Buongiorno. Spiego brevemente la mia situazione. Ho 42 anni e una madre ansiosa da sempre, anche se

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Buongiorno. Spiego brevemente la mia situazione. Ho 42 anni e una madre ansiosa da sempre, anche se da quando sono diventata adulta lo è molto meno, vuoi anche perché sa che vivo una vita stabile, con un partner stabile e non sono una persona irresponsabile. Ammetto che da ragazza ho potuto comunque fare le mie esperienze, spronata soprattutto da mio padre, ma anche da lei, viaggiare, vivere all’estero, fare vacanze con amici, uscite, orari, se non il bisogno costante di avvisarla e sapere che andava tutto bene. Ora però che sono io l’adulta e la mamma comincia ad essere un po’ più anziana (67)e da anni sola, anche se del tutto indipendente e con una vita molto attiva tra amiche e attività varie, temo di non fare la cosa giusta nei suoi confronti, di non essere abbastanza, di abbandonarla se vado in vacanza più di 10 giorni, ad esempio, se non vado a trovarla una volta a settimana come d’abitudine ecc. temo di non essere la figlia che lei reputa dovrei essere. So che ci vuole una distanza emotiva, lei la pensa in un modo e io in un altro (le nostre mentalità sono molto diverse, ma andiamo comunque d’accordo), ma temo che mi giudichi come fa con gli altri. Anche perché lei stessa non risparmia il suo stato d’animo quando ad esempio le dico che parto (faccia triste/ preoccupata), o quando torno a casa dopo che sono stata da lei (a volte sembra impensierita). Lei stessa viaggia ed è comunque sempre stata contenta che io facessi le vacanze, e so che quando non sono da lei è sempre circondata di amiche e attività varie, quindi la sua vita è gradevole ed esce quasi più di me. Spesso però temo di non poter fare tutto il possibile per lei (anche se per ora non ha bisogno di me nella vita quotidiana). Temo di farla preoccupare e che un giorno possa sentirmi male e da lei giudicata (date le sue raccomandazioni quando ero più piccola di non farla preoccupare) per non aver fatto qualcosa per lei nel momento richiesto. Questo mi sta condizionando a tal punto da colpevolizzarmi e non vivere più serenamente la mia vita. Il suo modo di pensare non l’ho mai condiviso, lei vede solo in una direzione, la sua, e critica, anche senza troppa enfasi ma comunque con un tono di giudizio, chi fa cose che lei non farebbe. Spesso critica atteggiamenti di altri figli che fanno le loro scelte senza prestare troppa attenzione ai genitori o anche andando contro il loro volere, andando magari a vivere in un’altra città o facendo scelte che i loro stessi genitori non condividono (come si ci fosse qualcosa di sbagliato a volere avere una vita che vada anche in modo diverso per lavoro o altro da quella dei genitori). Ma dico: che diritto ha lei di giudicare la vita degli altri? Ha una mentalità un po’ da “paese” dove criticare tutti coloro che la pensano diversamente è il rito. Io invece detesto questi atteggiamenti e sono molto più aperta anche a non giudicare le scelte altrui. Credo che il suo essere ansiosa quando ero più piccola e anche la paura in parte comprensibile di non sapere come gestire la futura anzianità di un genitore rimasto solo sia il problema che ora mi trovo ad affrontare, come del resto altri miei coetanei. Penso però che gli altri riescano meglio di me a non dare troppa importanza alle opinioni dei genitori. Soprattutto mi paralizza il temere di non essere lì nel momento del bisogno, se succedesse qualcosa ecc. Ma, dato che un reale problema / bisogno al momento non c’è, mi sembra una paura irrazionale e stupida, preoccuparsi quando le cose sono tranquille non ha senso. Come posso fare?
Dott.ssa Anna Bruti
Psicologo clinico, Psicologo, Psicoterapeuta
San Benedetto del Tronto
Gentile utente,
la sua riflessione è lucida e sensibile. Sta vivendo un passaggio delicato, comune a molte persone adulte con genitori ancora autosufficienti ma che iniziano a invecchiare: il ruolo cambia, e insieme a esso emergono sensi di colpa, doveri interiorizzati e il timore del giudizio.

Il legame con sua madre, pur affettuoso, appare anche segnato da dinamiche emotive profonde che ora stanno limitando la sua serenità. Se lo desidera, possiamo approfondire tutto questo in un colloquio: uno spazio protetto per esplorare insieme come prendersi cura degli altri senza dimenticare sé stessa.

Resto a disposizione.

