Buongiorno, Sono una ragazza di quasi 28 anni. Il mio messaggio potrebbe sembrare un po’ strano o
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Buongiorno,
Sono una ragazza di quasi 28 anni.
Il mio messaggio potrebbe sembrare un po’ strano o inutile ma sento il bisogno di un confronto professionale, anche se timido e iniziale.
Sono sempre stata una persona molto insicura e ansiosa, ricordo periodi della mia adolescenza particolarmente pesanti.
La situazione post covid è peggiorata.
Dal 2021 mi sembra di sopravvivere.
Prima del covid stavo per finire l’università, avevo diversi gruppi di amici, mi piaceva uscire avevo anche un lavoretto.
Ricordo comunque di non essere stata la persona più serena del mondo ma stavo bene.
Dopo il covid è tutto cambiato e in peggio.
Nel 2022 avevo finalmente trovato un altro lavoro più serio ma era particolarmente stressante e l’ho lasciato dopo sei mesi, in quel periodo ho iniziato un percorso di terapia.
Qualche mese dopo ho iniziato un nuovo lavoro che mi piaceva, avevo ricominciato a studiare ma facevo ancora fatica per quanto riguarda la vita sociale.
Nel corso degli ultimi anni ho perso molte amicizie.
Nel 2023 alla scadenza del contratto non mi viene rinnovato, da lì inizia un baratro ancora più profondo.
Dopo anche aver vissuto alcuni lutti in famiglia mi sono chiusa di più in me stessa. Non esco quasi mai di casa, non riesco a trovare un nuovo lavoro e faccio molta fatica a studiare.
Ho sospettato per molto tempo di soffrire di depressione o qualcosa di simile.
Tra il 2022 e l’inizio del 2024 ho fatto un percorso di terapia. Inizialmente è stata una manna dal cielo. Mi sono ripresa e rimessa in gioco anche se in maniera davvero molto timida.
Con il tempo però avevo sempre meno voglia di andare alle sedute anche se ero consapevole di non stare bene.
Adesso non ho più voglia di fare niente.
Non ho voglia di uscire di casa, passo giornate se non settimane intere in cui al massimo vado in giardino. Non riesco a studiare ma ci provo tutto il giorno.
Non ho voglia di vedere i miei amici durante il 2024 li ho visti solo 3/4 volte (diverse gruppi e persone ma davvero poche volte).
Avevo qualche hobby o interesse come la scrittura, la musica, serie tv ma adesso quasi più niente riesce a darmi gioia tranne quelle rare volte in cui scopro qualcosa magari di nuovo mi fisso per qualche giorno e poi smetto (mi è successo di recente con dei racconti. Per 3/4 giorni continuavo quasi senza sosta a leggere ma adesso è come se volessi farlo ma allo stesso tempo mi annoiasse).
Non riesco a capire se quello che provo è pigrizia, stanchezza o altro, a volte mi sembra di cercare una scusa perché a quasi trent’anni mi sento una fallita che non ha concluso niente.
Molte persone hanno già un lavoro e un contratto indeterminato, un compagno o compagna con cui convivere, comprare casa e mettersi su famiglia. Io niente di tutto questo.
Poco tempo fa mi sono confrontata con alcuni specialisti che hanno ipotizzato io possa soffrire di disturbo ossessivo compulsivo (per la presenza di diversi pensieri intrusivi, credo) o che abbia subito un trauma (secondario).
Ho molti brutti pensieri e non riesco a uscire da questa “sopravvivenza”.
Sono consapevole che la terapia sarebbe fondamentale ma non so se sono pronta o paura di essere giudicata che l’altra persona possa pensare: “su questa mia paziente è una fallita che cerca di nascondersi dietro la sua salute mentale” e sicuramente ora non posso permetterla dal punto di vista economico.
La mia domanda comunque riguarda la mia situazione generale, in futuro se iniziassi un percorso di terapia dovrei far presente queste ipotesi al mio terapeuta? O sembrerei una paziente ipocondriaca che si diagnostica di tutto forse per giustificare scelte sbagliate e azioni non compiute?
Spero di essermi spiegata bene.
Ringrazio chiunque mi legga.
Ringrazio anche in anticipo chi vorrà rispondermi.W.
Sono una ragazza di quasi 28 anni.
Il mio messaggio potrebbe sembrare un po’ strano o inutile ma sento il bisogno di un confronto professionale, anche se timido e iniziale.
Sono sempre stata una persona molto insicura e ansiosa, ricordo periodi della mia adolescenza particolarmente pesanti.
La situazione post covid è peggiorata.
Dal 2021 mi sembra di sopravvivere.
Prima del covid stavo per finire l’università, avevo diversi gruppi di amici, mi piaceva uscire avevo anche un lavoretto.
Ricordo comunque di non essere stata la persona più serena del mondo ma stavo bene.
Dopo il covid è tutto cambiato e in peggio.
Nel 2022 avevo finalmente trovato un altro lavoro più serio ma era particolarmente stressante e l’ho lasciato dopo sei mesi, in quel periodo ho iniziato un percorso di terapia.
Qualche mese dopo ho iniziato un nuovo lavoro che mi piaceva, avevo ricominciato a studiare ma facevo ancora fatica per quanto riguarda la vita sociale.
Nel corso degli ultimi anni ho perso molte amicizie.
Nel 2023 alla scadenza del contratto non mi viene rinnovato, da lì inizia un baratro ancora più profondo.
Dopo anche aver vissuto alcuni lutti in famiglia mi sono chiusa di più in me stessa. Non esco quasi mai di casa, non riesco a trovare un nuovo lavoro e faccio molta fatica a studiare.
Ho sospettato per molto tempo di soffrire di depressione o qualcosa di simile.
Tra il 2022 e l’inizio del 2024 ho fatto un percorso di terapia. Inizialmente è stata una manna dal cielo. Mi sono ripresa e rimessa in gioco anche se in maniera davvero molto timida.
Con il tempo però avevo sempre meno voglia di andare alle sedute anche se ero consapevole di non stare bene.
Adesso non ho più voglia di fare niente.
Non ho voglia di uscire di casa, passo giornate se non settimane intere in cui al massimo vado in giardino. Non riesco a studiare ma ci provo tutto il giorno.
Non ho voglia di vedere i miei amici durante il 2024 li ho visti solo 3/4 volte (diverse gruppi e persone ma davvero poche volte).
Avevo qualche hobby o interesse come la scrittura, la musica, serie tv ma adesso quasi più niente riesce a darmi gioia tranne quelle rare volte in cui scopro qualcosa magari di nuovo mi fisso per qualche giorno e poi smetto (mi è successo di recente con dei racconti. Per 3/4 giorni continuavo quasi senza sosta a leggere ma adesso è come se volessi farlo ma allo stesso tempo mi annoiasse).
Non riesco a capire se quello che provo è pigrizia, stanchezza o altro, a volte mi sembra di cercare una scusa perché a quasi trent’anni mi sento una fallita che non ha concluso niente.
Molte persone hanno già un lavoro e un contratto indeterminato, un compagno o compagna con cui convivere, comprare casa e mettersi su famiglia. Io niente di tutto questo.
Poco tempo fa mi sono confrontata con alcuni specialisti che hanno ipotizzato io possa soffrire di disturbo ossessivo compulsivo (per la presenza di diversi pensieri intrusivi, credo) o che abbia subito un trauma (secondario).
Ho molti brutti pensieri e non riesco a uscire da questa “sopravvivenza”.
Sono consapevole che la terapia sarebbe fondamentale ma non so se sono pronta o paura di essere giudicata che l’altra persona possa pensare: “su questa mia paziente è una fallita che cerca di nascondersi dietro la sua salute mentale” e sicuramente ora non posso permetterla dal punto di vista economico.
La mia domanda comunque riguarda la mia situazione generale, in futuro se iniziassi un percorso di terapia dovrei far presente queste ipotesi al mio terapeuta? O sembrerei una paziente ipocondriaca che si diagnostica di tutto forse per giustificare scelte sbagliate e azioni non compiute?
Spero di essermi spiegata bene.
Ringrazio chiunque mi legga.
Ringrazio anche in anticipo chi vorrà rispondermi.W.
Buongiorno gentile Utente, la sua è una richiesta tutt’altro che inutile. È una testimonianza lucida, intensa e profondamente umana di un vissuto fatto di sofferenza, di ricerca e anche di desiderio di comprensione. In mezzo a tutto ciò che sta attraversando, il fatto stesso che abbia trovato la forza di scrivere questo messaggio rappresenta un atto di coraggio e di volontà, che merita attenzione e rispetto.
Quello che descrive non è pigrizia, né è il segno di un fallimento personale. La stanchezza, la chiusura, la perdita di interesse e la fatica nel mantenere una routine quotidiana non sono caratteristiche di una persona “debole” o “sbagliata”, ma sintomi che possono far parte di un quadro depressivo, di un’esperienza dissociativa o, come ipotizzato dagli specialisti che ha consultato, anche di un disturbo ossessivo-compulsivo o di una sofferenza post-traumatica. Sono condizioni cliniche serie, ma anche trattabili, affrontabili, e che non definiscono il suo valore come persona.
Il confronto con gli altri, con la loro apparente “normalità” e i traguardi raggiunti, può diventare uno specchio distorto. È comprensibile sentirsi in ritardo, sentirsi “fuori”, ma la verità è che ogni persona ha il proprio tempo e il proprio percorso. E nel suo percorso ci sono stati momenti di resilienza, di ritorno alla terapia, di piccoli rilanci. Anche adesso, nonostante tutto, c’è dentro di lei una parte che cerca ancora di capire, che desidera tornare a sentire qualcosa di bello, che si interroga. Non è poco.
È assolutamente legittimo che lei, nel momento in cui tornerà in terapia, porti con sé tutte queste ipotesi e riflessioni. Non è sintomo di ipocondria, né un modo per giustificarsi. È un modo per comunicare ciò che ha sentito su di sé, per dare al terapeuta delle coordinate, dei segnali che potranno essere esplorati insieme. Un terapeuta formato ed empatico non giudica, non guarda al paziente come a una persona che “si nasconde”, ma piuttosto come a qualcuno che cerca, che si confronta, che a modo suo sta provando a non spegnersi. Il compito della terapia non è emettere sentenze, ma offrire uno spazio sicuro dove poter riprendere in mano la propria storia, con gradualità e rispetto dei tempi.
Le difficoltà economiche sono un ostacolo concreto, ma esistono anche servizi pubblici, centri convenzionati, o percorsi agevolati che possono essere valutati. In alcuni casi è possibile anche considerare l’avvio di percorsi a distanza, che spesso permettono maggiore flessibilità nei costi e negli orari.
