Sono un ragazzo di 26 anni e questa estate (fine luglio-inizi agosto) ho attraversato quello che cre

25 risposte
Sono un ragazzo di 26 anni e questa estate (fine luglio-inizi agosto) ho attraversato quello che credo sia stato un vero e proprio burnout accademico. Tutto è iniziato con un periodo di studio intensissimo: preparazione costante per test e esami, quiz quotidiani, schemi per studiare ecc. All’inizio riuscivo a gestire il carico, anche se con qualche stanchezza, ma con il passare del tempo, e soprattutto durante l’estate, la situazione è peggiorata. Ho avuto parecchi impegni che mi costringevano ad alzarmi presto e la paura di non passare il test mi assaliva e quindi andavo molto sul perfezionismo.

Ho cominciato a notare sintomi fisici e mentali: stanchezza costante, tensioni cervicali, sensazione di stare per svenire, mal di testa leggeri ma ricorrenti, episodi di ansia intensa e derealizzazione momentanea. C’erano giorni in cui riuscivo a studiare bene e altri in cui ero un po’ svogliato e facevo solo quiz. La cosa più difficile da gestire era la paura di sforzarmi, di ricadere in quegli stati, e la sensazione che la mia mente non fosse più completamente sotto controllo.

Una volta passato il test, ho passato il mese di pausa restante a non fare nulla ma i segni miglioravano poco e niente.

Il recupero é stato così e così: ci sono stati giorni migliori, altri peggiori, momenti di normalità alternati a brevi ricadute. Ho avuto anche degli episodi di ansia notturna per via di un sovvracarico mentale.

Oggi sto meglio, anche se mi sento ancora leggermente stanco mentalmente. Riesco a studiare senza panico, la percezione della realtà è più stabile e le tensioni fisiche sono ridotte. Solo che il recupero sembra abbastanza lento. Ho diminuito i caffè e non sto più toccando neanche una birra, poiché può peggiorare il tutto. Grazie per i vostri pareri.
Dott.ssa Ilaria De Pretto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Ciao, da come lo racconti quello che hai vissuto è molto compatibile con un burnout/overload ansioso: carico prolungato, perfezionismo, paura di fallire, sonno “tirato”, e poi una fase in cui il corpo e la mente iniziano a mandare segnali (tensioni, stanchezza, “testa piena”, derealizzazione, ansia).
Il fatto che ora tu stia meglio, riesca a studiare senza panico e che i sintomi fisici si siano ridotti è un indicatore molto buono: il sistema si sta regolando. Il recupero però spesso è lento perché non è solo “stanchezza”: è come se il tuo organismo fosse rimasto per settimane in modalità allerta e ci mettesse un po’ a tornare a un ritmo stabile. Inoltre, dopo episodi così, è comune sviluppare la “paura della ricaduta”: non è un segno che stai peggiorando, è un residuo del periodo di ipercontrollo.
La cosa più utile di solito è ripartire in modo graduale e regolare, più che alternare “tutto” e “niente”: routine di sonno, studio a blocchi brevi con pause vere, movimento quotidiano leggero, e ridurre l’automonitoraggio (“mi sento strano? sto ricadendo?”) perché alimenta l’ansia. Limitare caffeina e alcol può aiutare, sì, ma senza trasformarlo in una nuova fonte di controllo/paura.
Se però la derealizzazione, gli attacchi notturni o la stanchezza dovessero restare forti o bloccarti di nuovo per settimane, ha senso parlarne con un professionista (psicologo/medico) per avere un supporto mirato e anche escludere cause fisiche banali (sonno, carenze, ecc.). In generale, da quello che scrivi, sei sulla traiettoria giusta: “lento” non significa “sbagliato”.

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Dr. Roberto Lavorante
Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Da ciò che descrive, sembra che abbia attraversato un periodo estremamente intenso, in cui non è stato semplicemente “lei contro lo studio”, ma in cui si è attivato un intero sistema di pressioni, aspettative e risposte del corpo. Il burnout che racconta non appare come un evento improvviso, ma come il risultato di più fattori che nel tempo si sono intrecciati, dando vita a un circolo di tensioni difficili da sostenere.

Nel suo vissuto emergono alcuni elementi significativi:
• Il perfezionismo come strategia di protezione, che inizialmente ha forse contribuito a darle un senso di controllo, ma che col tempo è diventato più rigido, amplificando lo stress.
• Il legame profondo tra corpo e mente, evidente nei sintomi fisici che sembrano aver iniziato a “comunicare” un sovraccarico prima ancora che esso fosse pienamente riconosciuto sul piano consapevole.
• La solitudine della performance, che spesso accompagna periodi in cui ci si assume grandi responsabilità, portando a vivere tutto il peso della riuscita quasi esclusivamente sulle proprie spalle.

In una prospettiva sistemico-relazionale, di mia competenza, diventa importante osservare non solo come stava lei, ma anche cosa stava accadendo nel contesto intorno a lei: ritmi serrati, aspettative interne ed esterne, timore di non essere all’altezza, e l’idea che fosse necessario “fare di più” per mantenere il controllo o evitare il fallimento. Tutti questi elementi hanno probabilmente agito insieme, creando un ambiente fortemente pressante.

