Gentili dottori, Vi scrivo, a cuore aperto, per parlarvi di una problematica che mi sta tormentando
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Gentili dottori,
Vi scrivo, a cuore aperto, per parlarvi di una problematica che mi sta tormentando nell'ultimo periodo.
Devo fare un breve excursus per rendere tutto più chiaro. Mi sono diplomata al liceo classico, col massimo dei voti. Ero una studentessa eccellente, stimata molto dai miei docenti e studiavo ogni singola disciplina con trasporto e passione. Mi muoveva la mia curiosità, la voglia di conoscere, che mi inducevano ad approfondire ogni materia e ciò mi portava ad avere risultati eccezionali. Il mio unico problema era che, chiaramente, giunta al momento di fare la mia scelta universitaria, ero molto confusa. Da una parte c'era la certezza del mio amore per le discipline umanistiche e la lettura, passioni che mi porto dietro da quando ero una bambina, dall'altra c'era la mia curiosità verso le materie scientifiche, verso la scienza e la medicina soprattutto, che vedevo come dei pacchi regalo chiusi e che non vedevo l'ora di aprire. Raramente ho pensato, durante il liceo, di intraprendere gli studi letterari. Anzi temevo che il liceo classico non mi formasse per intraprendere percorsi scientifici, ma in ogni caso cambiavo continuamente idea: qualche volta volevo fare l'editrice, molte più volte mi esaltava l'idea di fare la farmacista, il medico, l'astrofisica. Ero molto confusa, perché effettivamente mi piaceva un po' tutto.
Alla fine optai per il test di medicina, non lo supero e, decisa a ritentarlo l'anno successivo, mi iscrivo a farmacia, che mi piaceva, ma non mi entusiasmava più per gli sbocchi lavorativi (non volevo diventare una farmacista). Così studiai per due esami, che per altro mi appassionarono molto e poi ritentai, l'anno successivo, il test. Non lo superai ancora una volta. Piansi per giorni, mi sentivo una fallita e decisi di abbandonare le materie scientifiche per cullarmi nel senso di tranquillità che le discipline umanistiche mi davano. Così mi iscrissi a lettere. Ottenni 30 e 30L a tutti gli esami. Gli studi mi appassionavano molto, ma non smettevo di pensare a quello che la mia vita sarebbe stata se avessi studiato medicina. Mi sentivo bloccata in una gabbia, come se mi fosse stato limitato un sapere a cui volevo accedere con tutte le mie forze. Lettere mi piaceva moltissimo, ma spesso non dissetava totalmente la mia sete di conoscenze maggiori e diverse rispetto alla mia comfort zone. Così a luglio affiancai lo studio di letteratura italiana 1 a quello di materie scientifiche, decisa a ritentare un'ultima buona volta il test. Questa volta lo superai, ironia del destino. E una volta superato cominciai a chiedermi: okay e ora cosa faccio? È giusto lasciare lettere per medicina? E se non fossi brava? E se non mi piacesse?
Alla fine decisi di iscrivermi a medicina e una volta presa questa scelta caddi in un baratro di pentimento, ma col tempo mi risollevai, e trovai entusiasmanti i nuovi studi.
Il mio problema è che adesso sono al quarto anno di medicina, che quasi volge al termine e mi chiedo: se avessi sbagliato tutto? Non sono mica una cima a medicina, come lo ero a lettere. E se non volessi essere medico? Se volessi passare la mia vita semplicemente rintanata nei miei libri e non volessi avere tutte quelle responsabilità che ha il medico? Se sarò un medico mediocre, uno di quelli che tutti vogliono scansare? Se avessi proseguito gli studi letterari, in cui eccellevo, forse oggi starei per terminare i miei studi magistrali e per intraprendere il dottorato.
A volte credo che se tornassi indietro non cambierei mai il corso di studi. Anzi avrei scelto dall'inizio lettere. Ma mi rendo conto che nessuno mi ha costretto nelle scelte, che all'inizio io stessa non credevo minimamente di voler fare lettere e che quando la facevo, sì mi appassionava, ma mi faceva sentire in gabbia. Ora è medicina che mi fa sentire in gabbia, quindi mi chiedo: non è forse la mia paura del futuro, il fatto che io non sia più eccellente come un tempo che mi porta ad autosabotarmi?
A volte credo sia questo, altre volte sento di stare sviluppando un totale senso di disinteresse e distacco per quello che faccio. E mi chiedo: perché lo faccio? Penso di aver gettato all'aria, ripudiato, respinto la mia passione e i miei talenti.
Non è passato un anno in cui sia stata completamente certa della mia scelta di studiare medicina.
È vero che, sicuramente, necessito di andare in terapia, ma nel frattempo mi piacerebbe ascoltare voi.
Vi ringrazio e vi auguro una buona giornata.
Vi scrivo, a cuore aperto, per parlarvi di una problematica che mi sta tormentando nell'ultimo periodo.
Devo fare un breve excursus per rendere tutto più chiaro. Mi sono diplomata al liceo classico, col massimo dei voti. Ero una studentessa eccellente, stimata molto dai miei docenti e studiavo ogni singola disciplina con trasporto e passione. Mi muoveva la mia curiosità, la voglia di conoscere, che mi inducevano ad approfondire ogni materia e ciò mi portava ad avere risultati eccezionali. Il mio unico problema era che, chiaramente, giunta al momento di fare la mia scelta universitaria, ero molto confusa. Da una parte c'era la certezza del mio amore per le discipline umanistiche e la lettura, passioni che mi porto dietro da quando ero una bambina, dall'altra c'era la mia curiosità verso le materie scientifiche, verso la scienza e la medicina soprattutto, che vedevo come dei pacchi regalo chiusi e che non vedevo l'ora di aprire. Raramente ho pensato, durante il liceo, di intraprendere gli studi letterari. Anzi temevo che il liceo classico non mi formasse per intraprendere percorsi scientifici, ma in ogni caso cambiavo continuamente idea: qualche volta volevo fare l'editrice, molte più volte mi esaltava l'idea di fare la farmacista, il medico, l'astrofisica. Ero molto confusa, perché effettivamente mi piaceva un po' tutto.
Alla fine optai per il test di medicina, non lo supero e, decisa a ritentarlo l'anno successivo, mi iscrivo a farmacia, che mi piaceva, ma non mi entusiasmava più per gli sbocchi lavorativi (non volevo diventare una farmacista). Così studiai per due esami, che per altro mi appassionarono molto e poi ritentai, l'anno successivo, il test. Non lo superai ancora una volta. Piansi per giorni, mi sentivo una fallita e decisi di abbandonare le materie scientifiche per cullarmi nel senso di tranquillità che le discipline umanistiche mi davano. Così mi iscrissi a lettere. Ottenni 30 e 30L a tutti gli esami. Gli studi mi appassionavano molto, ma non smettevo di pensare a quello che la mia vita sarebbe stata se avessi studiato medicina. Mi sentivo bloccata in una gabbia, come se mi fosse stato limitato un sapere a cui volevo accedere con tutte le mie forze. Lettere mi piaceva moltissimo, ma spesso non dissetava totalmente la mia sete di conoscenze maggiori e diverse rispetto alla mia comfort zone. Così a luglio affiancai lo studio di letteratura italiana 1 a quello di materie scientifiche, decisa a ritentare un'ultima buona volta il test. Questa volta lo superai, ironia del destino. E una volta superato cominciai a chiedermi: okay e ora cosa faccio? È giusto lasciare lettere per medicina? E se non fossi brava? E se non mi piacesse?
Alla fine decisi di iscrivermi a medicina e una volta presa questa scelta caddi in un baratro di pentimento, ma col tempo mi risollevai, e trovai entusiasmanti i nuovi studi.
Il mio problema è che adesso sono al quarto anno di medicina, che quasi volge al termine e mi chiedo: se avessi sbagliato tutto? Non sono mica una cima a medicina, come lo ero a lettere. E se non volessi essere medico? Se volessi passare la mia vita semplicemente rintanata nei miei libri e non volessi avere tutte quelle responsabilità che ha il medico? Se sarò un medico mediocre, uno di quelli che tutti vogliono scansare? Se avessi proseguito gli studi letterari, in cui eccellevo, forse oggi starei per terminare i miei studi magistrali e per intraprendere il dottorato.
A volte credo che se tornassi indietro non cambierei mai il corso di studi. Anzi avrei scelto dall'inizio lettere. Ma mi rendo conto che nessuno mi ha costretto nelle scelte, che all'inizio io stessa non credevo minimamente di voler fare lettere e che quando la facevo, sì mi appassionava, ma mi faceva sentire in gabbia. Ora è medicina che mi fa sentire in gabbia, quindi mi chiedo: non è forse la mia paura del futuro, il fatto che io non sia più eccellente come un tempo che mi porta ad autosabotarmi?