Lei non è una fallita. È una persona che sta attraversando un momento duro, e che sta ancora cercando una via per non perdersi. Questo, più di tutto, merita ascolto e sostegno.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Quello che descrive non è pigrizia, né è il segno di un fallimento personale. La stanchezza, la chiusura, la perdita di interesse e la fatica nel mantenere una routine quotidiana non sono caratteristiche di una persona “debole” o “sbagliata”, ma sintomi che possono far parte di un quadro depressivo, di un’esperienza dissociativa o, come ipotizzato dagli specialisti che ha consultato, anche di un disturbo ossessivo-compulsivo o di una sofferenza post-traumatica. Sono condizioni cliniche serie, ma anche trattabili, affrontabili, e che non definiscono il suo valore come persona.
Il confronto con gli altri, con la loro apparente “normalità” e i traguardi raggiunti, può diventare uno specchio distorto. È comprensibile sentirsi in ritardo, sentirsi “fuori”, ma la verità è che ogni persona ha il proprio tempo e il proprio percorso. E nel suo percorso ci sono stati momenti di resilienza, di ritorno alla terapia, di piccoli rilanci. Anche adesso, nonostante tutto, c’è dentro di lei una parte che cerca ancora di capire, che desidera tornare a sentire qualcosa di bello, che si interroga. Non è poco.
È assolutamente legittimo che lei, nel momento in cui tornerà in terapia, porti con sé tutte queste ipotesi e riflessioni. Non è sintomo di ipocondria, né un modo per giustificarsi. È un modo per comunicare ciò che ha sentito su di sé, per dare al terapeuta delle coordinate, dei segnali che potranno essere esplorati insieme. Un terapeuta formato ed empatico non giudica, non guarda al paziente come a una persona che “si nasconde”, ma piuttosto come a qualcuno che cerca, che si confronta, che a modo suo sta provando a non spegnersi. Il compito della terapia non è emettere sentenze, ma offrire uno spazio sicuro dove poter riprendere in mano la propria storia, con gradualità e rispetto dei tempi.
Le difficoltà economiche sono un ostacolo concreto, ma esistono anche servizi pubblici, centri convenzionati, o percorsi agevolati che possono essere valutati. In alcuni casi è possibile anche considerare l’avvio di percorsi a distanza, che spesso permettono maggiore flessibilità nei costi e negli orari.
Lei non è una fallita. È una persona che sta attraversando un momento duro, e che sta ancora cercando una via per non perdersi. Questo, più di tutto, merita ascolto e sostegno.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
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Salve, dalla sua storia mi arriva forte la sofferenza di questo periodo difficile che sta passando. Come lei già ha anticipato potrebbe essere di aiuto riprendere un percorso terapeutico, se ha difficoltà economiche valutare anche di andare al CSM di pertinenza o in associazioni che fanno prezzi sociali. Per quanto riguarda la sua paura di essere giudicato dal terapeuta è qualcosa che è importante rimandare in seduta, come qualsiasi altro vissuto che prova.
Cordiali saluti,
Dott. Gabriele Boccardi
Cordiali saluti,
Dott. Gabriele Boccardi
Cara W.,
innanzitutto, grazie per aver condiviso con così tanta sincerità e lucidità il tuo vissuto. Il tuo messaggio non è affatto “strano” o “inutile”: è la testimonianza di un dolore reale, profondo e articolato, e già il fatto che tu lo abbia voluto esprimere con così tanta chiarezza è un passo significativo.
Quello che descrivi – la sensazione di “sopravvivere”, la perdita di motivazione, il ritiro sociale, l’incapacità di provare piacere per ciò che un tempo ti interessava, il senso di fallimento rispetto alle aspettative sociali – è il ritratto di una sofferenza psicologica importante, che merita attenzione e rispetto. L’insicurezza, l’ansia, la fatica nel riprendere in mano la propria vita dopo eventi stressanti e traumatici (come il post-pandemia, il lutto, la perdita del lavoro, ecc.) non sono colpe o debolezze, ma segnali che la mente sta chiedendo aiuto.
È assolutamente normale e, anzi, consigliato che una persona porti in terapia i propri dubbi, anche su eventuali diagnosi ipotizzate da altri professionisti o percepite da sé stessa. Raccontare ciò che si è osservato di sé, anche in forma di ipotesi, non significa essere ipocondriaci, ma essere consapevoli e desiderosi di comprendere meglio il proprio funzionamento. Un terapeuta serio e preparato non giudicherà queste riflessioni come un tentativo di “giustificarsi”, ma le accoglierà come punti di partenza per un percorso più mirato e profondo.
I tuoi pensieri e timori sono comprensibili, ma non sei sola, e soprattutto non sei sbagliata. Non c’è un’età giusta entro cui "aver concluso qualcosa", né un unico modo corretto di vivere la vita. Ogni persona ha il proprio percorso, fatto di sfide, di pause, di ripartenze.
Ti incoraggio, quando ti sentirai pronta, a cercare un sostegno psicologico anche attraverso soluzioni a basso costo o servizi pubblici, perché meriti uno spazio in cui sentirti accolta, ascoltata e compresa, senza giudizio.
Sarebbe utile e consigliato per approfondire quanto hai condiviso, rivolgersi a uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
innanzitutto, grazie per aver condiviso con così tanta sincerità e lucidità il tuo vissuto. Il tuo messaggio non è affatto “strano” o “inutile”: è la testimonianza di un dolore reale, profondo e articolato, e già il fatto che tu lo abbia voluto esprimere con così tanta chiarezza è un passo significativo.
Quello che descrivi – la sensazione di “sopravvivere”, la perdita di motivazione, il ritiro sociale, l’incapacità di provare piacere per ciò che un tempo ti interessava, il senso di fallimento rispetto alle aspettative sociali – è il ritratto di una sofferenza psicologica importante, che merita attenzione e rispetto. L’insicurezza, l’ansia, la fatica nel riprendere in mano la propria vita dopo eventi stressanti e traumatici (come il post-pandemia, il lutto, la perdita del lavoro, ecc.) non sono colpe o debolezze, ma segnali che la mente sta chiedendo aiuto.
È assolutamente normale e, anzi, consigliato che una persona porti in terapia i propri dubbi, anche su eventuali diagnosi ipotizzate da altri professionisti o percepite da sé stessa. Raccontare ciò che si è osservato di sé, anche in forma di ipotesi, non significa essere ipocondriaci, ma essere consapevoli e desiderosi di comprendere meglio il proprio funzionamento. Un terapeuta serio e preparato non giudicherà queste riflessioni come un tentativo di “giustificarsi”, ma le accoglierà come punti di partenza per un percorso più mirato e profondo.
I tuoi pensieri e timori sono comprensibili, ma non sei sola, e soprattutto non sei sbagliata. Non c’è un’età giusta entro cui "aver concluso qualcosa", né un unico modo corretto di vivere la vita. Ogni persona ha il proprio percorso, fatto di sfide, di pause, di ripartenze.
Ti incoraggio, quando ti sentirai pronta, a cercare un sostegno psicologico anche attraverso soluzioni a basso costo o servizi pubblici, perché meriti uno spazio in cui sentirti accolta, ascoltata e compresa, senza giudizio.
Sarebbe utile e consigliato per approfondire quanto hai condiviso, rivolgersi a uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Buongiorno. rispondo direttamente alla tua domanda dicendoti che è bene parlare di tutto questo al tuo futuro terapeuta. In un percorso psicologico devi sempre sentirti libera di esprimere ciò che vuoi rispettando anche i tuoi tempi. Nulla deve farti sentire costretta a parlare di qualcosa se per te non è ancora arrivato il momento giusto per affrontare quell'argomento. Inoltre, per quanto riguarda il "giudizio", uno psicologo non giudicherà mai le tue scelte o quello che sei, ciò andrebbe contro il suo stesso lavoro. Il ruolo del professionista è quello di aiutarti a comprendere quello che vivi e accompagnarti nel modificare ciò che a te non piace o non ti fa vivere serenamente. Il presupposto principale per far sì che la terapia possa avere inizio è sentirti a tuo agio con il terapeuta che sceglierai.
Buongiorno gentile utente, grazie per aver posto la sua domanda.
Innanzitutto, sebbene potrà sembrarle scontato, mi lasci dire che non c'è nulla di assurdo in quello che riferisce e che un professionista serio non arriverebbe a fare un pensiero come quello che lei ha ipotizzato, se non altro perché il suo lavoro è quello di comprendere il malessere delle persone che decidono di affidarsi a lui senza giudizio. E' vero che spesso nella nostra società i giudizi sono gratuiti e chi non è conforme a determinati standard è più soggetto al rifiuto, ma la verità è che ognuno ha un suo tempo e luogo per realizzare determinate tappe della vita, e che queste non necessariamente devono essere convenzionali (ad esempio c'è chi non si sposa mai!) dipende dai propri obiettivi specifici.
Premesso tutto questo, a mio avviso è importante che con il suo terapeuta lei possa essere quanto più aperta e a suo agio possibile nell'esprimere tutti i suoi dubbi e ipotesi. Immagino non sia facile nè immediato per lei, ma ricordi che spesso i giudizi peggiori vengono da noi stessi.
Le auguro di trovare un professionista che possa farla sentire a suo agio in questo e che lei possa iniziare un percorso soddisfacente.
Buona giornata
Innanzitutto, sebbene potrà sembrarle scontato, mi lasci dire che non c'è nulla di assurdo in quello che riferisce e che un professionista serio non arriverebbe a fare un pensiero come quello che lei ha ipotizzato, se non altro perché il suo lavoro è quello di comprendere il malessere delle persone che decidono di affidarsi a lui senza giudizio. E' vero che spesso nella nostra società i giudizi sono gratuiti e chi non è conforme a determinati standard è più soggetto al rifiuto, ma la verità è che ognuno ha un suo tempo e luogo per realizzare determinate tappe della vita, e che queste non necessariamente devono essere convenzionali (ad esempio c'è chi non si sposa mai!) dipende dai propri obiettivi specifici.
Premesso tutto questo, a mio avviso è importante che con il suo terapeuta lei possa essere quanto più aperta e a suo agio possibile nell'esprimere tutti i suoi dubbi e ipotesi. Immagino non sia facile nè immediato per lei, ma ricordi che spesso i giudizi peggiori vengono da noi stessi.
Le auguro di trovare un professionista che possa farla sentire a suo agio in questo e che lei possa iniziare un percorso soddisfacente.
Buona giornata
Buongiorno. A trent'anni si è in un momento particolare della vita, è normale fare bilanci su ciò che si è costruito e molto spesso si va incontro ad un vero e proprio periodo di crisi.