È molto significativo che abbia iniziato ad ascoltare e rispettare i segnali del corpo, riducendo caffeina e alcol e concedendosi momenti di recupero. Ciò indica che sta già orientandosi verso un funzionamento più regolato e sostenibile. Anche il fatto che oggi riesca a studiare senza panico e con una maggiore stabilità è un segno che il suo sistema psicofisico sta lentamente trovando un nuovo equilibrio.

È comprensibile che il recupero le sembri lento: quando corpo e mente hanno lavorato per molto tempo in uno stato di allerta, hanno bisogno di tempo per “fidarsi” della calma. Le ricadute che ha sperimentato non sono necessariamente segnali di regressione, ma possono far parte di un processo in cui l’intero sistema sta testando modalità più flessibili di adattamento.

Potrebbe essere utile esplorare anche:
• come oggi si relaziona allo studio e alle aspettative di prestazione,
• quali pressioni interne risultano più presenti,
• quali figure o risorse nella sua rete di relazioni possono sostenerla nel mantenere un equilibrio più stabile,
• quali confini o rituali può introdurre per tutelare la sua energia psicofisica.

In un’ottica relazionale, l’obiettivo non è “tornare come prima”, ma costruire un modo di funzionare che dialoghi in maniera più flessibile con le richieste interne ed esterne.

Se lo desidera, un percorso psicoterapeutico potrebbe offrirle uno spazio dedicato per comprendere più a fondo questi pattern e per sostenere il suo processo di recupero. Ma già ora sta mostrando grande consapevolezza e attenzione verso ciò che le accade, e questo rappresenta un passo importante verso la stabilizzazione.
Spero di esserle stato di supporto e le auguro una buona serata.
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Da ciò che descrive, il quadro è molto coerente con una condizione di burnout accademico, accompagnata da una forte attivazione ansiosa. Periodi prolungati di studio intenso, pressione costante per la performance e perfezionismo possono portare a un esaurimento sia mentale che fisico, che spesso si manifesta proprio come nel suo caso: stanchezza persistente, tensioni muscolari, cefalee ricorrenti, difficoltà di concentrazione, derealizzazione, ansia e sensazioni di “perdita di controllo”.

È importante sottolineare che, quando il corpo e la mente rimangono a lungo in uno stato di allerta, anche una volta concluso l’obiettivo (come il test), il sistema nervoso può impiegare tempo a “spegnere” gradualmente l’iperattivazione. Per questo il recupero può sembrare lento e altalenante: giornate migliori e peggiori sono del tutto normali nei periodi di ripresa da un sovraccarico prolungato.

Le strategie che sta già adottando – riduzione della caffeina e dell’alcol, pausa reale dagli impegni, ascolto dei segnali del corpo – sono sicuramente utili. Tuttavia, i sintomi che descrive (ansia notturna, derealizzazione, affaticamento mentale costante) suggeriscono che il suo sistema interno ha ancora bisogno di recuperare e di trovare nuove modalità per gestire lo stress, il perfezionismo e la pressione legata allo studio.

Un percorso psicologico può aiutarla a:

comprendere meglio i meccanismi che hanno portato al burnout;

lavorare sull’ansia da prestazione e sulle aspettative perfezionistiche;

sviluppare strategie più sostenibili per affrontare futuro studio e carichi di lavoro;

regolare l’attivazione fisiologica con tecniche mirate (come mindfulness o EMDR nei casi di sovraccarico emotivo).

Le consiglio quindi di approfondire la situazione con uno specialista, in modo da favorire un recupero più completo e prevenire ricadute.

