Salve a tutti spero qualcuno come sempre e’ disponibile a rispondermi Da circa 2 mesi dopo avveni
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Salve a tutti spero qualcuno come sempre e’ disponibile a rispondermi
Da circa 2 mesi dopo avvenimenti avvenuti nella mia città di morti per atti estremi, in me si sono scaturite tantissime paure in primis paura del suicidio e paura della depressione
( sono un ragazzo che da 20 anni con l’ansia ci vado a braccietto , avendo avuto tantissime paure con il tempo risolte , compresi gli attacchi di panico , paura di malattie , paure a deglutire ecc )
Ad oggi dopo 2 mesi di rimuginio, ossessioni di pensieri ….
1- ho risolto tramite terapia Act di terza generazione alcuni miei aspetti tramite la meditazione
2- ho trovato le risposte in merito alle paura sugli atti estremi, togliendo il pensiero intrusivo su di lui
3- ho risolto il pensiero in merito alla paura della depressione, trovando anche risposte su di essa
Da oggi mi sento molto rilassato avendo risposto al mie domande ossessive
Mi è successa una cosa assurda mentre ero dal barbiere rilassato un magone mi sale lungo il petto con una domanda che mi ha mandato completamente in paranoia , dopo tutto quello che ti è successo ad oggi chiediti HAI VOGLIA DI VIVERE OPPURE MORIRE ?????
Boom assurdo, mi sento fiacco , ho cominciato a parlare anche in famiglia per avere un supporto
DICO IO MA È NORMALE TUTTO CIÒ FINO A IERI AVEVO PAURA DI DEPRESSIONE E SUICIDI RISOLVO TROVO LE RISPOSTE A CIÒ’
Finalmente mi sento rilassato dopo giorni di ansia ed ora ?
Da premettere che non mi sta causando tensione particolare mi sento ugualmente rilassato ma ciò mi manda di nuovo a pensare
La cosa che mi fa pensare è che sono molto rilassato non mi stare in tensione come prima
Come mai ?
Significa che ciò è veritiero ? essendo che non mi crea forte ansia come i primi pensieri ?
La domanda mi porta a cercare risposte fissazione
Grazie veramente in anticipo un vostro riscontro e di grande aiuto
Da circa 2 mesi dopo avvenimenti avvenuti nella mia città di morti per atti estremi, in me si sono scaturite tantissime paure in primis paura del suicidio e paura della depressione
( sono un ragazzo che da 20 anni con l’ansia ci vado a braccietto , avendo avuto tantissime paure con il tempo risolte , compresi gli attacchi di panico , paura di malattie , paure a deglutire ecc )
Ad oggi dopo 2 mesi di rimuginio, ossessioni di pensieri ….
1- ho risolto tramite terapia Act di terza generazione alcuni miei aspetti tramite la meditazione
2- ho trovato le risposte in merito alle paura sugli atti estremi, togliendo il pensiero intrusivo su di lui
3- ho risolto il pensiero in merito alla paura della depressione, trovando anche risposte su di essa
Da oggi mi sento molto rilassato avendo risposto al mie domande ossessive
Mi è successa una cosa assurda mentre ero dal barbiere rilassato un magone mi sale lungo il petto con una domanda che mi ha mandato completamente in paranoia , dopo tutto quello che ti è successo ad oggi chiediti HAI VOGLIA DI VIVERE OPPURE MORIRE ?????
Boom assurdo, mi sento fiacco , ho cominciato a parlare anche in famiglia per avere un supporto
DICO IO MA È NORMALE TUTTO CIÒ FINO A IERI AVEVO PAURA DI DEPRESSIONE E SUICIDI RISOLVO TROVO LE RISPOSTE A CIÒ’
Finalmente mi sento rilassato dopo giorni di ansia ed ora ?
Da premettere che non mi sta causando tensione particolare mi sento ugualmente rilassato ma ciò mi manda di nuovo a pensare
La cosa che mi fa pensare è che sono molto rilassato non mi stare in tensione come prima
Come mai ?
Significa che ciò è veritiero ? essendo che non mi crea forte ansia come i primi pensieri ?
La domanda mi porta a cercare risposte fissazione
Grazie veramente in anticipo un vostro riscontro e di grande aiuto
Buonasera e grazie per la condivisione. Capisco quello che sta vivendo, e voglio rassicurarla: ciò che descrive è assolutamente normale per chi convive con l’ansia da lungo tempo. Quello che le è successo al barbiere, quel “magone” improvviso e quella domanda che l’ha messa in allerta, non significa che lei abbia un reale desiderio di morire o che qualcosa sia cambiato in lei.
Spesso, quando riusciamo finalmente a rilassarci e a trovare risposte ai nostri pensieri ossessivi, la mente cerca nuovi modi per “testare” il nostro equilibrio emotivo. È come se dicesse: “Adesso vediamo se sei davvero al sicuro”. La domanda che è comparsa non è un riflesso dei suoi desideri, ma semplicemente un pensiero intrusivo, che emerge spontaneamente e che può sembrare terrificante proprio perché arriva in un momento di calma.
Il fatto che non le generi la stessa ansia intensa di prima è normale: il corpo e la mente stanno imparando a non reagire automaticamente a ogni pensiero. È un segnale che sta facendo progressi, non che ci sia qualcosa di “vero” o “pericoloso” nel pensiero stesso. La fissazione che sente — la necessità di cercare spiegazioni — è anch’essa parte del meccanismo ossessivo, che tende a spostarsi di forma man mano che alcuni pensieri vengono elaborati.
Quello che conta è continuare a osservare questi pensieri senza giudicarli o cercare risposte definitive, come probabilmente le insegna già la terapia ACT. Il suo rilassamento non è un segnale di pericolo: è un segnale di crescita. Con il tempo e la pratica, queste “prove” che la mente crea perderanno forza e intensità. Rimango a disposizione, un saluto!
Spesso, quando riusciamo finalmente a rilassarci e a trovare risposte ai nostri pensieri ossessivi, la mente cerca nuovi modi per “testare” il nostro equilibrio emotivo. È come se dicesse: “Adesso vediamo se sei davvero al sicuro”. La domanda che è comparsa non è un riflesso dei suoi desideri, ma semplicemente un pensiero intrusivo, che emerge spontaneamente e che può sembrare terrificante proprio perché arriva in un momento di calma.
Il fatto che non le generi la stessa ansia intensa di prima è normale: il corpo e la mente stanno imparando a non reagire automaticamente a ogni pensiero. È un segnale che sta facendo progressi, non che ci sia qualcosa di “vero” o “pericoloso” nel pensiero stesso. La fissazione che sente — la necessità di cercare spiegazioni — è anch’essa parte del meccanismo ossessivo, che tende a spostarsi di forma man mano che alcuni pensieri vengono elaborati.
Quello che conta è continuare a osservare questi pensieri senza giudicarli o cercare risposte definitive, come probabilmente le insegna già la terapia ACT. Il suo rilassamento non è un segnale di pericolo: è un segnale di crescita. Con il tempo e la pratica, queste “prove” che la mente crea perderanno forza e intensità. Rimango a disposizione, un saluto!
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Buonasera, quello che descrive è un percorso molto intenso: dopo mesi di paure e pensieri ossessivi, è riuscito a trovare sollievo e risposte, e questo è un risultato significativo. È comprensibile che, dopo aver superato un periodo di forte tensione, emerga una nuova domanda che sembra destabilizzante. Spesso la mente, abituata a rimuginare, tende a cercare nuovi “appigli” anche quando la situazione è più tranquilla. Questo non significa che la domanda sia “veritiera”, ma che il meccanismo dell’ansia e dell’ossessione può ripresentarsi in forme diverse.
Il fatto che oggi si senta rilassato e non provi la stessa tensione di prima è un segnale che il corpo e la mente stanno uscendo da uno stato di allerta. Tuttavia, proprio questa calma può sembrare strana, perché dopo tanta ansia il silenzio mentale può far nascere dubbi: “se non sono agitato, allora forse è reale?”. È un circolo tipico dei pensieri intrusivi, che non si misura con la verità del contenuto, ma con il bisogno di certezza.
Parlarne con la famiglia è un passo importante, così come continuare il percorso terapeutico che ha già dato risultati. Non è raro che, dopo aver risolto alcune paure, ne compaiano altre: non è un segno di regressione, ma parte del processo di apprendimento su come gestire l’ansia. Dare spazio alla domanda senza cercare di risolverla subito, accettando che sia un pensiero e non una realtà, può essere un modo per ridurne il potere.
Ne parli con il suo terapeuta, insieme potrete lavorare su questi pensieri e questi stati d'animo.
Il fatto che oggi si senta rilassato e non provi la stessa tensione di prima è un segnale che il corpo e la mente stanno uscendo da uno stato di allerta. Tuttavia, proprio questa calma può sembrare strana, perché dopo tanta ansia il silenzio mentale può far nascere dubbi: “se non sono agitato, allora forse è reale?”. È un circolo tipico dei pensieri intrusivi, che non si misura con la verità del contenuto, ma con il bisogno di certezza.