Se deciderà di intraprendere un percorso psicologico potrà valutare di iniziare online, nel caso in cui non se la senta o non abbia la forza di uscire di casa, inoltre, da come leggo, se una delle cause che la bloccano sull'inizio di un percorso è una problematica di tipo economico, può provare ad esporre la problematica al collega che sceglierà, alcuni psicologi o psicoterapeuti, come la sottoscritta, sono disposti a venire incontro al paziente, ove possibile. Inoltre, un professionista non avrà mai un pensiero giudicante nei suoi confronti. La relazione terapeutica paziente-psicologo, che è indispensabile per la buona riuscita di un percorso psicologico, deve essere assolutamente un luogo in cui il paziente si senta libero di comunicare ogni cosa perchè è uno spazio protetto e privo di ogni giudizio e pregiudizio. Se lei riuscirà a instaurare un rapporto di fiducia con lo psicologo che sceglierà e deciderà di esternare le ipotesi che lei ha fatto su stessa, queste potranno esserle confermate o smentite dallo psicologo stesso. Ritengo che nessun paziente sia un fallito, anzi per riconoscere di aver bisogno di aiuto ci vuole coraggio, di conseguenza, anche solo per questo motivo agli occhi dello psicologo non sarà mai un fallimento.
Lei sarà libera di scegliere se e quando dire i pensieri che si è fatta su di lei e sulla sua situazione, quando lo farà è perchè avrà completa fiducia nel professionista che ha scelto. Se il professionista che scegliere non le ispira fiducia o non riesce ad instaurare una buona relazione è libera di cambiare. Troverà la persona che ritiene più adatta a lei e, a quel punto, si accorgerà di non avere più paura di essere giudicata.
Se deciderà di intraprendere un percorso psicologico potrà valutare di iniziare online, nel caso in cui non se la senta o non abbia la forza di uscire di casa, inoltre, da come leggo, se una delle cause che la bloccano sull'inizio di un percorso è una problematica di tipo economico, può provare ad esporre la problematica al collega che sceglierà, alcuni psicologi o psicoterapeuti, come la sottoscritta, sono disposti a venire incontro al paziente, ove possibile. Inoltre, un professionista non avrà mai un pensiero giudicante nei suoi confronti. La relazione terapeutica paziente-psicologo, che è indispensabile per la buona riuscita di un percorso psicologico, deve essere assolutamente un luogo in cui il paziente si senta libero di comunicare ogni cosa perchè è uno spazio protetto e privo di ogni giudizio e pregiudizio. Se lei riuscirà a instaurare un rapporto di fiducia con lo psicologo che sceglierà e deciderà di esternare le ipotesi che lei ha fatto su stessa, queste potranno esserle confermate o smentite dallo psicologo stesso. Ritengo che nessun paziente sia un fallito, anzi per riconoscere di aver bisogno di aiuto ci vuole coraggio, di conseguenza, anche solo per questo motivo agli occhi dello psicologo non sarà mai un fallimento.
Lei sarà libera di scegliere se e quando dire i pensieri che si è fatta su di lei e sulla sua situazione, quando lo farà è perchè avrà completa fiducia nel professionista che ha scelto. Se il professionista che scegliere non le ispira fiducia o non riesce ad instaurare una buona relazione è libera di cambiare. Troverà la persona che ritiene più adatta a lei e, a quel punto, si accorgerà di non avere più paura di essere giudicata.
Buon pomeriggio W., dovrei conoscerla meglio per poter dare un parere più approfondito, però vorrei subito rimandarle che non è una "fallita che cerca di nascondersi dietro la sua salute mentale", nè penso che lei abbia da giustificare chissà quali scelte sbagliate o azioni non compiute.
Sicuramente, percepisco dal suo racconto una sofferenza tale che l'ha condotta a fare determinate scelte ed in un certo modo, ma non c'è giusto e sbagliato in questo. C'è quello che ha potuto fare, e scegliere, in ogni momento e fase della sua vita... Ed accettare che sia così.
Da quello che leggo individuo alcuni "nuclei depressivi" (da valutare se indichino eventualmente un'effettiva depressione conclamata), soprattutto riguardo la "svogliatezza" e la perdita di piacere rispetto ad attività ed hobby che invece sembravano interessarle.
Purtroppo parla di un malessere che va avanti da diversi anni, e non è così inconsueto che dal Covid-19 in poi si siano presentati alcuni sintomi patogeni difficili da superare e gestire... sicuramente le consiglio, però, di iniziare un nuovo percorso terapeutico e di fidarsi del processo, oltre che del terapeuta, perché sembra avere tutte le risorse necessarie (e la volontà) per stare meglio.
Se riterrà, mi troverà a sua disposizione.
:)
Sicuramente, percepisco dal suo racconto una sofferenza tale che l'ha condotta a fare determinate scelte ed in un certo modo, ma non c'è giusto e sbagliato in questo. C'è quello che ha potuto fare, e scegliere, in ogni momento e fase della sua vita... Ed accettare che sia così.
Da quello che leggo individuo alcuni "nuclei depressivi" (da valutare se indichino eventualmente un'effettiva depressione conclamata), soprattutto riguardo la "svogliatezza" e la perdita di piacere rispetto ad attività ed hobby che invece sembravano interessarle.
Purtroppo parla di un malessere che va avanti da diversi anni, e non è così inconsueto che dal Covid-19 in poi si siano presentati alcuni sintomi patogeni difficili da superare e gestire... sicuramente le consiglio, però, di iniziare un nuovo percorso terapeutico e di fidarsi del processo, oltre che del terapeuta, perché sembra avere tutte le risorse necessarie (e la volontà) per stare meglio.
Se riterrà, mi troverà a sua disposizione.
:)
Buongiorno,
strano o inutile? A me sembra, invece, che lei abbia raccontato con molta lucidità una fatica grande… e anche una profonda voglia di capirsi.
Ma perché mai portare delle ipotesi dovrebbe essere un limite? Non è forse proprio così che iniziano i percorsi più interessanti, da domande imperfette ma oneste?
Mi contatti pure.
Dr. Giorgio De Giorgi
strano o inutile? A me sembra, invece, che lei abbia raccontato con molta lucidità una fatica grande… e anche una profonda voglia di capirsi.
Ma perché mai portare delle ipotesi dovrebbe essere un limite? Non è forse proprio così che iniziano i percorsi più interessanti, da domande imperfette ma oneste?
Mi contatti pure.
Dr. Giorgio De Giorgi
Buongiorno,
grazie per aver condiviso in modo così lucido, onesto e profondo la sua esperienza. Le sue parole restituiscono con grande chiarezza il disagio che sta vivendo, ma anche la consapevolezza di sé, il desiderio di capirsi e il bisogno autentico di trovare un punto di svolta. Non c’è nulla di “strano” o “inutile” in ciò che ha scritto: al contrario, è una richiesta d’aiuto molto concreta, e merita ascolto e rispetto.
Molti dei vissuti che descrive — la fatica a ritrovare energia, il disinteresse per attività un tempo piacevoli, il senso di fallimento rispetto alle aspettative sociali, il confronto continuo con ciò che “dovrebbe essere” alla sua età — sono comuni nei quadri depressivi e anche in certe forme di ansia persistente. Questo non per etichettare o definire, ma per dirle che non è sola né sbagliata: ciò che sente ha un senso e una radice, che può essere compresa e affrontata.
Riguardo alla sua domanda: sì, se in futuro deciderà di iniziare un nuovo percorso di terapia, sarà assolutamente utile condividere le ipotesi che sono emerse nel tempo, anche quelle che ha raccolto parlando con altri specialisti. Un terapeuta non giudica una persona per aver cercato spiegazioni, né la considera “ipocondriaca” per essersi interrogata sulle proprie difficoltà. Al contrario, tutto ciò che aiuta a conoscere il proprio funzionamento interno è materiale prezioso per lavorare insieme. Un buon terapeuta accoglierà questi elementi come parte del suo percorso, non come una pretesa di autodiagnosi.
Infine, il timore di essere vista come una “fallita che si nasconde dietro la salute mentale” è un pensiero molto duro verso di sé. Il fatto che stia cercando aiuto, che si ponga domande, che riconosca le proprie difficoltà, è già un gesto di forza, non di debolezza. So che la terapia al momento le è difficile da affrontare, anche per motivi economici, ma tenga aperta questa porta: ci sono percorsi accessibili anche a costi ridotti, servizi pubblici o consultori che offrono supporto.
Si merita uno spazio dove sentirsi vista, ascoltata, aiutata a ritrovare un contatto più gentile con se stessa e con la propria vita. Il passo che ha fatto scrivendo qui è già un primo movimento verso qualcosa di nuovo. Non si giudichi per essere in difficoltà: si riconosca il diritto a cercare aiuto e ad avere tempo per stare meglio.
grazie per aver condiviso in modo così lucido, onesto e profondo la sua esperienza. Le sue parole restituiscono con grande chiarezza il disagio che sta vivendo, ma anche la consapevolezza di sé, il desiderio di capirsi e il bisogno autentico di trovare un punto di svolta. Non c’è nulla di “strano” o “inutile” in ciò che ha scritto: al contrario, è una richiesta d’aiuto molto concreta, e merita ascolto e rispetto.
Molti dei vissuti che descrive — la fatica a ritrovare energia, il disinteresse per attività un tempo piacevoli, il senso di fallimento rispetto alle aspettative sociali, il confronto continuo con ciò che “dovrebbe essere” alla sua età — sono comuni nei quadri depressivi e anche in certe forme di ansia persistente. Questo non per etichettare o definire, ma per dirle che non è sola né sbagliata: ciò che sente ha un senso e una radice, che può essere compresa e affrontata.
Riguardo alla sua domanda: sì, se in futuro deciderà di iniziare un nuovo percorso di terapia, sarà assolutamente utile condividere le ipotesi che sono emerse nel tempo, anche quelle che ha raccolto parlando con altri specialisti. Un terapeuta non giudica una persona per aver cercato spiegazioni, né la considera “ipocondriaca” per essersi interrogata sulle proprie difficoltà. Al contrario, tutto ciò che aiuta a conoscere il proprio funzionamento interno è materiale prezioso per lavorare insieme. Un buon terapeuta accoglierà questi elementi come parte del suo percorso, non come una pretesa di autodiagnosi.
Infine, il timore di essere vista come una “fallita che si nasconde dietro la salute mentale” è un pensiero molto duro verso di sé. Il fatto che stia cercando aiuto, che si ponga domande, che riconosca le proprie difficoltà, è già un gesto di forza, non di debolezza. So che la terapia al momento le è difficile da affrontare, anche per motivi economici, ma tenga aperta questa porta: ci sono percorsi accessibili anche a costi ridotti, servizi pubblici o consultori che offrono supporto.
