parlarmi, essere affettuoso ed io mi sono comportata in maniera egoriferita, pensando che il problema fosse con me. Dopo due anni di alti e bassi, finalmente ha ammesso che forse il problema era questo, che non avevo avuto empatia e le reazioni che lui si aspettava.
In quei due anni, rapporti intimi rari (uno ogni 3 mesi?) e mancanza di complicità: sottolineo che reagivo al suoi muri...facendo muro.
Abbiamo deciso di prenderci una pausa a natale 2024: ma siamo riusciti fondamentalmente a stare separati per un mese...abbiamo riprovato e all'inizio sembrava andasse tutto bene, poi lui ha riavuto un distacco...io l'ho sentito e ho reagito anche in quel caso facendo muro, nonostante cercassi di lavorare su di me, con anche un percorso con una psicologa, che è molto servito in realtà.
E così tutto è tornato di nuovo come prima.
Ad agosto ho deciso di proporgli la terapia di coppia, perchè lui ormai era apatico, non sentiva il bisogno neanche di abbracciarmi, toccarmi, guardarmi...io mi sentivo sempre più stanca e trasparente e lui aveva delle reazioni affettive solo quando ero ormai distrutta.
Siamo a dicembre e nulla è cambiato, ho lottato, ho sofferto, ho provato a recuperare tutto, ma era come combattere contro i mulini a vento.
Perchè se una persona è cosi, non mi lascia?
Perchè quando mi avvio verso un distacco, lui reagisce come una persona affettuosa che è quello che spero torni ad essere tenendomi legata ad una speranza che ad oggi, forse, non ho più?
Adesso la psicologa ci ha prescritto un periodo da coinquilini, perche a quanto pare tutto quello che facevo gli metteva ansia: se gli davo attenzioni, gli mettevo pressione, se non lo consideravo in modo eccessivo, lo sentiva come un rimprovero e si sentiva quindi, sotto pressione.
In questo periodo se avesse sentito il bisogno di stare con me doveva chiederlo, doveva sentirne il bisogno.
Cosi non è stato.
Io mi sono spenta.
è finita vero?
così perfetti sulla carta...ma totalmente incompatibili nella realtà.
Dott.ssa Ilaria Innocenti
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Firenze
Buongiorno, penso che potrebbe proporre al suo compagno di fare un suo percorso personale, per esplorare le sue modalità di chiusura e distacco (posto che per un lavoro personale è necessario avere consapevolezza della propria responsabilità nella dinamica di coppia e desiderio che le cose cambino), lei già sta facendo il suo per limitare le sue modalità che favoriscono la dinamica di chiusura reciproca. La terapia di coppia è anche un'ottima opportunità, anche se non sembra aver prodotto cambiamenti (almeno ad ora). Oltre a questo, le suggerirei di darsi un tempo soggettivamente tollerabile (se si è spenta significa che ha esaurito le speranze?) e poi prendere una decisione. Avendo coraggio, piano piano, tutto si sistema emotivamente. Un saluto cordiale, Ilaria Innocenti

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Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Buonasera — grazie per aver condiviso con chiarezza una storia complessa e dolorosa. Provo a riassumere i punti chiave e offrirle indicazioni concrete, brevi e utili.

Cosa potrebbe essere successo

Quando una persona attraversa una fase depressiva o di forte stress (anche senza diagnosi formale) può ritirarsi affettivamente: meno sguardi, meno contatto, meno iniziative.

Il ritiro può essere percepito dal partner come rifiuto; la reazione di chi si sente respinto (chiudersi a sua volta, cercare di controllare, sentirsi responsabile) spesso peggiora la dinamica.

L’alternanza di distacco e gesti affettuosi sporadici crea una “rinforzo intermittente”: dà speranza, ma non stabilità, e mantiene legata la persona che soffre.

È possibile che ci sia anche uno stile di attaccamento evitante o paure legate alla responsabilità emotiva che lo portano a reagire con distanza anziché a chiedere aiuto.

Cosa sta facendo bene / cosa può cambiare subito

Ha già fatto un passo importante: riconoscere che ha reagito con muri e aver iniziato un percorso individuale. Questo è utile e necessario.

La prescrizione della “convivenza come coinquilini” può essere un’esperimento utile per ridurre la pressione e valutare i bisogni reali di entrambi — ma va concordato chiaramente (durata, regole, cosa succede se non cambia nulla).

Chieda chiarezza su obiettivi e tempi: che cosa intende lui per “sentire il bisogno”? per quanto tempo resterete in questa fase? Quali segnali concreti vi diranno che la situazione sta migliorando?

Quando è il caso di preoccuparsi e cosa proporre

Se il distacco è legato a un quadro depressivo persistente, è importante che lui venga valutato anche da uno specialista (psichiatra/medico) per escludere necessità di trattamento farmacologico o altro supporto.

La terapia di coppia è indicata se entrambi accettano di lavorare (con regole e impegni condivisi). Se lui non partecipa o non si impegna, la terapia di coppia da sola rischia di non bastare.

Valuti i suoi limiti emotivi: restare in “speranza” senza segnali concreti può consumarla. Stabilire confini e limiti temporali è un atto di cura verso se stessa.

Riflettori su lei: cosa tutelare ora

Mantenga il lavoro su di sé (la psicoterapia individuale che ha iniziato è una risorsa fondamentale).

Coltivi rete sociale, routine, attività che le danno senso — questo riduce il peso della relazione come unica fonte di autostima.

Decida quali sono i suoi bisogni minimi (affetto, iniziativa reciproca, partecipazione a terapia) e quali condizioni sono per lei non negoziabili. Comunichi questi limiti in modo chiaro e concreto.