Parlarne con la famiglia è un passo importante, così come continuare il percorso terapeutico che ha già dato risultati. Non è raro che, dopo aver risolto alcune paure, ne compaiano altre: non è un segno di regressione, ma parte del processo di apprendimento su come gestire l’ansia. Dare spazio alla domanda senza cercare di risolverla subito, accettando che sia un pensiero e non una realtà, può essere un modo per ridurne il potere.
Ne parli con il suo terapeuta, insieme potrete lavorare su questi pensieri e questi stati d'animo.
Grazie per la condivisione.
Capisco quanto questi ultimi mesi siano stati intensi per te e quanta fatica tu abbia già fatto per affrontare paure, pensieri intrusivi e rimuginio. È importante riconoscere questo: hai già messo in campo molte risorse, dalla terapia ACT alla meditazione, e hai notato dei miglioramenti concreti.
Quello che descrivi ora — il pensiero improvviso “Hai voglia di vivere o morire?” comparso proprio in un momento di relax — può essere molto spaventoso, ma non significa che ci sia qualcosa di “vero” o di pericoloso dietro. I pensieri intrusivi funzionano spesso così: arrivano nei momenti di calma, proprio quando il sistema nervoso si rilassa dopo un periodo di forte iper-attivazione. È come se la mente, abituata a stare “sul pezzo”, lanciasse l’ennesimo controllo per verificare se tutto è davvero sotto controllo.
Il fatto che questo pensiero non ti provochi la stessa ondata di ansia intensa che avevi all’inizio non significa che sia reale o che rifletta un tuo desiderio. Al contrario, può essere un segnale che il tuo corpo è meno in allerta e che l’ansia sta cambiando forma. Spesso, quando l’ansia cala, la mente tenta l’“ultima carta” per riattivare la vecchia dinamica di controllo.
Il dubbio “Se non mi mette in agitazione, allora è vero?” è esso stesso un pensiero ossessivo, una ricerca di certezza assoluta — esattamente la dinamica che hai già riconosciuto in passato con altri temi (salute, deglutizione, panico…). È la forma, non il contenuto, che ci mostra che si tratta ancora di ansia.
È comprensibile che tu voglia risposte e rassicurazioni, soprattutto dopo aver sentito finalmente un po’ di sollievo. Ma è importante ricordare che: un pensiero non è un’intenzione, il contenuto dei pensieri intrusivi non indica ciò che desideri, e la riduzione dell’ansia non è la prova che un pensiero sia vero, ma semplicemente che la mente sta sperimentando un nuovo equilibrio.
Hai fatto bene a parlarne in famiglia: cercare supporto è sempre una risorsa. Ed è altrettanto utile continuare a portare questi temi in terapia, perché fa parte del percorso imparare a lasciare i pensieri dov'erano, invece di entrare nel ciclo delle verifiche e delle interpretazioni.
Per ora, quello che stai vivendo rientra in un funzionamento ansioso già conosciuto da te. Non c’è niente di “assurdo” o di anormale: è la mente che, dopo tanto attivarsi, sta semplicemente cercando nuovi appigli. Continuiamo a osservare i pensieri come eventi mentali, non come verità da analizzare.
Saluti
GM
Capisco quanto questi ultimi mesi siano stati intensi per te e quanta fatica tu abbia già fatto per affrontare paure, pensieri intrusivi e rimuginio. È importante riconoscere questo: hai già messo in campo molte risorse, dalla terapia ACT alla meditazione, e hai notato dei miglioramenti concreti.
Quello che descrivi ora — il pensiero improvviso “Hai voglia di vivere o morire?” comparso proprio in un momento di relax — può essere molto spaventoso, ma non significa che ci sia qualcosa di “vero” o di pericoloso dietro. I pensieri intrusivi funzionano spesso così: arrivano nei momenti di calma, proprio quando il sistema nervoso si rilassa dopo un periodo di forte iper-attivazione. È come se la mente, abituata a stare “sul pezzo”, lanciasse l’ennesimo controllo per verificare se tutto è davvero sotto controllo.
Il fatto che questo pensiero non ti provochi la stessa ondata di ansia intensa che avevi all’inizio non significa che sia reale o che rifletta un tuo desiderio. Al contrario, può essere un segnale che il tuo corpo è meno in allerta e che l’ansia sta cambiando forma. Spesso, quando l’ansia cala, la mente tenta l’“ultima carta” per riattivare la vecchia dinamica di controllo.
Il dubbio “Se non mi mette in agitazione, allora è vero?” è esso stesso un pensiero ossessivo, una ricerca di certezza assoluta — esattamente la dinamica che hai già riconosciuto in passato con altri temi (salute, deglutizione, panico…). È la forma, non il contenuto, che ci mostra che si tratta ancora di ansia.
È comprensibile che tu voglia risposte e rassicurazioni, soprattutto dopo aver sentito finalmente un po’ di sollievo. Ma è importante ricordare che: un pensiero non è un’intenzione, il contenuto dei pensieri intrusivi non indica ciò che desideri, e la riduzione dell’ansia non è la prova che un pensiero sia vero, ma semplicemente che la mente sta sperimentando un nuovo equilibrio.
Hai fatto bene a parlarne in famiglia: cercare supporto è sempre una risorsa. Ed è altrettanto utile continuare a portare questi temi in terapia, perché fa parte del percorso imparare a lasciare i pensieri dov'erano, invece di entrare nel ciclo delle verifiche e delle interpretazioni.
Per ora, quello che stai vivendo rientra in un funzionamento ansioso già conosciuto da te. Non c’è niente di “assurdo” o di anormale: è la mente che, dopo tanto attivarsi, sta semplicemente cercando nuovi appigli. Continuiamo a osservare i pensieri come eventi mentali, non come verità da analizzare.
Saluti
GM
Salve a lei, da quello che si può evincere la sua ansia è persistente anche ad alcune terapie di rilassamento, prende la forma di attacchi di panico e pensieri intrusivi, finendo per toccare il polo depressivo. Ritengo che si potrebbe intervenire andando un po' più a fondo nelle cause responsabili del malessere, perché molto spesso si tratta di problemi legati alla difficoltà a tradurre in pensieri consapevoli le paure che si hanno, per questo assume forme diverse e si manifesta in un ampio spettro di disagi. È possibile che se provasse a dare una spiegazione a questa ansia, una spiegazione esplicita, ricostruendo tanti aspetti della sua storia che l'hanno portata nel punto in cui si trova, questo le sarebbe molto d'aiuto. Naturalmente, deve imparare ad aprirsi un po' e non è sempre facile, sopratutto all'inizio. Perché probabilmente le risposte che ha trovato, con tecniche di introspezione e lavorando su di sé, non sono quelle giuste. È un po' come tappare una feritoia da cui sgorga acqua piovana che si infiltra. Sembra di aver risolto il problema ma, così come l'acqua trova una sua strada alternativa, l'ansia cambia percorso allo stesso modo, sfociando in un episodio di panico. Spero di esserle stato d'aiuto e se ritiene di voler fare qualche colloquio, sono disponibile. Le porgo i miei più cordiali saluti.
Ciao — grazie per aver condiviso tutto con tanta chiarezza. È comprensibile che dopo esperienze brutte nella tua città e mesi di rimuginio compaiano pensieri molto forti e angoscianti: sono spesso pensieri intrusivi, non segnali di ciò che desideri veramente. Ecco alcuni punti concreti e pratici per orientarti — senza essere prolissa.
I pensieri intrusivi sono involontari: non corrispondono automaticamente a intenzioni o desideri reali. Possono essere più insistenti proprio quando smetti di lottare contro l’ansia.
Il fatto che ora non ti generino la stessa ansia non significa che siano “veri”. A volte la mente mette la domanda “hai voglia di vivere o morire?” come stimolo ossessivo proprio per catturare la tua attenzione; la tua calma attuale può essere segno di tolleranza aumentata, non di cranio deciso.
Hai già fatto un lavoro valido con l’ACT e la meditazione — ottimo segnale. Le tecniche di defusione (es. etichettare il pensiero “eccone uno”), il “lassare spazio” al pensiero senza ingaggiarlo, la respirazione lenta e l’urge surfing (osservare l’impulso fino a quando passa) possono aiutare molto quando arriva quel magone.
Strategie pratiche in momento: fermati, respira 4–4–6, nomina il pensiero (“pensiero intrusivo”), ricordati dei tuoi valori (cosa ti fa dire «voglio vivere»), fai una piccola attività concreta (bere acqua, camminare 5 minuti, chiamare qualcuno). Parlare con la famiglia, come hai fatto, è utile: mantenere connessioni riduce il rischio di isolamento.
Evita di cercare “prove” che confermino o smentiscano il pensiero: il cercare risposte spesso alimenta la fissazione. Meglio accogliere il pensiero e tornare a ciò che conta per te.
Se i pensieri dovessero intensificarsi — se compaiono piano concreto, intenzione chiara o pensi di poterti fare del male — contatta immediatamente i servizi di emergenza (in Europa il 112) o vai al pronto soccorso: la sicurezza viene prima di tutto.
Considera la possibilità di proseguire/riattivare un percorso di supporto (psicoterapia di mantenimento, valutazione psichiatrica se i sintomi diventano persistenti o molto disturbanti) per consolidare gli strumenti che già usi.