Si merita uno spazio dove sentirsi vista, ascoltata, aiutata a ritrovare un contatto più gentile con se stessa e con la propria vita. Il passo che ha fatto scrivendo qui è già un primo movimento verso qualcosa di nuovo. Non si giudichi per essere in difficoltà: si riconosca il diritto a cercare aiuto e ad avere tempo per stare meglio.
Cara utente, ho letto ciò che ha scritto con attenzione. Deve essere incredibilmente faticoso per lei convivere con questi sentimenti. Dalle sue parole sento la sua paura rispetto all'immagine che può dare di sé ma l'unica cosa che arriva non ha niente a che vedere con il suo timore di essersi "giusticiata" ma anzi, una volontà incredibile per poter trovare un modo nuovo e migliore di stare nel mondo. L'avvicinarsi dei 30 anni sottopone a grande stress perchè, purtroppo, la pressione sociale esercita un peso non indifferente. Questa fase di vita è una fase di individuazione e di differenziazione, oltre che di svincolo. Ci obbliga a fare i conti con parti di noi che ancora ci risultano sconosciute. Vedrà che piano piano, se riuscirà a valutare nuovamente una terapia (anche online qualora al momento le risultasse più adeguato), riuscirà a comprendere cosa sottende questo momento di stasi e sofferenza. In ogni momento di crisi c'è già, in nuce, un potenziale miglioramento. Al suo terapeuta futuro si senta libera di dire tutto ciò che sente, è il nostro lavoro aiutare i pazienti a dare un senso ai loro complessi sentimenti. Resto a disposizione per qualsiasi chiarimento. Un caro saluto
Gentilissima, innanzitutto molte grazie per la sua gentile condivisione. Non deve temere di quello che deve o non deve dire al futuro prossimo suo terapeuta. Si fidi, il terapeuta è qui per lei, quello che riuscirà a dirgli, o a dirle, dipende solo dal grado di simpatia, empatia, confidenza che riuscite a costruire e a darvi l’una con l’altra nelle sedute, e…è lei a scegliere il terapeuta. Lo capirà subito o con il tempo se è il terapeuta giusto per lei. Non si preoccupi di questo. Pensi solo a volersi bene e a proteggersi. Già scrivendo qui, ha iniziato, e questa è una cosa positiva. Non si scoraggi mai, provi e riprovi, fino a quando non troverà il terapeuta giusto per lei. Il periodo Covid ha “ rovinato “ letteralmente moltissime persone, che prima vivevano decentemente. Sì è diffusa spesso tra i giovani una situazione e una sensazione di disillusione, di stanchezza cronica, di mancanza di speranza. I giovani e gli anziani sono le persone che hanno assorbito maggiormente le conseguenze negative di questo terribile periodo. Quindi non si scoraggi, tanti come lei sono in una situazione simile. Non si giudichi troppo in maniera negativa. E’ tempo ora di reagire. Provi ad esempio a considerare di andare 2 o 3 giorni alla settimana in biblioteca a studiare, all’ inizio magari farà fatica, ma dopo un pochino si ambienterà e magari riuscirà a conoscere altre persone più o meno della sua età che si ritrovano lì, non solo a studiare, ma anche per chiacchierare. Valuti anche l’ idea di iscriversi a qualche corso in una palestra, un corso però che sia fisso, in modo che ci sia continuità. Faccia una camminata di almeno 20 minuti fuori nel verde ….un giorno si, uno no. Soprattutto smetta di paragonarsi ad altri coetanei. Ognuno vive le proprie difficoltà in modo diverso, non c’è un giusto o un sbagliato, ogni esperienza di vita è unica. Magari un giorno ripensando al passato e a questo periodo ci sorriderà su, perché l’ avrà superato alla grande! Si ricordi, la vita ha più fantasia di noi. Inoltre è nel fiore dei suoi anni, e’ anche normale avere crisi su cose da fare e/o farsi tante domande, lei non è così diversa da tanti suoi coetanei. Abbia fede nella vita e nelle opportunità che offre. Si informi se all’ università ci sono gruppi di studio, o iniziative di qualsiasi tipo, guardi se c’è qualcosa che le può interessare….non si sa mai, anche qualcosa che esula dai suoi studi o normali interessi. Si ricordi, l’ importante è reagire e muoversi per uscire da questo stato di apatia mentale. Se le piace, si iscriva a joga, o ad altre discipline orientali che le possano trasmettere fiducia in se stessa, come il karate, o il Qi gong o il tai chi chuan. Viva la sua vita a testa alta, abbia il coraggio di uscire da questa bolla scura e così pesante che ha lasciato la pandemia. Se ha la possibilità faccia un viaggio o con un’amica o con un suo parente o vecchia/o amica/o di famiglia. Viaggiare è un’ottima modalità di svago, ma anche di terapia, poiché ci si accorge che la vita è altro, e noi non siamo per forza la vita che conduciamo. Una grande pacca sulla spalla e coraggio!! Sicuramente avrà tante risorse che non sa neanche di possedere, si impegni a scoprirle. Dott.ssa Zamarin
Buongiorno, le consiglio di riprendere il percorso di psicoterapia la cui principale caratteristica è proprio l'assenza di giudizio. Cordiali saluti.
Grazie per il tuo messaggio. Non è affatto strano né inutile, anzi: è un atto di grande lucidità e coraggio. Hai raccontato la tua storia con una consapevolezza che merita rispetto. Cercherò di risponderti con altrettanta attenzione.
Quello che descrivi: la fatica, il vuoto, l’apatia, il confronto con gli altri, la perdita di interessi e di relazioni è qualcosa che tante persone vivono, ma spesso in silenzio. Non è pigrizia, non è mancanza di volontà. Non è "fallimento". È sofferenza psicologica. E non si misura in termini di produttività o di confronto con chi “ha un lavoro e una famiglia”.
Ognuno ha un percorso unico, con ostacoli diversi. Il tuo non è meno valido, solo perché è più silenzioso o più faticoso.
Hai usato una parola molto forte: “sopravvivere”. Questo è il cuore di ciò che descrivi. Quando si sopravvive, si fa il minimo per andare avanti, ma dentro ci si sente vuoti, spesso isolati, stanchi. Questo non è segno di debolezza. È il segnale che qualcosa dentro di te ha bisogno di attenzione, cura, ascolto.
Hai chiesto se, in un eventuale futuro percorso, dovresti raccontare le ipotesi che ti sono state dette (OCD, trauma secondario, depressione).
Un terapeuta competente non ti giudicherà mai per questo. Non penserà che stai cercando “scuse” o che stai tentando di farti la diagnosi da sola. Anzi: partire da ciò che senti e da ciò che ti è stato detto può essere un punto di partenza prezioso. Il compito del terapeuta è proprio quello di esplorare con te, non di etichettarti. Non devi arrivare già “pronta” o “diagnosticata”. Devi solo arrivare con quello che hai: i tuoi pensieri, la tua storia, il tuo vissuto. E tu li hai raccontati benissimo.
Sei una persona che sta soffrendo, che è consapevole del proprio malessere, che ha già cercato aiuto in passato e che ora sente il bisogno di un confronto. Questo non è un fallimento. È una richiesta di cura, di senso, di sollievo.
E non c’è nulla di più umano di questo.
Ti auguro il meglio e ti saluto.
Quello che descrivi: la fatica, il vuoto, l’apatia, il confronto con gli altri, la perdita di interessi e di relazioni è qualcosa che tante persone vivono, ma spesso in silenzio. Non è pigrizia, non è mancanza di volontà. Non è "fallimento". È sofferenza psicologica. E non si misura in termini di produttività o di confronto con chi “ha un lavoro e una famiglia”.
Ognuno ha un percorso unico, con ostacoli diversi. Il tuo non è meno valido, solo perché è più silenzioso o più faticoso.
Hai usato una parola molto forte: “sopravvivere”. Questo è il cuore di ciò che descrivi. Quando si sopravvive, si fa il minimo per andare avanti, ma dentro ci si sente vuoti, spesso isolati, stanchi. Questo non è segno di debolezza. È il segnale che qualcosa dentro di te ha bisogno di attenzione, cura, ascolto.
Hai chiesto se, in un eventuale futuro percorso, dovresti raccontare le ipotesi che ti sono state dette (OCD, trauma secondario, depressione).
Un terapeuta competente non ti giudicherà mai per questo. Non penserà che stai cercando “scuse” o che stai tentando di farti la diagnosi da sola. Anzi: partire da ciò che senti e da ciò che ti è stato detto può essere un punto di partenza prezioso. Il compito del terapeuta è proprio quello di esplorare con te, non di etichettarti. Non devi arrivare già “pronta” o “diagnosticata”. Devi solo arrivare con quello che hai: i tuoi pensieri, la tua storia, il tuo vissuto. E tu li hai raccontati benissimo.
Sei una persona che sta soffrendo, che è consapevole del proprio malessere, che ha già cercato aiuto in passato e che ora sente il bisogno di un confronto. Questo non è un fallimento. È una richiesta di cura, di senso, di sollievo.
E non c’è nulla di più umano di questo.
Ti auguro il meglio e ti saluto.
Gentile W,
La ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità e precisione il suo vissuto e le riflessioni che la accompagnano. È comprensibile che in momenti così complessi e segnati da perdite e difficoltà profonde possa emergere confusione, insicurezza e disagio.
Ritengo che, quanto sta vivendo non è affatto indice di una “fallimento”, ma rappresenta invece una richiesta di aiuto e un desiderio di cambiamento che merita attenzione e rispetto. Il fatto stesso che lei abbia già intrapreso un percorso terapeutico e che stia valutando di riprenderlo è un importante segnale di consapevolezza.
Riguardo alla sua domanda su cosa condividere con un futuro terapeuta, le suggerirei di essere sempre il più aperta possibile. Raccontare i suoi pensieri, le sue ipotesi, anche quelle che la spaventano o la fanno sentire vulnerabile, è prezioso. Non esiste una “diagnosi” che la definisca, ma piuttosto uno spazio di ascolto dove queste esperienze e riflessioni possono essere accolte senza giudizio e diventare materiale utile per il lavoro terapeutico.
Condividere con il suo terapeuta le sue paure, i suoi dubbi sull’ipocondria, la paura di essere giudicata o di non “meritare” il supporto, apre una porta fondamentale per il lavoro psicologico: permette al terapeuta di incontrarla davvero, di accogliere ciò che prova e sente e di costruire insieme uno spazio sicuro dove poter esplorare le sue emozioni e il suo mondo interiore.
Nel mio approccio dinamico, questo confronto è una parte essenziale del percorso: il terapeuta cerca di capire non solo i sintomi o i pensieri, ma anche cosa essi significano per lei, quali messaggi portano, e come lavorare insieme per trovare modi più autentici di stare con sé stessa e con la vita.