Un caro saluto,
Dottoressa Silvia Parisi – Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott.ssa Silvia Bertolotti
Psicologo, Sessuologo, Psicoterapeuta
Milano
Buongiorno, quello che descrive sembra essere stato un periodo molto impegnativo, in cui il corpo e la mente hanno dovuto sostenere un carico prolungato di stress. È comprensibile che, dopo settimane di studio intenso e pressioni legate alla performance, si siano manifestati segnali di affaticamento sia fisico che psicologico. Sintomi come tensioni muscolari, stanchezza persistente, episodi di ansia e sensazioni di derealizzazione sono spesso indicatori di quanto il sistema nervoso sia stato sollecitato oltre la soglia abituale.
Il fatto che oggi si senta meglio, pur con una certa lentezza nel recupero, indica che il corpo e la mente tendono a ritrovare equilibrio, ma non sempre con la rapidità che si vorrebbe. A volte, dopo un periodo di forte stress, il processo di ripristino richiede tempo e pazienza, perché non si tratta solo di riposo ma di ricalibrare meccanismi che sono rimasti in allerta per settimane.
La sua attenzione nel ridurre stimolanti come caffè e alcol mostra una consapevolezza importante: piccoli accorgimenti possono favorire la stabilità, ma ciò che conta è anche riconoscere che la fatica non è segno di debolezza, bensì una risposta naturale a ciò che ha vissuto.
Il fatto che riesca a studiare senza panico e che la percezione della realtà sia più stabile indica che sta andando nella direzione giusta. È normale che permangano momenti di stanchezza mentale: il sistema nervoso, dopo un periodo di iperattivazione, tende a oscillare prima di stabilizzarsi.
In questa fase, può essere utile considerare anche aspetti che favoriscono il benessere generale, come dedicare tempo ad attività fisica moderata, curare il sonno e mantenere un’alimentazione equilibrata. Sono elementi che non risolvono tutto, ma possono sostenere il processo di recupero e aiutare a ritrovare energia e stabilità.
Se dovesse notare che la sensazione di esaurimento persiste o che l’ansia torna a essere molto intensa, potrebbe essere utile parlarne con un professionista per valutare strategie di gestione più mirate. Nel frattempo, continui a osservare i segnali del corpo e a concedersi spazi di recupero senza sentirli come una perdita di tempo: sono parte del processo di guarigione.
Quello che descrivi ha i contorni di un'esperienza psichica significativa — non semplicemente "stanchezza", ma qualcosa che ha toccato il tuo equilibrio più profondo.
Dal punto di vista analitico, ciò che chiami burnout potrebbe essere letto come un momento in cui l'Io ha perso temporaneamente la sua posizione di centro regolatore. Hai descritto derealizzazione, la sensazione che la mente non fosse "sotto controllo", ansia intensa: sono tutti segnali che l'Io era stato sopraffatto — probabilmente da richieste che venivano sia dall'esterno (esami, test) sia dall'interno (perfezionismo, paura del fallimento).
Il perfezionismo che menzioni è particolarmente interessante: spesso funziona come una difesa contro l'angoscia, ma quando diventa troppo rigido, finisce per alimentare proprio ciò da cui cerca di proteggerci.
Noto che usi questa parola — lento — con una sfumatura di impazienza o preoccupazione. Ma considera: il tuo sistema psichico e fisico sta cercando di ricostruire un equilibrio che è stato profondamente scosso. La psiche ha i suoi tempi, che raramente coincidono con quelli che vorremmo.
Il fatto che tu abbia attraversato un mese "a non fare nulla" senza miglioramenti significativi suggerisce qualcosa di importante: il riposo passivo non basta. Il recupero non è solo assenza di sforzo — è anche elaborazione, integrazione di ciò che è successo.
Alcune domande da portarti dentro:
Cosa ti stava chiedendo quel perfezionismo? Da quale paura più profonda ti stava proteggendo?
C'è qualcosa che questa crisi ti ha mostrato su come stavi vivendo — sui tuoi limiti, sui tuoi bisogni?
La "mente sotto controllo" che hai perso: era davvero controllo, o forse era una forma di sovra-controllo?
Hai fatto scelte sagge (ridurre caffeina, eliminare alcol). Ma se i sintomi persistono ,anche in forma attenuata, considera di parlare con qualcuno/a. Non perché ci sia qualcosa di "rotto" da aggiustare, ma perché certe esperienze meritano uno spazio per essere comprese, non solo superate.
Quello che hai attraversato ti ha insegnato qualcosa sul tuo funzionamento. La domanda è se vuoi semplicemente tornare a prima, o se c'è un modo diverso di stare nel mondo che puoi scoprire. Parliamone ;)
Gentile utente,
la sua disamina di quando le è accaduto è coerente con una sindrome da stress cronico, sfociata in un esaurimento di risorse fisiche e mentali, noto anche come burnout.
La rilevanza degli impegni e la persistenza nel raggiungimento degli obiettivi che si era prefissato, le hanno consentito di resistere a lungo allo stato di disagio, ma le tossine che il corpo e il cervello hanno accumulato sono difficili da smaltire. Non è sufficiente un periodo di riposo o di inerzia.
La sua esperienza ha generato una traccia di memoria di quel periodo e dello stato di malessere a esso collegato e, in tal senso, è paragonabile a un trauma. Ciò si ripercuote sulla sua soglia di sensibilità rispetto a situazioni simili a quelle vissute in precedenza. il sintomo più fastidioso potrebbe essere l'ansia di ricadere in quello stato di tensione, di stanchezza e di altre manifestazioni di malessere.
Salvaguardare il suo equilibrio psicologico, così come avere buone abitudini di self-care, riducendo anche l'utilizzo di cibi e bevande che posso incidere sul funzionamento neurologico, sono tutti comportamenti che possono essere vantaggiosi nel tenere a bada la ricomparsa della sindrome da stress.
Valuti, altresì, la possibilità di lavorare a fondo sulle dinamiche che l'hanno portata a vivere un periodo stressante, quello degli esami, in modo così disagevole e poco adattivo. Questo perché, in futuro, dovrà affrontare situazioni simili nello stesso ambito o in altre sfere delle sua vita. Si è reso, probabilmente, conto che le strategie introdotte, seppur l'abbiano portata al successo, non hanno contribuito a farlo in una condizione di benessere psicologico.
Il mio consiglio è di lavorare su se stesso e intraprendere un percorso di crescita personale. Potrebbe acquisire, innanzitutto, metodi e tecniche per tenere sotto controllo i livelli di stress e generare risorse al momento opportuno. Potrebbe lavorare su concetti come autostima e self-compassion per poggiare le motivazioni su sé stesso e non sul giudizio esterno, ed accettare la fallibilità come qualcosa di normale e l'errore come strumento eletto di apprendimento. Inoltre, potrà verificare che fare il pieno di emozioni positive e ricreare situazioni in cui viverle è, in assoluto, la migliore strategia per combattere la tensione da stress e generare soddisfazione di vita.
L'ultimo consiglio: non caschi nella tentazione di monitorare continuamente i suoi sintomi negativi e le possibili problematiche fisiche.
Resto a disposizione, anche online. Dott. Antonio Cortese
Dott. Mario Edoardo Camanini
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Buongiorno, da ciò che descrive il suo vissuto è molto coerente con un quadro di forte sovraccarico psicofisico: periodi di studio intensissimo, perfezionismo, pressione costante e paura di fallire possono portare proprio ai sintomi che racconta (stanchezza mentale, tensioni fisiche, ansia, derealizzazione). È importante sapere che il recupero da questi stati non è immediato: spesso procede a fasi, con giorni migliori e altri più faticosi, senza che questo significhi ‘tornare indietro’.