Hai fatto passi importanti — riconoscere, parlarne, usare ACT — quindi sei sulla strada giusta. Tuttavia, vista la natura dei pensieri e la loro ricorrenza, è consigliabile approfondire con uno specialista che valuti insieme a te la strategia migliore da continuare o intensificare.
Un caro saluto,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
I pensieri intrusivi sono involontari: non corrispondono automaticamente a intenzioni o desideri reali. Possono essere più insistenti proprio quando smetti di lottare contro l’ansia.
Il fatto che ora non ti generino la stessa ansia non significa che siano “veri”. A volte la mente mette la domanda “hai voglia di vivere o morire?” come stimolo ossessivo proprio per catturare la tua attenzione; la tua calma attuale può essere segno di tolleranza aumentata, non di cranio deciso.
Hai già fatto un lavoro valido con l’ACT e la meditazione — ottimo segnale. Le tecniche di defusione (es. etichettare il pensiero “eccone uno”), il “lassare spazio” al pensiero senza ingaggiarlo, la respirazione lenta e l’urge surfing (osservare l’impulso fino a quando passa) possono aiutare molto quando arriva quel magone.
Strategie pratiche in momento: fermati, respira 4–4–6, nomina il pensiero (“pensiero intrusivo”), ricordati dei tuoi valori (cosa ti fa dire «voglio vivere»), fai una piccola attività concreta (bere acqua, camminare 5 minuti, chiamare qualcuno). Parlare con la famiglia, come hai fatto, è utile: mantenere connessioni riduce il rischio di isolamento.
Evita di cercare “prove” che confermino o smentiscano il pensiero: il cercare risposte spesso alimenta la fissazione. Meglio accogliere il pensiero e tornare a ciò che conta per te.
Se i pensieri dovessero intensificarsi — se compaiono piano concreto, intenzione chiara o pensi di poterti fare del male — contatta immediatamente i servizi di emergenza (in Europa il 112) o vai al pronto soccorso: la sicurezza viene prima di tutto.
Considera la possibilità di proseguire/riattivare un percorso di supporto (psicoterapia di mantenimento, valutazione psichiatrica se i sintomi diventano persistenti o molto disturbanti) per consolidare gli strumenti che già usi.
Hai fatto passi importanti — riconoscere, parlarne, usare ACT — quindi sei sulla strada giusta. Tuttavia, vista la natura dei pensieri e la loro ricorrenza, è consigliabile approfondire con uno specialista che valuti insieme a te la strategia migliore da continuare o intensificare.
Un caro saluto,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Buongiorno, una base ansiogena può portare a rimuginii e ossessioni, sicuramente la tcc è un validissimo aiuto per tenere sotto controllo i sintomi. Ricordi che la mente spesso inganna quindi la maggior parte dei pensieri non hanno valenza. Cerchi di immaginare i pensieri come qualcosa di leggero immaginando fossero nuvole o foglie trasportate dall'acqua in modo da lasciarli andare.
Cordiali saluti
Dott. ssa Sara Rocco
Cordiali saluti
Dott. ssa Sara Rocco
Caro,
grazie per aver condiviso un momento così delicato della sua storia .
Comprendo quanto questa esperienza possa averla spaventata, soprattutto dopo un periodo già caratterizzato da ansia, rimuginio e pensieri intrusivi legati al tema della depressione e degli atti autolesivi. Vorrei rassicurarla su un punto fondamentale: la comparsa di una domanda improvvisa e destabilizzante (“ho voglia di vivere o di morire?”) non indica in alcun modo un reale desiderio di farla finita, ma rappresenta un fenomeno molto comune nelle persone che vivono una forte sensibilità all’ansia e al controllo dei propri stati interni.
Quando per settimane o mesi si vive in allerta, cercando risposte e soluzioni ai propri timori, può accadere che, nel momento in cui finalmente arriva un po’ di sollievo, la mente “scatti” con un nuovo interrogativo. È come se il sistema interno, abituato alla tensione, faticasse a riconoscere il rilassamento come uno stato sicuro.
Da un punto di vista psicologico, ciò che lei descrive è tipico dei pensieri ossessivi a contenuto esistenziale: domande improvvise, fuori contesto, che colpiscono perché profondamente lontane dai propri desideri reali. L’assenza di una forte attivazione fisiologica (come ansia acuta o panico) non rende questi pensieri più “veritieri”: significa, piuttosto, che il suo corpo è stanco, e che non riesce più a rispondere con la stessa carica emotiva che aveva all’inizio. Questo è un segno di affaticamento, non di desiderio.
Il fatto che lei si sia sentito disorientato proprio mentre era rilassato è molto significativo: spesso la mente lancia questi contenuti proprio nei momenti in cui non è impegnata a difendersi. Non c’è nulla di “assurdo”: è un meccanismo prevedibile nell’ansia cronica.
È importante anche notare che lei:
• ha riconosciuto subito che il pensiero l’ha spaventato;
• ne ha parlato con la famiglia, mostrando consapevolezza e capacità di chiedere supporto;
• è in un percorso terapeutico e ha già compiuto progressi importanti.
Tutto questo indica risorse, non fragilità.
Nel lavoro psicologico, soprattutto nell’ACT e nell’orientamento sistemico, consideriamo questi pensieri come eventi mentali, non come verità da interpretare. L’obiettivo non è dimostrare alla mente se siano reali o meno, ma aiutarla a riconoscerli, lasciarli passare e tornare ai propri valori di vita.
Il fatto che questa domanda la “blocchi” nella ricerca di risposte è proprio il punto su cui lavorare: non è la domanda il problema, ma il tentativo di darle una soluzione definitiva.
La incoraggio a portare questo episodio in terapia: è materiale prezioso, perché mostra che lei sta entrando in una fase diversa del suo percorso, in cui può finalmente lavorare non più sulla paura del contenuto, ma sul rapporto che ha con i suoi pensieri.
Ribadisco, con molta chiarezza: questo tipo di pensiero non significa che lei desideri morire. Significa che è stanco, sensibile e abituato a controllare troppo. E oggi ha gli strumenti per imparare a gestire anche questo passo.
Un caro saluto,
Resto a disposizione,
Dott.ssa Caterina Lo Bianco – Psicologa ad orientamento Sistemico-Relazionale
grazie per aver condiviso un momento così delicato della sua storia .
Comprendo quanto questa esperienza possa averla spaventata, soprattutto dopo un periodo già caratterizzato da ansia, rimuginio e pensieri intrusivi legati al tema della depressione e degli atti autolesivi. Vorrei rassicurarla su un punto fondamentale: la comparsa di una domanda improvvisa e destabilizzante (“ho voglia di vivere o di morire?”) non indica in alcun modo un reale desiderio di farla finita, ma rappresenta un fenomeno molto comune nelle persone che vivono una forte sensibilità all’ansia e al controllo dei propri stati interni.
Quando per settimane o mesi si vive in allerta, cercando risposte e soluzioni ai propri timori, può accadere che, nel momento in cui finalmente arriva un po’ di sollievo, la mente “scatti” con un nuovo interrogativo. È come se il sistema interno, abituato alla tensione, faticasse a riconoscere il rilassamento come uno stato sicuro.
Da un punto di vista psicologico, ciò che lei descrive è tipico dei pensieri ossessivi a contenuto esistenziale: domande improvvise, fuori contesto, che colpiscono perché profondamente lontane dai propri desideri reali. L’assenza di una forte attivazione fisiologica (come ansia acuta o panico) non rende questi pensieri più “veritieri”: significa, piuttosto, che il suo corpo è stanco, e che non riesce più a rispondere con la stessa carica emotiva che aveva all’inizio. Questo è un segno di affaticamento, non di desiderio.
Il fatto che lei si sia sentito disorientato proprio mentre era rilassato è molto significativo: spesso la mente lancia questi contenuti proprio nei momenti in cui non è impegnata a difendersi. Non c’è nulla di “assurdo”: è un meccanismo prevedibile nell’ansia cronica.
È importante anche notare che lei:
• ha riconosciuto subito che il pensiero l’ha spaventato;
• ne ha parlato con la famiglia, mostrando consapevolezza e capacità di chiedere supporto;
• è in un percorso terapeutico e ha già compiuto progressi importanti.
Tutto questo indica risorse, non fragilità.
Nel lavoro psicologico, soprattutto nell’ACT e nell’orientamento sistemico, consideriamo questi pensieri come eventi mentali, non come verità da interpretare. L’obiettivo non è dimostrare alla mente se siano reali o meno, ma aiutarla a riconoscerli, lasciarli passare e tornare ai propri valori di vita.
Il fatto che questa domanda la “blocchi” nella ricerca di risposte è proprio il punto su cui lavorare: non è la domanda il problema, ma il tentativo di darle una soluzione definitiva.
La incoraggio a portare questo episodio in terapia: è materiale prezioso, perché mostra che lei sta entrando in una fase diversa del suo percorso, in cui può finalmente lavorare non più sulla paura del contenuto, ma sul rapporto che ha con i suoi pensieri.