Se in futuro decidesse di intraprendere un percorso, sarà utile anche parlare delle sue preoccupazioni economiche o di altri ostacoli: spesso anche queste difficoltà fanno parte del racconto e possono essere affrontate insieme.
Credo che per lei sia importante poter andare oltre l’etichetta diagnostica per approfondire la conoscenza di sé, delle sue risorse e delle difficoltà che internamente sente.
Le auguro di trovare la forza e la serenità per fare questo passo quando si sentirà pronta. Nel caso desiderasse un confronto professionale, rimango a sua disposizione per un ascolto attento e rispettoso.
Saluti
Dott. Musetti
La ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità e precisione il suo vissuto e le riflessioni che la accompagnano. È comprensibile che in momenti così complessi e segnati da perdite e difficoltà profonde possa emergere confusione, insicurezza e disagio.
Ritengo che, quanto sta vivendo non è affatto indice di una “fallimento”, ma rappresenta invece una richiesta di aiuto e un desiderio di cambiamento che merita attenzione e rispetto. Il fatto stesso che lei abbia già intrapreso un percorso terapeutico e che stia valutando di riprenderlo è un importante segnale di consapevolezza.
Riguardo alla sua domanda su cosa condividere con un futuro terapeuta, le suggerirei di essere sempre il più aperta possibile. Raccontare i suoi pensieri, le sue ipotesi, anche quelle che la spaventano o la fanno sentire vulnerabile, è prezioso. Non esiste una “diagnosi” che la definisca, ma piuttosto uno spazio di ascolto dove queste esperienze e riflessioni possono essere accolte senza giudizio e diventare materiale utile per il lavoro terapeutico.
Condividere con il suo terapeuta le sue paure, i suoi dubbi sull’ipocondria, la paura di essere giudicata o di non “meritare” il supporto, apre una porta fondamentale per il lavoro psicologico: permette al terapeuta di incontrarla davvero, di accogliere ciò che prova e sente e di costruire insieme uno spazio sicuro dove poter esplorare le sue emozioni e il suo mondo interiore.
Nel mio approccio dinamico, questo confronto è una parte essenziale del percorso: il terapeuta cerca di capire non solo i sintomi o i pensieri, ma anche cosa essi significano per lei, quali messaggi portano, e come lavorare insieme per trovare modi più autentici di stare con sé stessa e con la vita.
Se in futuro decidesse di intraprendere un percorso, sarà utile anche parlare delle sue preoccupazioni economiche o di altri ostacoli: spesso anche queste difficoltà fanno parte del racconto e possono essere affrontate insieme.
Credo che per lei sia importante poter andare oltre l’etichetta diagnostica per approfondire la conoscenza di sé, delle sue risorse e delle difficoltà che internamente sente.
Le auguro di trovare la forza e la serenità per fare questo passo quando si sentirà pronta. Nel caso desiderasse un confronto professionale, rimango a sua disposizione per un ascolto attento e rispettoso.
Saluti
Dott. Musetti
Gentile W.,
il suo racconto esprime una profonda consapevolezza del proprio funzionamento interno, dei momenti critici attraversati e della fatica nel ritrovare uno spazio di benessere e continuità nella propria vita.
Quello che descrive, il ritiro sociale, il senso di fallimento, la difficoltà a portare avanti percorsi anche quando sembrano inizialmente positivi, può essere legato a quadri clinici in cui ansia, tratti depressivi e vissuti di ipercriticismo interno generano una soglia di tolleranza molto bassa verso la frustrazione, il confronto con gli altri e il carico della quotidianità.
Non si tratta di essere “sbagliata” o “pigra”, ma di riconoscere che il suo sistema mente-corpo ha probabilmente adottato nel tempo, strategie di sopravvivenza per proteggerla da un dolore percepito come troppo grande. La cosiddetta “sindrome dell’evitamento” è molto più frequente di quanto si pensi e può trarre in inganno, facendo sentire la persona in colpa per ogni difficoltà nel portare a termine obiettivi o vivere serenamente relazioni e compiti quotidiani.
Un percorso terapeutico costante può aiutarla a riconoscere questi meccanismi, dare significato alla sua storia personale e restituirle la possibilità di vivere con maggiore libertà e autoregolazione emotiva. La diagnosi, se formulata, è solo uno strumento orientativo, non un’etichetta: serve a costruire un progetto di cura personalizzato e rispettoso delle sue caratteristiche.
Ha già fatto un passo prezioso nel riconoscere il bisogno di aiuto e nel verbalizzarlo con molta lucidità. Resto volentieri a disposizione qualora sentisse il bisogno di un confronto più approfondito.
Un caro saluto,
Dott.ssa Anna Maria Nicoletti
il suo racconto esprime una profonda consapevolezza del proprio funzionamento interno, dei momenti critici attraversati e della fatica nel ritrovare uno spazio di benessere e continuità nella propria vita.
Quello che descrive, il ritiro sociale, il senso di fallimento, la difficoltà a portare avanti percorsi anche quando sembrano inizialmente positivi, può essere legato a quadri clinici in cui ansia, tratti depressivi e vissuti di ipercriticismo interno generano una soglia di tolleranza molto bassa verso la frustrazione, il confronto con gli altri e il carico della quotidianità.
Non si tratta di essere “sbagliata” o “pigra”, ma di riconoscere che il suo sistema mente-corpo ha probabilmente adottato nel tempo, strategie di sopravvivenza per proteggerla da un dolore percepito come troppo grande. La cosiddetta “sindrome dell’evitamento” è molto più frequente di quanto si pensi e può trarre in inganno, facendo sentire la persona in colpa per ogni difficoltà nel portare a termine obiettivi o vivere serenamente relazioni e compiti quotidiani.
Un percorso terapeutico costante può aiutarla a riconoscere questi meccanismi, dare significato alla sua storia personale e restituirle la possibilità di vivere con maggiore libertà e autoregolazione emotiva. La diagnosi, se formulata, è solo uno strumento orientativo, non un’etichetta: serve a costruire un progetto di cura personalizzato e rispettoso delle sue caratteristiche.
Ha già fatto un passo prezioso nel riconoscere il bisogno di aiuto e nel verbalizzarlo con molta lucidità. Resto volentieri a disposizione qualora sentisse il bisogno di un confronto più approfondito.
Un caro saluto,
Dott.ssa Anna Maria Nicoletti
Cara W.,
le tue parole arrivano con grande forza e autenticità. Non c’è niente di “inutile” o “strano” in ciò che hai scritto, anzi: c’è il bisogno profondo di essere vista, ascoltata, accolta. E già solo il fatto che tu abbia trovato il coraggio di condividerlo è qualcosa di importante.
Quello che descrivi — la fatica, il senso di vuoto, la mancanza di motivazione, il confronto doloroso con ciò che “dovremmo essere” a quasi trent’anni — non è banale e non parla di pigrizia. Parla di una parte di te che, forse da tanto tempo, si sente in lotta per restare in piedi, per non soccombere al senso di fallimento, alla solitudine, all’invisibilità. Parla anche di quanta sensibilità ci sia in te, e di quanto hai già provato a metterti in gioco, anche in mezzo alla stanchezza e alla paura.
In Gestalt diciamo che il sintomo, il disagio, è spesso un messaggero: porta con sé qualcosa che cerca di emergere, che vuole essere ascoltato. Non per forza un’etichetta clinica, ma un'esperienza, una ferita, un nodo emotivo che ha bisogno di uno spazio sicuro dove esistere.
Se un giorno sentirai di voler tornare in terapia, ti incoraggio a portare con te esattamente quello che hai scritto qui. Non c’è nulla da nascondere o da sistemare prima di entrare: non sei tu a doverti “aggiustare” per meritare cura. La terapia serve proprio a creare uno spazio dove sentirsi liberi di dire: “Ecco come sto. Non so bene da dove partire, ma ci sono.”
E no, non sembrerai affatto ipocondriaca. Sembrerai solo umana. Una persona che prova a comprendere sé stessa, con tutte le risorse che ha a disposizione in questo momento.
Ti auguro con tutto il cuore di trovare, quando sarai pronta, una relazione terapeutica che possa farti sentire accolta senza giudizio. Anche adesso, sappi che non sei sola.
Un caro saluto,
Veronica De Iuliis – Psicologa
le tue parole arrivano con grande forza e autenticità. Non c’è niente di “inutile” o “strano” in ciò che hai scritto, anzi: c’è il bisogno profondo di essere vista, ascoltata, accolta. E già solo il fatto che tu abbia trovato il coraggio di condividerlo è qualcosa di importante.
Quello che descrivi — la fatica, il senso di vuoto, la mancanza di motivazione, il confronto doloroso con ciò che “dovremmo essere” a quasi trent’anni — non è banale e non parla di pigrizia. Parla di una parte di te che, forse da tanto tempo, si sente in lotta per restare in piedi, per non soccombere al senso di fallimento, alla solitudine, all’invisibilità. Parla anche di quanta sensibilità ci sia in te, e di quanto hai già provato a metterti in gioco, anche in mezzo alla stanchezza e alla paura.
In Gestalt diciamo che il sintomo, il disagio, è spesso un messaggero: porta con sé qualcosa che cerca di emergere, che vuole essere ascoltato. Non per forza un’etichetta clinica, ma un'esperienza, una ferita, un nodo emotivo che ha bisogno di uno spazio sicuro dove esistere.
Se un giorno sentirai di voler tornare in terapia, ti incoraggio a portare con te esattamente quello che hai scritto qui. Non c’è nulla da nascondere o da sistemare prima di entrare: non sei tu a doverti “aggiustare” per meritare cura. La terapia serve proprio a creare uno spazio dove sentirsi liberi di dire: “Ecco come sto. Non so bene da dove partire, ma ci sono.”
E no, non sembrerai affatto ipocondriaca. Sembrerai solo umana. Una persona che prova a comprendere sé stessa, con tutte le risorse che ha a disposizione in questo momento.
Ti auguro con tutto il cuore di trovare, quando sarai pronta, una relazione terapeutica che possa farti sentire accolta senza giudizio. Anche adesso, sappi che non sei sola.