Il fatto che oggi riesca a studiare senza panico, che i sintomi siano più attenuati e che abbia fatto scelte di tutela (ridurre stimolanti, ascoltare il corpo) è già un segnale positivo. In questi casi è utile continuare a rispettare i propri ritmi e, se sente che la stanchezza persiste o la preoccupa, valutare un supporto psicologico per consolidare il recupero e prevenire nuove ricadute. Non è debolezza, ma cura di sé.
Dott.ssa Claudia Sciorio
Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Salve, ha fatto una descrizione molto dettagliata e questo potrebbe essere una buona partenza per andare alla scoperta di quello che c'è "sotto" la sua tensione. Bisognerebbe andare a capire cosa la spinge ad avere tutto sotto controllo, da dove nasce questo bisogno e questi sintomi possono essere visti come segnali che il suo corpo sta inviando per segnalare dei bisogni che non sono visibili da una visione conscia. Le consiglio di iniziare un percorso, se posso indicare l'approccio, con un terapeuta sistemico relazionale, poiché vede il sintomo in chiave "relazionale" come espressione di un bisogno. Potrebbe iniziare anche con me, ma è libero di iniziarlo con chi vuole e soprattutto quando se la sente.
Buonasera, la ringrazio per aver condiviso un’esperienza che, per intensità e durata, sicuramente l’ha messa alla prova in profondità. Leggendo ciò che racconta, emerge con molta chiarezza quanto abbia spinto la sua mente e il suo corpo oltre il limite, in un periodo in cui la pressione accademica, la paura di fallire e il perfezionismo hanno lavorato insieme fino a creare una sorta di cortocircuito emotivo e fisico.

Quando parla di stanchezza costante, tensioni cervicali, sensazione di svenimento, mal di testa ricorrenti, episodi di ansia e momenti di derealizzazione, sta descrivendo un quadro che spesso si osserva proprio nei burnout da studio: è come se l’organismo, dopo mesi di iperattivazione, non riuscisse più a “spegnere l’allarme” che aveva mantenuto acceso per affrontare gli esami. E la sua paura di “sforzarsi” o di ricadere in quegli stati mostra quanto quel periodo sia stato vissuto come traumatico: una parte di Lei, oggi, è ancora in vigilanza, quasi fosse spaventata di tornare lì.

È molto comprensibile anche il fatto che il recupero non sia stato immediato: quando il sistema nervoso entra in uno stato di sovraccarico così intenso, ha bisogno di tempo, costanza e gentilezza per ritrovare un equilibrio. Non è un segno di fragilità, ma la naturale conseguenza di uno stress protratto. È un po’ come se avesse corso una maratona senza un vero allenamento e solo ora il corpo stesse cercando di recuperare il ritmo naturale.

Mi sembra anche che Lei, lentamente, stia già costruendo una strada di cura: ha ridotto la caffeina, ha eliminato l’alcol, sta ristabilendo un modo di studiare più sostenibile, e soprattutto riconosce i segnali del corpo invece di ignorarli. Questo è un passaggio fondamentale. Quando dice che oggi riesce a studiare senza panico, che la percezione della realtà è più stabile e che le tensioni si sono ridotte, descrive un percorso di guarigione che è in atto anche se procede a piccoli passi. A volte la mente è più lenta di quanto vorremmo nel ritrovare fiducia, ma ciò non significa che non lo farà.

Probabilmente la parte più importante, ora, è accogliere questa lentezza senza viverla come un fallimento. Dopo un burnout, la ripresa non è mai lineare: ci sono giornate in cui ci si sente di nuovo sé stessi, e altre in cui riaffiorano stanchezza o lievi ricadute. Ma questo andamento “a onde” è esattamente ciò che mostra che il sistema si sta riassestando. Rimango a disposizione, un saluto!
Dott.ssa Saida Alaya
Psicologo, Psicologo clinico, Neuropsicologo
Viterbo
Grazie per aver condiviso in modo così dettagliato la tua esperienza. Da ciò che descrivi emerge quanto il periodo di preparazione ai test sia stato intenso e prolungato, fino a generare un forte sovraccarico sia mentale che fisico. Quando per molto tempo ci si spinge oltre le proprie risorse – tra perfezionismo, mancanza di pause reali, sonno ridotto e timore costante di “non farcela” – il corpo e la mente iniziano a segnalare che il carico è diventato eccessivo: stanchezza persistente, tensioni muscolari, ansia, difficoltà di concentrazione o sensazioni di derealizzazione sono sintomi che spesso compaiono in queste fasi.

