Buongiorno. Vorrei capire cosa fare e che diritti abbiamo noi genitori.... nostra figlia 18 enne ha

25 risposte
Buongiorno. Vorrei capire cosa fare e che diritti abbiamo noi genitori.... nostra figlia 18 enne ha appena iniziato l' università con scarso impegno, rifiuta qualsiasi tipo di collaborazione in casa, passa tutto il tempo libero al cellulare buttata sul letto, il suo ragazzo è volgare e nullafacente, lei esce spesso senza dire dove va né con chi e torna a notte fonda. Ogni regola è ignorata, in casa usa, spreca, sporca e lei stessa non cura a fondo la sua igiene ma si trucca pesantemente. Ci sentiamo stanchi e delusi... Ci risponde sempre malissimo, ci insulta e ci ignora. Mente costantemente... insomma vuole fare solo il suo comodo. Non sappiamo cosa fare. Ci siamo informati sui suoi diritti...ma i nostri? Ovviamente ha rifiutato un percorso psicologico familiare ma non ci pensa proprio a cercarsi un lavoro e andare per la sua strada perché i nostri servigi le fanno comodo. Grazie a chi risponderà.
Buongiorno, da come descrive la situazione, il periodo che state vivendo appare davvero molto faticoso. Le dinamiche che connotano le vostre relazioni in questo momento possono non riguardare solo il comportamento di una figlia, ma l’equilibrio dell’intero sistema familiare in una fase di cambiamento, come il passaggio all’età adulta.
Anche se al momento vostra figlia rifiuta un percorso, uno spazio di riflessione e di supporto alla genitorialità per voi potrebbe aiutarvi a comprendere meglio cosa stia accadendo, ad ampliare le possibilità di gestione della situazione e a individuare nuovi margini di movimento.
Dott.ssa Carlotta Degli Esposti

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Buongiorno, dalle vostre parole emerge un livello di stanchezza e di frustrazione molto intenso: ciò che state vivendo sembra collocarsi in una fase delicata di passaggio, in cui vostra figlia è formalmente adulta ma, sul piano relazionale ed emotivo, continua a risentire di una forte dipendenza dal contesto familiare.
È importante distinguere due piani. Da un lato ci sono i diritti di vostra figlia, legati alla maggiore età e alla possibilità di autodeterminarsi; dall’altro ci sono i vostri diritti come genitori e come persone, che includono il diritto a vivere in un clima di rispetto, a porre limiti chiari e a non sentirvi costantemente svalutati o utilizzati. Ciò che appare centrale non è tanto stabilire chi “ha ragione”, quanto riconoscere che l’attuale equilibrio familiare sembra essersi bloccato: potrebbe essere utile iniziare con il definire dei confini chiari, coerenti e sostenibili per voi, tra libertà personali e responsabilità legate alla convivenza. Questo può includere accordi espliciti su rispetto, contributo alla vita domestica, gestione degli spazi e delle risorse, evitando però che le regole diventino solo terreno di scontro.
Anche se vostra figlia rifiuta un percorso familiare, un sostegno psicologico rivolto a voi genitori può comunque essere molto utile per ritrovare maggiore chiarezza, rafforzare una posizione comune e uscire da una dinamica che oggi vi fa sentire impotenti e logorati. A volte, modificare il sistema di risposte degli adulti è il primo passo per rendere possibile un cambiamento anche nei figli.
Un caro saluto, Dott. Daniele Rossetti
Dott.ssa Silvia Bertolotti
Psicologo, Sessuologo, Psicoterapeuta
Milano
Quello che racconta trasmette molta stanchezza e delusione, ed è comprensibile: quando un figlio diventa maggiorenne, ci si aspetta che cresca anche il senso di responsabilità, mentre voi vi trovate a gestire comportamenti che sembrano andare nella direzione opposta. Non è facile vedere una ragazza che sembra chiusa nel suo mondo, poco interessata alla collaborazione e alle regole di casa, mentre voi continuate a garantire sostegno e disponibilità.
A volte, in questa fase della vita, il bisogno di affermare la propria autonomia può assumere forme che appaiono provocatorie o irrispettose. Dietro a questo, però, non sempre c’è solo superficialità: spesso è un modo confuso di cercare indipendenza, senza avere ancora gli strumenti per gestirla. Questo non significa che tutto debba essere accettato, ma che la situazione è complessa e richiede equilibrio tra fermezza e ascolto.
Dal punto di vista dei diritti, è vero che a 18 anni vostra figlia è maggiorenne e responsabile delle proprie scelte. Ma vivere in casa comporta comunque il rispetto di regole di convivenza: non è questione di “autorità”, ma di tutela reciproca. Non si tratta di imporre, ma di chiarire che la libertà non è separata dalle responsabilità. A volte, più che discutere su cosa è giusto o sbagliato, può essere utile definire quali condizioni vi permettono di vivere insieme senza sentirvi sopraffatti.
Forse non esiste una soluzione immediata, ma può essere importante spostare il dialogo dal conflitto alla chiarezza: comunicare con calma cosa vi fa stare male, quali limiti non potete oltrepassare, e quali conseguenze ci sono se non vengono rispettati. Non per punire, ma per proteggere il benessere di tutti. E se il confronto diretto sembra impossibile, può essere utile cercare un supporto esterno, anche solo per voi, per affrontare questa fase senza sentirvi soli.
Non è facile, e non c’è una strada unica. Ma il fatto che vi stiate ponendo queste domande è già un segnale di attenzione e di cura, anche se ora vi sembra di non avere risposte. A volte, il primo passo è proprio concedersi il tempo di riflettere su quali confini vi fanno sentire più sereni, senza colpevolizzarvi per il bisogno di tutelare la vostra vita familiare.
Dott.ssa Elisa Fiora
Psicologo, Psicologo clinico
Busto Arsizio
Buongiorno,