A volte credo sia questo, altre volte sento di stare sviluppando un totale senso di disinteresse e distacco per quello che faccio. E mi chiedo: perché lo faccio? Penso di aver gettato all'aria, ripudiato, respinto la mia passione e i miei talenti.
Non è passato un anno in cui sia stata completamente certa della mia scelta di studiare medicina.
È vero che, sicuramente, necessito di andare in terapia, ma nel frattempo mi piacerebbe ascoltare voi.
Vi ringrazio e vi auguro una buona giornata.
Gentile utente,
innanzitutto, grazie per aver condiviso in modo così aperto e sincero il suo vissuto. Le sue parole raccontano una complessità interiore ricca, fatta di passioni, curiosità, aspettative, ma anche di dubbi e di un dialogo interiore molto profondo.
Ciò che emerge con forza dalla sua lettera è la ricerca costante di significato, la tensione tra il desiderio di realizzazione personale e le aspettative (proprie o interiorizzate) rispetto a cosa "dovrebbe essere" una scelta giusta. La sua mente brillante, capace di appassionarsi a molteplici ambiti del sapere, si è trovata a dover incanalare tutto questo in un’unica direzione: una scelta universitaria. Ed è comprensibile che questa semplificazione forzata abbia generato conflitto.
È importante sottolineare che il senso di insoddisfazione o dubbio rispetto alle proprie scelte, specie se importanti e impegnative come quella di studiare medicina, non significa necessariamente aver sbagliato strada. Spesso, dietro queste sensazioni, si celano aspettative molto alte verso sé stessi, timori di non essere “abbastanza”, o un confronto continuo con versioni ideali del proprio sé (quella studentessa eccellente di lettere, ad esempio).
Un aspetto centrale che lei stessa ha messo in luce è la possibilità che ci sia un meccanismo di autosabotaggio legato alla paura di non eccellere più, o di deludere quella parte di sé abituata al riconoscimento per l’eccellenza. Questo può condurre a vivere il presente con una lente deformata, rendendo tutto più difficile e faticoso, anche quando c'è effettivamente passione.
Inoltre, non va trascurata l’eventualità che la difficoltà sia legata non tanto alla disciplina in sé, ma al modo in cui la si vive, alle responsabilità future che questa comporta e all’identità personale che si fatica a riconoscere in un ruolo così impegnativo come quello medico. La domanda "e se non volessi essere medico?" non è banale, ed è giusto prendersi il tempo per ascoltarla senza giudizio.
La sua lettera è intrisa di consapevolezza, lucidità e sensibilità. E proprio per questo ritengo che un percorso psicologico possa esserle non solo utile, ma prezioso, per comprendere più a fondo la natura di questo conflitto, ritrovare una direzione che sia realmente sua, e imparare a fare pace con le sue molteplici parti, senza dover per forza scegliere una “sola strada giusta”.
Rivolgersi ad uno specialista in questo momento non è un segno di debolezza, ma un atto di profonda cura verso sé stessi.
Un caro saluto,
Dottoressa Silvia Parisi – Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
innanzitutto, grazie per aver condiviso in modo così aperto e sincero il suo vissuto. Le sue parole raccontano una complessità interiore ricca, fatta di passioni, curiosità, aspettative, ma anche di dubbi e di un dialogo interiore molto profondo.
Ciò che emerge con forza dalla sua lettera è la ricerca costante di significato, la tensione tra il desiderio di realizzazione personale e le aspettative (proprie o interiorizzate) rispetto a cosa "dovrebbe essere" una scelta giusta. La sua mente brillante, capace di appassionarsi a molteplici ambiti del sapere, si è trovata a dover incanalare tutto questo in un’unica direzione: una scelta universitaria. Ed è comprensibile che questa semplificazione forzata abbia generato conflitto.
È importante sottolineare che il senso di insoddisfazione o dubbio rispetto alle proprie scelte, specie se importanti e impegnative come quella di studiare medicina, non significa necessariamente aver sbagliato strada. Spesso, dietro queste sensazioni, si celano aspettative molto alte verso sé stessi, timori di non essere “abbastanza”, o un confronto continuo con versioni ideali del proprio sé (quella studentessa eccellente di lettere, ad esempio).
Un aspetto centrale che lei stessa ha messo in luce è la possibilità che ci sia un meccanismo di autosabotaggio legato alla paura di non eccellere più, o di deludere quella parte di sé abituata al riconoscimento per l’eccellenza. Questo può condurre a vivere il presente con una lente deformata, rendendo tutto più difficile e faticoso, anche quando c'è effettivamente passione.
Inoltre, non va trascurata l’eventualità che la difficoltà sia legata non tanto alla disciplina in sé, ma al modo in cui la si vive, alle responsabilità future che questa comporta e all’identità personale che si fatica a riconoscere in un ruolo così impegnativo come quello medico. La domanda "e se non volessi essere medico?" non è banale, ed è giusto prendersi il tempo per ascoltarla senza giudizio.
La sua lettera è intrisa di consapevolezza, lucidità e sensibilità. E proprio per questo ritengo che un percorso psicologico possa esserle non solo utile, ma prezioso, per comprendere più a fondo la natura di questo conflitto, ritrovare una direzione che sia realmente sua, e imparare a fare pace con le sue molteplici parti, senza dover per forza scegliere una “sola strada giusta”.
Rivolgersi ad uno specialista in questo momento non è un segno di debolezza, ma un atto di profonda cura verso sé stessi.
Un caro saluto,
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Gentilissima, il cambiamento sovente spaventa così tanto che la mente può mettere in discussione ciò che dentro di noi è sempre stata una certezza, come la sua vocazione che l'ha spinta per ben tre volte a tentare l'ammissione a medicina. Se la vibrazione interna non fosse stata alta, sarebbe rimasta nella sua comfort zone. La credenza per cui i talenti siano qualcosa in cui si riesce eccellendo con naturalezza, è falsa occorre impegno a volte per aiutarli a venir fuori. Nel leggerla mi risuona la paura, un'emozione primaria che viene a dirci "cose" che non riusciamo a vedere. Coraggio!
D.ssa Caterina Puglisi
D.ssa Caterina Puglisi
Le sue parole mostrano una sensibilità e una profondità rare. Non credo lei abbia sbagliato strada, ma che stia vivendo un momento in cui alcune parti di sé chiedono ascolto. A volte non serve scegliere “cosa fare”, ma comprendere chi siamo nel nostro conflitto.
Un percorso di terapia potrebbe aiutarla a fare chiarezza, ad accogliere con più gentilezza le sue ambivalenze e a ritrovare uno spazio di libertà interiore. Se lo desidera, possiamo lavorarci insieme.
Un percorso di terapia potrebbe aiutarla a fare chiarezza, ad accogliere con più gentilezza le sue ambivalenze e a ritrovare uno spazio di libertà interiore. Se lo desidera, possiamo lavorarci insieme.
Le sue parole dimostrano un approccio vitale e curioso, ma anche tanta stanchezza nel tentativo di dover scegliere “una sola strada”, come se ogni decisione dovesse escludere per sempre tutte le altre possibilità. Quello che lei descrive non è soltanto un dilemma professionale, ma una tensione più profonda tra aspetti diversi del suo Sé: una parte più razionale, desiderosa di concretezza e riconoscimento sociale, e un’altra più contemplativa, legata al piacere dello studio e alla bellezza del pensiero. Non è raro che questi due poli entrino in conflitto: ciascuno porta con sé desideri autentici, ma anche paure e idealizzazioni. Sembra che questo interrogativo rispetto alla strada da intraprendere porti con sé un dilemma strutturale: sentirsi davvero sé stessa, senza dover “funzionare” o corrispondere a un ideale esterno. La terapia, come lei stessa ha intuito, può aiutarla non a scegliere al posto suo, ma a fare pace con il fatto che nessuna scelta ci salva completamente. Quello che conta, alla fine, non è trovare la “strada giusta”, ma riuscire ad abitare con autenticità la strada che si è scelta, magari anche cambiandola, ma da un luogo più consapevole e non più colpevole. Le auguro di cuore che possa accogliere la sua inquietudine non come un fallimento, ma come un segno di profondità.
Un saluto
Un saluto
gentile paziente, leggere delle sue tante passioni è molto bello. Essere però delle persone curiose, colte e forse anche molto sensibili non è mai facile ... la invito ad ascoltare di più le sue inclinazioni e ad aprire il suo cuore magari cercando anche di confrontarsi con coetanei. Chiaramente un percorso psicoterapeutico potrebbe aiutare a renderla consapevole di alcuni aspetti magari fino ad ora taciti ed inconsci. Attraverso un percorso psicoterapeutico, può migliorare il benessere mentale e promuovere cambiamenti positivinella sua vita. In bocca al lupo... forza!
Gent.ma utente buonasera.
Mi consenta la battuta di spirito: "finalmente avremo un medico che sa scrivere!".