Ribadisco, con molta chiarezza: questo tipo di pensiero non significa che lei desideri morire. Significa che è stanco, sensibile e abituato a controllare troppo. E oggi ha gli strumenti per imparare a gestire anche questo passo.
Un caro saluto,
Resto a disposizione,
Dott.ssa Caterina Lo Bianco – Psicologa ad orientamento Sistemico-Relazionale
Salve, quello che descrive è un vissuto molto comprensibile, soprattutto alla luce della sua storia con l’ansia e del periodo che ha attraversato negli ultimi mesi. Quando si è esposti a notizie forti, come quelle che riguardano atti estremi, è purtroppo frequente che la mente inizi a produrre domande spaventose, immagini intrusive e paure che sembrano arrivare dal nulla. Non perché si desideri davvero ciò che si teme, ma perché la mente ansiosa tende ad attaccarsi proprio a ciò che fa più paura. Da quello che racconta, lei ha fatto un grande lavoro su se stesso. Ha messo in discussione le sue paure, ha cercato risposte, ha parlato, si è confrontato, e questo l’ha portata a un sensibile sollievo. È molto importante riconoscere questo passaggio, perché dimostra che lei ha risorse, capacità di riflessione e volontà di stare meglio. Il fatto che oggi si senta più rilassato non è un segnale negativo, anzi, è un segnale che il sistema di allarme interno si è in parte abbassato. La domanda che le è comparsa dal nulla dal barbiere, quella sul vivere o morire, ha tutta l’aria di essere l’ennesimo pensiero intrusivo. Non nasce da un desiderio reale, ma dal bisogno della mente di controllare, verificare, ottenere certezze assolute. Quando per molto tempo si è stati in allerta, il cervello fatica a fermarsi di colpo e va a cercare un nuovo terreno su cui riaccendere la preoccupazione. È un meccanismo molto tipico dell’ansia, non un segnale che lei voglia davvero morire. Il fatto che questo pensiero oggi non le provochi la stessa intensità di ansia di prima non significa che sia più vero. Significa molto probabilmente che lei è più stanco, più rilassato, meno contractto. L’ansia non si presenta sempre con la stessa forza. A volte è acuta e travolgente, altre volte è più sottile, più silenziosa, ma continua comunque a proporre dubbi. Ed è proprio questa calma apparente che può spaventare, perché la mente dice se non sto tremando allora forse è vero. In realtà no. L’assenza di forte tensione non è una prova di verità, ma spesso è solo il segno che il corpo sta recuperando. Il punto centrale non è trovare una risposta definitiva a quella domanda, ma riconoscere che è una domanda generata dall’ansia e non da un desiderio autentico. Il bisogno continuo di cercare risposte, di analizzare le sensazioni, di capire se si prova abbastanza paura oppure no, è esattamente ciò che mantiene il circolo attivo. Più si cerca la certezza, più la mente trova nuovi dubbi. È molto positivo che lei abbia parlato con la sua famiglia. Il supporto umano è una delle cose più protettive che esistano quando si attraversano periodi così. Continui a non restare solo con questi pensieri. E si ricordi che il fatto stesso che lei sia spaventato da queste domande, che cerchi rassicurazioni, che voglia capire, è già un segnale molto forte di attaccamento alla vita. Lei non è i suoi pensieri. I pensieri arrivano, passano, cambiano forma. Quello che conta davvero è come lei vive, cosa sente nel profondo quando non è intrappolato nell’analisi e nelle paure. E da quello che racconta, sotto tutto questo c’è una persona che vuole stare meglio e che sta già facendo passi importanti in quella direzione. resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Capisco quanto questo nuovo pensiero l’abbia spaventata, soprattutto dopo settimane in cui era finalmente riuscito a trovare sollievo. Ma vorrei rassicurarla: ciò che sta vivendo non è affatto raro. Quando una persona che convive da anni con l’ansia si rilassa dopo un periodo molto intenso, la mente può produrre una nuova domanda destabilizzante proprio perché non è abituata a quello spazio di calma.
Dal punto di vista psicodinamico, la sua mente è molto sensibile al tema del controllo. Nei momenti di pericolo, reali o simbolici, tenta di anticipare tutto con pensieri catastrofici. E quando quel pericolo cala, emerge un vuoto che può risultare quasi più inquietante dell’ansia stessa. La domanda “Ho voglia di vivere o morire?” non indica un reale desiderio di morte: è un pensiero intrusivo di tipo esistenziale, nato dall’affaticamento e dalla sua lunga storia di ansia.
Il fatto che questo pensiero non generi un’ondata di panico come in passato non significa che sia “più vero”. Significa semplicemente che arriva in un momento in cui il suo corpo è stanco e meno reattivo.
È comprensibile che cerchi risposte, ma è proprio questa ricerca continua che mantiene vivo il dubbio. La direzione del lavoro ora non è trovare la risposta giusta, ma lasciare che la domanda perda significato senza inseguirla.
Parlarne con la famiglia è un segnale positivo: indica che una parte di lei vuole proteggersi e farsi aiutare.
Con il tempo, imparando a non dare troppo peso a questi interrogativi, la sua mente potrà ritrovare un equilibrio più stabile
Dal punto di vista psicodinamico, la sua mente è molto sensibile al tema del controllo. Nei momenti di pericolo, reali o simbolici, tenta di anticipare tutto con pensieri catastrofici. E quando quel pericolo cala, emerge un vuoto che può risultare quasi più inquietante dell’ansia stessa. La domanda “Ho voglia di vivere o morire?” non indica un reale desiderio di morte: è un pensiero intrusivo di tipo esistenziale, nato dall’affaticamento e dalla sua lunga storia di ansia.
Il fatto che questo pensiero non generi un’ondata di panico come in passato non significa che sia “più vero”. Significa semplicemente che arriva in un momento in cui il suo corpo è stanco e meno reattivo.
È comprensibile che cerchi risposte, ma è proprio questa ricerca continua che mantiene vivo il dubbio. La direzione del lavoro ora non è trovare la risposta giusta, ma lasciare che la domanda perda significato senza inseguirla.
Parlarne con la famiglia è un segnale positivo: indica che una parte di lei vuole proteggersi e farsi aiutare.
Con il tempo, imparando a non dare troppo peso a questi interrogativi, la sua mente potrà ritrovare un equilibrio più stabile
Gentilissimo, comprendo bene la natura dei dubbi che sta vivendo. Dopo un percorso personale che le ha permesso di acquisire nuove consapevolezze e di ridurre in modo significativo diversi vissuti legati all’ansia, agli attacchi di panico e alle paure associate alla depressione, è stato colto alla sprovvista da un improvviso stato emotivo spiacevole (quel “magone” che descrive). Questo episodio ha fatto riemergere interrogativi e preoccupazioni sulla legittimità e sul significato dei pensieri comparsi, portandola a chiedersi come sia possibile che, dopo aver chiarito timori legati alla depressione e al suicidio, emergano nuovamente pensieri intrusivi di contenuto negativo. Da ciò che scrive, sembra che ciò che la spaventa non sia solo il contenuto del pensiero, ma la sensazione che possa essere “vero” o espressione di qualcosa di più profondo e sconosciuto.
Fornirle una risposta certa su questo punto, sulla base dei pochi elementi riportati, sarebbe complesso e direi professionalmente poco prudente ed accurato.
Proprio per questo ritengo possa esserle molto utile, qualora avesse interrotto il percorso ACT, riprendere un confronto con il professionista che l’ha seguita. Dedicare alcune sedute a quanto accaduto potrebbe offrirle uno spazio sicuro per comprendere meglio l’episodio, esplorare la natura dei pensieri emersi e valutare insieme quanto essi si colleghino alla sua storia di ansia, rimuginio o sensibilità ai sintomi depressivi.
È possibile ipotizzare che ciò che ha sperimentato sia una risposta automatica legata allo stress accumulato negli ultimi mesi, oppure che indichi la presenza di aspetti ancora da elaborare. I risultati raggiunti nel suo lavoro personale che, da ciò che scrive, appaiono significativi e preziosi, potrebbero inserirsi in un quadro più articolato; se così fosse, potrebbe essere utile dedicarvi ulteriore attenzione e tempo per comprenderlo appieno.
In ogni caso, le suggerisco di confrontarsi con il professionista che l’ha seguita (o che la sta seguendo), così da valutare insieme la modalità più adeguata per affrontare quanto accaduto, con gli strumenti appropriati e in un contesto sicuro e strutturato.
Fornirle una risposta certa su questo punto, sulla base dei pochi elementi riportati, sarebbe complesso e direi professionalmente poco prudente ed accurato.
Proprio per questo ritengo possa esserle molto utile, qualora avesse interrotto il percorso ACT, riprendere un confronto con il professionista che l’ha seguita. Dedicare alcune sedute a quanto accaduto potrebbe offrirle uno spazio sicuro per comprendere meglio l’episodio, esplorare la natura dei pensieri emersi e valutare insieme quanto essi si colleghino alla sua storia di ansia, rimuginio o sensibilità ai sintomi depressivi.