penso che possa essere molto importante capire come lei (genitore che scrive) si sente in questa posizione. Potrebbe essere utile cominciare con un percorso personale suo, per comprendere meglio essa.
Cordialmente,
Dott.ssa Elisa Fiora
Dott.ssa Ilaria Redivo
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buongiorno,
vi ringrazio per aver scritto e per aver condiviso una situazione che appare, dalle vostre parole, molto faticosa e carica di frustrazione, stanchezza e senso di impotenza. È comprensibile che, come genitori, vi sentiate disorientati e delusi quando le regole sembrano non essere più riconosciute e il dialogo diventa difficile o addirittura conflittuale.

L’ingresso nella maggiore età e nell’università rappresenta spesso una fase di passaggio complessa, sia per i figli sia per i genitori. In alcuni casi, i comportamenti che descrivete possono essere il segnale di una difficoltà più profonda nel gestire l’autonomia, i limiti e le responsabilità, piuttosto che una semplice volontà di “fare il proprio comodo”. Questo non toglie nulla alla fatica che state vivendo, ma può aiutare a leggere la situazione in modo meno colpevolizzante per tutti.

Per quanto riguarda i “diritti”, è importante distinguere il piano giuridico da quello relazionale ed educativo: anche quando un figlio è maggiorenne, i genitori mantengono il diritto (e il dovere) di tutelare il proprio equilibrio, di stabilire confini chiari e di non sentirsi obbligati a sostenere comportamenti che diventano dannosi per la vita familiare. Tuttavia, perché questi confini siano efficaci, è spesso necessario lavorare su come vengono comunicati e sostenuti nel tempo.

Il rifiuto di vostra figlia rispetto a un percorso psicologico non è raro e non preclude necessariamente la possibilità di un cambiamento. In molti casi, può essere utile iniziare con uno spazio di confronto per voi genitori, che vi aiuti a chiarire cosa è davvero negoziabile e cosa no, come ritrovare una posizione più salda e coerente e come ridurre l’escalation del conflitto.

Se lo desiderate, possiamo programmare un primo incontro di consulenza genitoriale, senza alcun impegno, per comprendere meglio la vostra situazione e capire come intraprendere un percorso che vi sostenga in questo momento delicato.

Resto a disposizione per eventuali chiarimenti, potete trovarmi su Mio Dottore vi ringrazio ancora per la fiducia.
Un cordiale saluto, Dott.ssa Ilaria Redivo
Dott.ssa Anna Marone
Psicologo, Psicoterapeuta
Foggia
buon pomeriggio,
credo che non sia questione di diritti o doveri, non solo...
E' una questione di rispetto reciproco, bisogna essere chiari con vostra figlia, o si adegua o va via di casa, si trova un lavoro.
Capisco profondamente la stanchezza, la delusione e il senso di impotenza che traspaiono dalle vostre parole. Quando un figlio diventa maggiorenne e sembra rifiutare ogni regola, dialogo o responsabilità, è normale sentirsi messi da parte, non rispettati e persino “usati”. Il dolore che provate merita ascolto. È importante però spostare lo sguardo da una logica di soli diritti e doveri a una comprensione più profonda di ciò che potrebbe stare accadendo a vostra figlia. I comportamenti che descrivete (chiusura, oppositività, trascuratezza di sé, menzogne, aggressività verbale) spesso non sono solo “capricci” o mancanza di educazione, ma segnali di un disagio evolutivo, di una fatica nel passaggio all’età adulta e nella costruzione di un’identità autonoma. Questo non significa giustificare tutto, né rinunciare ai confini. Anzi: i confini sono fondamentali, ma funzionano solo se accompagnati da coerenza, chiarezza e da un tentativo di comprensione reciproca. Quando il conflitto diventa l’unico linguaggio possibile, ogni regola rischia di trasformarsi in uno scontro di potere che non aiuta nessuno.
Il fatto che vostra figlia rifiuti un percorso psicologico non chiude la possibilità di cambiamento. A volte sono proprio i genitori a poter iniziare un lavoro su di sé, per ritrovare strumenti comunicativi più efficaci, ridefinire i ruoli e capire come sostenere senza sostituirsi, come porre limiti senza rompere il legame. Un percorso di supporto genitoriale o familiare può aiutare voi a non sentirvi soli, a ridurre il logoramento emotivo e a recuperare una posizione più salda e meno reattiva. Spesso, quando cambia il clima relazionale, anche i figli iniziano lentamente a muoversi in modo diverso. Non siete genitori “sbagliati” né impotenti. Siete genitori stanchi, in una fase complessa, che meritano sostegno tanto quanto vostra figlia. E da qui, anche se ora sembra difficile, un cambiamento è possibile.
Buonasera immaginando che abbiate già cercato di comprendere le motivazioni che spingano vostra figlia ad agire tali comportamenti, credo che un ulteriore passo potrebbe essere quello che lei e suo marito concordiate in modo chiaro e condiviso cosa richiedere a vostra figlia. Successivamente le comunichiate quanto avete concordato senza enfatizzare gli aspetti legati al rispetto e all'educazione, in quanto ritengo li abbiate già utilizzati, ma invece riferire che se non studierà, collaborerà in casa o qualsiasi cosa voi abbiate concordato, non sarà più mantenuta. A 18 anni se non si studia, occorre andare a lavorare. Talvolta i ragazzi possono avere dei momenti di difficoltà ed oltre all'affetto e la vicinanza emotiva, possono essere utili anche "dei confini chiari "oltre ai quali non si va.
Sperando di essere stata utile, saluto cordialmente.
Salve , mi spiace per il disagio che state vivendo.
A 18 anni i figli sono legalmente maggiorenni, ma questo non significa che non abbiano bisogno di limiti educativi, regole chiare e responsabilità.
I comportamenti che descrivete (oppositività, isolamento, scarso impegno, uso eccessivo del cellulare, trasgressione delle regole ecc ) potrebbero essere spesso il segnale di un disagio emotivo adolescenziale