Non voglio sminuire il suo messaggio, tutt'altro. Ma vorrei che anche lei lo sappia rileggere con maggiore distacco e oggettività. In quello che ci ha raccontato, ci sono moltissimi meriti, molto talento e curiosità di apprendere, molte potenzialità e poi... ci sono molte parole, troppe parole nella sua testa!
La sua testa vuole cambiare continuamente il passato e anticipare qualsiasi cosa le possa capitare nel futuro. Vuole avere le risposte, ma ha paura che le domande siano quelle sbagliate. Vorrebbe che tutto fosse ovvio e simile a una strada spianata.
Ma sono solo parole. Flussi di pensiero che occupano troppo tempo e troppo spazio nella sua mente, impedendole di godersi l'unica vera realtà che può osservare, gestire e apprezzare, il momento presente. L'unica realtà in cui le sue decisioni possono prendere forma dai bisogni e dall'intuizione e, per questo, sono possono sempre essere decisioni giuste.
Lei ha bisogno di sganciarsi da questa frastornante attività della sua mente e cominciare a vivere una vita piena nel qui e ora. Comprendo che le sembri una missione complicata, magari impossibile, eppure si può imparare a placare l'overthinking e rifocalizzare l'attenzione su ciò che conta davvero, sulla realtà che la circonda, sui suoi prossimi obiettivi, sulle sue passioni, sui suoi amici o familiari.
Un percorso psicologico basato su consapevolezza e gestione dei pensieri potrebbe essere quello per lei più efficace. Se lo desidera possa darle maggiori informazioni su questo tipo di intervento, anche tramite consulenza online. Resto a disposizione per domande o consigli.
Le auguro il meglio, Dott. Antonio Cortese
Mi consenta la battuta di spirito: "finalmente avremo un medico che sa scrivere!".
Non voglio sminuire il suo messaggio, tutt'altro. Ma vorrei che anche lei lo sappia rileggere con maggiore distacco e oggettività. In quello che ci ha raccontato, ci sono moltissimi meriti, molto talento e curiosità di apprendere, molte potenzialità e poi... ci sono molte parole, troppe parole nella sua testa!
La sua testa vuole cambiare continuamente il passato e anticipare qualsiasi cosa le possa capitare nel futuro. Vuole avere le risposte, ma ha paura che le domande siano quelle sbagliate. Vorrebbe che tutto fosse ovvio e simile a una strada spianata.
Ma sono solo parole. Flussi di pensiero che occupano troppo tempo e troppo spazio nella sua mente, impedendole di godersi l'unica vera realtà che può osservare, gestire e apprezzare, il momento presente. L'unica realtà in cui le sue decisioni possono prendere forma dai bisogni e dall'intuizione e, per questo, sono possono sempre essere decisioni giuste.
Lei ha bisogno di sganciarsi da questa frastornante attività della sua mente e cominciare a vivere una vita piena nel qui e ora. Comprendo che le sembri una missione complicata, magari impossibile, eppure si può imparare a placare l'overthinking e rifocalizzare l'attenzione su ciò che conta davvero, sulla realtà che la circonda, sui suoi prossimi obiettivi, sulle sue passioni, sui suoi amici o familiari.
Un percorso psicologico basato su consapevolezza e gestione dei pensieri potrebbe essere quello per lei più efficace. Se lo desidera possa darle maggiori informazioni su questo tipo di intervento, anche tramite consulenza online. Resto a disposizione per domande o consigli.
Le auguro il meglio, Dott. Antonio Cortese
Gentilissima, grazie per aver condiviso con tanta sincerità e profondità il tuo vissuto. Dalle tue parole emerge una grande sensibilità e un forte desiderio di dare senso alle tue scelte. Le domande che ti poni sul percorso intrapreso, sul futuro, sul timore di non sentirti “all’altezza”, sono assolutamente umane e comuni in momenti di passaggio importanti come quello che stai vivendo.
Il tuo percorso non parla di errori, ma di una ricerca autentica: stai cercando di capire cosa ti rappresenta davvero, e questo richiede tempo e coraggio. La sensazione di “gabbia” che descrivi potrebbe essere legata alla paura dell’incertezza e al confronto con aspettative molto alte che hai verso te stessa.
Hai già fatto un passo importante riconoscendo quanto potrebbe esserti utile un percorso di supporto psicologico: uno spazio dove esplorare queste domande con serenità, senza giudizio. Ti auguro di cuore di trovare la chiarezza e la serenità che meriti.
Il tuo percorso non parla di errori, ma di una ricerca autentica: stai cercando di capire cosa ti rappresenta davvero, e questo richiede tempo e coraggio. La sensazione di “gabbia” che descrivi potrebbe essere legata alla paura dell’incertezza e al confronto con aspettative molto alte che hai verso te stessa.
Hai già fatto un passo importante riconoscendo quanto potrebbe esserti utile un percorso di supporto psicologico: uno spazio dove esplorare queste domande con serenità, senza giudizio. Ti auguro di cuore di trovare la chiarezza e la serenità che meriti.
Buonasera, colgo preoccupazione e paura del futuro ma anche di se stessa e nell'incertezza di non essere all'altezza di un possibile ruolo nel settore professionale che andrà a scegliere o che, per l'appunto non riesce a capire come scegliere. Credo che alla base possa esserci la sua insicurezza o una debole autostima e di cui, se vuole, possiamo parlarne.
Buongiorno,
la sua storia è quella di una mente vivace, curiosa, capace di muoversi tra mondi diversi e di porsi domande profonde. Non è sbagliato aver cercato strade nuove: ogni passaggio che ha vissuto non è stato un errore, ma un tentativo sincero di seguire ciò che la appassionava, anche se a tratti contraddittorio.
Oggi sente di avere perso qualcosa di sé, forse la sensazione di eccellere, di riconoscersi pienamente in ciò che fa. Ma la crisi che sta attraversando può diventare uno spazio importante per ritrovare un senso: non tanto scegliendo tra lettere o medicina, quanto ascoltando più a fondo chi è oggi, cosa le fa bene, dove si sente viva.
Se vuole, possiamo lavorare su questa confusione insieme, dare voce alle sue parti in conflitto, comprendere se c’è spazio per integrare, senza giudizio, tutte le sue sfaccettature. A volte non si tratta di scegliere una sola strada, ma di costruirne una propria. E lei ha tutti gli strumenti per farlo.
la sua storia è quella di una mente vivace, curiosa, capace di muoversi tra mondi diversi e di porsi domande profonde. Non è sbagliato aver cercato strade nuove: ogni passaggio che ha vissuto non è stato un errore, ma un tentativo sincero di seguire ciò che la appassionava, anche se a tratti contraddittorio.
Oggi sente di avere perso qualcosa di sé, forse la sensazione di eccellere, di riconoscersi pienamente in ciò che fa. Ma la crisi che sta attraversando può diventare uno spazio importante per ritrovare un senso: non tanto scegliendo tra lettere o medicina, quanto ascoltando più a fondo chi è oggi, cosa le fa bene, dove si sente viva.
Se vuole, possiamo lavorare su questa confusione insieme, dare voce alle sue parti in conflitto, comprendere se c’è spazio per integrare, senza giudizio, tutte le sue sfaccettature. A volte non si tratta di scegliere una sola strada, ma di costruirne una propria. E lei ha tutti gli strumenti per farlo.
Buongiorno gentile Utente, intanto la ringrazio per la fiducia e la profondità con cui ha voluto condividere il suo vissuto. Le sue parole parlano di un’anima lucida, sensibile e molto appassionata, e di un conflitto interiore che non è affatto banale, né superficiale. Quello che racconta non è solo un “dubbio universitario” o una crisi di percorso, ma qualcosa che tocca il nucleo più profondo della sua identità: chi sono? Cosa voglio davvero fare della mia vita? Cosa mi definisce, oggi?
Questa domanda, che la abita da anni e che ha cambiato forma più volte, ha a che fare con due dimensioni fondamentali dell’esistenza: la ricerca del senso e il riconoscimento del proprio valore. Lei ha una mente eclettica, appassionata del sapere in molteplici forme, capace di passare con naturalezza dalla letteratura alla scienza, dalla filosofia alla biologia. Questo è un dono prezioso, ma spesso chi ha una mente così aperta rischia di percepirsi come instabile, “confusa”, quando in realtà è semplicemente troppo profonda per accontentarsi di una sola etichetta.
Il suo dubbio non nasce da un fallimento, ma da una straordinaria capacità di interrogarsi e da un livello di consapevolezza che poche persone possiedono alla sua età. Il fatto che oggi non si senta più “eccellente” come un tempo, e che viva questa discrepanza tra il rendimento straordinario in lettere e quello che lei percepisce come più modesto in medicina, potrebbe raccontare una cosa molto più umana e concreta: lei non è cambiata in peggio, si sta solo confrontando con un terreno nuovo, diverso, più difficile da dominare sul piano tecnico ma non per questo meno nobile o meno significativo.