Un caro saluto,
Veronica De Iuliis – Psicologa
Buongiorno W. innanzitutto grazie per aver trovato la forza di condividere questo vissuto. La sofferenza che descrivi è profonda e reale, e traspare con chiarezza quanto tu stia cercando di capirla e affrontarla, anche se a volte ti senti sopraffatta. Non sei sola: molte persone hanno vissuto un crollo del proprio equilibrio interiore dopo il periodo del Covid, e tu hai affrontato anche ulteriori difficoltà personali, come la perdita di persone care, la precarietà lavorativa, l’isolamento sociale. Questi eventi, sommati, possono avere un impatto forte e duraturo, non solo sul tuo umore, ma anche sulla tua motivazione, sulla tua energia e sulla tua visione di te stessa. Quello che stai vivendo non è "pigrizia", e non è nemmeno mancanza di volontà. È più corretto vederlo come un blocco, probabilmente legato a un dolore emotivo non ancora elaborato del tutto, o a un possibile quadro depressivo che merita attenzione e cura. Anche il fatto che tu riesca ancora, a tratti, a interessarti a qualcosa (come i racconti di recente) è un segnale importante: significa che dentro di te ci sono ancora scintille vive, che forse oggi sembrano fievoli, ma non sono spente.
Per quanto riguarda la terapia: sì, è assolutamente utile riportare al terapeuta tutte le tue riflessioni, i dubbi, persino le ipotesi che altri specialisti hanno espresso. Non ti rende ipocondriaca né ti sminuisce come persona. Al contrario: dimostra che hai una buona capacità di osservazione su di te e che vuoi capire. Un buon terapeuta non giudica, non etichetta, non pensa che tu sia una "fallita": pensa che sei una persona che soffre e che sta cercando aiuto, ed è proprio questo che conta. Anche se al momento non puoi permetterti una terapia privata, potresti valutare soluzioni accessibili come i servizi di psicologia del territorio (consultori, ASL, sportelli universitari o comunali), dove è possibile trovare supporto anche gratuito o a costi calmierati. A volte anche iniziare con un singolo colloquio di orientamento può aiutare a fare chiarezza. Ricorda: chiedere aiuto non è un segno di debolezza. È un segno di forza. La forza di chi, nonostante tutto, non si arrende e continua a cercare una strada per stare meglio. Ti mando un pensiero pieno di incoraggiamento. Meriti di ritrovare uno spazio di calma, di fiducia, di possibilità. E puoi farcela, anche se ora ti sembra tutto confuso. Un passo alla volta, a partire da questa consapevolezza che hai già avuto il coraggio di esprimere. Resto a disposizione, Dr ssa Isabella Mazzocchi
Per quanto riguarda la terapia: sì, è assolutamente utile riportare al terapeuta tutte le tue riflessioni, i dubbi, persino le ipotesi che altri specialisti hanno espresso. Non ti rende ipocondriaca né ti sminuisce come persona. Al contrario: dimostra che hai una buona capacità di osservazione su di te e che vuoi capire. Un buon terapeuta non giudica, non etichetta, non pensa che tu sia una "fallita": pensa che sei una persona che soffre e che sta cercando aiuto, ed è proprio questo che conta. Anche se al momento non puoi permetterti una terapia privata, potresti valutare soluzioni accessibili come i servizi di psicologia del territorio (consultori, ASL, sportelli universitari o comunali), dove è possibile trovare supporto anche gratuito o a costi calmierati. A volte anche iniziare con un singolo colloquio di orientamento può aiutare a fare chiarezza. Ricorda: chiedere aiuto non è un segno di debolezza. È un segno di forza. La forza di chi, nonostante tutto, non si arrende e continua a cercare una strada per stare meglio. Ti mando un pensiero pieno di incoraggiamento. Meriti di ritrovare uno spazio di calma, di fiducia, di possibilità. E puoi farcela, anche se ora ti sembra tutto confuso. Un passo alla volta, a partire da questa consapevolezza che hai già avuto il coraggio di esprimere. Resto a disposizione, Dr ssa Isabella Mazzocchi
Buongiorno, grazie per aver condiviso con tanta sincerità il suo vissuto. Quello che descrive non è affatto inutile né strano: è il racconto di una sofferenza autentica, che merita ascolto e comprensione, non giudizio. È del tutto legittimo sentire il bisogno di un confronto, anche se iniziale e timido.
Le difficoltà che sta vivendo – la perdita di energie, l’isolamento, la fatica nel provare piacere, il confronto con gli altri e il senso di fallimento – non parlano di pigrizia, ma piuttosto di una sofferenza profonda che può avere radici complesse, come lei stessa intuisce. Riferire eventuali ipotesi diagnostiche (come il DOC o esperienze traumatiche) al terapeuta non è un segno di ipocondria, ma una risorsa preziosa per il percorso: non è lei a doversi diagnosticare, ma portare ciò che sente e pensa fa parte del lavoro terapeutico.
La terapia non serve a “giustificare” le difficoltà, ma ad accoglierle e comprenderle insieme, con rispetto e senza colpa. Se e quando si sentirà pronta, sappia che un buon terapeuta non giudica, ma accompagna. Il suo dolore merita ascolto, non paragoni o colpe.
Un passo alla volta, con gentilezza verso sé stessa.
Le difficoltà che sta vivendo – la perdita di energie, l’isolamento, la fatica nel provare piacere, il confronto con gli altri e il senso di fallimento – non parlano di pigrizia, ma piuttosto di una sofferenza profonda che può avere radici complesse, come lei stessa intuisce. Riferire eventuali ipotesi diagnostiche (come il DOC o esperienze traumatiche) al terapeuta non è un segno di ipocondria, ma una risorsa preziosa per il percorso: non è lei a doversi diagnosticare, ma portare ciò che sente e pensa fa parte del lavoro terapeutico.
La terapia non serve a “giustificare” le difficoltà, ma ad accoglierle e comprenderle insieme, con rispetto e senza colpa. Se e quando si sentirà pronta, sappia che un buon terapeuta non giudica, ma accompagna. Il suo dolore merita ascolto, non paragoni o colpe.
Un passo alla volta, con gentilezza verso sé stessa.
Buongiorno, la ringrazio sinceramente per aver condiviso la sua esperienza con tanta onestà e delicatezza. Le sue parole arrivano con forza e profondità, e meritano di essere ascoltate con attenzione e rispetto. Già il fatto che abbia sentito il bisogno di cercare un confronto professionale e che sia riuscita a esprimere con tanta chiarezza il suo vissuto, ci dice che dentro di lei c’è ancora una spinta importante verso la cura, la comprensione e il desiderio di cambiare. E questa non è una cosa da poco, anzi. È il segnale di una parte viva, anche se affaticata, che continua a lottare. Quello che descrive ha molto senso, anche dal punto di vista psicologico. Ci racconta un prima e un dopo, una frattura che si è aperta in lei dopo il periodo della pandemia, e poi via via si è allargata tra lutti, delusioni, mancanze e cambiamenti. È come se il suo sistema interno, che già aveva conosciuto momenti di ansia e insicurezza, si fosse trovato improvvisamente senza appigli stabili. Non si tratta semplicemente di tristezza o di pigrizia: quello che descrive somiglia molto a uno stato di esaurimento emotivo, una forma di blocco che ha preso spazio dentro di lei proprio perché ha resistito tanto, troppo, senza trovare un luogo dove appoggiarsi davvero. Il fatto che in passato la terapia abbia avuto un effetto così positivo è significativo, ma è altrettanto comprensibile che, con il tempo e forse anche con il peso della cronicità della sofferenza, la motivazione si sia affievolita. Succede spesso, non è un fallimento, ma un'indicazione che forse era il momento di ricalibrare l’approccio o trovare una nuova forma di sostegno. Lei dice di sentirsi una fallita e questa parola pesa molto, lo sento. Ma io credo che quel termine rifletta più la lente attraverso cui sta leggendo la sua vita oggi che non una realtà oggettiva. Non ha "fallito", ha incontrato delle difficoltà profonde e prolungate, ha vissuto delle perdite e si è trovata a confrontarsi con una fatica che logora lentamente. In questo contesto, anche le cose più semplici come uscire, studiare o coltivare passioni, diventano imprese faticose. Questo non significa che non valga niente, ma che il suo sistema nervoso ed emotivo sta cercando di sopravvivere, proprio come ha detto lei. E già questo è qualcosa che merita comprensione, non giudizio. Per quanto riguarda la sua domanda più diretta: sì, se un giorno tornerà in terapia potrà e dovrà parlare apertamente di tutto ciò che ha sentito, vissuto e anche di ciò che ha ipotizzato rispetto alla sua condizione. Dire ad alta voce che qualcuno ha ipotizzato un disturbo ossessivo-compulsivo o un trauma non è un modo per “diagnosticarsi da sola” né per trovare scuse. È invece un modo per offrire al terapeuta materiale utile, su cui costruire insieme un percorso. Un terapeuta serio e preparato non giudica, non etichetta in base a ciò che il paziente pensa di sé, ma ascolta e integra. E la verità è che spesso le persone più autocritiche e timorose di “inventarsi malattie” sono proprio quelle che si sforzano con tutto il cuore di capire e stare meglio, senza volersi nascondere. Lei non è un’ipocondriaca, e non sta cercando scuse: sta cercando un senso, delle risposte, una via d’uscita. Riguardo alla questione economica, la comprendo benissimo. Ma forse potrebbe valutare anche percorsi a basso costo o gratuiti presenti sul territorio, come quelli offerti da consultori, associazioni o centri universitari. So che fare il primo passo è difficile, ma le assicuro che vale la pena cercare uno spazio in cui lei possa sentirsi accolta senza la paura di dover giustificare tutto. Anche questa lettera che ha scritto è già una parte di quel percorso: contiene il dolore, sì, ma anche il desiderio di verità e di rinascita. Non c’è nulla di inutile in quello che ha scritto. E non c’è nulla di “sbagliato” nel suo sentire. Anzi, c’è solo bisogno di tempo, ascolto, pazienza e (quando sarà possibile) di un terapeuta che possa accompagnarla a rimettere insieme i pezzi, senza fretta, ma con fiducia. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Buongiorno e grazie per aver condiviso così apertamente e con tanta sincerità il tuo vissuto. È normale sentirsi confusi o avere dubbi in una fase così complessa della propria vita, e il fatto che tu abbia deciso di cercare confronto e supporto è un primo passo importante.
Per rispondere alla tua domanda: sì, è generalmente molto utile e consigliato condividere con il terapeuta tutte le ipotesi e i dubbi che hai riguardo alla tua condizione, inclusi i sospetti su disturbi come il disturbo ossessivo compulsivo o eventuali traumi passati. La relazione terapeutica si basa sulla trasparenza e sulla fiducia, e più il terapeuta avrà un quadro completo, meglio potrà aiutarti a comprendere ciò che stai vivendo e a individuare il percorso più adatto per te.
Non sembri affatto una “paziente ipocondriaca” o qualcuno che si autodiagnostica per giustificare le proprie azioni. Al contrario, la tua attenzione ai tuoi pensieri, emozioni e comportamenti dimostra una grande consapevolezza di te stessa e un desiderio di capire e migliorare la tua situazione. Questa sensibilità è un punto di partenza fondamentale per un percorso terapeutico efficace.