I vostri diritti come genitori esistono: potete stabilire confini chiari nella convivenza, legare i privilegi (denaro, auto, supporto pratico) a comportamenti responsabili e chiedere rispetto delle regole di casa.
Non per punire ma per educare

Se lei rifiuta un percorso psicologico, può essere comunque utile una consulenza genitoriale per voi: aiuta a ritrovare fermezza, coerenza e una comunicazione meno conflittuale
Buone cose,
Dott.Tullio Marziani
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buongiorno, dalle sue parole emerge una stanchezza profonda, fatta di delusione, rabbia e anche di un senso di impotenza che logora nel tempo. È comprensibile sentirsi così quando si ha la percezione di aver dato tanto e di ricevere in cambio solo chiusura, disprezzo e mancanza di rispetto. Essere genitori di una figlia che ha appena raggiunto la maggiore età e che sembra rifiutare ogni regola e ogni confronto è una delle prove più difficili, perché mette in crisi non solo l’autorità, ma anche il legame affettivo. È importante partire da un punto fermo: vostra figlia è legalmente adulta, ma questo non significa che sia emotivamente matura o realmente autonoma. Spesso, a questa età, alcuni ragazzi vivono una fase di spinta all’indipendenza molto confusa, fatta più di opposizione che di reale capacità di stare in piedi da soli. Questo non giustifica gli insulti, le bugie o la mancanza di rispetto, ma aiuta a capire che dietro certi comportamenti c’è spesso un bisogno maldestro di affermarsi, più che una cattiveria deliberata. Detto questo, è altrettanto importante riconoscere che anche voi avete dei diritti, prima ancora come persone e poi come genitori. Vivere sotto lo stesso tetto implica delle regole minime di convivenza, non come punizione, ma come cornice chiara. Quando tutto diventa concesso, gratuito e senza conseguenze, il messaggio che può passare è che non ci sia alcun limite reale. Questo, paradossalmente, non aiuta a crescere, ma mantiene una dipendenza comoda e sterile. Il punto centrale non è tanto controllarla o convincerla a cambiare, quanto iniziare a essere molto chiari su ciò che è accettabile in casa vostra e su ciò che non lo è. Non con urla, accuse o prediche, che ormai sembrano non sortire effetto, ma con una comunicazione ferma, coerente e il più possibile calma. Meno parole, meno discussioni infinite, più fatti. Se una persona adulta sceglie di vivere come tale, allora gradualmente deve anche assumersi alcune responsabilità concrete, altrimenti resta in una posizione ambigua che genera rabbia da entrambe le parti. È normale sentirsi in colpa all’idea di porre dei limiti più netti, soprattutto quando si teme di perderla o di peggiorare il rapporto. Ma continuare così rischia di alimentare solo risentimento, da parte vostra e anche sua, perché una dipendenza senza regole finisce per avvelenare il legame. A volte, paradossalmente, è proprio la chiarezza dei confini a rendere possibile un rapporto meno distruttivo. Il rifiuto di un percorso psicologico familiare è doloroso, ma non significa che voi non possiate cercare uno spazio di confronto per voi stessi. Avere un sostegno vi aiuterebbe a ritrovare una linea comune, a non agire sull’onda della frustrazione e a reggere meglio emotivamente eventuali cambiamenti di assetto familiare. In questo momento non siete genitori sbagliati né cattivi. Siete genitori stanchi, messi alla prova da una fase complessa della crescita di vostra figlia. Proteggere la vostra dignità, il vostro equilibrio e il clima della casa non è egoismo, ma una necessità. Solo da una posizione più solida e meno logorata potrete continuare a esserle davvero utili, anche se ora lei non è in grado di riconoscerlo. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Buongiorno,
la situazione che descrivete è comprensibilmente molto faticosa e carica di frustrazione. Quando un figlio diventa maggiorenne si entra in una fase delicata: da un lato è un’adulta dal punto di vista legale, dall’altro spesso non lo è ancora sul piano emotivo, organizzativo e della responsabilità.