Essere “una cima” non significa necessariamente sentirsi nel posto giusto. E sentirsi nel posto giusto non implica sempre avere il massimo dei voti. Forse la questione non è nemmeno cosa ha scelto, ma perché e per chi lo ha fatto. È possibile che oggi viva una forma di lutto non elaborato verso quella parte di sé che brillava e si sentiva “vista”, riconosciuta, potente nelle sue capacità. Ma medicina non le ha tolto questo potere. Forse le ha chiesto di declinarlo in un modo diverso, più lento, più faticoso, meno immediatamente gratificante. E forse, oggi, una parte di lei è stanca di questo sforzo e cerca un rifugio nella nostalgia di una versione di sé più leggera, più fluida.
Vorrei dirle che la fatica, il dubbio, e persino il disinteresse momentaneo non sono segni di una scelta sbagliata. Sono spesso, invece, segnali di una crisi evolutiva, una di quelle soglie importanti della vita in cui siamo chiamati a rinegoziare le motivazioni che ci muovono, a integrare le parti di noi che sembrano essere in opposizione. Lei non è solo “una che ama leggere” o “una che vuole curare”. Lei è entrambe le cose. Forse oggi il suo malessere viene proprio da questa polarizzazione: da un lato l’intellettuale brillante, dall’altro la futura dottoressa che si sente “mediocre”. Ma la verità è che lei ha risorse per essere molto di più di una dicotomia.
Ha perfettamente ragione: uno spazio terapeutico potrebbe aiutarla a sciogliere questi nodi in modo più profondo. Intanto, le suggerirei di dare voce anche a quella parte di sé che sa perché è arrivata fin qui. Non per puro calcolo o ripiego, ma perché dentro di lei vive ancora quella bambina che voleva aprire pacchi regalo pieni di conoscenza, che voleva sapere, capire, toccare la realtà anche attraverso il corpo, la materia, la sofferenza e la cura.
Non c’è nulla di sbagliato nel desiderare una vita in cui ci si senta più leggeri. Ma non c’è nemmeno nulla di anomalo nel desiderare profondamente e insieme più di una cosa. La chiave forse non sta nello scegliere una metà e rinunciare all’altra, ma nel cercare modi nuovi per integrare la sua natura complessa, curiosa, profonda, che merita tutta la libertà di essere ciò che è.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Questa domanda, che la abita da anni e che ha cambiato forma più volte, ha a che fare con due dimensioni fondamentali dell’esistenza: la ricerca del senso e il riconoscimento del proprio valore. Lei ha una mente eclettica, appassionata del sapere in molteplici forme, capace di passare con naturalezza dalla letteratura alla scienza, dalla filosofia alla biologia. Questo è un dono prezioso, ma spesso chi ha una mente così aperta rischia di percepirsi come instabile, “confusa”, quando in realtà è semplicemente troppo profonda per accontentarsi di una sola etichetta.
Il suo dubbio non nasce da un fallimento, ma da una straordinaria capacità di interrogarsi e da un livello di consapevolezza che poche persone possiedono alla sua età. Il fatto che oggi non si senta più “eccellente” come un tempo, e che viva questa discrepanza tra il rendimento straordinario in lettere e quello che lei percepisce come più modesto in medicina, potrebbe raccontare una cosa molto più umana e concreta: lei non è cambiata in peggio, si sta solo confrontando con un terreno nuovo, diverso, più difficile da dominare sul piano tecnico ma non per questo meno nobile o meno significativo.
Essere “una cima” non significa necessariamente sentirsi nel posto giusto. E sentirsi nel posto giusto non implica sempre avere il massimo dei voti. Forse la questione non è nemmeno cosa ha scelto, ma perché e per chi lo ha fatto. È possibile che oggi viva una forma di lutto non elaborato verso quella parte di sé che brillava e si sentiva “vista”, riconosciuta, potente nelle sue capacità. Ma medicina non le ha tolto questo potere. Forse le ha chiesto di declinarlo in un modo diverso, più lento, più faticoso, meno immediatamente gratificante. E forse, oggi, una parte di lei è stanca di questo sforzo e cerca un rifugio nella nostalgia di una versione di sé più leggera, più fluida.
Vorrei dirle che la fatica, il dubbio, e persino il disinteresse momentaneo non sono segni di una scelta sbagliata. Sono spesso, invece, segnali di una crisi evolutiva, una di quelle soglie importanti della vita in cui siamo chiamati a rinegoziare le motivazioni che ci muovono, a integrare le parti di noi che sembrano essere in opposizione. Lei non è solo “una che ama leggere” o “una che vuole curare”. Lei è entrambe le cose. Forse oggi il suo malessere viene proprio da questa polarizzazione: da un lato l’intellettuale brillante, dall’altro la futura dottoressa che si sente “mediocre”. Ma la verità è che lei ha risorse per essere molto di più di una dicotomia.
Ha perfettamente ragione: uno spazio terapeutico potrebbe aiutarla a sciogliere questi nodi in modo più profondo. Intanto, le suggerirei di dare voce anche a quella parte di sé che sa perché è arrivata fin qui. Non per puro calcolo o ripiego, ma perché dentro di lei vive ancora quella bambina che voleva aprire pacchi regalo pieni di conoscenza, che voleva sapere, capire, toccare la realtà anche attraverso il corpo, la materia, la sofferenza e la cura.
Non c’è nulla di sbagliato nel desiderare una vita in cui ci si senta più leggeri. Ma non c’è nemmeno nulla di anomalo nel desiderare profondamente e insieme più di una cosa. La chiave forse non sta nello scegliere una metà e rinunciare all’altra, ma nel cercare modi nuovi per integrare la sua natura complessa, curiosa, profonda, che merita tutta la libertà di essere ciò che è.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Carissima, lei ha accettato una sfida con se stessa intraprendendo gli studi di medicina, e probabilmente se non avesse tentato più volte senza raggiungere lo scopo sarebbe ora a chiedersi come sarebbe andata...
Prendere una decisione è difficile, a volte. Occorre però bandire il RIMPIANTO, altrimenti si entra in una spirale negativa di rimuginio rivolto al passato che può diventare bloccante a livello energetico.
A suo tempo prese una decisione sicuramente ponderando tutte le variabili, e ora non deve rimetterla in discussione. Forse lei essendo brillante nello studio, ha messo meno a fuoco i suoi reali desideri, mettendo in primo piano la sfida. Si dia tempo e le risposte che cerca con impazienza verranno a galla in modo naturale.
Resto a disposizione e le invio I saluti più cordiali. Dr.ssa Daniela Benvenuti
Prendere una decisione è difficile, a volte. Occorre però bandire il RIMPIANTO, altrimenti si entra in una spirale negativa di rimuginio rivolto al passato che può diventare bloccante a livello energetico.
A suo tempo prese una decisione sicuramente ponderando tutte le variabili, e ora non deve rimetterla in discussione. Forse lei essendo brillante nello studio, ha messo meno a fuoco i suoi reali desideri, mettendo in primo piano la sfida. Si dia tempo e le risposte che cerca con impazienza verranno a galla in modo naturale.
Resto a disposizione e le invio I saluti più cordiali. Dr.ssa Daniela Benvenuti
Buongiorno,
grazie per la profondità e la lucidità con cui ha raccontato la sua storia. Le sue parole riflettono una grande intelligenza, sensibilità e un’intensa voglia di vivere una vita autentica, guidata dalla passione e dal significato.
Quello che descrive – il continuo alternarsi di entusiasmo e insoddisfazione, la nostalgia per ciò che avrebbe potuto essere, il senso di inadeguatezza nonostante i risultati – non è segno di indecisione o fragilità, ma spesso è l’espressione di una mente molto curiosa e multidimensionale, che fa fatica a incasellarsi in un’unica strada.
Il passaggio da un contesto in cui si sentiva “eccellente” (le lettere) a uno in cui, pur avendo superato un test competitivo e affrontato studi difficili, non si sente “all’altezza” (medicina), sembra aver acceso un dialogo interiore molto critico, che le toglie fiducia e serenità.
Ma mi permetta una riflessione: essere eccellenti non significa solo brillare nei voti, ma anche riuscire a portare avanti, con costanza e consapevolezza, un percorso che richiede impegno, adattamento e capacità di affrontare l’incertezza. In questo senso, lei sta facendo qualcosa di straordinario.
È comprensibile che medicina oggi la faccia sentire “in gabbia”: è un percorso lungo, faticoso, pieno di aspettative (proprie e altrui). Ma forse, più che una “scelta sbagliata”, ciò che le pesa è l’idea che non ci sia più spazio per le sue altre parti: quella amante della lettura, della riflessione, dell’approfondimento umanistico.
Forse non è medicina in sé a soffocarla, ma il fatto che nel tempo ha dovuto sacrificare una parte molto viva e vitale di sé per portare avanti questo cammino. Ritrovare un equilibrio, e magari un modo per integrare le sue passioni nel futuro professionale (esistono ambiti della medicina umanistica, comunicazione medico-paziente, ricerca, scrittura divulgativa…), potrebbe restituirle un senso di completezza.