È possibile ipotizzare che ciò che ha sperimentato sia una risposta automatica legata allo stress accumulato negli ultimi mesi, oppure che indichi la presenza di aspetti ancora da elaborare. I risultati raggiunti nel suo lavoro personale che, da ciò che scrive, appaiono significativi e preziosi, potrebbero inserirsi in un quadro più articolato; se così fosse, potrebbe essere utile dedicarvi ulteriore attenzione e tempo per comprenderlo appieno.
In ogni caso, le suggerisco di confrontarsi con il professionista che l’ha seguita (o che la sta seguendo), così da valutare insieme la modalità più adeguata per affrontare quanto accaduto, con gli strumenti appropriati e in un contesto sicuro e strutturato.
Gentile utente, la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità ciò che sta vivendo. Si percepisce chiaramente quanta fatica ci sia stata in questi mesi e quanto lei stia cercando, con grande impegno, di comprendere e controllare ciò che prova.
Quello che descrive – il passare da una preoccupazione all’altra, il bisogno di trovare spiegazioni definitive, la comparsa improvvisa di domande intrusive che la destabilizzano – non è segno di “verità” delle paure, ma piuttosto del modo in cui la mente, soprattutto in persone sensibili e abituate all’ansia, tende a reagire agli eventi stressanti. Quando l’attenzione si focalizza sui pensieri, spesso questi diventano sempre più intensi e convincenti, anche se non rappresentano ciò che realmente desideriamo o sentiamo.
È comprensibile che il sentirsi più rilassato possa confonderla: quando l’ansia si abbassa, la mente può creare nuovi interrogativi per mantenere vivo il controllo. È proprio questo meccanismo che andrebbe compreso e affrontato in uno spazio terapeutico sicuro, dove lei possa imparare non tanto a rispondere alle domande intrusive, quanto a cambiare il rapporto che ha con esse.
In questo momento più che nuove spiegazioni servirebbe un supporto psicologico continuativo, che la aiuti a riconoscere questi cicli di pensiero, a ridurre il bisogno di analizzarli e a creare modalità più funzionali per stare con le emozioni senza esserne sommerso.
Sarei felice di accompagnarla in questo percorso.
Se dovesse avere dei dubbi, può contattarmi premendo il tasto 'messaggio' sul mio profilo.
Resto a disposizione attraverso consulenze online.
Dott. Luca Rochdi
Quello che descrive – il passare da una preoccupazione all’altra, il bisogno di trovare spiegazioni definitive, la comparsa improvvisa di domande intrusive che la destabilizzano – non è segno di “verità” delle paure, ma piuttosto del modo in cui la mente, soprattutto in persone sensibili e abituate all’ansia, tende a reagire agli eventi stressanti. Quando l’attenzione si focalizza sui pensieri, spesso questi diventano sempre più intensi e convincenti, anche se non rappresentano ciò che realmente desideriamo o sentiamo.
È comprensibile che il sentirsi più rilassato possa confonderla: quando l’ansia si abbassa, la mente può creare nuovi interrogativi per mantenere vivo il controllo. È proprio questo meccanismo che andrebbe compreso e affrontato in uno spazio terapeutico sicuro, dove lei possa imparare non tanto a rispondere alle domande intrusive, quanto a cambiare il rapporto che ha con esse.
In questo momento più che nuove spiegazioni servirebbe un supporto psicologico continuativo, che la aiuti a riconoscere questi cicli di pensiero, a ridurre il bisogno di analizzarli e a creare modalità più funzionali per stare con le emozioni senza esserne sommerso.
Sarei felice di accompagnarla in questo percorso.
Se dovesse avere dei dubbi, può contattarmi premendo il tasto 'messaggio' sul mio profilo.
Resto a disposizione attraverso consulenze online.
Dott. Luca Rochdi
Quello che racconti suona davvero intenso: dopo due mesi di paure, rimuginio, pensieri intrusivi, lavoro su di te… finalmente un momento di sollievo, di rilassamento.
E proprio lì, mentre eri dal barbiere, arriva quel “magone” improvviso e quella domanda forte, spiazzante, che ti ha mandato in confusione.
Ti capisco:
eri tranquillo, e all’improvviso boom, una frase che ti rimette tutto in discussione.
E ora ti ritrovi a chiederti:
“Ma com’è possibile? Fino a ieri avevo paura della depressione e del suicidio, ho trovato risposte, ero più sereno… e adesso questa domanda? E perché non mi crea la stessa tensione di prima?”
Stai proprio dentro un momento in cui cerchi di capire cosa ti sta succedendo, perché da un lato ti senti rilassato… e dall’altro questa frase continua a girare nella testa e ti porta di nuovo a cercare risposte.
Sembra che tu stia vivendo una specie di disorientamento:
da una parte sollievo, dall’altra questa nuova domanda che ti fissa e ti fa dubitare.
E stai facendo una cosa importante: ne parli, lo condividi con la famiglia, lo porti qui.
Questo dice tanto su quanto ci tieni a capire e a stare meglio.
Se vuoi, possiamo restare semplicemente su quello che senti adesso, senza interpretazioni.
Dimmi: in questo momento, che effetto ti fa quella domanda dentro di te?
E proprio lì, mentre eri dal barbiere, arriva quel “magone” improvviso e quella domanda forte, spiazzante, che ti ha mandato in confusione.
Ti capisco:
eri tranquillo, e all’improvviso boom, una frase che ti rimette tutto in discussione.
E ora ti ritrovi a chiederti:
“Ma com’è possibile? Fino a ieri avevo paura della depressione e del suicidio, ho trovato risposte, ero più sereno… e adesso questa domanda? E perché non mi crea la stessa tensione di prima?”
Stai proprio dentro un momento in cui cerchi di capire cosa ti sta succedendo, perché da un lato ti senti rilassato… e dall’altro questa frase continua a girare nella testa e ti porta di nuovo a cercare risposte.
Sembra che tu stia vivendo una specie di disorientamento:
da una parte sollievo, dall’altra questa nuova domanda che ti fissa e ti fa dubitare.
E stai facendo una cosa importante: ne parli, lo condividi con la famiglia, lo porti qui.
Questo dice tanto su quanto ci tieni a capire e a stare meglio.
Se vuoi, possiamo restare semplicemente su quello che senti adesso, senza interpretazioni.
Dimmi: in questo momento, che effetto ti fa quella domanda dentro di te?
Capisco davvero quanto tutto questo possa essere spiazzante, soprattutto dopo mesi in cui hai combattuto con pensieri intrusivi, paure intense e rimuginio costante. Prima di tutto ti faccio i complimenti per il percorso che hai fatto, hai utilizzato strumenti dell’ACT, hai meditato, hai lavorato su pensieri molto difficili e sei riuscito a trovare risposte che ti hanno dato sollievo. Questo non è da tutti, davvero.
Quello che descrivi, quel pensiero improvviso “hai voglia di vivere o morire?” arrivato in un momento di relax, può succedere, ed è molto più comune di quanto credi.
I pensieri intrusivi non arrivano sempre quando siamo ansiosi, a volte saltano fuori proprio nei momenti di calma, ed è questo che li fa sembrare più veri. Ma un pensiero che arriva in un momento di rilassamento non è più reale, è semplicemente inatteso e quindi più destabilizzante.
Quello che conta davvero è quanto questi pensieri incidono sulla tua vita quotidiana, sulle tue azioni, sulle tue relazioni, sul tuo modo di vivere la giornata. E da ciò che racconti, nonostante lo spavento, non senti la stessa tensione dei mesi passati, questo non indica verità del pensiero, ma semplicemente che sei stanco, e il tuo sistema nervoso è un po’ svuotato dopo tanta ansia prolungata.
Il fatto che tu ne abbia parlato con la tua famiglia è un passo maturo e molto sano. Non stai affrontando tutto da solo, ed è importantissimo.
Se senti che questa nuova domanda sta diventando una fissazione o che ti sta riportando nel ciclo del rimuginio, potrebbe essere utile riprendere la terapia, anche solo per qualche seduta di supporto, perché ti meriti di continuare a stare bene e consolidare i progressi.
forza, sono sicura che riuscirai a trovare le tue risposte!
in bocca al lupo
R.M.
Quello che descrivi, quel pensiero improvviso “hai voglia di vivere o morire?” arrivato in un momento di relax, può succedere, ed è molto più comune di quanto credi.
I pensieri intrusivi non arrivano sempre quando siamo ansiosi, a volte saltano fuori proprio nei momenti di calma, ed è questo che li fa sembrare più veri. Ma un pensiero che arriva in un momento di rilassamento non è più reale, è semplicemente inatteso e quindi più destabilizzante.
Quello che conta davvero è quanto questi pensieri incidono sulla tua vita quotidiana, sulle tue azioni, sulle tue relazioni, sul tuo modo di vivere la giornata. E da ciò che racconti, nonostante lo spavento, non senti la stessa tensione dei mesi passati, questo non indica verità del pensiero, ma semplicemente che sei stanco, e il tuo sistema nervoso è un po’ svuotato dopo tanta ansia prolungata.
Il fatto che tu ne abbia parlato con la tua famiglia è un passo maturo e molto sano. Non stai affrontando tutto da solo, ed è importantissimo.