Dal punto di vista dei diritti e dei doveri, è importante chiarire alcuni aspetti. A 18 anni vostra figlia ha diritto all’autodeterminazione personale (scelte affettive, amicizie, stile di vita), ma non ha un diritto incondizionato a essere mantenuta senza alcuna regola. Il sostegno economico dei genitori è legato a un percorso realistico di studio o di avviamento all’autonomia. Se questo percorso è assente o rifiutato, i genitori hanno il diritto – e talvolta il dovere educativo – di ridefinire i confini.

Sul piano relazionale, ciò che emerge è una dinamica di forte conflitto, perdita di ruoli e assenza di limiti chiari. Insulti, menzogne, totale rifiuto delle regole e incuria personale non sono solo “capricci”, ma segnali di un disagio che può assumere forme diverse: difficoltà nella transizione all’età adulta, problematiche emotive, rabbia non elaborata o una modalità oppositiva ormai cristallizzata.

Anche se vostra figlia rifiuta un percorso familiare, voi genitori potete comunque chiedere aiuto. Un supporto psicologico per voi può aiutarvi a:

ristabilire confini chiari e coerenti;

distinguere ciò che è negoziabile da ciò che non lo è;

smettere di sostenere comportamenti disfunzionali senza entrare in scontri continui;

proteggere il vostro benessere emotivo, oggi fortemente compromesso.

In alcuni casi, lavorando sul cambiamento della posizione genitoriale, si crea indirettamente uno spazio perché anche il figlio inizi, col tempo, a mettersi in discussione.

Vista la complessità della situazione, è fortemente consigliabile approfondire con uno specialista, che possa valutare nel dettaglio il contesto e guidarvi in scelte educative e relazionali più efficaci.

Un caro saluto,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott.ssa Caterina Lo Bianco
Psicologo, Psicologo clinico
Palermo
Gentili genitori,
dal modo in cui scrivete emerge tutta la fatica emotiva, la delusione e il senso di impotenza che state vivendo. È importante partire da qui: ciò che provate è comprensibile e merita rispetto, tanto quanto i diritti di vostra figlia.
Dal punto di vista giuridico, è vero che a 18 anni vostra figlia è maggiorenne e ha diritto all’autodeterminazione. Tuttavia questo non annulla i diritti dei genitori, né trasforma automaticamente la convivenza familiare in un rapporto senza regole.
Il diritto al mantenimento, infatti, non è incondizionato: presuppone un minimo di collaborazione, di rispetto e un impegno realistico nel percorso di studio o di autonomia. Quando questi elementi vengono sistematicamente rifiutati, la famiglia ha il diritto – e talvolta il dovere – di ridefinire i confini.
Dal punto di vista psicologico e relazionale, ciò che descrivete è molto frequente nella fase di passaggio all’età adulta: non tanto un “capriccio”, quanto una lotta di separazione. Vostra figlia sembra voler affermare la propria autonomia senza però assumerne i costi, restando dipendente dai benefici materiali ed emotivi della famiglia.
In questi casi il conflitto non riguarda solo “le regole”, ma il significato profondo del cambiamento: crescere fa paura, e spesso la provocazione, la trasgressione e il rifiuto sono modalità (maladattive, disfunzionali) per dirlo.
Alcuni punti chiave su cui lavorare:
1. Separare l’affetto dalle regole
Amarla non significa tollerare tutto. Potete essere presenti come genitori senza essere disponibili come “servizio”. L’affetto resta, ma le condizioni della convivenza vanno esplicitate.
2. Regole chiare, poche e coerenti
Non serve discutere ogni comportamento. È più utile definire alcuni confini non negoziabili (rispetto, contributo minimo alla vita domestica, trasparenza sugli orari, impegno nello studio o alternativa lavorativa) e collegarli a conseguenze concrete, non punitive ma realistiche.
3. Uscire dal braccio di ferro
Le discussioni infinite, gli insulti e le bugie spesso mantengono il problema. Quando il conflitto diventa l’unico canale comunicativo, smette di essere educativo. A volte è necessario fare un passo indietro sul piano emotivo per poter fare un passo avanti su quello relazionale.
4. Il rifiuto della terapia familiare
È frequente. Ma il cambiamento può iniziare anche dai genitori. Un percorso di supporto per voi non è una resa, ma un modo per recuperare lucidità, alleanza genitoriale e forza decisionale. Spesso, quando il sistema familiare cambia, anche chi inizialmente rifiuta viene “riagganciato” indirettamente.
Infine, una riflessione importante: la vostra stanchezza è un segnale, non un fallimento. Continuare a “reggere tutto” rischia di cronicizzare una dipendenza che fa male a voi e non aiuta vostra figlia a crescere.
Rimettere confini oggi può sembrare duro, ma è spesso un atto profondamente genitoriale.
Accompagnare verso l’autonomia non significa lasciare fare, ma insegnare che ogni scelta ha un costo e una responsabilità.
Resto dell’idea che, anche se vostra figlia oggi rifiuta un aiuto, voi non dobbiate restare soli in questo passaggio così complesso.
Un caro saluto,
Dott.ssa Caterina Lo Bianco – Psicologa ad orientamento Sistemico-Relazionale
Buongiorno, quello che descrivete è certamente un momento molto delicato e faticoso per voi come genitori. È comprensibile sentirsi delusi, frustrati e stanchi di fronte a comportamenti che percepite come irrispettosi, soprattutto quando vostra figlia, pur essendo maggiorenne, vive ancora sotto lo stesso tetto e rifiuta qualsiasi forma di collaborazione o responsabilità. La situazione che raccontate è complessa perché mette insieme due dimensioni: da una parte la legge e i diritti dei maggiorenni, dall’altra il vostro ruolo di genitori e la gestione della convivenza.