La sua capacità di porsi domande così profonde è un valore, non una debolezza.
Sì, un percorso terapeutico potrebbe aiutarla moltissimo a rimettere insieme tutti questi pezzi senza doverli sentire in contrasto. Ma nel frattempo, le suggerisco di non vivere le sue scelte come condanne: ogni scelta può essere riformulata, anche dopo anni, in una direzione nuova e più autentica.
Non ha fallito. Sta cercando la sua strada, e lo sta facendo con coraggio.
Un caro saluto.
grazie per la profondità e la lucidità con cui ha raccontato la sua storia. Le sue parole riflettono una grande intelligenza, sensibilità e un’intensa voglia di vivere una vita autentica, guidata dalla passione e dal significato.
Quello che descrive – il continuo alternarsi di entusiasmo e insoddisfazione, la nostalgia per ciò che avrebbe potuto essere, il senso di inadeguatezza nonostante i risultati – non è segno di indecisione o fragilità, ma spesso è l’espressione di una mente molto curiosa e multidimensionale, che fa fatica a incasellarsi in un’unica strada.
Il passaggio da un contesto in cui si sentiva “eccellente” (le lettere) a uno in cui, pur avendo superato un test competitivo e affrontato studi difficili, non si sente “all’altezza” (medicina), sembra aver acceso un dialogo interiore molto critico, che le toglie fiducia e serenità.
Ma mi permetta una riflessione: essere eccellenti non significa solo brillare nei voti, ma anche riuscire a portare avanti, con costanza e consapevolezza, un percorso che richiede impegno, adattamento e capacità di affrontare l’incertezza. In questo senso, lei sta facendo qualcosa di straordinario.
È comprensibile che medicina oggi la faccia sentire “in gabbia”: è un percorso lungo, faticoso, pieno di aspettative (proprie e altrui). Ma forse, più che una “scelta sbagliata”, ciò che le pesa è l’idea che non ci sia più spazio per le sue altre parti: quella amante della lettura, della riflessione, dell’approfondimento umanistico.
Forse non è medicina in sé a soffocarla, ma il fatto che nel tempo ha dovuto sacrificare una parte molto viva e vitale di sé per portare avanti questo cammino. Ritrovare un equilibrio, e magari un modo per integrare le sue passioni nel futuro professionale (esistono ambiti della medicina umanistica, comunicazione medico-paziente, ricerca, scrittura divulgativa…), potrebbe restituirle un senso di completezza.
La sua capacità di porsi domande così profonde è un valore, non una debolezza.
Sì, un percorso terapeutico potrebbe aiutarla moltissimo a rimettere insieme tutti questi pezzi senza doverli sentire in contrasto. Ma nel frattempo, le suggerisco di non vivere le sue scelte come condanne: ogni scelta può essere riformulata, anche dopo anni, in una direzione nuova e più autentica.
Non ha fallito. Sta cercando la sua strada, e lo sta facendo con coraggio.
Un caro saluto.
Grazie per aver condiviso con tanta autenticità il tuo percorso. È evidente quanto tu abbia investito cuore, intelligenza e passione in ogni scelta fatta, anche quando ti sei sentita incerta o in difficoltà. Quello che descrivi non è solo un dubbio su quale strada percorrere, ma un conflitto più profondo tra ciò che senti essere parte di te — la curiosità, l’amore per la conoscenza, la voglia di dare un senso a ciò che fai — e la paura di perdere tutto questo nel momento in cui la realtà quotidiana sembra non rifletterlo più.
Ti stai facendo domande complesse e importanti, che toccano l’identità, il valore personale e la paura di non essere “abbastanza”. L’insicurezza che provi ora, il rimpianto verso il passato e i pensieri ricorrenti di “e se avessi scelto diversamente”, sono segnali che qualcosa dentro di te sta cercando di essere ascoltato con più attenzione.
La verità è che non esiste una scelta perfetta, così come non esiste una versione di te che debba sempre brillare per sentirsi valida. E il fatto che tu stia mettendo in discussione tutto questo, con tanta lucidità e profondità, non parla di fallimento, ma di consapevolezza in crescita.
Entrare in terapia ti aiuterebbe a dare un senso più chiaro a questo vissuto, a riconoscere i pensieri che forse ti stanno intrappolando e a distinguere ciò che è davvero tuo da ciò che nasce da aspettative esterne o paure interne. Non si tratta di trovare subito una risposta definitiva, ma di costruire uno spazio sicuro in cui esplorarti senza giudizio, con rispetto e gentilezza. È un percorso che meriti.
Ti stai facendo domande complesse e importanti, che toccano l’identità, il valore personale e la paura di non essere “abbastanza”. L’insicurezza che provi ora, il rimpianto verso il passato e i pensieri ricorrenti di “e se avessi scelto diversamente”, sono segnali che qualcosa dentro di te sta cercando di essere ascoltato con più attenzione.
La verità è che non esiste una scelta perfetta, così come non esiste una versione di te che debba sempre brillare per sentirsi valida. E il fatto che tu stia mettendo in discussione tutto questo, con tanta lucidità e profondità, non parla di fallimento, ma di consapevolezza in crescita.
Entrare in terapia ti aiuterebbe a dare un senso più chiaro a questo vissuto, a riconoscere i pensieri che forse ti stanno intrappolando e a distinguere ciò che è davvero tuo da ciò che nasce da aspettative esterne o paure interne. Non si tratta di trovare subito una risposta definitiva, ma di costruire uno spazio sicuro in cui esplorarti senza giudizio, con rispetto e gentilezza. È un percorso che meriti.
Buonasera, gli spunti su cui mi viene da farla riflettere sono: far emergere tutte le sue risorse che dal suo racconto emergono e che lei stenta a vedere come sue risorse intrinseche che la guidano nel suo futuro. Il suo essere brillante, in ogni materia intrapresa e studiata con passione è un elemento irrilevante nella sua crescita, da quello che trapelano nelle sue parole . Ora le faccio un parallelo con il suo bimbo interiore, lei sta andando nel mondo facendo i primi passi con l'ingenuità che è la sua risorsa più grande, Grazie alla quale potrà osservare tutto senza paure ma solo con l'entusiasmo di apprendere e scoprire quello che la circonda. Poi in parallelo, c'è la sua parte razionale, ovvero l'adulta a cui deve rendere conto oggi, con i suoi desideri e aspettative che la fanno stare in bilico su un filo che non le permettono di essere libera e che la fanno sentire sempre fuori posto e non al posto giusto, come se la sua "fame di conoscenza" si possa ridurre a coltivare una sola strada per volta quando lei vuole fare tutto per non perdersi nulla. Questa sua "fame di vita" è la sua linfa vitale, la ascolti senza giudicarla. Le rigiro quindi la riflessione: "quanto si sente in grado di affrontare la vita così come si presenta ogni giorno, senza star troppo a giudicare e rimuginare sui se e i ma"?. Finisca i suoi studi scientifici e poi potrà riprendere gli studi letterari così completerà i suoi interessi e passioni, non abbia paura della vita. Come vede c'è sempre una possibilità, sta a lei vederla e solo una volta intrapresa potrà capire se la soddisfa a pieno, se così non fosse può sempre tornare sui suoi passi.
SPero di esserle stata di aiuto
Saluti
SPero di esserle stata di aiuto
Saluti
Buonasera, il suo racconto mi evoca l'importanza della sensazione del limite. La sensazione è il voler approfondire tutto ma , in realtà, poi dobbiamo fare delle scelte e facendo delle scelte dobbiamo sempre rinunciare a qualcosa. La scelta di medicina mi sembra un po' una sfida per come è nata. Lei può, forse, veramente provare a mettersi alla prova come medico per vedere se proprio non è per lei. Ha tutto il tempo di riprendere lettere se proprio non funziona e comunque gli interessi letterari si possono coltivare anche facendo il medico. Mario Tobino è stato un grande scrittore ed era uno psichiatra valente. La sfida mi sembra la perfezione, il limite e il lasciar andare. comunque un percorso la potrebbe aiutare a chiarire e conoscersi meglio nelle sue dinamiche. se vuole a disposizione.
Salve, davvero ti ringrazio per aver condiviso la tua storia in modo così chiaro e profondo, trovo sia un racconto molto autentico in cui traspare fortemente il tuo vissuto emotivo e i tuoi dubbi.
Vorrei partire da un punto molto concreto: ogni scelta comporta inevitabilmente una perdita. Quando scegliamo una strada, stiamo automaticamente rinunciando a un’altra. È una legge della realtà che accomuna tutti noi. Perciò il dolore e il senso di disorientamento che senti oggi non è solo insoddisfazione per la situazione attuale, ma anche la consapevolezza di ciò a cui hai rinunciato per arrivarci. È umano.