Se senti che questa nuova domanda sta diventando una fissazione o che ti sta riportando nel ciclo del rimuginio, potrebbe essere utile riprendere la terapia, anche solo per qualche seduta di supporto, perché ti meriti di continuare a stare bene e consolidare i progressi.
forza, sono sicura che riuscirai a trovare le tue risposte!
in bocca al lupo
R.M.
Buonasera,
grazie per aver condiviso la situazione che attualmente sta vivendo. Capisco quanto possa essere disorientante ciò che sta attraversando.
Una prima considerazione che farei è relativa alle risorse interne che, nonostante il nuovo pensiero intrusivo, le hanno permesso di superare alcuni temi/domande che si portava da un po’ di tempo, e penso che questo non sia un dato minore o da dare per scontato: ovvero poter contare su degli strumenti o delle strategie per risolvere problemi, non essendo così totalmente sguarnito di fronte ad essi. Anche il fatto di essersi aperti e di aver cercato aiuto rappresenta una capacità positiva su cui può contare.
Una seconda considerazione è relativa al “nuovo problema”, che non si presenta più come un “terremoto emotivo” (vissuti depressivi o pensieri suicidari) ma come nella forma di domande esistenziali (per quanto laceranti e logoranti possano essere). Forse il nuovo pensiero intrusivo che ha nuovamente innescato il meccanismo del rimuginio può essere legato al fatto che il suo sistema psichico è abituato a funzionare “stando all’erta”, per cui una volta che i fattori di innesco precedenti non assolvono più la loro funzione, ne cerca o crea di altri.
Le suggerirei di parlarne anche con il suo terapeuta ACT per cercare di trovare una strategia funzionale a disattivare il maccanismo del rimuginio più che a rispondere alla domanda in sé.
Con i migliori auguri, dott. Previtali.
grazie per aver condiviso la situazione che attualmente sta vivendo. Capisco quanto possa essere disorientante ciò che sta attraversando.
Una prima considerazione che farei è relativa alle risorse interne che, nonostante il nuovo pensiero intrusivo, le hanno permesso di superare alcuni temi/domande che si portava da un po’ di tempo, e penso che questo non sia un dato minore o da dare per scontato: ovvero poter contare su degli strumenti o delle strategie per risolvere problemi, non essendo così totalmente sguarnito di fronte ad essi. Anche il fatto di essersi aperti e di aver cercato aiuto rappresenta una capacità positiva su cui può contare.
Una seconda considerazione è relativa al “nuovo problema”, che non si presenta più come un “terremoto emotivo” (vissuti depressivi o pensieri suicidari) ma come nella forma di domande esistenziali (per quanto laceranti e logoranti possano essere). Forse il nuovo pensiero intrusivo che ha nuovamente innescato il meccanismo del rimuginio può essere legato al fatto che il suo sistema psichico è abituato a funzionare “stando all’erta”, per cui una volta che i fattori di innesco precedenti non assolvono più la loro funzione, ne cerca o crea di altri.
Le suggerirei di parlarne anche con il suo terapeuta ACT per cercare di trovare una strategia funzionale a disattivare il maccanismo del rimuginio più che a rispondere alla domanda in sé.
Con i migliori auguri, dott. Previtali.
Gentile utente,
quello che descrive è molto frequente in chi vive da anni una sensibilità ansiosa. Dopo un periodo di forte attivazione, quando finalmente si ritrova un senso di calma, la mente può generare nuovi pensieri intrusivi per “testare” se davvero il pericolo è passato. È un funzionamento tipico del rimuginio: la mente produce domande estreme, spesso in contrasto con ciò che sente davvero, semplicemente per colmare un vuoto di controllo.
Il pensiero “hai voglia di vivere o di morire?” non indica un desiderio reale, ma è una domanda intrusiva nata dal fatto che Lei si è percepito rilassato. La riduzione dell’ansia, infatti, può far emergere un senso di straniamento o di “magone”, e questo viene immediatamente interpretato come un segnale da decifrare. Nella logica dell’ansia questo è del tutto coerente.
Il punto centrale è che il pensiero non è accompagnato da progettualità, da perdita di interesse o da una sofferenza profonda: è un interrogativo che La spaventa proprio perché non corrisponde alla sua volontà. Non è l’intensità dell’ansia che rende un pensiero “vero” o “falso”: i pensieri intrusivi possono essere vividi anche in un momento di calma, e non per questo hanno un significato concreto.
La tendenza a chiedersi “perché sono così rilassato?” o “perché non provo tensione come prima?” rientra nella stessa dinamica ossessiva: cercare conferme, monitorare continuamente le sensazioni e trasformare ogni variazione emotiva in un segnale da interpretare.
Il lavoro già iniziato in terapia ACT è molto adatto per questi processi: osservare i pensieri senza ingaggiarsi, riconoscere il funzionamento ossessivo, riportarsi ai valori e alle azioni, e non alla ricerca della risposta perfetta.
Se continua su questa strada, il nuovo pensiero si indebolirà come è accaduto agli altri. Non è un segnale di pericolo, ma una variazione del tema dell’ansia che Lei sta già affrontando con strumenti efficaci.
quello che descrive è molto frequente in chi vive da anni una sensibilità ansiosa. Dopo un periodo di forte attivazione, quando finalmente si ritrova un senso di calma, la mente può generare nuovi pensieri intrusivi per “testare” se davvero il pericolo è passato. È un funzionamento tipico del rimuginio: la mente produce domande estreme, spesso in contrasto con ciò che sente davvero, semplicemente per colmare un vuoto di controllo.
Il pensiero “hai voglia di vivere o di morire?” non indica un desiderio reale, ma è una domanda intrusiva nata dal fatto che Lei si è percepito rilassato. La riduzione dell’ansia, infatti, può far emergere un senso di straniamento o di “magone”, e questo viene immediatamente interpretato come un segnale da decifrare. Nella logica dell’ansia questo è del tutto coerente.
Il punto centrale è che il pensiero non è accompagnato da progettualità, da perdita di interesse o da una sofferenza profonda: è un interrogativo che La spaventa proprio perché non corrisponde alla sua volontà. Non è l’intensità dell’ansia che rende un pensiero “vero” o “falso”: i pensieri intrusivi possono essere vividi anche in un momento di calma, e non per questo hanno un significato concreto.
La tendenza a chiedersi “perché sono così rilassato?” o “perché non provo tensione come prima?” rientra nella stessa dinamica ossessiva: cercare conferme, monitorare continuamente le sensazioni e trasformare ogni variazione emotiva in un segnale da interpretare.
Il lavoro già iniziato in terapia ACT è molto adatto per questi processi: osservare i pensieri senza ingaggiarsi, riconoscere il funzionamento ossessivo, riportarsi ai valori e alle azioni, e non alla ricerca della risposta perfetta.
Se continua su questa strada, il nuovo pensiero si indebolirà come è accaduto agli altri. Non è un segnale di pericolo, ma una variazione del tema dell’ansia che Lei sta già affrontando con strumenti efficaci.
buongiorno, dalla tua complessa sintomatologia sembra davvero utile una supporto psicologico/psicoterapeutico, che ti aiuti a rintracciare l'origine di questo disagio e soprattutto di psicoeduchi a gestire i sintomi di ansia e depressione, una volta manifestati, e, col tempo, prevenirli prima che si manifestino.
buon lavoro
buon lavoro
salve,
quello che descrive è un passaggio molto più comune di quanto pensi, soprattutto in persone che da anni convivono con l’ansia e con un funzionamento mentale molto sensibile agli stimoli emotivi. Dopo un periodo intenso in cui ha vissuto paure legate al tema del suicidio e della depressione, il Suo sistema nervoso è rimasto in uno stato di allerta prolungata. Quando finalmente si è rilassato, è come se la mente avesse avuto uno “spazio vuoto” da riempire, e in quel vuoto ha fatto irruzione una domanda brusca e destabilizzante.
Questo non è un segnale di volontà suicidaria, ma il modo in cui un sistema ansioso genera nuovi contenuti quando non trova più quelli precedenti. È una dinamica neurocognitiva molto precisa: quando il livello di attivazione cala dopo settimane di tensione, la mente improvvisamente percepisce il silenzio come sospetto, e allora crea un pensiero spaventoso per verificare se è tutto sotto controllo. Il fatto che oggi Lei si senta rilassato e che il pensiero non porti la stessa ondata di panico delle settimane precedenti non significa che sia “vero”; significa che il Suo corpo è stanco e che l’ansia non ha più l’energia di produrre reazioni violente come prima. Questo, paradossalmente, disorienta perché sembra togliere la conferma emotiva che “se ho paura, allora non lo voglio”.
In realtà la calma che sente è un segno che il sistema sta scendendo di attivazione, non che il pensiero abbia un contenuto reale o rappresenti un desiderio nascosto. È un pensiero intrusivo di controllo, nato per verificare se è al sicuro: “se mi faccio la domanda più estrema, vedo come reagisco”, un classico meccanismo della mente ossessiva. Il disagio che avverte non è il contenuto del pensiero, ma l’incertezza che l’ansia genera quando non trova un punto su cui aggrapparsi.