Dal punto di vista legale, a diciotto anni vostra figlia ha diritto a decidere della propria vita, delle amicizie, del tempo libero e della propria igiene personale. Questo significa che non potete imporre scelte sulle sue frequentazioni o obblighi assoluti sulla gestione del tempo. Tuttavia, quando una persona maggiorenne convive con voi, esistono dei confini che potete legittimamente stabilire: il rispetto reciproco, l’ordine negli spazi comuni, l’igiene della casa e la collaborazione nelle faccende domestiche rientrano nel vostro diritto di vivere in un ambiente dignitoso e sostenibile. Non si tratta di limitare la sua autonomia, ma di definire le regole di una convivenza civile e rispettosa.

Il problema principale che emerge è il conflitto tra autonomia della figlia e il bisogno dei genitori di avere regole e ordine in casa. È comprensibile che vi sentiate esausti se queste regole vengono ignorate, se ci sono insulti, menzogne e rifiuto costante di collaborazione. In questi casi, diventa importante stabilire confini chiari e conseguenze concrete, ad esempio per quanto riguarda il rispetto degli spazi comuni, la cura personale e la gestione degli oggetti e delle risorse domestiche. Allo stesso tempo, potete incoraggiarla a sviluppare autonomia reale, stimolandola a impegnarsi nello studio, nel lavoro o nella gestione quotidiana della propria vita, spiegandole che il sostegno familiare ha limiti se non c’è reciprocità.

Anche se il percorso psicologico familiare è stato rifiutato, resta fondamentale lavorare sulla coerenza e sulla fermezza dei confini, senza cedere a ricatti emotivi o comportamenti oppositivi. È un equilibrio delicato, perché dovete rispettare la sua maggiore età, ma al tempo stesso tutelare il vostro diritto a vivere in una casa ordinata e rispettosa.

In sostanza, non siete voi a essere in difetto: è normale che proviate stanchezza e delusione di fronte a questa situazione. Ciò che potete fare è chiarire regole e limiti, stabilire conseguenze chiare e accompagnarla con fermezza verso una maggiore responsabilità, senza rinunciare alla vostra dignità e al vostro ruolo di genitori. Rimango a disposizione, un saluto.
Dott.ssa Giorgia Giustolisi
Psicologo clinico, Psicologo
Viagrande
Salve,
In situazioni di forte conflitto, un percorso di parent training (esclusivo per i genitori) può essere fondamentale per spostare il focus dai comportamenti di vostra figlia alle vostre possibilità d’azione. Questo intervento permette di acquisire strumenti per ridefinire confini e regole, migliorando la gestione delle dinamiche comunicative e dei vostri diritti come genitori.
Sperando che questo spunto possa esservi d'aiuto,
Saluti
Dott. Giovanni D'Anzieri
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Buongiorno,
da quanto descrivete emerge una situazione molto faticosa, che comprensibilmente vi lascia stanchi, delusi e disorientati. È importante dirlo con chiarezza: il vostro disagio è legittimo e non è un segno di fallimento genitoriale.
Vostra figlia è maggiorenne, e questo comporta un dato di realtà spesso frainteso: i suoi diritti di autodeterminazione aumentano, ma non esiste alcun diritto a essere mantenuti senza regole, limiti o responsabilità.
Come genitori non siete obbligati a tollerare né comportamenti offensivi o svalutanti, né l’uso indiscriminato delle risorse familiari o assenza totale di collaborazione, e né violazioni sistematiche delle regole di convivenza, perché I “diritti” valgono in un quadro di reciprocità, non di sfruttamento.
La casa resta uno spazio relazionale, non un servizio dovuto.
Detto questo, il quadro che descrivete non è raro nei passaggi adolescenziali tardivi / prima età adulta: spesso dietro atteggiamenti oppositivi, menzogne, ritiro passivo o provocazioni c’è una difficoltà identitaria, non solo “cattiva volontà”. Questo però non giustifica tutto, né vi obbliga a subire.
Se vostra figlia rifiuta un percorso psicologico, è una sua scelta, ma esiste una possibilità spesso trascurata, cioè un supporto per i genitori, anche senza la presenza della figlia.
Tale supporto comporta lavorare su confini chiari, comunicazioni non reattive, conseguenze coerenti (non punitive), tutti aspetti che possono cambiare significativamente la dinamica attuale.
Anche voi avete il diritto di porre limiti concreti, di proteggere il vostro spazio emotivo, di chiedere rispetto, e per questo potete farvi aiutare anche se lei non vuole.
Se lo desiderate, potete contattarmi per un primo colloquio orientativo con voi come genitori, per valutare insieme come muovervi in modo fermo, lucido e non distruttivo per ciascuno.
Un caro saluto.
Dott.ssa Virginia Vazzoler
Psicoterapeuta, Psicologo
Treviso