È comprensibile che, anche dopo aver superato il test, tu non abbia percepito un recupero immediato: quando lo stress è stato prolungato, è normale che il sistema nervoso impieghi più tempo a “riposizionarsi” su livelli di attivazione più equilibrati. Il fatto che oggi tu stia meglio, che riesca a studiare con maggiore serenità e che i sintomi fisici si siano ridotti, è un segnale importante di ripresa. Allo stesso tempo, una sensazione di stanchezza mentale residua o fasi altalenanti sono comuni e spesso fanno parte del processo di recupero.

Stai già mettendo in atto alcune strategie utili, come ridurre caffeina e alcol. Potresti trarre ulteriore beneficio dal lavorare su alcuni aspetti che spesso accompagnano l’affaticamento mentale, come: la gestione del perfezionismo,
organizzare lo studio con ritmi più sostenibili, alternando attività e pause realmente rigenerative; strategie per regolare l’ansia e il carico mentale;
riconnetterti gradualmente ad attività piacevoli e non performative.
Se dovessi percepire che la fatica mentale o gli episodi d’ansia faticano a ridursi del tutto, un percorso psicologico potrebbe aiutarti a comprendere meglio cosa ha contribuito al sovraccarico e a costruire strumenti personalizzati per prevenirne una ricomparsa, soprattutto in vista di nuovi periodi di studio impegnativi.
Dott.ssa Laura Elsa Varone
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Gentile utente,
Grazie per aver condiviso in modo chiaro e dettagliato la sua esperienza.
Comprendo perfettamente il disagio che ha attraversato. Il quadro sintomatologico da lei descritto, caratterizzato da un sovraccarico intenso che ha portato a sintomi fisici, ansia acuta, derealizzazione e perfezionismo, rappresenta una risposta emotiva e fisiologica significativa a un periodo di stress prolungato e intenso.
È importante riconoscere che il suo attuale decorso, con un recupero lento e caratterizzato da giorni migliori alternati a brevi ricadute, è assolutamente fisiologico e atteso. Il sistema mente-corpo necessita di tempo per riequilibrarsi dopo un impatto così forte. È molto positivo che lei stia notando miglioramenti significativi, come la capacità di studiare senza panico e una maggiore stabilità percettiva.
Le strategie che sta adottando autonomamente, come la riduzione di caffeina e alcol, sono ottime "best practices" per la gestione dell'ansia. Per consolidare ulteriormente il benessere e prevenire future ricadute, è fondamentale lavorare sulle dinamiche cognitive sottostanti, come il perfezionismo e la paura di sforzarsi, che possono mantenere un livello di attivazione latente.
Le suggerisco di considerare un percorso strutturato con un professionista della salute mentale per una valutazione de visu e per apprendere strumenti specifici di gestione dello stress e ristrutturazione cognitiva, al fine di supportare al meglio questo processo di recupero.
Cordiali saluti,
Gentile utente,
La ringrazio per aver condiviso la sua esperienza in modo così chiaro. Ciò che descrive è molto comprensibile e purtroppo sempre più frequente nei contesti accademici ad alta richiesta.
Periodi prolungati di studio intensivo, perfezionismo e forte pressione sul risultato possono portare a un vero e proprio sovraccarico psicofisico. In queste condizioni, mente e corpo tendono a parlare la stessa lingua. Stanchezza mentale, derealizzazione, tensioni muscolari, capogiri o ansia notturna sono spesso espressioni di uno stress che si è accumulato nel tempo.
Il fatto che, una volta passato il test, il recupero sia stato lento e non immediato è altrettanto normale. Quando il sistema nervoso è rimasto a lungo in uno stato di iperattivazione, ha bisogno di tempo e gradualità per tornare a un equilibrio. Il miglioramento che descrive oggi, maggiore stabilità, meno panico, riduzione dei sintomi fisici, va nella direzione giusta, anche se la stanchezza residua può persistere per un po’.
Ridurre stimolanti come caffeina e alcol è una scelta sensata. Accanto a questo, esistono strategie utili nei periodi più intensi: imparare a modulare lo sforzo, introdurre pause reali, lavorare sulla relazione con la performance e sviluppare modalità di gestione dello stress più sostenibili (ad esempio attraverso pratiche di consapevolezza o supporto psicologico).
Ciò che racconta non è insolito, ma segnala quanto il suo organismo abbia dato molto per lungo tempo. Continui ad ascoltarsi, senza forzare i tempi, e non esiti a chiedere un supporto mirato se sente che la fatica persiste.
Un caro saluto,
Dott. Alessandro Ocera
Dott.ssa Lucia Mattia
Psicologo, Psicologo clinico
Potenza
Salve, le consiglio di esplorare la sua ansia ed il suo perfezionismo in un percorso di sostegno psicologico.
Saluti
Dott.ssa Simona Santoni
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Buongiorno, grazie per aver condiviso in modo così dettagliato la tua esperienza. Da ciò che descrivi, il periodo che hai attraversato sembra effettivamente caratterizzato da un forte sovraccarico prolungato, con richieste elevate e pressione legata alla prestazione con pochi spazi di recupero.
In questi contesti può capitare che il corpo e la mente inizino a “segnalare” la fatica attraverso sintomi fisici e psicologici (come quelli che hai descritto)...
È importante sottolineare che il recupero da uno stato di esaurimento mentale non è immediato: spesso procede in modo graduale e non lineare, con giorni migliori alternati a momenti di maggiore vulnerabilità e difficoltà. Questo non indica una regressione ma fa parte del processo di riorganizzazione dopo un periodo di stress intenso. Il fatto che oggi tu riesca a studiare senza panico, con una percezione della realtà più stabile e sintomi fisici ridotti, è un segnale sicuramente positivo.
La paura di “sforzarti troppo” e di ricadere è comprensibile e molto comune dopo esperienze di questo tipo: spesso è proprio questa iper-attenzione ai segnali interni che può mantenere una sensazione di fragilità e di allerta. In questi casi può essere utile lavorare non solo sul riposo ma anche sul modo in cui ti rapporti alle richieste esterne, alle aspettative e ai limiti personali, imparando a riconoscere precocemente i segnali di sovraccarico, così da gestirli prima che diventino più "pesanti".
Ridurre caffeina e alcol è una scelta sensata in una fase di recupero.
Se però la stanchezza mentale residua o l’ansia dovessero persistere, un percorso di supporto psicologico potrebbe aiutarti a comprendere meglio cosa è accaduto, consolidare il recupero e prevenire future ricadute, soprattutto in vista di nuovi impegni accademici.