Sì, è finita?
Non posso dirlo con certezza da qui. Dal racconto emergono segnali di incompatibilità profonda nelle modalità di relazione attuali: è possibile che la relazione non torni com’era “sulla carta”. Però può esserci spazio per cambiamento se entrambi si impegnano in modo concreto (valutazione medica per lui, terapia individuale e di coppia, regole condivise e tempi chiari). Se invece le risposte restano ambigue e lei si sente consumata, prendersi cura di sé e considerare la separazione come scelta possibile e legittima è ragionevole.

Per un percorso concreto e sicuro, le consiglio di approfondire la situazione con uno specialista (valutazione psichiatrica per lui se persistono sintomi depressivi; terapia di coppia condotta da professionisti esperti per lavorare sulla dinamica).

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott. Pietro Pignatelli
Psicologo, Psicologo clinico
Bari
Gentilissima, quello che descrive è un percorso relazionale lungo e complesso, segnato da fasi di vicinanza e improvvisi distacchi, che hanno avuto un impatto significativo sul vostro equilibrio emotivo. È comprensibile che tutto questo abbia generato in lei fatica, confusione e la sensazione di essere “spenta”: la crisi di coppia, soprattutto quando coinvolge legami affettivi così profondi, è sempre un’esperienza dolorosa e difficile da decifrare.

Dalle sue parole emerge che, in diversi momenti, entrambi avete cercato di “sistemare” ciò che non funzionava, ciascuno con le proprie risorse e i propri limiti. In questo senso, l’avvio di un percorso individuale e di una terapia di coppia è un passo importante: questi spazi permettono di comprendere meglio ciò che accade dentro di sé e nelle dinamiche relazionali, e talvolta richiedono tempo prima di generare cambiamenti visibili. Tuttavia, è bene considerare che questo tipo di percorsi spesso richiedono tempi più lunghi per poter osservare trasformazioni stabili, soprattutto se le dinamiche disfunzionali sono radicate da anni.

Lei si chiede perché il suo compagno non la lasci, e perché manifesti affetto proprio quando percepisce un suo allontanamento. Con le informazioni disponibili non è possibile dare una risposta certa, ma spesso in relazioni di lunga durata convivono due aspetti: la difficoltà a separarsi da un legame significativo e, allo stesso tempo, la difficoltà a sostenerne pienamente le esigenze e i “costi” emotivi. Questo può generare movimenti ambivalenti: ci si avvicina quando si teme la perdita, ma si fa fatica a mantenere quella vicinanza nel quotidiano.

Nel suo racconto emerge anche una difficoltà del suo compagno a riconoscere, esprimere e condividere i propri bisogni emotivi. Questo è un nodo centrale nelle dinamiche di coppia, perché senza una comunicazione chiara e reciproca è molto complicato negoziare nuovi equilibri. La terapia di coppia, quando c’è motivazione da entrambe le parti, può diventare un luogo prezioso per comprendere l’altro, riconoscere i propri limiti e negoziare nuove modalità relazionali più funzionali. Ma si tratta, inevitabilmente, di un lavoro che si può fare solo in due: non si può “tenere in piedi” una relazione da soli.

Arriviamo alla domanda che pone alla fine: “È finita, vero?”
Sentire questa domanda racchiude probabilmente tutta la sofferenza che sta vivendo e il bisogno di ”dare una risposta” ai suoi vissuti. Tuttavia, comprenderà bene che questa risposta non può arrivare dall’esterno. Dipende da ciò che lei sente di poter ancora tollerare, dal limite oltre il quale la fatica diventa insostenibile, e dalla presenza — o assenza — di un impegno reciproco nel lavorare sulla relazione. Finché entrambi, anche in modo discontinuo, parteciperete a questo “tango”, la vostre storia continuerà. Ma se uno dei due dovesse maturare la consapevolezza di non poter più reggere questi movimenti, allora la direzione diventerà più chiara.
Dott. Simone Ciuffi
Psicoterapeuta, Psicologo, Terapeuta
Sambuceto
La domanda finale ha una risposta che solo lei sa.
Dott.ssa Ilaria De Pretto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buonasera,
provo a risponderle in modo semplice, come in un contesto di consulto pubblico.
Da quello che descrive, sembra che il suo partner viva da tempo una difficoltà emotiva non risolta che lo porta a chiudersi e a “congelare” il legame. In queste situazioni è frequente che la persona non riesca a stare nella relazione, ma nemmeno a lasciarla: il legame dà sicurezza, mentre l’intimità genera ansia.
Le manifestazioni di affetto quando lei si allontana non indicano necessariamente una reale ripresa del rapporto, ma una reazione alla paura di perdere il riferimento. Questo crea un ciclo doloroso di speranza e frustrazione.
Il fatto che qualsiasi sua iniziativa venga vissuta da lui come pressione suggerisce che il problema non sia ciò che lei fa, ma la sua incapacità attuale di sostenere una relazione affettiva.
Il periodo “da coinquilini” è spesso un tentativo di ridurre l’ansia relazionale; se però non emerge un desiderio spontaneo di avvicinamento, è un segnale importante da ascoltare.
Lo spegnimento emotivo che descrive è una risposta comprensibile a una lunga mancanza di reciprocità. Non indica mancanza d’amore, ma esaurimento.
Alla sua domanda finale: più che chiedersi se “è finita”, può essere utile chiedersi se questa relazione, oggi, le permette di sentirsi vista, scelta e nutrita emotivamente. Quando questo manca in modo prolungato, la coppia può risultare, di fatto, incompatibile nella realtà, anche se “funziona” sulla carta.
Dott. Vincenzo Capretto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buon pomeriggio,
capisco quanto dolore e quanta stanchezza ci siano dietro a tutto quello che hai raccontato. Otto anni di relazione, sei di convivenza, continui tentativi, pause, riprese… non è poco. E quando ci si trova davanti a un partner che alterna distanza e riavvicinamenti solo quando rischia di perderti, è normale sentirsi svuotati, confusi, quasi “in colpa” per qualcosa che in realtà non hai causato tu.