Buongiorno, quanto da lei descritto appartiene a un periodo sicuramente delicato dove vi è un momento di transizione importante: la maggiore età, che porta con sè un cambio di ruolo e spesso non è chiaro cosa resti e cosa vada ridefinito. Dal punto di vista educativo e relazionale, parlando di diritti, il vostro principale è quello di stabilire le regole della convivenza in casa vostra, in quanto genitori. Questo significa poter chiedere rispetto, collaborazione e responsabilità, così come poter porre dei limiti chiari per quanto concerne le risorse proprie familiari. A diciotto anni è vero che è un diritto prendere scelte autonome, anche se non condivise da voi genitori, purché non ricadano interamente su di voi senza assunzione di responsabilità.
Se lo desidera, possiamo lavorare insieme per aiutarla a distinguere ciò che è davvero negoziabile da ciò che non lo è, e per costruire modalità comunicative che non alimentino lo scontro ma favoriscano un confronto più efficace. Nel lavoro terapeutico non si tratta tanto di “farsi ascoltare” quanto di capire come riorganizzare il ruolo genitoriale: passare dal controllo alle responsabilità condivise, da richieste generiche a confini chiari e negoziabili. In alcuni casi può essere utile anche uno spazio di ascolto per sua figlia, se e quando lei sarà disponibile; non per forza in terapia familiare. Sarebbe importante trasformare il rapporto da uno basato sull’autorità, che in questo momento sentite essere mancante, a uno basato su accordi espliciti: cosa offrite voi come genitori e cosa vi aspettate in cambio.
Sperando di essere stata chiara ed esaustiva, resto a disposizione.
Dott.ssa Virginia Vazzoler
Dott.ssa Sara Petroni
Psicologo clinico, Psicologo
Tarquinia
Gentili genitori,

la situazione che descrivete è comprensibilmente molto faticosa e carica di delusione, rabbia e senso di impotenza. È importante però distinguere alcuni piani, per evitare che il conflitto degeneri ulteriormente e che ognuno resti intrappolato in ruoli rigidi e dolorosi.

Vostra figlia ha 18 anni ed è quindi formalmente adulta, ma questo non significa automaticamente che sia emotivamente autonoma o pronta a sostenere le responsabilità che l’età anagrafica comporta. In questa fase di passaggio è frequente che alcuni ragazzi mettano in atto comportamenti oppositivi, provocatori o regressivi, soprattutto quando stanno cercando di affermare un’identità separata dalla famiglia senza avere ancora strumenti maturi per farlo. Questo non rende accettabili gli insulti, le bugie o la totale mancanza di rispetto, ma aiuta a leggerli come segnali di un disagio relazionale più ampio, non solo come “cattiva volontà”.

Sul piano dei diritti, è vero che vostra figlia ha delle tutele, ma anche voi ne avete. Il sostegno economico e abitativo non è incondizionato: è legittimo aspettarsi un minimo di collaborazione, rispetto delle regole di convivenza e impegno, soprattutto se la scelta è quella di continuare a vivere in casa senza lavorare. Quando tutto viene garantito a prescindere, il rischio è che il messaggio implicito diventi che non esistono conseguenze reali ai comportamenti messi in atto.

Il nodo centrale, però, non è tanto “chi ha ragione”, quanto il fatto che in questo momento il rapporto sembra basato su uno scontro di potere: lei fa ciò che vuole, voi vi sentite usati e svalutati, e ogni tentativo di dialogo si trasforma in conflitto. In queste condizioni è difficile che una proposta di aiuto venga accolta, soprattutto se percepita come un’imposizione o come un giudizio su di lei o sulle sue scelte.

Anche se vostra figlia rifiuta un percorso psicologico, questo non significa che voi dobbiate restare soli o immobili. Un supporto per voi genitori potrebbe aiutarvi a ritrovare una posizione più ferma e coerente, a ridefinire confini chiari e sostenibili e a uscire dalla dinamica del logoramento quotidiano. A volte è proprio un cambiamento nel modo in cui i genitori si pongono che apre, indirettamente, uno spazio di riflessione anche nel figlio.

È comprensibile sentirsi stanchi e feriti, ma è importante che le decisioni che prenderete non nascano solo dalla rabbia o dal senso di fallimento, bensì da una riflessione condivisa su quali regole siete davvero disposti a sostenere e quali no. Mettere dei limiti non significa smettere di voler bene, ma assumersi la responsabilità di una relazione più chiara e meno distruttiva per tutti.