Un caro saluto,

Simona Santoni - Psicologa
Dott. Vincenzo Capretto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buonasera,
da quanto descrive il quadro è compatibile con un burnout da stress prolungato, legato a carico di studio intenso, perfezionismo e paura del fallimento.
I sintomi avuti (stanchezza, ansia, derealizzazione, tensioni fisiche) non indicano una perdita di controllo, ma una risposta del sistema nervoso al sovraccarico. Il recupero, in questi casi, è lento e altalenante, ed è normale avere giorni migliori e giorni peggiori.
I segnali attuali sono positivi: studia senza panico, i sintomi si sono ridotti, la percezione della realtà è stabile. Questo indica che il recupero è in corso. Spesso ciò che rallenta è la paura di sforzarsi e di ricadere, che mantiene una condizione di allerta.
La direzione utile ora è procedere gradualmente, con ritmi sostenibili e meno controllo sulla prestazione. Se la stanchezza residua o l’ansia persistono, un supporto psicologico può aiutare a prevenire ricadute.
In sintesi: situazione comprensibile, non allarmante, già in miglioramento, con tempi di recupero fisiologici. Non perda mai la speranza.
Cordiali saluti.
Salve, grazie per aver raccontato i quello che hai vissuto. Da quello che descrivi, il quadro è molto compatibile con un periodo di burnout legato allo studio, accompagnato da una forte attivazione ansiosa. In sintesi, emerge un organismo che è rimasto sotto pressione troppo a lungo.
Il carico di studio intenso, la paura di non farcela, il perfezionismo e gli impegni che ti costringevano a ritmi serrati hanno probabilmente tenuto il tuo sistema nervoso in uno stato di allerta costante. In queste condizioni è frequente sviluppare stanchezza mentale, tensioni muscolari, mal di testa, sensazioni di svenimento, episodi di ansia intensa e anche momenti di derealizzazione. Sono esperienze molto spiacevoli, ma comuni quando lo stress diventa cronico.
Il fatto che, anche dopo il test, il recupero sia stato lento è del tutto normale. Dopo mesi di iperattivazione non basta fermarsi all’improvviso perché tutto torni subito a posto. Spesso il miglioramento procede a fasi, con giorni buoni e altri più faticosi, e questo non significa che tu stia peggiorando. Anzi, il fatto che oggi tu riesca a studiare senza panico, che la percezione della realtà sia più stabile e che le tensioni fisiche si siano ridotte è un segnale chiaro che stai andando nella direzione giusta.
La stanchezza mentale residua e la paura di “sforzarti” troppo sono comprensibili e fanno spesso parte della fase finale del recupero. Hai fatto bene a ridurre caffeina e alcol, perché possono mantenere l’attivazione. In questo momento può essere utile puntare su ritmi regolari, pause vere, e su un ritorno graduale allo studio e alle attività piacevoli, evitando di controllare continuamente come ti senti.
Se dovessi avere la sensazione di rimanere bloccato o se l’ansia notturna dovesse continuare, un supporto psicologico potrebbe aiutarti a consolidare il recupero e a lavorare su aspetti come il perfezionismo e la paura di ricadere. In sintesi, quello che hai vissuto è comprensibile, reversibile e già in miglioramento: la lentezza del recupero non è un segno di fragilità, ma una normale risposta dopo un periodo di forte sovraccarico.
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buongiorno, da ciò che racconta emerge in modo molto chiaro quanto sia stato impegnativo e logorante il periodo che ha attraversato. Non solo per la quantità di studio, ma per il livello di pressione mentale costante, per la paura di fallire e per l’attenzione continua alle prestazioni. Quando una persona resta a lungo in uno stato di allerta, cercando di controllare tutto e spingendosi oltre i propri limiti, il corpo e la mente prima o poi chiedono di fermarsi. Quello che lei descrive non ha nulla di strano o di “sbagliato”: è una reazione umana a un sovraccarico prolungato. I sintomi che ha vissuto, come la stanchezza persistente, le tensioni fisiche, le sensazioni di irrealtà, l’ansia improvvisa e la paura di perdere il controllo, sono spesso il linguaggio con cui il sistema nervoso segnala che è stato troppo sotto sforzo per troppo tempo. Non indicano che la mente si sia rovinata o che qualcosa si sia rotto, ma che ha funzionato a un regime troppo alto per un periodo prolungato. Quando poi l’impegno intenso finisce, come nel suo caso dopo il test, non sempre il recupero è immediato. Anzi, spesso avviene l’opposto: il corpo rallenta, ma la mente resta ancora in