La cosa più utile in questo momento non è cercare nuove risposte, ma smettere di combattere la domanda e imparare a lasciarla scorrere come un qualsiasi pensiero intrusivo. Quando ci si aggancia alla ricerca di significato, si riattiva il circuito ossessivo che la mantiene viva. Un lavoro psicologico mirato può aiutarLa a comprendere questi automatismi, a ridurre la rimuginazione e soprattutto a ritrovare fiducia nelle reazioni del Suo sistema nervoso senza interpretarle come segnali di pericolo.
Se lo desidera, posso aiutarLa a costruire un percorso specifico per gestire i pensieri intrusivi, la paura del contenuto dei pensieri e il ritorno alla regolazione emotiva dopo periodi di forte attivazione.
Saluti, resto a disposizione.
quello che descrive è un passaggio molto più comune di quanto pensi, soprattutto in persone che da anni convivono con l’ansia e con un funzionamento mentale molto sensibile agli stimoli emotivi. Dopo un periodo intenso in cui ha vissuto paure legate al tema del suicidio e della depressione, il Suo sistema nervoso è rimasto in uno stato di allerta prolungata. Quando finalmente si è rilassato, è come se la mente avesse avuto uno “spazio vuoto” da riempire, e in quel vuoto ha fatto irruzione una domanda brusca e destabilizzante.
Questo non è un segnale di volontà suicidaria, ma il modo in cui un sistema ansioso genera nuovi contenuti quando non trova più quelli precedenti. È una dinamica neurocognitiva molto precisa: quando il livello di attivazione cala dopo settimane di tensione, la mente improvvisamente percepisce il silenzio come sospetto, e allora crea un pensiero spaventoso per verificare se è tutto sotto controllo. Il fatto che oggi Lei si senta rilassato e che il pensiero non porti la stessa ondata di panico delle settimane precedenti non significa che sia “vero”; significa che il Suo corpo è stanco e che l’ansia non ha più l’energia di produrre reazioni violente come prima. Questo, paradossalmente, disorienta perché sembra togliere la conferma emotiva che “se ho paura, allora non lo voglio”.
In realtà la calma che sente è un segno che il sistema sta scendendo di attivazione, non che il pensiero abbia un contenuto reale o rappresenti un desiderio nascosto. È un pensiero intrusivo di controllo, nato per verificare se è al sicuro: “se mi faccio la domanda più estrema, vedo come reagisco”, un classico meccanismo della mente ossessiva. Il disagio che avverte non è il contenuto del pensiero, ma l’incertezza che l’ansia genera quando non trova un punto su cui aggrapparsi.
La cosa più utile in questo momento non è cercare nuove risposte, ma smettere di combattere la domanda e imparare a lasciarla scorrere come un qualsiasi pensiero intrusivo. Quando ci si aggancia alla ricerca di significato, si riattiva il circuito ossessivo che la mantiene viva. Un lavoro psicologico mirato può aiutarLa a comprendere questi automatismi, a ridurre la rimuginazione e soprattutto a ritrovare fiducia nelle reazioni del Suo sistema nervoso senza interpretarle come segnali di pericolo.
Se lo desidera, posso aiutarLa a costruire un percorso specifico per gestire i pensieri intrusivi, la paura del contenuto dei pensieri e il ritorno alla regolazione emotiva dopo periodi di forte attivazione.
Saluti, resto a disposizione.
Buongiorno,
Il comportamento del Suo ex compagno, così come Lei lo descrive, può essere interpretato non necessariamente come un segno di odio o punizione, bensì come una modalità difensiva. L’evitamento, il silenzio, il mancato riconoscimento della Sua presenza sono spesso strategie che una persona utilizza per proteggersi da emozioni difficili da gestire.
Lei avverte “qualcosa di irrisolto” e tende a leggere i suoi gesti come ostilità. Ma potrebbe trattarsi di un linguaggio implicito che esprime: “non so come stare accanto a Lei senza riattivare ciò che è stato".
Continuare a interpretare quei gesti come punizione rischia di mantenerla imprigionata in un copione doloroso. Riconoscere invece che il suo silenzio è un modo di dire “non riesco a sostare accanto a Lei” può aiutarla a spostare lo sguardo: dal bisogno di capire lui, al bisogno di comprendere se stessa.
La domanda che può aiutarla probabilmente è: cosa desidera oggi per sé stessa, al di là di ciò che fa o non fa l’altro? Spostare l’attenzione dal suo comportamento al Suo percorso personale può rappresentare un passo importante verso una maggiore serenità.
Resto a disposizioni per ulteriori necessità. Un saluto cordiale.
Dr.ssa Manuela Valentini
Il comportamento del Suo ex compagno, così come Lei lo descrive, può essere interpretato non necessariamente come un segno di odio o punizione, bensì come una modalità difensiva. L’evitamento, il silenzio, il mancato riconoscimento della Sua presenza sono spesso strategie che una persona utilizza per proteggersi da emozioni difficili da gestire.
Lei avverte “qualcosa di irrisolto” e tende a leggere i suoi gesti come ostilità. Ma potrebbe trattarsi di un linguaggio implicito che esprime: “non so come stare accanto a Lei senza riattivare ciò che è stato".
Continuare a interpretare quei gesti come punizione rischia di mantenerla imprigionata in un copione doloroso. Riconoscere invece che il suo silenzio è un modo di dire “non riesco a sostare accanto a Lei” può aiutarla a spostare lo sguardo: dal bisogno di capire lui, al bisogno di comprendere se stessa.
La domanda che può aiutarla probabilmente è: cosa desidera oggi per sé stessa, al di là di ciò che fa o non fa l’altro? Spostare l’attenzione dal suo comportamento al Suo percorso personale può rappresentare un passo importante verso una maggiore serenità.
Resto a disposizioni per ulteriori necessità. Un saluto cordiale.
Dr.ssa Manuela Valentini
Buongiorno da quello che ci racconta ha fatto un grande lavoro su di sè ed è riuscito ad essere più consapevole rispetto a se stess*. Quello che è successo dal barbiere è stato un pensiero intrusivo che si è insediato nella sua mente e su cui lei ha rimuginato molto e continua a farlo e rimugina poi sul fatto che non sente la risposta emotiva. Spesso non la sentiamo perché magari sappiamo che quel pensiero non ci appartiene e dunque ci spaventa, ma anche perché lei ha fatto un grande lavoro su di sè e sicuramente anche questo influisce. Le consiglio di notare questo pensiero solo come un normale pensiero intrusivo che non dice nulla di noi, se peró il rimuginio o la fissazione rispetto ad esso persistono provi a ricontattare il suo precedente professionista per poter lavorare anche su questo aspetto.
Buonasera,
Quello che descrive è molto comune in chi convive da tempo con l’ansia e i pensieri intrusivi. Quando un tema viene “risolto”, la mente può spostarsi su un’altra domanda spaventante, anche se in quel momento ci sentiamo più rilassati.
Il fatto che oggi provi meno tensione è anzi un buon segno: significa che sta imparando a non reagire con paura automatica. Continuare il percorso terapeutico e lavorare proprio su questo tipo di pensieri può aiutarla a ritrovare stabilità e fiducia.
Un saluto.
Quello che descrive è molto comune in chi convive da tempo con l’ansia e i pensieri intrusivi. Quando un tema viene “risolto”, la mente può spostarsi su un’altra domanda spaventante, anche se in quel momento ci sentiamo più rilassati.
Il fatto che oggi provi meno tensione è anzi un buon segno: significa che sta imparando a non reagire con paura automatica. Continuare il percorso terapeutico e lavorare proprio su questo tipo di pensieri può aiutarla a ritrovare stabilità e fiducia.
Un saluto.
Salve, da ciò che racconta, emerge una storia lunga ed intensa di ansia, di paure che cambiano forma nel tempo e di un lavoro personale già molto significativo. È comprensibile che un episodio improvviso, come la domanda “hai voglia di vivere o morire?”, l' abbia turbata. Non tanto per il contenuto in sé, quanto per come è arrivata: in un momento di rilassamento, improvvisa, fuori contesto.
Vorrei rassicurarla su alcuni punti e offrirle una chiave di lettura più chiara.
1. I pensieri intrusivi possono emergere proprio quando ci si rilassa.
Molte persone con una storia di ansia o rimuginio riferiscono che i pensieri più disturbanti emergono nel momento in cui la tensione inizia ad allentarsi.
Non è un segnale di pericolo, ma una reazione tipica del sistema nervoso:
- quando la tensione si abbassa, la mente “controllante” si rilassa;
- questo crea uno spazio in cui possono affiorare pensieri automatici, non voluti;
- il fatto di essere rilassato e non agitato può rendere il pensiero più “straniante”, perché non si accompagna a un'emozione intensa.
Quindi, non è il contenuto del pensiero ad essere grave, ma il modo in cui la sua mente ansiosa lo interpreta.
2. Il suo pensiero non indica un desiderio reale. Il suo racconto contiene elementi molto chiari:
- non prova desiderio di farsi del male;
- il pensiero è arrivato come una “domanda paradossale”, improvvisa;
- la ha spaventato nonostante la sua condizione di relax;
- ciò che la angoscia è la ricerca di significato (“perché non ho ansia? sarà vero?”), non il pensiero in sé.