D’altra parte, dalla tua stessa narrazione emerge che nemmeno lettere ti dava una piena soddisfazione: parlavi di una "gabbia", di un sapere che sentivi limitato, come se ci fosse altro che volevi raggiungere e comprendere. Hai scelto di metterti alla prova con qualcosa che sembrava “non tuo”, forse anche per dimostrare a te stessa di potercela fare anche lì, e ci sei riuscita. Sei arrivata al quarto anno di medicina. Nonostante i dubbi, le fatiche, le paure, sei andata avanti: attenzione, questo non è un dettaglio, è un fatto importante di cui tener conto.
Questi pensieri ricorrenti sul “forse ho sbagliato tutto” sembrano riemergere ora che stai per concludere il ciclo di studi, quasi come se stessi anticipando un possibile fallimento, proprio nel momento in cui ti prepari ad affrontare un nuovo passaggio: uscire dall'università, entrare nella realtà lavorativa, confrontarti con un’identità professionale. In termini psicologici, è un meccanismo di autosabotaggio: se comincio a dubitare di tutto prima ancora di provare, forse evito la delusione.
Ma il modo più efficace per affrontare questa paura non è evitarla, ma guardare con lucidità alla realtà: la tua storia parla di successi, di scelte fatte con coraggio, di capacità di affrontare sfide, di tenacia, di resilienza, di coraggio.
Se ad oggi ti guardi indietro vedrai che hai costellato una serie di traguardi, uno dopo l'altro. Quindi più interrogarti su: "E se IN FUTURO non sarò capace, non sarò un bravo medico, ecc." quello a cui puoi guardare oggi è: "Fino ad ora sono arrivata qui, ma come ci sono arrivata?” E la risposta è: con determinazione, con passione, e affrontando ogni cambiamento con forza.
Se senti che questi pensieri stanno diventando troppo invadenti e se ti ritrovi spesso in un senso di insoddisfazione costante, potremmo iniziare un percorso insieme, per rimettere ordine tra i tuoi pensieri, distinguendo ciò che senti davvero da ciò che temi e comprendere i meccanismi che ti portano all’autocritica e al dubbio costante, e rafforzare la tua self-efficacy.
Se vuoi, resto a disposizione per ulteriori approfondimenti.
Dott.ssa Marika Fiengo.
Vorrei partire da un punto molto concreto: ogni scelta comporta inevitabilmente una perdita. Quando scegliamo una strada, stiamo automaticamente rinunciando a un’altra. È una legge della realtà che accomuna tutti noi. Perciò il dolore e il senso di disorientamento che senti oggi non è solo insoddisfazione per la situazione attuale, ma anche la consapevolezza di ciò a cui hai rinunciato per arrivarci. È umano.
D’altra parte, dalla tua stessa narrazione emerge che nemmeno lettere ti dava una piena soddisfazione: parlavi di una "gabbia", di un sapere che sentivi limitato, come se ci fosse altro che volevi raggiungere e comprendere. Hai scelto di metterti alla prova con qualcosa che sembrava “non tuo”, forse anche per dimostrare a te stessa di potercela fare anche lì, e ci sei riuscita. Sei arrivata al quarto anno di medicina. Nonostante i dubbi, le fatiche, le paure, sei andata avanti: attenzione, questo non è un dettaglio, è un fatto importante di cui tener conto.
Questi pensieri ricorrenti sul “forse ho sbagliato tutto” sembrano riemergere ora che stai per concludere il ciclo di studi, quasi come se stessi anticipando un possibile fallimento, proprio nel momento in cui ti prepari ad affrontare un nuovo passaggio: uscire dall'università, entrare nella realtà lavorativa, confrontarti con un’identità professionale. In termini psicologici, è un meccanismo di autosabotaggio: se comincio a dubitare di tutto prima ancora di provare, forse evito la delusione.
Ma il modo più efficace per affrontare questa paura non è evitarla, ma guardare con lucidità alla realtà: la tua storia parla di successi, di scelte fatte con coraggio, di capacità di affrontare sfide, di tenacia, di resilienza, di coraggio.
Se ad oggi ti guardi indietro vedrai che hai costellato una serie di traguardi, uno dopo l'altro. Quindi più interrogarti su: "E se IN FUTURO non sarò capace, non sarò un bravo medico, ecc." quello a cui puoi guardare oggi è: "Fino ad ora sono arrivata qui, ma come ci sono arrivata?” E la risposta è: con determinazione, con passione, e affrontando ogni cambiamento con forza.
Se senti che questi pensieri stanno diventando troppo invadenti e se ti ritrovi spesso in un senso di insoddisfazione costante, potremmo iniziare un percorso insieme, per rimettere ordine tra i tuoi pensieri, distinguendo ciò che senti davvero da ciò che temi e comprendere i meccanismi che ti portano all’autocritica e al dubbio costante, e rafforzare la tua self-efficacy.
Se vuoi, resto a disposizione per ulteriori approfondimenti.
Dott.ssa Marika Fiengo.
Grazie per aver condiviso la tua storia con tanta profondità e sincerità. Le tue parole rivelano una mente brillante e sensibile, guidata da una sete autentica di conoscenza e significato.
La confusione che provi è comprensibile: quando si hanno molte passioni e capacità, scegliere una sola strada può sembrare sempre un tradimento di un’altra parte di sé. Il dubbio che ti accompagna non è un segno di fallimento, ma un segno di quanto tu tenga davvero a ciò che fai, e di quanto tu voglia vivere una vita che rispecchi chi sei.
Non stai “sbagliando tutto”: stai cercando, e questo è un atto profondamente umano. Forse non si tratta tanto di trovare “la scelta giusta”, quanto di imparare a dare valore e significato anche alle strade non percorse. E sì, il timore di non essere più "eccellente" può essere una ferita dell'autostima, ma non misura il tuo valore né la qualità della tua persona.
La terapia potrà aiutarti a chiarire ciò che davvero desideri — non per tornare indietro, ma per onorare ciò che sei diventata fin qui. Nel frattempo, abbi cura di te, anche nei momenti di incertezza: sono quelli in cui, spesso, si cresce di più.
La confusione che provi è comprensibile: quando si hanno molte passioni e capacità, scegliere una sola strada può sembrare sempre un tradimento di un’altra parte di sé. Il dubbio che ti accompagna non è un segno di fallimento, ma un segno di quanto tu tenga davvero a ciò che fai, e di quanto tu voglia vivere una vita che rispecchi chi sei.
Non stai “sbagliando tutto”: stai cercando, e questo è un atto profondamente umano. Forse non si tratta tanto di trovare “la scelta giusta”, quanto di imparare a dare valore e significato anche alle strade non percorse. E sì, il timore di non essere più "eccellente" può essere una ferita dell'autostima, ma non misura il tuo valore né la qualità della tua persona.
La terapia potrà aiutarti a chiarire ciò che davvero desideri — non per tornare indietro, ma per onorare ciò che sei diventata fin qui. Nel frattempo, abbi cura di te, anche nei momenti di incertezza: sono quelli in cui, spesso, si cresce di più.
Gentile Paziente Anonima,
Dalle sue parole traspare una forte sofferenza, legata al tentativo di coltivare le sue due anime, quella scientifica e quella letteraria. Forse non ha ancora trovato la giusta misura per dedicarsi ad entrambe, concedendosi il giusto tempo e spazio, senza sentirsi in colpa di star tralasciando l'altra.
Comprendo che questo periodo della vita, fatto di tante scelte importanti per il futuro, può destabilizzare e portare nuovi dubbi e incertezze.
Come suggerisce anche lei, un percorso di psicoterapia potrà sicuramente aiutarla a fare chiarezza e anche capire l'origine di questi dubbi.
Nel frattempo, non si dimentichi che la sua sete di conoscenza è e rimarrà una sua dote fondamentale, che la aiuterà a crescere professionalmente e intellettualmente nel corso della sua vita.
Un caro saluto,
Dr.ssa Federica Trobbiani
Dalle sue parole traspare una forte sofferenza, legata al tentativo di coltivare le sue due anime, quella scientifica e quella letteraria. Forse non ha ancora trovato la giusta misura per dedicarsi ad entrambe, concedendosi il giusto tempo e spazio, senza sentirsi in colpa di star tralasciando l'altra.
Comprendo che questo periodo della vita, fatto di tante scelte importanti per il futuro, può destabilizzare e portare nuovi dubbi e incertezze.
Come suggerisce anche lei, un percorso di psicoterapia potrà sicuramente aiutarla a fare chiarezza e anche capire l'origine di questi dubbi.
Nel frattempo, non si dimentichi che la sua sete di conoscenza è e rimarrà una sua dote fondamentale, che la aiuterà a crescere professionalmente e intellettualmente nel corso della sua vita.