Da ciò che descrivi, il tema non è mai stato l’amore in sé, ma la capacità del tuo compagno di stare nella relazione in modo stabile. Le sue fasi depressive, la difficoltà a riconoscerle, il ritiro emotivo e fisico, la modalità “ti vedo solo quando ti sto perdendo”, sono dinamiche molto tipiche quando c’è una fragilità emotiva non trattata o non accettata pienamente.

Tu, dall’altra parte, hai fatto tutto ciò che potevi: parlare, sostenere, metterti in discussione, lavorare su di te con una psicologa, proporre la terapia di coppia, accettare persino la formula della convivenza “da coinquilini”. Sono tentativi importanti, sinceri, e raccontano che non sei mai rimasta ferma.

La tua domanda — “Perché non mi lascia? Perché reagisce solo quando me ne vado?” — è più comune di quanto pensi. Spesso non si tratta di calcolo, ma di una dinamica interna del partner:
non riesce a darti presenza stabile, ma teme il vuoto; non riesce a stare vicino, ma non riesce neanche a lasciar andare. È un oscillare continuo che logora chi lo subisce.

Il punto però non è cosa prova o non prova lui. Il punto è cosa sta accadendo a te.

Stai dicendo che ti sei spenta.
Che non senti più energia.
Che non hai più speranza.
Che fai fatica a riconoscerti.

E quando una persona arriva a questo punto, più che domandarsi “finirà?” dovrebbe potersi permettere un’altra domanda, molto più importante:

Come sto davvero? E cosa mi merito, oggi, a prescindere da lui?

Provo a lasciarti alcuni spunti pratici, visto che cerchi anche un orientamento più concreto:
1. Osserva non i momenti in cui lui “torna”, ma quelli in cui scompare.
È lì che una relazione si misura: nella continuità, non nei picchi emotivi.
2. Valuta quanto è sostenibile per te il modello attuale.
Non in teoria, non “se lui cambiasse”, ma adesso, com’è realmente.
3. Riprendi localmente spazio personale.
Non come punizione, ma come recupero: routine, sonno, amicizie, attività.
Hai bisogno di rimetterti al centro, almeno un po’.
4. Chiediti cosa sta tenendo in vita il rapporto oggi: amore, paura, abitudine, sensi di colpa o speranza?
Le risposte, quando arrivano, sono molto chiare.
5. Non perdere di vista un dato fondamentale:
sei stata l’unica a lavorare sul rapporto in modo attivo e continuo. Questo non ti rende “esagerata”, ma responsabile ed emotivamente presente.

Non posso dirti io se è finita. Ma posso dirti una cosa con certezza: una relazione in cui ti spegni lentamente non è una relazione che funziona, indipendentemente da quanto “perfetta sulla carta” possa sembrare.

Se desideri continuare a confrontarti qui sul forum, puoi farlo quando vuoi. A volte mettere ordine insieme aiuta a vedere un po’ più chiaramente ciò che, nella solitudine della coppia, risulta confuso.
Se ha bisogno, sono qui.
Dr. Vincenzo Capretto
Dott.ssa Claudia Sciorio
Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Salve, innanzitutto mi viene spontaneo chiedere come mai se ha già iniziato un percorso come mai chiede aiuto qui... forse la terapia di coppia non è partita? Ho un pò di confusione nel leggere queste parole però, quello che posso dire è che sicuramente la terapia di coppia non può essere fatta secondo il mio modesto parere con la sua psicologa perché sarebbe un rapporto sbilanciato. SI dovrebbe fare con una terapeuta che nasce con la coppia, quindi estranea ai fatti e ad entrambi. Se invece avete già iniziato la terapia di coppia e la psicologa vi ha consigliato di vivere un periodo da coinquilini avrà un significato? siete riusciti nei primi incontri su dove vi siete bloccati? Provate a chiedere già spiegazioni alla vostra terapeuta, se invece è la psicologa della donna a dare indicazioni sulla coppia, potrebbe non avere in mente tutte le situazioni possibili, ma potrebbe ovviamente tenere a mente i bisogni solo della sua paziente.
Buonasera, da ciò che racconta, emerge quanto la relazione sia stata per Lei un luogo di alternanza intensa tra vicinanza e distacco. Lei ha attraversato momenti in cui si sentiva piena di speranza, cercando di mantenere il legame e di offrire attenzione, affetto e comprensione, e momenti in cui la fatica emotiva si è accumulata, portandola a sentirsi invisibile, trasparente, quasi spenta.

Gli episodi di chiusura e ritiro emotivo da parte del partner hanno generato in Lei dolore, confusione e senso di stanchezza. Ha provato a reagire, a proteggersi, a recuperare la relazione, utilizzando anche strumenti come la terapia individuale e la proposta di terapia di coppia. Questi tentativi mostrano quanto sia stata presente e attenta, cercando di dare e ricevere contatto emotivo in un contesto che le risultava sempre più difficile.

Il periodo “da coinquilini” ha rappresentato per Lei un ulteriore momento delicato: era una sperimentazione di distacco controllato, in cui la vicinanza sarebbe dovuta nascere dal bisogno del partner, senza pressioni. La mancata iniziativa da parte sua ha generato in Lei ulteriore stanchezza e la percezione di un distacco crescente.