Un caro saluto
Dott.ssa Sara Petroni
Buongiorno,

dalle vostre parole emerge un livello di stanchezza, frustrazione e senso di impotenza molto elevato. È importante dirlo subito: quello che provate è comprensibile. Quando un figlio raggiunge la maggiore età ma continua a vivere in casa mostrando rifiuto delle regole, aggressività e mancanza di rispetto, il carico emotivo per i genitori diventa enorme.

Detto questo, è utile fare una distinzione chiave: avere dei diritti legali non coincide automaticamente con avere una relazione funzionante. Vostra figlia ha 18 anni, quindi è giuridicamente adulta, ma questo non significa che sia emotivamente, psicologicamente o responsabilmente adulta. L’ingresso nell’università, il cambiamento del corpo, delle relazioni affettive e dell’identità sono spesso accompagnati da comportamenti oppositivi, regressivi o provocatori. Questo non li rende accettabili, ma li rende comprensibili come segnali di disagio.

Alcuni elementi che descrivete meritano attenzione:

il ritiro passivo (letto, cellulare, scarso impegno),

l’atteggiamento di sfida e disprezzo verso l’autorità genitoriale,

la trascuratezza personale mascherata da iper-cura estetica,

la scelta di relazioni che sembrano confermare una rottura con i vostri valori.

Questi non sono semplicemente “capricci” o cattiva educazione: sono spesso modalità disfunzionali per affermare un’identità, per separarsi, o per gestire un disagio interno che non trova parole.

Venendo alla vostra domanda sui diritti:
i genitori non sono obbligati a garantire uno stile di vita senza limiti a un figlio maggiorenne, soprattutto in assenza di collaborazione, rispetto e progettualità. Tuttavia, imporre solo sul piano del potere (“finché vivi qui fai così”) rischia di inasprire ulteriormente il conflitto e cristallizzare i ruoli: voi come “carcerieri”, lei come “ribelle”.

Ciò che spesso funziona meglio è un passaggio da regole implicite a patti espliciti. Non punizioni, ma accordi chiari e sostenibili. Ad esempio:

cosa comporta vivere in casa (minimi di rispetto, collaborazione, comunicazione);

cosa voi siete disposti a offrire (supporto economico, logistico, emotivo);

cosa non siete più disposti a tollerare.

Questi confini vanno comunicati con calma, fermezza e coerenza, non nei momenti di scontro. E vanno poi mantenuti. I confini non sono una punizione: sono una forma di cura, anche se inizialmente vengono vissuti come un attacco.

Riguardo al rifiuto del percorso psicologico: è frequente che i figli rifiutino l’aiuto quando viene percepito come “correttivo” o “punitivo”. Questo non significa che voi non possiate comunque intraprendere un percorso come genitori. Anzi, spesso è proprio lavorando sul vostro posizionamento che il sistema familiare inizia a cambiare.

Un ultimo punto importante: cercare di “farle capire” o convincerla con la logica, quando è in una fase oppositiva, raramente funziona. In questi momenti il messaggio più efficace non è quello spiegato mille volte, ma quello incarnato nei comportamenti.

Non siete cattivi genitori perché siete stanchi.
Non siete falliti perché vostra figlia oggi è così.
Ma avete il diritto — e il dovere — di proteggere anche voi stessi, il vostro equilibrio e la vostra dignità.

A volte aiutare un figlio significa smettere di fare tutto al posto suo, pur restando emotivamente presenti. È una linea sottile, difficile, ma possibile.