Un caro saluto,
Dr.ssa Federica Trobbiani
Salve, ho letto attentamente la sua domanda e ho cercato di comprendere il suo malessere in merito alle combattute scelte universitarie da lei fatte. Vorrei porle una domanda: che significato attribuisce alla parola "essere eccellente"? Credo che il nocciolo del problema stia proprio in questo "essere eccellente". Le "gabbie" sono costruzioni mentali di pensieri disfunzionali che non consentano di vedere chiaro il nostro "Io". La consapevolezza è l'antidoto affinché si possa raggiungere il benessere psicologico. E' fondamentale che lei segua un percorso terapeutico, in modo tale che capisca meglio se stessa e non segua false chimere.
Buongiorno, grazie mille per le sue parole e per essersi aperta in questo modo in un argomento che ad oggi sente molto. Quello che esprime sicuramente non è semplice e le sue riflessioni a riguardo mostrano quanto lei sia profonda e matura nel ricercare e domandarsi cosa le sta accadendo. Molto spesso vorremmo avere tante risposte rispetto alle scelte che prendiamo e sperare che quelle scelte siano giuste per il nostro benessere e per il futuro, purtroppo però, non possiamo prevedere ciò che avverrà e come andranno le cose tra tanto tempo, l'unica cosa di cui possiamo fare affidamento è quello che sentiamo nel presente. Proiettandoci in possibili scenari futuri ci dimentichiamo di quello che stiamo vivendo al momento, togliendoci in questo modo tanta esperienza concreta e tangibile cui possiamo accedere per rassicurarci su determinate insicurezze (normalissime in un periodo in cui sta investendo molto e mettendo insieme i vari pezzi). Lei mostra tante risorse, passioni e talento e questo sicuramente è un aspetto cui non deve rinunciare, magari deve solo comprendere il modo giusto di trovare questa chiave per non sentirsi più in gabbia, perchè posso assicurarle che la chiave ce l'ha lei.
Le auguro una buona giornata
Un caro saluto
Le auguro una buona giornata
Un caro saluto
Gentile Dottoressa,
La ringrazio per aver condiviso la sua storia personale e il suo vissuto emotivo. È evidente quanto lei abbia riflettuto intensamente sulle sue scelte, quanto sia attenta e sensibile al proprio percorso, e desiderosa di trovare un allineamento autentico tra ciò che fa e ciò che sente.
Leggendo le sue parole, colpisce la sua straordinaria dedizione allo studio, la passione per la conoscenza e l’impegno costante che ha messo in tutto ciò che ha affrontato, sia in ambito umanistico che scientifico. È importante riconoscere e valorizzare questi successi, perché parlano di una persona capace, curiosa, determinata. Non tutti sono in grado di cambiare strada, mettersi in discussione e affrontare un percorso come quello di medicina dopo aver brillato in un ambito completamente diverso.
Le sue preoccupazioni, le paure, i dubbi sono profondamente legittimi. Chiunque, nel corso della vita, si confronta con momenti di incertezza, con la sensazione di aver perso la propria direzione, soprattutto quando si ha un forte senso del dovere e un desiderio marcato di eccellere. Proprio su questo tema le propongo una riflessione: quanto il bisogno di essere “eccellente” ha guidato le sue scelte? Quanto il confronto tra il suo rendimento attuale e quello del passato condiziona l'opinione che ha di se stessa? A volte il desiderio di eccellere può diventare una gabbia invisibile, che limita più di quanto stimoli, e porta a valutare il proprio valore solo in funzione dei risultati e non dell’impegno, della crescita, del significato personale di ciò che si fa.
La paura del futuro che descrive è altrettanto comprensibile. Il futuro, con le sue incognite e responsabilità, può spaventare. Ma ciò che ha fatto finora dimostra chiaramente che lei non si tira indietro di fronte alle sfide: ha lasciato una zona di comfort — gli studi umanistici — per affrontare un mondo complesso e spesso spietato come quello medico. Questo non è un fallimento, è un gesto di coraggio, di apertura, di curiosità verso l’ignoto. Una scelta, per quanto possa comportare dubbi, è anche un’esplorazione di sé.
Dalla sue parole mi pare di percepire un certo grado di stanchezza, non solo fisica ma anche emotiva e in quanto psicologa clinica è doveroso sottolinearle l'importanza di non sottovalutare questo fattore. In questo senso, ritengo che un percorso cognitivo-comportamentale potrebbe esserle molto utile. Questo tipo di lavoro le permetterebbe di esplorare in modo concreto e strutturato le sue convinzioni profonde (ad esempio: “se non eccello, non valgo”, “devo sapere con certezza quale sarà la mia strada”), imparando a ridurre l’impatto di pensieri autosabotanti e a costruire un rapporto più flessibile e compassionevole con se stessa. Allo stesso modo, questo approccio offre strategie pratiche di problem solving, focalizzandosi sul "qui e ora".
Resto a disposizione per eventuali ulteriori confronti o approfondimenti, se desidera continuare questo dialogo. Intanto, le auguro di cuore di poter trovare, passo dopo passo, quella chiarezza e quella serenità che cerca.
La ringrazio per aver condiviso la sua storia personale e il suo vissuto emotivo. È evidente quanto lei abbia riflettuto intensamente sulle sue scelte, quanto sia attenta e sensibile al proprio percorso, e desiderosa di trovare un allineamento autentico tra ciò che fa e ciò che sente.
Leggendo le sue parole, colpisce la sua straordinaria dedizione allo studio, la passione per la conoscenza e l’impegno costante che ha messo in tutto ciò che ha affrontato, sia in ambito umanistico che scientifico. È importante riconoscere e valorizzare questi successi, perché parlano di una persona capace, curiosa, determinata. Non tutti sono in grado di cambiare strada, mettersi in discussione e affrontare un percorso come quello di medicina dopo aver brillato in un ambito completamente diverso.
Le sue preoccupazioni, le paure, i dubbi sono profondamente legittimi. Chiunque, nel corso della vita, si confronta con momenti di incertezza, con la sensazione di aver perso la propria direzione, soprattutto quando si ha un forte senso del dovere e un desiderio marcato di eccellere. Proprio su questo tema le propongo una riflessione: quanto il bisogno di essere “eccellente” ha guidato le sue scelte? Quanto il confronto tra il suo rendimento attuale e quello del passato condiziona l'opinione che ha di se stessa? A volte il desiderio di eccellere può diventare una gabbia invisibile, che limita più di quanto stimoli, e porta a valutare il proprio valore solo in funzione dei risultati e non dell’impegno, della crescita, del significato personale di ciò che si fa.
La paura del futuro che descrive è altrettanto comprensibile. Il futuro, con le sue incognite e responsabilità, può spaventare. Ma ciò che ha fatto finora dimostra chiaramente che lei non si tira indietro di fronte alle sfide: ha lasciato una zona di comfort — gli studi umanistici — per affrontare un mondo complesso e spesso spietato come quello medico. Questo non è un fallimento, è un gesto di coraggio, di apertura, di curiosità verso l’ignoto. Una scelta, per quanto possa comportare dubbi, è anche un’esplorazione di sé.
Dalla sue parole mi pare di percepire un certo grado di stanchezza, non solo fisica ma anche emotiva e in quanto psicologa clinica è doveroso sottolinearle l'importanza di non sottovalutare questo fattore. In questo senso, ritengo che un percorso cognitivo-comportamentale potrebbe esserle molto utile. Questo tipo di lavoro le permetterebbe di esplorare in modo concreto e strutturato le sue convinzioni profonde (ad esempio: “se non eccello, non valgo”, “devo sapere con certezza quale sarà la mia strada”), imparando a ridurre l’impatto di pensieri autosabotanti e a costruire un rapporto più flessibile e compassionevole con se stessa. Allo stesso modo, questo approccio offre strategie pratiche di problem solving, focalizzandosi sul "qui e ora".
Resto a disposizione per eventuali ulteriori confronti o approfondimenti, se desidera continuare questo dialogo. Intanto, le auguro di cuore di poter trovare, passo dopo passo, quella chiarezza e quella serenità che cerca.
Gentile utente,
la ringrazio per aver condiviso in modo così profondo e articolato il suo vissuto. Le sue parole parlano di una mente curiosa, appassionata, capace di dedicarsi con trasporto a ciò che ama. Ma raccontano anche il dolore della scelta, della perdita, del dubbio che accompagna ogni strada presa e ogni strada lasciata.
La sensazione di essere fuori posto è una forma di sofferenza molto comune tra persone sensibili, dotate e curiose come lei. Non c’è nulla di “sbagliato” in questo turbamento. Anzi, può essere il segnale che sta cercando una forma di coerenza più profonda tra ciò che fa e ciò che sente di essere.
Molto spesso, infatti, il sistema formativo e professionale ci impone un modello lineare “scegli una strada e seguila fino in fondo” mentre la mente umana è tutto fuorché lineare: ama esplorare, cambiare, cercare un senso anche dove sembra non essercene. È proprio in questo scarto tra ciò che la società si aspetta e ciò che una persona sente interiormente che può nascere una crisi, ma anche un’opportunità di evoluzione.