In tutto questo si percepisce chiaramente la profondità del suo impegno emotivo e il dolore di sentirsi trascurata pur avendo cercato di mantenere la relazione viva. La sensazione di essersi “spenta” è comprensibile, perché la relazione ha richiesto molto di lei senza ricevere una corrispondenza stabile nel tempo. Rimango a disposizione, un saluto!
Dr. Federico Alunni
Psicologo, Psicologo clinico
Perugia
Buongiorno, grazie per la condivisione. La situazione che descrive sembra essere molto dolorosa e non parla di un colpevole, ma di un incastro relazionale che nel tempo si è irrigidito.
Dopo la fase di fragilità depressiva di lui, la coppia sembra aver costruito come una danza ricorrente: da una parte il ritiro emotivo e l’apatia, dall’altra il tentativo di avvicinamento che, non trovando risposta, si trasforma in difesa, chiusura, “fare muro”. Entrambi avete reagito per proteggervi, ma queste protezioni si sono sommate fino a creare distanza. In questo senso, non è che lei non abbia avuto empatia o che lui non abbia voluto impegnarsi: vi siete incontrati in momenti diversi, con bisogni diversi e linguaggi affettivi non più sincronizzati.
La domanda che lei pone – “perché se è così non mi lascia?” – è centrale. Certe volte chi si ritira affettivamente non lo fa perché non prova più nulla, ma perché non riesce a stare nel legame senza sentirsi inadeguato o sotto pressione. Il fatto che lui torni affettuoso quando lei si avvicina al distacco indica che il legame, per lui, è ancora significativo; tuttavia, sembra riattivarsi solo nella paura della perdita, non nella quotidianità della relazione. Questo crea in lei una speranza intermittente, che tiene insieme la coppia ma al prezzo di un grande logoramento emotivo. Ma questa è solo un'ipotesi, una possibile lettura basata su quello che lei sente di lui e che ha scelto di condividere.
Il periodo “da coinquilini” proposto in terapia va letto come un tentativo di abbassare l’attivazione del sistema: qualunque gesto, affettuoso o distante, veniva vissuto da lui come pressione. Ma il fatto che, in questo spazio, non emerga spontaneamente il suo desiderio di avvicinamento è un dato importante, non una colpa di nessuno. Lei non si è spenta perché ha smesso di amare, ma perché per troppo tempo è rimasta in attesa di un segnale che non arrivava.
È comprensibile chiedersi se “è finita”. Più che una risposta definitiva, oggi sembra esserci una verità relazionale: questa coppia, così com’è strutturata ora, non riesce più a nutrire entrambi. Sulla carta siete "compatibili", ma nella vita quotidiana i vostri modi di stare nel legame producono sofferenza e solitudine.
La domanda forse non è se lui cambierà, ma se lei se la sente di continuare a stare in una relazione in cui il contatto affettivo arriva solo quando è sul punto di perdersi. A volte il dolore più grande non è la fine di una storia, ma il restare troppo a lungo in un legame che non riesce più a riconoscerci.
Qualunque decisione prenderà, non sarà una sconfitta: sarà una scelta di tutela di sé, dopo aver provato a lungo, con impegno e responsabilità.
Salve, mi dispiace per tutto questo che ha descritto. Da quello che leggo sembra ci sia una profonda asimmetria emotiva: lei ha continuato a investire, lui non è riuscito – o non ha voluto – esserci in modo pieno. Una relazione può continuare solo se almeno una delle due persone desidera attivamente stare nella relazione; quando il desiderio è assente o intermittente, l’altro resta intrappolato nell’attesa e nella speranza.
Mi sembra che la domanda centrale non sia se lui potrà tornare ad essere quello di un tempo, ma se tu puoi continuare a vivere in una relazione in cui i tuoi bisogni affettivi vengono costantemente messi tra parentesi. L’amore non dovrebbe richiedere di spegnersi per non disturbare, né di sentirsi in colpa per il semplice bisogno di essere amata. Ascolti tutto il suo spegnimento emotivo senza giudicarlo perché potrebbe essere il modo in cui la sua mente sta cercando di proteggerla.
Salve , mi dispiace molto per il periodo che state attraversando entrambi.
Allora , quello descritto è un quadro molto frequente nelle relazioni di coppia segnate da una fase “depressiva”, in cui si crea un circolo di fattori negativi tra cui distanza emotiva, ritiro affettivo e reazioni difensive.
Quando una persona non sta bene, può non riuscire né a dare né a lasciare andare e chiaramente questo mantiene l’altro in una continua attesa e speranza, logorante nel tempo.
Il periodo “da coinquilini” che ha prescritto la collega serve proprio a chiarire se esiste ancora un desiderio autentico di relazione, non basato sulla paura della perdita e di rimanere soli.
Il fatto che tu oggi ti senta spenta è un segnale psicologico importante e potrebbe significare che l’energia emotiva si è esaurita.
Continuare il percorso psicologico iniziato può aiutarti a capire se stai lottando per la relazione o per non perdere ciò che speravi potesse essere.
Buone cose,
Dott. Tullio Marziani
Dott.ssa Susanna Minaldi
Psicologo, Psicologo clinico, Sessuologo
Cantù
Buonasera,
da ciò che racconta emerge un ciclo relazionale molto faticoso in cui lei cerca vicinanza e lui si ritrae, riavvicinandosi solo quando teme di perderla.
Questo non indica necessariamente assenza di sentimento, ma una profonda difficoltà da parte sua a sostenere l’intimità e il legame nel tempo.
Il punto però è che, al di là delle spiegazioni, lei oggi appare emotivamente spenta e sola dentro la relazione.
Il periodo da “coinquilini” sembra aver reso evidente che il cambiamento non passa più dai fatti, ma resta nelle intenzioni.
Forse la domanda centrale non è se sia finita, ma se questa relazione, così com’è, riesca ancora a nutrirla e a farla sentire vista.
Riconoscere un limite non è una sconfitta, ma una forma di rispetto verso se stessa.