Questo è tipico dei pensieri intrusivi a contenuto esistenziale o autolesivo, molto comuni nelle persone che soffrono di ansia e rimuginio. Non sono desideri. Non sono intenzioni.
Sono idee automatiche, che la mente ansiosa trasforma in “pericoli da analizzare”.
3. Il vero motore del disagio non è il pensiero, ma la ricerca di risposte. Lei descrive perfettamente un meccanismo noto:
1. compare un pensiero intrusivo
2. si attiva la domanda “cosa significa?”
3. si cerca di analizzare, controllare, capire
4. il pensiero ritorna o cambia forma
Si chiama ciclo di rimuginio ossessivo, non perché lei abbia un disturbo ossessivo in senso diagnostico, ma perché il funzionamento è quello: la mente tenta di risolvere qualcosa che non richiede alcuna soluzione.
4. Il fatto che oggi lei sia rilassato non significa che il pensiero sia “vero”. Una delle domande più comuni nelle persone con pensieri intrusivi è:
“Se non provo ansia… vuol dire che questo pensiero rappresenta la mia realtà?”
La risposta è no. La riduzione dell’ansia significa solo che il suo corpo non è più in iperattivazione, non che il contenuto del pensiero sia autentico o significativo.
Il pensiero è arrivato perché la sua mente, per abitudine, tende a generare domande catastrofiche ogni volta che sente “spazio mentale libero”.
5. Perché serve parlarne e, se possibile, continuare la terapia? Lei ha già fatto un percorso ACT, che è molto adatto ai pensieri intrusivi come questo.
In questa fase potrebbe esserle utile:
- normalizzare il fatto che la mente produce qualunque tipo di contenuto
- lavorare sulla defusione: vedere il pensiero come tale, non come un messaggio
- interrompere la ricerca compulsiva di risposte
- notare la sensazione corporea (il “magone”) senza darle un significato
È un passaggio molto comune nei percorsi ACT: dopo aver gestito certe paure, la mente può “testarne altre”, ma non perché siano più vere. È solo un vecchio schema che tenta di riattivarsi.
6. Quando serve chiedere aiuto immediato? Dalle sue parole non emerge un rischio concreto, ma è importante dirle chiaramente che:
- se dovesse provare intenzione reale di farsi del male,
- oppure se i pensieri diventassero così invasivi da farle temere di perdere il controllo,
è fondamentale contattare subito uno psicologo, uno psichiatra, un servizio d’emergenza o parlarne con qualcuno di fiducia.
Ma ciò che descrive ora è un pensiero intrusivo, non un desiderio.
In sintesi, quello che sta vivendo è coerente con la sua storia ansiosa e con il funzionamento dei pensieri intrusivi. Il fatto che oggi sia rilassato non è un segnale di pericolo. La domanda “hai voglia di vivere o morire?” non rappresenta un’intenzione, ma un pensiero automatico, destabilizzante perché inatteso.
Il punto su cui lavorare è l’interpretazione del pensiero e la necessità di trovare risposte definitive.
Se desidera approfondire l'argomento, mi rendo disponibile.
Dott.ssa Gaia Evangelisti, Psicologa.
Vorrei rassicurarla su alcuni punti e offrirle una chiave di lettura più chiara.
1. I pensieri intrusivi possono emergere proprio quando ci si rilassa.
Molte persone con una storia di ansia o rimuginio riferiscono che i pensieri più disturbanti emergono nel momento in cui la tensione inizia ad allentarsi.
Non è un segnale di pericolo, ma una reazione tipica del sistema nervoso:
- quando la tensione si abbassa, la mente “controllante” si rilassa;
- questo crea uno spazio in cui possono affiorare pensieri automatici, non voluti;
- il fatto di essere rilassato e non agitato può rendere il pensiero più “straniante”, perché non si accompagna a un'emozione intensa.
Quindi, non è il contenuto del pensiero ad essere grave, ma il modo in cui la sua mente ansiosa lo interpreta.
2. Il suo pensiero non indica un desiderio reale. Il suo racconto contiene elementi molto chiari:
- non prova desiderio di farsi del male;
- il pensiero è arrivato come una “domanda paradossale”, improvvisa;
- la ha spaventato nonostante la sua condizione di relax;
- ciò che la angoscia è la ricerca di significato (“perché non ho ansia? sarà vero?”), non il pensiero in sé.
Questo è tipico dei pensieri intrusivi a contenuto esistenziale o autolesivo, molto comuni nelle persone che soffrono di ansia e rimuginio. Non sono desideri. Non sono intenzioni.
Sono idee automatiche, che la mente ansiosa trasforma in “pericoli da analizzare”.
3. Il vero motore del disagio non è il pensiero, ma la ricerca di risposte. Lei descrive perfettamente un meccanismo noto:
1. compare un pensiero intrusivo
2. si attiva la domanda “cosa significa?”
3. si cerca di analizzare, controllare, capire
4. il pensiero ritorna o cambia forma
Si chiama ciclo di rimuginio ossessivo, non perché lei abbia un disturbo ossessivo in senso diagnostico, ma perché il funzionamento è quello: la mente tenta di risolvere qualcosa che non richiede alcuna soluzione.
4. Il fatto che oggi lei sia rilassato non significa che il pensiero sia “vero”. Una delle domande più comuni nelle persone con pensieri intrusivi è:
“Se non provo ansia… vuol dire che questo pensiero rappresenta la mia realtà?”
La risposta è no. La riduzione dell’ansia significa solo che il suo corpo non è più in iperattivazione, non che il contenuto del pensiero sia autentico o significativo.
Il pensiero è arrivato perché la sua mente, per abitudine, tende a generare domande catastrofiche ogni volta che sente “spazio mentale libero”.
5. Perché serve parlarne e, se possibile, continuare la terapia? Lei ha già fatto un percorso ACT, che è molto adatto ai pensieri intrusivi come questo.
In questa fase potrebbe esserle utile:
- normalizzare il fatto che la mente produce qualunque tipo di contenuto
- lavorare sulla defusione: vedere il pensiero come tale, non come un messaggio
- interrompere la ricerca compulsiva di risposte
- notare la sensazione corporea (il “magone”) senza darle un significato
È un passaggio molto comune nei percorsi ACT: dopo aver gestito certe paure, la mente può “testarne altre”, ma non perché siano più vere. È solo un vecchio schema che tenta di riattivarsi.
6. Quando serve chiedere aiuto immediato? Dalle sue parole non emerge un rischio concreto, ma è importante dirle chiaramente che:
- se dovesse provare intenzione reale di farsi del male,
- oppure se i pensieri diventassero così invasivi da farle temere di perdere il controllo,
è fondamentale contattare subito uno psicologo, uno psichiatra, un servizio d’emergenza o parlarne con qualcuno di fiducia.
Ma ciò che descrive ora è un pensiero intrusivo, non un desiderio.
In sintesi, quello che sta vivendo è coerente con la sua storia ansiosa e con il funzionamento dei pensieri intrusivi. Il fatto che oggi sia rilassato non è un segnale di pericolo. La domanda “hai voglia di vivere o morire?” non rappresenta un’intenzione, ma un pensiero automatico, destabilizzante perché inatteso.
Il punto su cui lavorare è l’interpretazione del pensiero e la necessità di trovare risposte definitive.
Se desidera approfondire l'argomento, mi rendo disponibile.
Dott.ssa Gaia Evangelisti, Psicologa.
Salve, se conosce la terapia ACT di terza generazione saprà di cosa si parla quando diciamo defusione dai pensieri. I pensieri non sono la realtà, è vero che ci condizionano, causano reazioni fisiologiche, abbassano il tono dell'umore e aumentano la paura che ciò che temiamo possa accadere. Nonostante ciò sappiamo che è la mente a produrre i pensieri. E' utile che lei osservi i suoi pensieri come se stesse osservando un quadro, ne da troppo lontano ne immergendocisi dentro rischiando di venirne risucchiato.
Un caro saluto!
Un caro saluto!
Quello che descrivi è un fenomeno molto comune nei percorsi di ansia e pensieri ossessivi: quando la mente si abitua a vivere in uno stato di allerta, anche nei momenti di rilassamento può generare domande intrusive e destabilizzanti come “hai voglia di vivere o morire?”, non perché riflettano un reale desiderio, ma perché rappresentano un tentativo del cervello di testare la tua sicurezza; il fatto che oggi tu riesca a restare più rilassato e che questi pensieri non ti provochino la stessa tensione di prima non è un segnale di verità, bensì un indice che le strategie che hai appreso (ACT, meditazione, confronto con la famiglia) stanno funzionando e ti permettono di non farti travolgere dall’ansia; ciò che conta è riconoscere questi pensieri come prodotti automatici della mente, non come realtà, e continuare a orientarti verso le tue attività quotidiane e i tuoi valori, accogliendo la presenza dei pensieri senza doverli risolvere ogni volta: questo è un passo importante verso una maggiore libertà e stabilità emotiva.
saluti,
saluti,
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