allerta, come se non avesse ancora “capito” che il pericolo è passato. Il fatto che lei abbia notato un miglioramento, anche se graduale, è un segnale importante. Riuscire a studiare senza panico, sentire la realtà più stabile, avere meno tensioni fisiche indica che il sistema sta recuperando. Il recupero lento, però, può spaventare e alimentare il dubbio che qualcosa non torni più come prima. Questo timore è molto comune e spesso diventa esso stesso un fattore che rallenta il processo, perché mantiene una parte di attenzione costantemente puntata su come ci si sente, su ogni minima variazione, su ogni segnale del corpo. È comprensibile anche la paura di sforzarsi, di ricadere in quegli stati. Dopo un’esperienza così intensa, è come se la mente fosse diventata iperprotettiva: cerca di evitare qualunque cosa possa riportarla lì. Il problema è che, nel tentativo di proteggersi, può finire per interpretare la normale stanchezza o le normali oscillazioni dell’umore come segnali di pericolo. Questo non significa che lei stia peggiorando, ma che sta ancora imparando a fidarsi di nuovo delle sue risorse. Il fatto che abbia ridotto stimolanti e alcol mostra una grande attenzione verso di sé e una volontà di ascoltarsi. Allo stesso tempo, è importante che il recupero non diventi una corsa alla “perfezione del benessere”. Anche sentirsi ancora un po’ stanchi, avere giornate meno brillanti o momenti di calo non vuol dire essere indietro o non guarire abbastanza in fretta. Il recupero, soprattutto dopo un periodo di ipercontrollo e pressione, è fatto di piccoli passi e di oscillazioni. Forse il punto centrale, ora, non è chiedersi quando tornerà esattamente come prima, ma iniziare a costruire un rapporto diverso con i suoi limiti. Non quelli imposti dalla stanchezza, ma quelli che le permettono di studiare, impegnarsi e crescere senza dover dimostrare continuamente qualcosa o tenere tutto sotto controllo. La mente che oggi le sembra ancora un po’ affaticata non è una mente fragile, ma una mente che ha lavorato molto e che sta lentamente ricaricando le energie. Si conceda il tempo che serve, senza misurare ogni giorno i progressi. Il fatto che lei oggi sia più stabile, più consapevole dei segnali del corpo e meno in balia dell’ansia è già una base solida. La ripresa non è una linea retta, ma una curva dolce. E da ciò che scrive, sembra proprio che lei abbia già imboccato quella direzione. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Ciao, dopo un periodo così denso di stress è normale che la mente ci metta tempo a riprendersi, è come se non avesse ancora percepito che il "pericolo" per cui era in allerta è passato, quindi per ora avverte solo che gli stimoli sono diminuiti, ma resta vigile in attesa di un nuovo sprint. Purtroppo ci vuole tempo, tempo e compensazione: non solo attività a basso sforzo mentale, ma che stimolino aree diverse, sensoriali. Il mio consiglio è di muoverti per stimolare la produzione di neurotrasmettitori che migliorino l'umore senza ricorrere ad attività mentalmente impegnative. Un saluto
Dr. Mauro Terracciano
Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Gentile utente, grazie per aver condiviso la sua situazione.
Da ciò che descrive emerge un quadro coerente con un forte sovraccarico prolungato, in cui la mente è rimasta per molto tempo in uno stato di allerta e prestazione continua, senza reali spazi di recupero. Quando questo accade, non è raro che compaiano sintomi fisici, ansia intensa, sensazioni di irrealtà e la paura stessa di “sforzarsi”, come se la mente non fosse più affidabile. Non è un cedimento improvviso, ma il risultato di una pressione accumulata nel tempo.

Il fatto che oggi lei stia meglio, studi senza panico e percepisca maggiore stabilità indica che il processo di recupero è in atto, anche se più lento di quanto si vorrebbe. Dopo periodi di ipercontrollo e perfezionismo, il recupero raramente è immediato o lineare. Spesso procede per oscillazioni, con miglioramenti e brevi ricadute, che non rappresentano un ritorno al punto di partenza ma una fase di assestamento.

Ritengo importante non sottovalutare questo momento. Se il recupero viene vissuto con eccessiva vigilanza o con la paura di “ricadere”, il rischio è che la mente rimanga bloccata in una modalità di controllo che rallenta ulteriormente il ripristino delle energie. Dare significato a ciò che è accaduto ora è fondamentale per evitare che questa esperienza lasci una traccia di insicurezza sul suo funzionamento mentale o sulla fiducia nelle sue capacità.