Cordiali saluti.
Dott.ssa Susanna Minaldi
 Gabriele Lungarella
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buongiorno, dal suo racconto emerge una storia lunga, complessa e molto dolorosa, in cui sembra che entrambi abbiate cercato di fare il possibile con gli strumenti che avevate in quel momento. È comprensibile sentirsi esausti e svuotati dopo anni di distanza emotiva, tentativi di riavvicinamento e speranze che si riaccendono solo quando il distacco diventa concreto. Lei ha cercato il dialogo, ha messo in discussione se stessa, ha intrapreso un percorso individuale e ha proposto una terapia di coppia. Allo stesso tempo, il suo compagno sembra muoversi in una dinamica di ritiro e riavvicinamento, che può creare molta confusione e tenere l’altro “agganciato” a un’idea di relazione che, nei fatti, fatica a esistere.
Quando una persona torna affettuosa solo nel momento in cui teme di perdere il legame, ma non riesce poi a mantenere quella vicinanza nel quotidiano, spesso non è una scelta consapevole o manipolativa: può essere il segnale di una difficoltà profonda a stare nella relazione, a tollerare l’intimità o le richieste emotive che comporta. Questo però non cambia l’effetto su chi sta dall’altra parte, che finisce per consumarsi nell’attesa.
Il periodo “da coinquilini” può avere senso come tentativo di chiarimento e il fatto che lei si senta ormai spenta è un dato molto importante da ascoltare. A volte non è necessario un evento eclatante per dire che una relazione è arrivata a un limite: basta riconoscere che, nonostante l’amore o la stima, non c’è più reciprocità emotiva né nutrimento.
Non è una sconfitta constatare un’incompatibilità che si manifesta nella vita reale, anche se “sulla carta” tutto sembrava funzionare. È piuttosto un atto di lucidità e di rispetto verso se stessi. Continuare a lavorare su di sé, anche in questo passaggio, può aiutarla a capire non solo se questa relazione può ancora trasformarsi, ma soprattutto di cosa ha bisogno lei per stare bene, oggi.
Un caro saluto
Dott.ssa Serena Caroppo
Psicologo, Psicologo clinico
Martina Franca
Buongiorno
Da quanto emerge, la relazione sembra essere entrata in una fase di blocco relazionale profondo, caratterizzata da ritiro emotivo, ambivalenza e progressiva asimmetria nel coinvolgimento. Quando uno dei partner non riesce più ad accedere al desiderio di contatto e l’altro, nel tempo, si spegne, il focus clinico non è più “cosa fare di più”, ma se esistono ancora le condizioni emotive per stare nella relazione.