Ricorda che parlare apertamente delle tue paure, delle tue ipotesi e dei tuoi timori al terapeuta ti permette di lavorare su tutto ciò che ti pesa, senza doverlo affrontare da sola. La paura di essere giudicata è comune, ma i professionisti sono lì per aiutarti e sostenerti senza giudizio, con l’obiettivo di aiutarti a ritrovare un equilibrio e un benessere.
Se ti senti pronta, potresti considerare di riprendere un percorso di supporto, anche solo per esplorare e chiarire meglio queste tue sensazioni e pensieri. Non c’è una tempistica “giusta” o “sbagliata”: ascolta te stessa e i tuoi bisogni, e ricorda che chiedere aiuto è un segno di forza, non di fallimento.
Se hai altre domande o dubbi, sono qui per ascoltarti e supportarti.
Rimango a completa disposizione.
Un caloroso saluto.
Dott. Michele Basigli
Psicologo Clinico
Per rispondere alla tua domanda: sì, è generalmente molto utile e consigliato condividere con il terapeuta tutte le ipotesi e i dubbi che hai riguardo alla tua condizione, inclusi i sospetti su disturbi come il disturbo ossessivo compulsivo o eventuali traumi passati. La relazione terapeutica si basa sulla trasparenza e sulla fiducia, e più il terapeuta avrà un quadro completo, meglio potrà aiutarti a comprendere ciò che stai vivendo e a individuare il percorso più adatto per te.
Non sembri affatto una “paziente ipocondriaca” o qualcuno che si autodiagnostica per giustificare le proprie azioni. Al contrario, la tua attenzione ai tuoi pensieri, emozioni e comportamenti dimostra una grande consapevolezza di te stessa e un desiderio di capire e migliorare la tua situazione. Questa sensibilità è un punto di partenza fondamentale per un percorso terapeutico efficace.
Ricorda che parlare apertamente delle tue paure, delle tue ipotesi e dei tuoi timori al terapeuta ti permette di lavorare su tutto ciò che ti pesa, senza doverlo affrontare da sola. La paura di essere giudicata è comune, ma i professionisti sono lì per aiutarti e sostenerti senza giudizio, con l’obiettivo di aiutarti a ritrovare un equilibrio e un benessere.
Se ti senti pronta, potresti considerare di riprendere un percorso di supporto, anche solo per esplorare e chiarire meglio queste tue sensazioni e pensieri. Non c’è una tempistica “giusta” o “sbagliata”: ascolta te stessa e i tuoi bisogni, e ricorda che chiedere aiuto è un segno di forza, non di fallimento.
Se hai altre domande o dubbi, sono qui per ascoltarti e supportarti.
Rimango a completa disposizione.
Un caloroso saluto.
Dott. Michele Basigli
Psicologo Clinico
“Cara W., il tuo messaggio non è affatto strano o inutile.
hai quasi 28 anni, sei in crisi evolutiva legata alla transizione all’età adulta. Età e fase di vita: quasi 28 anni, crisi evolutiva legata alla transizione all’età adulta. si da giovanissima hai manifestato tratti ansiosi e insicurezza. Il punto di rottura è stato il post-COVID (2021), lutti familiari, interruzioni lavorative, isolamento sociale crescente. la tua condotta è stata di ritiro sociale, anedonia, senso di fallimento, difficoltà a studiare/lavorare. Hai già svolto un percorso con iniziali benefici, ma poi interrotto ed ora il timore di essere giudicata, provi a "diagnosticarsi da sola", ed hai la sensazione di essere “una fallita”.
Mi hai formulato esplicita: se in futuro iniziassi terapia, dovrei comunicare al terapeuta le ipotesi ricevute (OCD, trauma) o rischierebbe di apparire ipocondriaca o giustificazionista?Soffri per tratti ansiosi e insicurezza. Il post-COVID (2021), lutti familiari, interruzioni lavo.
Funzionamento attuale: ritiro sociale, anedonia, senso di fallimento, difficoltà a studiare/lavorare.
Esperienza terapeutica: già svolto un percorso con iniziali benefici, ma poi interrotto.
Dubbi attuali: timore di essere giudicata, di "diagnosticarsi da sola", sensazione di essere “una fallita”.
Domanda esplicita: se in futuro iniziasse terapia, dovrebbe comunicare al terapeuta le ipotesi ricevute (OCD, trauma) o rischierebbe di apparire ipocondriaca o giustificazionista?
È vero e coraggioso.
Molti giovani adulti oggi si trovano in un limbo: pieni di potenzialità, ma con il senso di non riuscire a partire davvero.
La tua domanda è importante: 'Se torno in terapia, posso raccontare tutto questo? Posso portare anche i miei sospetti, le diagnosi che altri hanno ipotizzato, o rischio di essere giudicata?'
La risposta è: sì, puoi e devi portare tutto.
La terapia non è un tribunale. Nessun terapeuta serio ti giudicherà.
In Gestalt diciamo che la consapevolezza è già cambiamento: portare i tuoi dubbi, le tue paure e persino la paura di “essere una fallita” è già un primo atto di guarigione.
L’Analisi Transazionale ci ricorda che dentro ciascuno di noi ci sono diverse voci: la parte bambina che ha sofferto, l’adulto che osserva, e talvolta anche un giudice interno molto severo.
In terapia impari a riconoscere queste voci, e a scegliere da quale lasciarti guidare.
Quindi no, non sei ipocondriaca. Stai cercando risposte. E questo è un atto di salute, non di malattia.
Quando tornerai in terapia, non portare solo le risposte: porta anche le domande.
È da lì che si ricomincia.”
Dott. Francesco Paolo Coppola
hai quasi 28 anni, sei in crisi evolutiva legata alla transizione all’età adulta. Età e fase di vita: quasi 28 anni, crisi evolutiva legata alla transizione all’età adulta. si da giovanissima hai manifestato tratti ansiosi e insicurezza. Il punto di rottura è stato il post-COVID (2021), lutti familiari, interruzioni lavorative, isolamento sociale crescente. la tua condotta è stata di ritiro sociale, anedonia, senso di fallimento, difficoltà a studiare/lavorare. Hai già svolto un percorso con iniziali benefici, ma poi interrotto ed ora il timore di essere giudicata, provi a "diagnosticarsi da sola", ed hai la sensazione di essere “una fallita”.
Mi hai formulato esplicita: se in futuro iniziassi terapia, dovrei comunicare al terapeuta le ipotesi ricevute (OCD, trauma) o rischierebbe di apparire ipocondriaca o giustificazionista?Soffri per tratti ansiosi e insicurezza. Il post-COVID (2021), lutti familiari, interruzioni lavo.
Funzionamento attuale: ritiro sociale, anedonia, senso di fallimento, difficoltà a studiare/lavorare.
Esperienza terapeutica: già svolto un percorso con iniziali benefici, ma poi interrotto.
Dubbi attuali: timore di essere giudicata, di "diagnosticarsi da sola", sensazione di essere “una fallita”.
Domanda esplicita: se in futuro iniziasse terapia, dovrebbe comunicare al terapeuta le ipotesi ricevute (OCD, trauma) o rischierebbe di apparire ipocondriaca o giustificazionista?
È vero e coraggioso.
Molti giovani adulti oggi si trovano in un limbo: pieni di potenzialità, ma con il senso di non riuscire a partire davvero.
La tua domanda è importante: 'Se torno in terapia, posso raccontare tutto questo? Posso portare anche i miei sospetti, le diagnosi che altri hanno ipotizzato, o rischio di essere giudicata?'
La risposta è: sì, puoi e devi portare tutto.
La terapia non è un tribunale. Nessun terapeuta serio ti giudicherà.
In Gestalt diciamo che la consapevolezza è già cambiamento: portare i tuoi dubbi, le tue paure e persino la paura di “essere una fallita” è già un primo atto di guarigione.
L’Analisi Transazionale ci ricorda che dentro ciascuno di noi ci sono diverse voci: la parte bambina che ha sofferto, l’adulto che osserva, e talvolta anche un giudice interno molto severo.
In terapia impari a riconoscere queste voci, e a scegliere da quale lasciarti guidare.
Quindi no, non sei ipocondriaca. Stai cercando risposte. E questo è un atto di salute, non di malattia.
Quando tornerai in terapia, non portare solo le risposte: porta anche le domande.
È da lì che si ricomincia.”
Dott. Francesco Paolo Coppola
Buongiorno,
grazie per aver condiviso con tanta sincerità la sua esperienza. Non è affatto una richiesta inutile: quello che sta vivendo merita ascolto e rispetto.
Le difficoltà che descrive – il senso di blocco, la fatica a ritrovare motivazione, i pensieri ricorrenti – non parlano di pigrizia o fallimento, ma di una sofferenza profonda che non va affrontata da sola.
Portare in terapia i suoi dubbi, le ipotesi ricevute o lette, non è “farsi diagnosi da sé”, ma offrire al terapeuta uno spunto prezioso da esplorare insieme. Non c'è giudizio in questo, solo il desiderio legittimo di capire e stare meglio.
Se e quando sarà pronta, potrà trovare uno spazio sicuro in cui ripartire, con i suoi tempi.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sonia Zangarini
Psicologa / Counselor
grazie per aver condiviso con tanta sincerità la sua esperienza. Non è affatto una richiesta inutile: quello che sta vivendo merita ascolto e rispetto.
Le difficoltà che descrive – il senso di blocco, la fatica a ritrovare motivazione, i pensieri ricorrenti – non parlano di pigrizia o fallimento, ma di una sofferenza profonda che non va affrontata da sola.
Portare in terapia i suoi dubbi, le ipotesi ricevute o lette, non è “farsi diagnosi da sé”, ma offrire al terapeuta uno spunto prezioso da esplorare insieme. Non c'è giudizio in questo, solo il desiderio legittimo di capire e stare meglio.
Se e quando sarà pronta, potrà trovare uno spazio sicuro in cui ripartire, con i suoi tempi.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sonia Zangarini
Psicologa / Counselor
Gentile W.,
la sensazione di “sopravvivere” invece di vivere, il ritiro da ciò che un tempo la motivava e il confronto impietoso con i coetanei possono farla sentire bloccata e senza bussola. Proprio nei momenti in cui sembra di aver perso ogni spinta, la propria scala valoriale diventa uno strumento decisivo: chiarire che cosa conta davvero per lei – salute mentale, autonomia economica, relazioni autentiche, creatività – può aiutarla a distinguere fra ciò che è una priorità e ciò che è solo un parametro esterno cui si sente costretta a conformarsi.