Un caro saluto.
Alma Magnani - Psicologa
Dott.ssa Arianna Amatruda
Psicologo, Psicologo clinico
Nocera Inferiore
Non potete obbligarla alla terapia, ma potete iniziare voi un percorso genitoriale per ritrovare una posizione comune e autorevole.
Dott.ssa Chiara Lagi
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Cari genitori, comprendo profondamente il vostro senso di impotenza e di sfinimento. Ciò che descrivete va oltre il normale conflitto generazionale: si tratta di una frattura nei confini familiari. Quando un figlio maggiorenne assume una posizione di pretesa senza responsabilità, il ruolo genitoriale entra in stallo. In questi casi è necessario un cambio di paradigma clinico: spostarsi dal piano emotivo a quello dei confini funzionali. La dinamica attuale appare come un circolo vizioso sbilanciato, sostenuto dal timore, comprensibile ma non evolutivo, che “mettendo limiti la perderemo”. In realtà, l’assenza di limiti mantiene la regressione, non la risolve. Il passaggio ai confini funzionali segna il transito da una gestione basata sull’affetto a una gestione fondata su regole di realtà. In altri termini: smettere di agire come genitori accudenti di una bambina e iniziare ad agire come adulti coabitanti con un’altra adulta. I pilastri di questo cambio di paradigma sono:
1. Dal conflitto al contratto:
Non più genitori che supplicano, ma adulti che stabiliscono condizioni chiare, con tono fermo e non accusatorio.
2. Conseguenze reali, non emotive:
Le conseguenze devono essere chiare, proporzionate, coerenti e attuate. Esempi: riduzione del supporto economico, sospensione dei servizi accessori, richiesta concreta e verificabile di impegno nello studio o nel lavoro. Senza urla, senza colpevolizzazioni, senza spiegazioni infinite.
3. Accettare temporaneamente il rifiuto dell’aiuto:
Il rifiuto della terapia è frequente in queste situazioni. Questo non impedisce a voi genitori di intraprendere un percorso di sostegno psicologico, utile per recuperare lucidità, prevenire escalation, mantenere una posizione ferma ma non distruttiva e chiarire fin dove siete disposti ad arrivare.
Infine, alcuni segnali che emergono (trascuratezza dell’igiene, passività marcata, uso massiccio del cellulare, aggressività) meritano un monitoraggio clinico, non per etichettare, ma per comprendere e orientare eventuali interventi futuri. Vi saluto con affetto e disponibilità.
Dott.ssa Chiara Lagi
Dott.ssa Ilaria De Pretto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buongiorno, capisco la vostra stanchezza e frustrazione: è una situazione molto logorante. Vostra figlia è maggiorenne, quindi ha diritto all’autodeterminazione, ma questo non cancella i vostri diritti come genitori né il vostro bisogno di rispetto. Aiutarla non significa tollerare tutto: potete legittimamente porre confini chiari e coerenti su convivenza, regole minime e responsabilità, spiegando che il sostegno è legato a comportamenti rispettosi. Il rifiuto di un aiuto psicologico è una sua scelta, ma voi potete comunque farvi supportare come coppia genitoriale per ritrovare fermezza e unità. Non è punizione, è tutela: senza limiti chiari il conflitto rischia solo di peggiorare.
Dott.ssa Angela Borgese
Psicologo, Psicologo clinico
Gravina di Catania
Gentili genitori, la questione che portate non riguarda tanto “i diritti”, quanto la posizione che vostra figlia ha assunto come soggetto. A 18 anni non è più una bambina, ma nemmeno ancora un’adulta: è in una fase in cui sta mettendo alla prova i limiti, soprattutto quelli genitoriali, per separarsi da voi.
Il punto non è correggere i comportamenti uno a uno, ma interrogarsi su che tipo di limite state incarnando oggi. Se da una parte lei rifiuta ogni regola, dall’altra continua a usufruire di tutto ciò che la casa e i genitori offrono: questo indica che il limite non è chiaro, o non è tenuto fino in fondo.
Vostra figlia non può essere “convinta” a collaborare o a cambiare con le parole o con il controllo. Ciò che può avere un effetto è rendere coerente ciò che date con ciò che chiedete. In altre parole: l’autonomia non si predica, si rende possibile anche attraverso delle conseguenze concrete (responsabilità, confini, condizioni).
Il rifiuto della terapia familiare è frequente a questa età, ma questo non significa che voi non possiate farvi aiutare. Un percorso per genitori può aiutarvi a uscire dalla stanchezza, a ritrovare una posizione più solida e meno reattiva, e a smettere di inseguire o subire.
La domanda utile non è: “Cosa possiamo imporre?”
ma: “Che cosa siamo disposti a sostenere e che cosa no?”
È da lì che un limite diventa reale.
Un caro saluto.
Dott.ssa Chiara Costa
Psicologo, Psicologo clinico
Ardea
Gent.le Utente, mi dispiace molto sapere di questa situazione difficile che sta attraversando, credo, da tanto tempo; mi arriva un forte senso di impotenza. Le consiglio di richiedere una consulenza psicologica che possa aiutarla a capire cosa può fare concretamente per stimolare un rapporto diverso con sua figlia e una nuova riorganizzazione dell'intero sistema familiare in una direzione più protettiva per tutti. Le faccio un in bocca al lupo. Un caro saluto. Non si arrenda.
Dott.ssa Stefania Militello
Psicologo, Psicologo clinico
Sassari
Gentili genitori,
comprendo quanto possa essere faticoso gestire una situazione così carica di tensione, rabbia e delusione. A 18 anni vostra figlia è adulta dal punto di vista legale e rivendica autonomia, ma allo stesso tempo vive ancora in casa e dipende da voi: questo passaggio può generare conflitti intensi, soprattutto se c’è poca comunicazione e regole non condivise. È importante ricordare che anche voi avete diritti: potete stabilire limiti chiari e condizioni per la convivenza (orari, collaborazione domestica, rispetto, uso degli spazi), e far capire che l’autonomia porta con sé responsabilità.
Può essere utile parlarle in un momento tranquillo, senza scontro, esprimendo ciò che provate e indicando aspettative pratiche e sostenibili. Se rifiuta la terapia familiare, potreste comunque rivolgervi voi a uno psicologo per avere uno spazio di confronto, strategie e supporto in questa fase complessa. L’obiettivo non è controllarla, ma creare confini chiari e relazioni più rispettose. Un caro saluto.
Dott. Dario Martelli
Psicologo clinico, Psicologo, Psicoterapeuta
Torino
Buonasera, è una situazione di sicuro dolorosa e frustrante. Non vedo comunque altra strada che rendervi disponibili ed esprimere il desiderio di comunicare con lei, esplicitare questa cosa e non abbandonare il campo. Non la metterei sul piano dei diritti legali o altro ma del vostro desiderio di esprimere il vostro affetto e amore per lei ed essere intressati al suo futuro gratifiucante per lei. Se avete bisogno sono a disposizione anche online. Saluti Dario Martelli

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