Per comprendere meglio ciò che sta accadendo e orientare in modo più chiaro le scelte future, può essere utile un colloquio clinico di approfondimento on line, in uno spazio dedicato e protetto.
Dott.ssa Giulia Diener
Psicoterapeuta, Psicologo
Napoli
Buongiorno, mi dispiace per la situazione che vive. Vorrei però farla riflettere su alcune frasi che mi hanno colpito, lei scrive che non comprende perché il suo compagno non la lasci, io proverei a rovesciare questa domanda e le chiederei cosa la fa rimanere in questa relazione. Spesso quando soffriamo ci mettiamo nella posizione di aspettare risposte dagli altri ma questo ci depotenzia e ci sposta da dentro di noi. Riportare il focus su di lei, su ciò che vuole e su cosa la fa stare bene può essere il primo passo per stare meglio.
Rimango a sua disposizione
Dott.ssa Giulia Diener
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buonasera, leggendo le sue parole si percepisce tutta la stanchezza, la delusione e anche il dolore profondo di chi ha investito molto in una relazione e si ritrova, dopo anni, a sentirsi invisibile. Quello che descrive non è una crisi improvvisa, ma un logoramento lento, fatto di tentativi, speranze riaccese e poi nuovamente spente, di avvicinamenti che non trovano risposta stabile. È comprensibile che oggi lei si senta svuotata e che la domanda che le gira in testa sia se tutto questo non sia ormai arrivato al termine. Quando una persona attraversa un periodo di chiusura emotiva, come quello che lei descrive nel suo compagno, spesso non è in grado di esprimere in modo chiaro ciò che prova, né di prendere decisioni nette. Questo può portare a comportamenti ambivalenti: da una parte il distacco, l’apatia, l’assenza di desiderio e di contatto; dall’altra le riattivazioni affettive improvvise nel momento in cui percepisce che lei si sta davvero allontanando. Non è raro che queste reazioni non siano frutto di una volontà consapevole di trattenere l’altro, ma della paura di perdere una sicurezza, una presenza che nel tempo è diventata un riferimento, anche se non più vissuta come relazione pienamente vitale. Il punto però, ed è quello più doloroso, è che nel frattempo lei ha cercato di adattarsi, di capire, di mettersi in discussione, di lavorare su di sé. Ha provato a fare spazio, a non premere, a non chiedere, a non aspettarsi troppo. E così facendo, lentamente, ha iniziato a spegnersi. Questo spegnimento non è una debolezza, ma un segnale importante: indica che i suoi bisogni affettivi, di contatto, di riconoscimento e di reciprocità sono rimasti troppo a lungo senza risposta. Una relazione, anche nei momenti di difficoltà, dovrebbe poter offrire un minimo di nutrimento emotivo. Quando questo viene a mancare in modo prolungato, il corpo e la mente iniziano a proteggersi ritirandosi. La domanda che lei pone, se sia finita, è comprensibile. Più che cercare una risposta netta, forse può essere utile fermarsi su un’altra domanda: che tipo di relazione sta vivendo oggi, al di là di quella che era o di quella che sperava tornasse ad essere. Lei descrive una situazione in cui ogni suo gesto veniva vissuto come fonte di pressione, in cui l’iniziativa affettiva era completamente demandata all’altro, e in cui questa iniziativa, di fatto, non è arrivata. In questo contesto, è naturale sentirsi trasparenti, non scelti, non desiderati. Essere “perfetti sulla carta” spesso significa condividere valori, storia, abitudini, ma la vita di coppia si gioca nella quotidianità emotiva. Se nella realtà concreta lei si sente sola, non vista, costantemente in attesa di segnali che non arrivano, allora il dolore che prova non è un errore di percezione, ma una reazione coerente a ciò che sta vivendo. L’incompatibilità di cui parla non è un giudizio definitivo su nessuno dei due, ma la constatazione che, in questo momento, i vostri modi di stare in relazione non riescono più a incontrarsi senza farle male. È importante anche riconoscere che lei ha fatto molto. Ha cercato il dialogo, ha accettato percorsi di aiuto, ha rispettato tempi e richieste che spesso andavano contro i suoi bisogni. Arrivare a sentirsi spenta non significa aver fallito, ma forse aver raggiunto un limite. E i limiti, quando vengono ascoltati, possono diventare una forma di rispetto verso sé stessi. Che questa sia o meno la fine, sarà qualcosa che potrà chiarirsi solo con il tempo e con scelte che mettano al centro anche il suo benessere. Ma il fatto che oggi lei non senta più speranza, che non avverta più energia per lottare, è un segnale che merita attenzione. Non per forzarsi a restare o ad andare via, ma per iniziare a chiedersi cosa le serve davvero per tornare a sentirsi viva, vista e scelta, prima di tutto da sé stessa. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott.ssa Elena Dati
Psicologo, Psicologo clinico
Crema
Buongiorno,
dalle sue parole emerge una grande stanchezza emotiva, il senso di aver dato molto e a lungo, cercando di comprendere, di cambiare, di tenere in piedi il legame anche nei momenti più difficili. È evidente il dolore di sentirsi invisibile e la fatica di restare in una relazione in cui il contatto, l’affetto e la reciprocità sono venuti meno, nonostante i tentativi fatti e l’aiuto richiesto.
Quando per stare insieme è necessario spegnersi, trattenersi o vivere nell’attesa che l’altro torni come prima, è comprensibile sentirsi svuotati e perdere la speranza. La domanda che oggi si pone sembra meno rivolta a “cosa non ha funzionato” e più a “quanto ancora posso restare così”, ed è una domanda legittima, che merita ascolto e rispetto.
Resto a disposizione.
Un caro saluto,
dott.ssa Elena Dati
Dott.ssa Ester Negrola
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Buongiorno, la ringrazio per questa condivisione così autentica e profonda. Dal suo racconto riesco a percepire tutta la sofferenza e la sfiducia che sta vivendo, emozioni pienamente comprensibili alla luce di quanto ha attraversato in questi anni. La domanda che oggi ci pone (ovvero pone a se stessa): “è finita questa relazione?” rappresenta il nodo centrale del suo vissuto attuale: proprio questa sfiducia, questo sentirsi spenta e questa percezione di incompatibilità sono elementi fondamentali del suo sentire e, come tali, meritano di essere portati all’interno della terapia di coppia. Il senso della terapia infatti non è “aggiustare” il rapporto (quello casomai potrà venire di conseguenza), ma in primis è quello di creare uno spazio in cui dare voce a ciò che accade tra voi e in ognuno di voi: pensieri, emozioni, delusioni e, nel suo caso, anche alla perdita di speranza. È attraverso questo confronto vero e onesto sul vostro sentire che può aprirsi un dialogo più profondo, utile a comprendere desideri, sentimenti e riflessioni di entrambi, così come i punti di forza e le fragilità della relazione.


Un caro saluto, Dott.ssa Ester Negrola - Psicologa
Dr. Roberto Lavorante
Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Buonasera,
le rispondo con uno sguardo sistemico-relazionale, quindi considerando soprattutto la dinamica che nel tempo si è creata tra voi.

Dalla sua storia emerge una “danza” che si è strutturata dopo il periodo di difficoltà del suo partner: lui ha iniziato a ritirarsi emotivamente, lei — sentendosi non vista — ha cercato contatto o, quando il dolore era troppo, ha reagito chiudendosi a sua volta. Questo ha alimentato un circolo vizioso in cui più lei cercava vicinanza, più lui si sentiva sotto pressione e si allontanava; più lui si allontanava, più lei si spegneva.

Il fatto che lui mostri segnali di affetto soprattutto quando lei è sul punto di distaccarsi non indica necessariamente mancanza d’amore, ma una difficoltà profonda a stare nella relazione in modo continuo: il legame viene mantenuto, ma senza reale presenza emotiva. In questi casi una persona può non riuscire a lasciare, pur non riuscendo davvero a esserci.

Il periodo da “coinquilini” serve proprio a verificare se, tolta la pressione, emerge un desiderio spontaneo di relazione. Il fatto che ciò non sia accaduto è un dato importante. Il suo spegnersi non è una sconfitta, ma una forma di protezione dopo anni di investimento.

Alla domanda “è finita?” non esiste una risposta certa dall’esterno. Ciò che però appare chiaro è che oggi questa relazione ha un costo emotivo molto alto per lei e non offre reciprocità. Essere “perfetti sulla carta” non basta se, nella realtà, per restare insieme uno dei due deve rinunciare a sé.