Prenoti un primo colloquio gratuito per esplorare i suoi vissuti, ricevere un primo parere professionale e valutare i passi successivi.
Per ogni eventuale approfondimento sono a sua disposizione, anche online.

Un caro saluto,
Dott. Mauro Terracciano.
Dr. Francesco Rossi
Psicologo, Psicologo clinico
Ozzano dell'Emilia
Salve, in questi casi, nonostante l'ottimo lavoro su di sé che ha fatto fino ad ora in autonomia, suggerirei un percorso psicologico con uno Psicologo Clinico o uno Psicoterapeuta che possano aiutarla a gestire in modo ancora più sano ed equilibrato le priorità della sua vita e ciò che suscitano in lei.
Saluti.
Dr. Francesco Rossi.
Dott. Diego Ferrara
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Quarto
Salve,

pensi alla possibilità di affidarsi ad uno specialista; una attenta valutazione diagnostica potrebbe consentirle di ricevere il giusto supporto per la situazione che sta vivendo.

Cordiali saluti
Dott. Diego Ferrara
Da quello che racconti emerge un’esperienza di burnout in cui il tuo sistema ha retto a lungo, finché l’eccesso di richiesta e di controllo ha superato la soglia di tolleranza. In questi momenti l’ansia non è solo un sintomo, ma il segnale di un organismo che prova a proteggersi, e la derealizzazione può comparire proprio come risposta transitoria a un sovraccarico prolungato.
Il recupero, in queste condizioni, raramente è lineare: alternare giorni di maggiore lucidità ad altri di stanchezza è parte di un processo di riassestamento più profondo, non un fallimento. La lentezza che percepisci non indica che “qualcosa non torni”, ma che la tua mente sta imparando di nuovo a fidarsi dei propri ritmi senza forzature. Continuare ad ascoltare questi segnali, più che combatterli, è spesso ciò che permette un ritorno stabile all’equilibrio.
Dott.ssa Veronica Savio
Psicologo, Psicologo clinico
Medolla
Gentile utente,
da ciò che racconta emerge il quadro di una mente che, per molto tempo, ha retto oltre misura, finché il corpo e il pensiero hanno chiesto insieme una tregua. Non come cedimento, ma come segnale. Quando si vive a lungo in uno stato di allerta, di controllo e di perfezionismo, il recupero raramente è immediato: è più simile a una convalescenza silenziosa, fatta di passi piccoli, di oscillazioni, di giorni “quasi come prima” alternati ad altri più lenti.
Il fatto che oggi lei riesca a studiare senza panico, che la realtà le appaia più stabile e che i sintomi fisici si siano attenuati, ci dice che il processo è in corso. La lentezza che ora la preoccupa non è un’anomalia, ma spesso parte del percorso: la mente, dopo essere stata spinta a lungo, ha bisogno di tempo per tornare a fidarsi di sé stessa e delle proprie energie.
La paura di sforzarsi, più che un limite, è spesso il residuo di un’esperienza intensa: una sorta di memoria del sovraccarico. Non va forzata, ma ascoltata e accompagnata, aiutando il sistema a riscoprire gradualmente che può impegnarsi senza rompersi. Le scelte che ha fatto — ridurre stimolanti, rispettare i segnali del corpo — vanno proprio in questa direzione.
Più che domandarsi “perché non sono ancora come prima”, può essere utile chiedersi: “che ritmo nuovo sto imparando?”. A volte non si torna esattamente indietro, ma si va avanti in modo diverso, più sostenibile. E questo, nel tempo, diventa una risorsa.
Rimango a disposizione per qualunque chiarimento.
Dott.ssa Veronica Savio
Dott.ssa Tania Zedda
Psicologo, Psicologo clinico
Quartu Sant'Elena
Buongiorno, grazie per aver condiviso un’esperienza così dettagliata e onesta. Si sente quanto tu abbia dato tutto, forse anche oltre il tuo limite.
Da ciò che racconti, quello che hai vissuto è molto compatibile con un burnout da sovraccarico mentale e perfezionismo. Il corpo e la mente hanno retto finché hanno potuto, poi hanno iniziato a mandare segnali chiari: stanchezza profonda, tensioni fisiche, ansia, derealizzazione, paura di “non essere più come prima”.
Un aspetto importante è che il recupero da questi stati non è mai immediato. Anche quando lo stressor principale (il test) finisce, il sistema nervoso impiega tempo per tornare a una piena regolazione. Il fatto che oggi tu riesca a studiare, che l’ansia sia più gestibile e i sintomi fisici ridotti indica che sei sulla strada giusta, anche se lenta.
La paura di ricadere spesso rallenta il recupero più del carico stesso. Continuare a rispettare i tuoi ritmi, ridurre stimolanti come stai già facendo e normalizzare le oscillazioni può aiutarti molto. Non stai “restando indietro”: stai guarendo.
Dott.ssa Teresita Forlano
Psicologo, Sessuologo, Psicoterapeuta
Roma
Buona sera, potrebbero esserle d'aiuto dei colloqui con uno psicologo, se interessato. L'aiuterebbero a capire cosa possa essere accaduto e, cosa poter fare per riprendersi in modo adeguato ed efficiente.
Un saluto, dottoressa Teresita Forlano

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