Se, ad esempio, il valore cardine è la cura di sé, allora cercare di nuovo un aiuto psicologico non è un “lusso” né un segno di fallimento, ma un atto di coerenza con quel principio. Temere il giudizio del terapeuta è comprensibile, ma un professionista competente parte proprio dal rispetto: gli studi e la formazione servono a incontrare i pazienti senza etichette moralistiche. Portare le ipotesi già raccolte – possibile OCD, reazioni post-traumatiche – non la renderà “ipocondriaca”: offrirà invece al terapeuta informazioni di partenza e mostrerà il suo valore di trasparenza. Sarà poi il clinico, con lei, a esplorare se quelle piste spiegano davvero i sintomi o se ne emergono altre.
Sul piano pratico, può orientarsi verso servizi pubblici o convenzionati, oppure chiedere tariffe agevolate: anche questo è un modo di mettere il principio della cura di sé davanti alle difficoltà economiche. Se un altro valore centrale fosse l’autonomia, stabilire piccoli obiettivi realistici – un colloquio di lavoro, un’ora di studio al giorno, un’uscita breve alla settimana – la aiuterà a sperimentare progressi concreti, controbilanciando la sensazione di “fallimento” legata ai traguardi altrui.
Infine, ricordi che la crisi attuale non cancella la persona che studia, che ama la scrittura, la musica, i racconti: quelle parti di sé non sono scomparse, sono soltanto coperte dalla stanchezza e dalla paura. Riprendere contatto con esse, anche per pochi minuti al giorno, equivale a riaffermare il valore dell’identità personale oltre i ruoli sociali.
In sintesi, faccia dei suoi valori—cura di sé, trasparenza, autonomia, identità creativa—la guida per decidere i prossimi passi. Portare al terapeuta ogni dubbio o ipotesi non è “diagnosticarsi da sola”, ma esercitare quel valore di sincerità che rende il percorso più efficace e più rispettoso di chi è e di chi desidera diventare.
Resto a disposizione qualora voglia approfondire. Un cordiale saluto.
la sensazione di “sopravvivere” invece di vivere, il ritiro da ciò che un tempo la motivava e il confronto impietoso con i coetanei possono farla sentire bloccata e senza bussola. Proprio nei momenti in cui sembra di aver perso ogni spinta, la propria scala valoriale diventa uno strumento decisivo: chiarire che cosa conta davvero per lei – salute mentale, autonomia economica, relazioni autentiche, creatività – può aiutarla a distinguere fra ciò che è una priorità e ciò che è solo un parametro esterno cui si sente costretta a conformarsi.
Se, ad esempio, il valore cardine è la cura di sé, allora cercare di nuovo un aiuto psicologico non è un “lusso” né un segno di fallimento, ma un atto di coerenza con quel principio. Temere il giudizio del terapeuta è comprensibile, ma un professionista competente parte proprio dal rispetto: gli studi e la formazione servono a incontrare i pazienti senza etichette moralistiche. Portare le ipotesi già raccolte – possibile OCD, reazioni post-traumatiche – non la renderà “ipocondriaca”: offrirà invece al terapeuta informazioni di partenza e mostrerà il suo valore di trasparenza. Sarà poi il clinico, con lei, a esplorare se quelle piste spiegano davvero i sintomi o se ne emergono altre.
Sul piano pratico, può orientarsi verso servizi pubblici o convenzionati, oppure chiedere tariffe agevolate: anche questo è un modo di mettere il principio della cura di sé davanti alle difficoltà economiche. Se un altro valore centrale fosse l’autonomia, stabilire piccoli obiettivi realistici – un colloquio di lavoro, un’ora di studio al giorno, un’uscita breve alla settimana – la aiuterà a sperimentare progressi concreti, controbilanciando la sensazione di “fallimento” legata ai traguardi altrui.
Infine, ricordi che la crisi attuale non cancella la persona che studia, che ama la scrittura, la musica, i racconti: quelle parti di sé non sono scomparse, sono soltanto coperte dalla stanchezza e dalla paura. Riprendere contatto con esse, anche per pochi minuti al giorno, equivale a riaffermare il valore dell’identità personale oltre i ruoli sociali.
In sintesi, faccia dei suoi valori—cura di sé, trasparenza, autonomia, identità creativa—la guida per decidere i prossimi passi. Portare al terapeuta ogni dubbio o ipotesi non è “diagnosticarsi da sola”, ma esercitare quel valore di sincerità che rende il percorso più efficace e più rispettoso di chi è e di chi desidera diventare.
Resto a disposizione qualora voglia approfondire. Un cordiale saluto.
Dalle tue parole emerge un quadro di significativo e prolungato disagio emotivo e una marcata riduzione delle attività e dell'interesse (anedonia), che si è acutizzato dopo eventi stressanti importanti come la pandemia, la perdita del lavoro, i lutti familiari e la cessazione della terapia. I tuoi sintomi principali includono una forte chiusura e isolamento sociale, dato che non esci quasi mai di casa, e l'anedonia e l'apatia, riscontrabili nella perdita di gioia negli hobby precedenti e nella difficoltà a mantenere i nuovi interessi. A ciò si aggiungono le difficoltà cognitive, manifestate nella fatica a studiare e lavorare, e un forte auto-giudizio severo e il senso di fallimento. Questi sintomi sono classicamente associati a un Episodio Depressivo Maggiore, e il tuo sospetto in merito è più che fondato, considerando anche la tua storia di ansia.
Il fatto che tu abbia consultato degli specialisti e che abbiano avanzato ipotesi diagnostiche di Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) a causa dei pensieri intrusivi, o di trauma secondario in seguito ai lutti e allo stress cronico, è un dato estremamente prezioso, e non un segno di ipocondria. I pensieri intrusivi nel DOC possono manifestarsi come ossessioni sulla tua salute mentale o sul tuo valore come persona e possono essere il motore dell'ansia e della chiusura. Similmente, il trauma, anche se di natura cronica o dovuto a lutti, può portare a una reazione di ipo-attivazione e distacco emotivo, che si manifesta come quella sensazione di "sopravvivenza" che provi e che potresti confondere con apatia o pigrizia.
Riguardo alla tua domanda cruciale sull'iniziare un percorso di terapia, assolutamente sì, devi presentare queste ipotesi al tuo futuro terapeuta. Il timore di sembrare ipocondriaca o di auto-diagnosticarti è comprensibile, ma un professionista etico e competente vedrà queste ipotesi come informazioni vitali e un punto di partenza per la valutazione. Forniscono dati cruciali per la diagnosi differenziale e per scegliere il modello terapeutico più efficace, e il tuo sforzo di auto-osservazione verrà valorizzato. Il pensiero che il terapeuta possa giudicarti una "fallita che cerca di nascondersi dietro la sua salute mentale" è una manifestazione diretta del tuo giudizio interiore severo e dell'ansia legata al tuo senso di fallimento. Devi sapere che il terapeuta non è un giudice delle tue scelte di vita, ma un alleato che analizza i sintomi; i problemi di salute mentale non sono una scusa, ma una condizione che spiega l'inattività.
Nonostante l'attuale impossibilità di riprendere la terapia per ragioni economiche, ci sono dei passi concreti che puoi fare. Il fatto che tu abbia perso interesse nella terapia precedente potrebbe non significare che la terapia sia inutile, ma che quel particolare approccio o quel particolare momento non erano più adatti; quando riprenderai, potresti cercare un approccio più focalizzato. Come auto-aiuto controllato, non sforzarti di "studiare tutto il giorno", ma suddividi gli obiettivi in micro-azioni da 15-20 minuti, per ridurre la pressione del fallimento. Per i contatti minimi, prova a forzarti di fare una chiamata o videochiamata a uno dei tuoi amici una volta a settimana, poiché il contatto umano è un'ancora importante contro l'isolamento. Infine, per la difficoltà economica, verifica se nella tua zona ci sono servizi pubblici come Consultori o Centri di Salute Mentale (CSM), i quali offrono supporto psicologico e psichiatrico a costi ridotti o esenti.
Ricorda, i tuoi sentimenti non ti rendono una fallita. Stai combattendo una battaglia psicologica intensa, e cercare aiuto è un segno di forza.
Il fatto che tu abbia consultato degli specialisti e che abbiano avanzato ipotesi diagnostiche di Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) a causa dei pensieri intrusivi, o di trauma secondario in seguito ai lutti e allo stress cronico, è un dato estremamente prezioso, e non un segno di ipocondria. I pensieri intrusivi nel DOC possono manifestarsi come ossessioni sulla tua salute mentale o sul tuo valore come persona e possono essere il motore dell'ansia e della chiusura. Similmente, il trauma, anche se di natura cronica o dovuto a lutti, può portare a una reazione di ipo-attivazione e distacco emotivo, che si manifesta come quella sensazione di "sopravvivenza" che provi e che potresti confondere con apatia o pigrizia.
Riguardo alla tua domanda cruciale sull'iniziare un percorso di terapia, assolutamente sì, devi presentare queste ipotesi al tuo futuro terapeuta. Il timore di sembrare ipocondriaca o di auto-diagnosticarti è comprensibile, ma un professionista etico e competente vedrà queste ipotesi come informazioni vitali e un punto di partenza per la valutazione. Forniscono dati cruciali per la diagnosi differenziale e per scegliere il modello terapeutico più efficace, e il tuo sforzo di auto-osservazione verrà valorizzato. Il pensiero che il terapeuta possa giudicarti una "fallita che cerca di nascondersi dietro la sua salute mentale" è una manifestazione diretta del tuo giudizio interiore severo e dell'ansia legata al tuo senso di fallimento. Devi sapere che il terapeuta non è un giudice delle tue scelte di vita, ma un alleato che analizza i sintomi; i problemi di salute mentale non sono una scusa, ma una condizione che spiega l'inattività.
Nonostante l'attuale impossibilità di riprendere la terapia per ragioni economiche, ci sono dei passi concreti che puoi fare. Il fatto che tu abbia perso interesse nella terapia precedente potrebbe non significare che la terapia sia inutile, ma che quel particolare approccio o quel particolare momento non erano più adatti; quando riprenderai, potresti cercare un approccio più focalizzato. Come auto-aiuto controllato, non sforzarti di "studiare tutto il giorno", ma suddividi gli obiettivi in micro-azioni da 15-20 minuti, per ridurre la pressione del fallimento. Per i contatti minimi, prova a forzarti di fare una chiamata o videochiamata a uno dei tuoi amici una volta a settimana, poiché il contatto umano è un'ancora importante contro l'isolamento. Infine, per la difficoltà economica, verifica se nella tua zona ci sono servizi pubblici come Consultori o Centri di Salute Mentale (CSM), i quali offrono supporto psicologico e psichiatrico a costi ridotti o esenti.
Ricorda, i tuoi sentimenti non ti rendono una fallita. Stai combattendo una battaglia psicologica intensa, e cercare aiuto è un segno di forza.
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