La domanda forse più centrale non è se lui potrà cambiare, ma se lei può e vuole continuare a stare in un legame che, così com’è, la spegne.
Spero di esserle stato di supporto e le auguro una buona serata.
Dott.ssa Tania Zedda
Psicologo, Psicologo clinico
Quartu Sant'Elena
Buonasera, grazie per aver condiviso una storia così lunga e dolorosa, si sente quanta fatica e quanta dedizione ci hai messo.
Da quello che racconti emerge una dinamica relazionale molto chiara e purtroppo molto logorante: lui tende a ritirarsi, spegnersi e chiudersi quando sta male; tu, sentendoti trascurata e invisibile, reagisci cercando più contatto o proteggendoti facendo muro. Nessuno dei due sembra “sbagliato”, ma le vostre modalità si incastrano in modo poco compatibile.
Il fatto che lui mostri affetto solo quando percepisce una tua presa di distanza può essere più legato alla paura della perdita che a una reale capacità di stare nel legame in modo continuo. La terapia di coppia e il periodo da coinquilini sembrano aver chiarito un punto importante: tu ti stai spegnendo. Questo è un segnale da ascoltare con molta attenzione.
La domanda forse non è più se è finita, ma quanto questa relazione, così com’è, ti permetta di sentirti vista, scelta e nutrita emotivamente. A volte l’amore non basta se il modo di stare insieme fa stare male. Riconoscerlo non toglie valore a ciò che è stato.
Dott.ssa Elisabetta Di Maso
Psicologo, Psicologo clinico
Bitonto
Buonasera, ha parlato molto di come sta il suo compagno e di come si sente sottopressione ai suoi cambiamenti di comportamento, ma non ha parlato di come la fa stare avere al fianco una persona assente! Rifletta su quanto desidera questa relazione. La desidera? Quanto vuole lottare? Si immagina un futuro?
Dott.ssa Ilaria Redivo
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buonasera,
la ringrazio per aver condiviso una storia così lunga e dolorosa. Dalle sue parole emerge chiaramente quanta energia, attenzione e responsabilità emotiva lei abbia investito in questa relazione, e quanto oggi si senta stanca, svuotata e confusa. Quando per anni si tenta di “tenere in piedi” un legame e il movimento sembra sempre a senso unico, è naturale arrivare a spegnersi.

Il ciclo che descrive – avvicinamento, distacco, riattivazione affettiva solo nei momenti di crisi – è molto faticoso da sostenere e spesso genera un senso di attesa costante, di speranza che si riaccende proprio quando si è sul punto di lasciar andare. Questo non significa che da parte sua ci sia stato un errore o un’incapacità di amare, ma che probabilmente vi siete trovati, nel tempo, incastrati in una dinamica relazionale che nessuno dei due è riuscito davvero a trasformare.

La fase depressiva che lei descrive può aver avuto un impatto importante sul suo partner e sulla coppia, ma è altrettanto importante riconoscere che, nel lungo periodo, il peso di “reggere” una relazione non può ricadere su una sola persona. Il fatto che oggi lei si senta spenta è un segnale da ascoltare con molta attenzione: spesso non indica una mancanza di amore, ma un esaurimento emotivo.

Rispondere alla domanda “è finita?” richiede tempo e uno spazio di ascolto profondo, più che una risposta immediata. A volte, ciò che finisce non è necessariamente la relazione in sé, ma un modo di stare insieme che non è più sostenibile. Il periodo di distanza che state vivendo può essere letto non solo come una prova, ma come un momento per capire se esiste ancora un desiderio autentico e reciproco di incontro, e non solo la paura della perdita.

Un percorso di sostegno psicologico individuale – che lei ha già avuto il coraggio di intraprendere – può aiutarla ora a rimettere al centro i suoi bisogni, i suoi limiti e a comprendere che tipo di relazione desidera davvero per sé, al di là dell’idea di “perfezione sulla carta”. Se lo ritenete utile, anche uno spazio di coppia può servire non tanto a “salvare” qualcosa a tutti i costi, quanto a dare un senso e una chiusura più consapevole a ciò che state vivendo.

La ringrazio per la fiducia e resto a disposizione qualora desiderasse approfondire questi temi in un primo incontro, Può trovarmi su mio Dottore sono la dott.ssa Ilaria Redivo
Un cordiale saluto
Dott.ssa Sara Petroni
Psicologo clinico, Psicologo
Tarquinia
Gentile utente,

la domanda che pone arriva dopo un percorso lungo, faticoso e molto doloroso, e non nasce da un impulso ma da un logoramento progressivo. Questo è un elemento importante da riconoscere. Da ciò che racconta, Lei non è rimasta ferma ad “aspettare”: ha provato a capire, a mettersi in discussione, a lavorare su di sé, a chiedere aiuto, a proporre soluzioni. Quando una relazione attraversa una crisi così prolungata, ciò che pesa di più non è solo la mancanza di intimità, ma il sentirsi invisibili, non scelti, emotivamente soli pur vivendo sotto lo stesso tetto.

Il comportamento del suo partner può risultare profondamente destabilizzante. Non lasciarla, ma riattivarsi solo quando Lei è sul punto di allontanarsi, crea una dinamica che tiene viva la relazione sul piano della speranza, ma non su quello della reciprocità quotidiana. Questo non significa necessariamente che lui agisca con intenzione manipolativa; spesso chi è emotivamente bloccato o spento teme la perdita, ma non riesce ad abitare davvero il legame. Tuttavia, al di là delle sue motivazioni, è fondamentale guardare all’effetto che questa dinamica ha avuto su di Lei.

Il periodo “da coinquilini” sembra aver reso ancora più chiaro un dato: quando il contatto affettivo è demandato esclusivamente all’iniziativa dell’altro e questa iniziativa non arriva, ciò che resta è un vuoto che spegne. Il fatto che Lei si senta oggi esausta, svuotata e senza più slancio non è un fallimento personale, ma il segnale che ha dato tutto ciò che poteva dare. Una relazione può attraversare momenti di difficoltà, ma non può reggersi a lungo se uno dei due vive costantemente nell’attesa di essere desiderato, visto, cercato.