In questo senso, lei sembra essere una persona che ha messo alla prova le proprie passioni, che ha avuto il coraggio di cambiare direzione e che oggi si trova a fare i conti con la complessità delle sue inclinazioni. È una condizione umana molto più diffusa e molto più sana di quanto comunemente si pensi.
Nel frattempo, anche se può apparire faticoso o destabilizzante, lei sta compiendo un gesto prezioso: sta cercando, con onestà, di ascoltare tutte le sue voci interiori, senza ridurle al silenzio. E questo, di per sé, è già un grande atto d’amore e rispetto verso di sé.
Un caro saluto,
Dott.ssa Valentina Celi
la ringrazio per aver condiviso in modo così profondo e articolato il suo vissuto. Le sue parole parlano di una mente curiosa, appassionata, capace di dedicarsi con trasporto a ciò che ama. Ma raccontano anche il dolore della scelta, della perdita, del dubbio che accompagna ogni strada presa e ogni strada lasciata.
La sensazione di essere fuori posto è una forma di sofferenza molto comune tra persone sensibili, dotate e curiose come lei. Non c’è nulla di “sbagliato” in questo turbamento. Anzi, può essere il segnale che sta cercando una forma di coerenza più profonda tra ciò che fa e ciò che sente di essere.
Molto spesso, infatti, il sistema formativo e professionale ci impone un modello lineare “scegli una strada e seguila fino in fondo” mentre la mente umana è tutto fuorché lineare: ama esplorare, cambiare, cercare un senso anche dove sembra non essercene. È proprio in questo scarto tra ciò che la società si aspetta e ciò che una persona sente interiormente che può nascere una crisi, ma anche un’opportunità di evoluzione.
In questo senso, lei sembra essere una persona che ha messo alla prova le proprie passioni, che ha avuto il coraggio di cambiare direzione e che oggi si trova a fare i conti con la complessità delle sue inclinazioni. È una condizione umana molto più diffusa e molto più sana di quanto comunemente si pensi.
Nel frattempo, anche se può apparire faticoso o destabilizzante, lei sta compiendo un gesto prezioso: sta cercando, con onestà, di ascoltare tutte le sue voci interiori, senza ridurle al silenzio. E questo, di per sé, è già un grande atto d’amore e rispetto verso di sé.
Un caro saluto,
Dott.ssa Valentina Celi
Buongiorno,
il suo dubbio non è un ostacolo, ma un segnale prezioso. È il modo con cui, in questo momento, qualcosa dentro di lei sta cercando di farsi ascoltare.
Quando il valore personale viene legato stabilmente alla prestazione, al successo o al sentirsi “eccellente”, ogni scelta rischia di diventare fragile e fonte continua di ansia: o perfetta o sbagliata. Ma spesso non è il contenuto della scelta a generare malessere, quanto il significato che questa assume rispetto all’idea di sé e al bisogno di confermare costantemente il proprio valore.
In questo senso, il sintomo — il dubbio, il senso di gabbia, il distacco — può essere visto come un alleato: non come il problema da eliminare, ma come il modo attraverso cui il sistema interno sta segnalando che forse è il momento di ridefinire alcune coordinate con cui si misura e si orienta.
Paradossalmente, è proprio nel momento in cui si comincia a disattivare il bisogno rigido di conferma esterna e a riconoscersi degni di valore anche al di là del successo o del fallimento, che spesso emerge più chiarezza su ciò che davvero interessa, su cosa appassiona, su quali scelte risultano più spontaneamente allineate.
Non è il dover “scegliere bene” a produrre stabilità, ma il costruire un rapporto più flessibile e accogliente con se stessi che consente poi di orientarsi con maggiore libertà.
La terapia può offrire uno spazio per esplorare questi processi e aprire nuove possibilità di significato. Se lo desidera, possiamo approfondire insieme questi processi in un percorso di lavoro personale.
Un caro saluto,
Stella Gelli
il suo dubbio non è un ostacolo, ma un segnale prezioso. È il modo con cui, in questo momento, qualcosa dentro di lei sta cercando di farsi ascoltare.
Quando il valore personale viene legato stabilmente alla prestazione, al successo o al sentirsi “eccellente”, ogni scelta rischia di diventare fragile e fonte continua di ansia: o perfetta o sbagliata. Ma spesso non è il contenuto della scelta a generare malessere, quanto il significato che questa assume rispetto all’idea di sé e al bisogno di confermare costantemente il proprio valore.
In questo senso, il sintomo — il dubbio, il senso di gabbia, il distacco — può essere visto come un alleato: non come il problema da eliminare, ma come il modo attraverso cui il sistema interno sta segnalando che forse è il momento di ridefinire alcune coordinate con cui si misura e si orienta.
Paradossalmente, è proprio nel momento in cui si comincia a disattivare il bisogno rigido di conferma esterna e a riconoscersi degni di valore anche al di là del successo o del fallimento, che spesso emerge più chiarezza su ciò che davvero interessa, su cosa appassiona, su quali scelte risultano più spontaneamente allineate.
Non è il dover “scegliere bene” a produrre stabilità, ma il costruire un rapporto più flessibile e accogliente con se stessi che consente poi di orientarsi con maggiore libertà.
La terapia può offrire uno spazio per esplorare questi processi e aprire nuove possibilità di significato. Se lo desidera, possiamo approfondire insieme questi processi in un percorso di lavoro personale.
Un caro saluto,
Stella Gelli
Buongiorno, la ringrazio per la sincerità e la profondità con cui ha voluto condividere il suo percorso, le sue riflessioni e le emozioni che sta vivendo. Le sue parole trasmettono tutta la complessità di ciò che sente, ma anche la sua grande sensibilità e intelligenza nell’osservare e interrogarsi su se stessa. In effetti, dalla sua descrizione emerge un aspetto importante: lei si pone domande che non riguardano solo il cosa ha scelto, ma anche il perché di quelle scelte e il senso più profondo che esse hanno per lei. E questo è un passaggio fondamentale per chiunque stia cercando di costruire un futuro coerente con i propri valori e desideri autentici. Comprendo il peso dei dubbi che la accompagnano e capisco quanto possa essere frustrante non sentirsi più la studentessa “eccellente” che era a lettere e che le restituiva un senso di sicurezza e di identità. È normale che il confronto con quell’immagine di sé del passato la porti a sentirsi oggi più insicura, soprattutto di fronte a un percorso complesso come quello di medicina, che chiede non solo competenze teoriche, ma anche abilità pratiche e una certa prontezza nel gestire responsabilità e decisioni difficili. Tuttavia, quello che noto nelle sue parole è che forse ciò che davvero la fa soffrire non è tanto la disciplina che ha scelto, quanto il peso delle aspettative che sente di dover soddisfare: essere sempre all’altezza, eccellere, non sbagliare, trovare la strada “perfetta” senza mai dubbi o ripensamenti. In questo senso, ciò che lei sta vivendo potrebbe essere visto come un conflitto interno tra il bisogno di sicurezza e controllo e il desiderio di esplorare, imparare e accettare che ogni percorso porta con sé anche fatica, momenti di incertezza e periodi in cui ci si sente più fragili o meno brillanti. La sua domanda, “e se avessi sbagliato tutto?”, è una di quelle che molte persone si pongono quando si trovano in un momento di stallo o di crisi, ma che spesso è legata più alla paura del futuro e del fallimento che a un errore reale nelle scelte fatte. Lei sta attraversando un periodo naturale, soprattutto in un percorso lungo e impegnativo come medicina, in cui è fisiologico domandarsi se quella sia la strada giusta e se si possiedano le caratteristiche per svolgere quel ruolo. Questo non significa che abbia sbagliato tutto o che sia destinata a sentirsi inadeguata. Significa invece che si trova in un momento cruciale in cui sta cercando di ridefinire il significato delle sue scelte e il modo in cui vorrebbe viverle. Lei stessa ha intuito un punto fondamentale: la possibilità che il suo disagio non sia tanto legato alla materia studiata, quanto alla paura di non essere più “eccellente”, al timore di non corrispondere più all’immagine ideale di sé che si era costruita e alla difficoltà di accettare che ogni percorso implica momenti di incertezza e di vulnerabilità. E questa è una riflessione estremamente lucida e preziosa. La invito quindi a non leggere la fatica che sente come un segnale che ha sbagliato strada, ma come un invito ad ascoltarsi più in profondità e a chiedersi che tipo di medico vorrebbe essere, quale parte di questo percorso sente più vicina ai suoi valori e se ci sono modi per vivere gli studi e la professione in una forma che le somigli di più. Forse ciò che potrebbe aiutarla, in parallelo a un percorso terapeutico come lei stessa ha già intuito, è proprio imparare a coltivare un dialogo più gentile con se stessa, a riconoscere e accogliere le sue paure senza farle diventare giudizi assoluti sul suo valore. L’obiettivo non è essere sempre e comunque la “migliore”, ma trovare un equilibrio in cui possa sentirsi autentica, serena e soddisfatta del suo cammino, anche con i suoi inevitabili alti e bassi. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
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