La sensazione di essere “perfetti sulla carta ma incompatibili nella realtà” coglie un punto centrale. A volte l’amore, l’affetto e la storia condivisa non bastano se i bisogni emotivi fondamentali restano sistematicamente insoddisfatti. Non sempre la fine di una relazione coincide con la mancanza di sentimento; talvolta coincide con l’impossibilità di incontrarsi davvero, nel tempo e nella vita quotidiana.

Chiedersi se “è finita” è naturale, ma forse la domanda più utile è un’altra: quanto ancora può restare in una relazione in cui per sentirsi amata deve arrivare allo stremo, e in cui la sua presenza diventa fonte di ansia anziché di scambio? Se oggi sente di essersi spenta, questo merita rispetto e ascolto, non ulteriori sacrifici.

Qualunque scelta farà, non cancella l’impegno, l’amore e la dedizione che ha messo in questi anni. A volte lasciare non significa smettere di voler bene, ma smettere di perdersi. Un supporto psicologico individuale può aiutarla ad attraversare questo passaggio con maggiore chiarezza e meno colpa, soprattutto ora che il dolore ha lasciato spazio a una stanchezza profonda.

Un caro saluto
Dott.ssa Sara Petroni
Dott.ssa Caterina Lo Bianco
Psicologo, Psicologo clinico
Palermo
Gentile utente,
grazie per aver condiviso con tanta sincerità ciò che sta vivendo. Quello che descrive è il racconto lucido di una relazione che ha progressivamente perso reciprocità, non per mancanza di amore iniziale, ma per un intreccio complesso di ritiro emotivo, incomprensioni e strategie difensive speculari.
Provo a restituirle una lettura clinica, mantenendo rispetto sia per lei sia per il partner.
1. Non è “finita perché non vi volevate bene”
È importante dirlo chiaramente: non emerge una mancanza di investimento affettivo originario, ma una frattura nel modo in cui il dolore è stato comunicato e accolto.
Il suo compagno, nel momento della crisi legata alle scelte di vita, sembra aver reagito con una modalità depressiva ritirata e silenziosa, mentre lei — non cogliendo fino in fondo la profondità di quel vissuto — ha cercato rassicurazioni, attivandosi sul piano relazionale.
Due strategie opposte di fronte alla sofferenza:
• lui → ritiro, anestesia affettiva, chiusura
• lei → ricerca, spiegazione, tentativo di contatto
Quando queste modalità si incontrano, si innesca una danza relazionale disfunzionale: più uno si ritira, più l’altro si attiva; più l’altro si attiva, più il primo si ritira.
2. Perché non la lascia, ma reagisce quando lei si allontana?
Questa è una domanda centrale e molto dolorosa.
Dal punto di vista clinico, non è incoerenza, ma ambivalenza:
• da un lato, il partner sembra incapace di sostenere la vicinanza emotiva, che gli genera ansia e senso di pressione;
• dall’altro, la perdita reale del legame attiva angoscia di abbandono, riaccendendo temporaneamente l’affettività.
Questo non significa manipolazione intenzionale, ma una regolazione emotiva fragile, tipica di chi non riesce né a stare dentro il legame né a separarsene davvero.
Il problema è che questa oscillazione mantiene l’altro in una sospensione dolorosa, fatta di speranza intermittente.
3. Il periodo “da coinquilini” e ciò che è emerso
La prescrizione terapeutica che descrive è clinicamente sensata: togliere la pressione relazionale per verificare se il desiderio e il movimento verso l’altro emergano spontaneamente.
Il fatto che non sia emerso alcun bisogno di contatto, mentre lei si è progressivamente spenta, è un dato importante.
Non è una sconfitta, ma una risposta relazionale chiara.
Quando una relazione arriva a questo punto, spesso non è più questione di “fare di più” o “fare meglio”, ma di riconoscere che:
• uno dei due non riesce (o non può) abitare il legame nella forma di cui l’altro ha bisogno.
4. È finita?
Clinicamente parlando, più che chiederci se “è finita”, la domanda utile è:
questa relazione, così com’è oggi, può ancora essere un luogo di vitalità per entrambi?
Da ciò che racconta, lei ha:
• investito,
• riflettuto su di sé,
• fatto un percorso personale,
• tentato la terapia di coppia,
• tollerato lunghi periodi di deprivazione affettiva.
Il rischio ora non è perdere la relazione, ma perdere se stessa continuando a restare in un legame dove l’altro è emotivamente non disponibile.
5. “Perfetti sulla carta” ma incompatibili nella realtà
Questa è una frase molto vera e molto matura.
La compatibilità non è data dai valori condivisi o dalla storia lunga, ma dalla capacità di regolarsi emotivamente insieme nei momenti di crisi.
A volte l’amore c’è, ma le strutture emotive non si incastrano più.
In conclusione
Non emerge un suo fallimento, né una mancanza di empatia “colpevole”.
Emerge piuttosto una relazione che, nel tempo, si è organizzata attorno alla sofferenza non elaborata di entrambi, fino a diventare un luogo di esaurimento emotivo.
Se questa fase segna una fine, può anche essere l’inizio di una posizione più sana:
scegliere di non restare dove si è invisibili, anche se l’amore c’è stato.
Questo non toglie valore a ciò che avete avuto.
Restituisce valore a ciò che lei è.
Rimango a disposizione per qualsiasi approfondimento.
Un caro saluto,
Dott.ssa Caterina Lo Bianco – Psicologa ad orientamento Sistemico-Relazionale

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