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Dott.ssa Veronica Savio
Psicologo, Psicologo clinico
Medolla
Gentile utente,
comprendo quanto possa essere faticoso trovare un equilibrio tra il desiderio di vivere pienamente la propria vita e il senso di responsabilità verso un genitore. Le dinamiche familiari, soprattutto quando coinvolgono ansia e giudizio, possono influenzare profondamente il modo in cui ci si percepisce e si prendono decisioni.
Proprio per questo, un percorso psicologico potrebbe aiutarla a rimettere al centro i suoi bisogni, a gestire il senso di colpa e a costruire confini più sereni, senza rinunciare al legame affettivo con sua madre.
Rimango a disposizione per qualunque chiarimento.
Dott.ssa Veronica Savio
Dott.ssa Claudia Selis
Psicologo, Psicoterapeuta
Oristano
Capisco quanto sia delicato per lei questo equilibrio tra il desiderio di vivere pienamente la sua vita adulta e la sensazione di “dover esserci” per sua madre, soprattutto ora che l’età avanza. È un tema comune a molte persone adulte con genitori ansiosi o con una visione rigida e giudicante. La sua preoccupazione di non essere “abbastanza” per sua madre sembra più legata a un senso di responsabilità interiorizzato nel tempo che a reali mancanze da parte sua.
Lei sta già facendo molto: ha una presenza costante, si preoccupa e si prende cura, pur nella sua autonomia.
In un percorso psicologico può esplorare come liberarsi da queste aspettative e responsabilità interiorizzate, riconoscere e validare i suoi bisogni e distinguere tra ciò che può e vuole dare e ciò che sente di dover dare, per vivere con maggiore serenità e autonomia.
Dott.ssa Susanna Scainelli
Psicologo, Psicologo clinico, Neuropsicologo
Albino
Buongiorno, prima di tutto comprendo le preoccupazioni che descrive. Credo che le potrebbe essere utile iniziare un percorso psicologico che possa accompagnarla in questa fase di vita, per essere maggiormente consapevole del suo funzionamento psicologico, aiutandola in particolare ad affrontare al meglio la relazionale con sua madre. Se avesse bisogno sono a sua disposizione in presenza o online, per una terapia di tipo relazionale integrata, con il supporto di varie tecniche personalizzate in base al paziente, ai suoi bisogni ed obiettivi con evidenza scientifica. Dott.ssa Susanna Scainelli
La sua riflessione è profonda e tocca una dinamica molto comune, il senso di colpa che può nascere quando si ha una madre ansiosa e iperprotettiva, anche se affettuosa. È chiaro che lei voglia esserci per sua madre, ma altrettanto evidente è quanto questo la stia limitando nel vivere con serenità la sua vita. Le sue preoccupazioni non sembrano derivare da bisogni reali attuali, ma da un’eredità emotiva che le ha insegnato a sentirsi responsabile per l’umore e la tranquillità della mamma. È importante distinguere tra ciò che nasce dal vero affetto e ciò che nasce dalla paura di deludere. Staccarsi emotivamente non significa smettere di amare, ma potersi concedere la libertà di scegliere come e quanto esserci, senza farsi condizionare da giudizi o aspettative implicite. Un percorso psicologico potrebbe aiutarla a liberarsi da questi automatismi e a ritrovare uno spazio più sereno per sé stessa.
Un caro saluto
 Gabriele Lungarella
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Gentile utente,
la sua riflessione è molto profonda e affronta una questione che riguarda molti adulti: il senso di responsabilità verso i genitori anziani, il peso delle aspettative familiari e l’equilibrio tra il prendersi cura e tutelare la propria libertà personale.

Quello che descrive non è affatto “una paura irrazionale e stupida”, bensì un conflitto emotivo significativo. Vi sono affetto, senso del dovere, un passato condiviso e la difficoltà (profondamente umana) di sottrarsi ai modelli affettivi interiorizzati durante l’infanzia.

Sebbene oggi la relazione con sua madre appaia cordiale ed equilibrata, resta attiva in lei l’impronta interiore di quell’ansia trasmessa nel tempo. Questo influisce sul modo in cui vive le sue scelte: concedersi pause, pianificare vacanze o semplici momenti di leggerezza può diventare fonte di disagio.

La lucidità con cui osserva queste dinamiche è un punto di partenza prezioso. Quando però la consapevolezza da sola non basta a sciogliere il senso di colpa o il desiderio costante di “essere la figlia giusta”, può essere estremamente utile elaborare queste emozioni in uno spazio di ascolto protetto.

Non si tratta di mettere in discussione sua madre o volerla cambiare, bensì di iniziare a differenziare con maggiore chiarezza ciò che le appartiene da ciò che le è stato trasmesso e che oggi può essere rinegoziato.

Spesso le emozioni non si risolvono attraverso il ragionamento: assumono un’altra forma quando trovano un luogo sicuro dove essere ascoltate senza giudizio. Se lo desidera, sono disponibile per un primo confronto. Posso aiutarla a dare un senso più chiaro a ciò che oggi la appesantisce.
Un caro saluto,
Gabriele
Dott. Stefano Recchia
Psicologo, Psicologo clinico, Professional counselor
Roma
Gentile utente grazie per aver condiviso la tua situazione. Quello che descrivi è estremamente comune, soprattutto tra persone sensibili, responsabili e cresciute con un genitore ansioso. Non è né una paura “stupida” né irrazionale: è il riflesso di un legame profondo, segnato da amore ma anche da condizionamenti emotivi sottili e duraturi.
Quando da piccoli ci viene ripetuto (esplicitamente o implicitamente) che far preoccupare la mamma è sbagliato, che bisogna proteggerla, che le sue emozioni dipendono da noi, impariamo a sentire colpa anche solo per vivere in libertà.
Questa colpa non è reale, ma interiorizzata. Crescendo, anche se razionalmente sappiamo che la mamma se la cava, la parte emotiva continua a vivere secondo quelle vecchie regole.
Tua madre ti ha voluto bene, ti ha spronata, e ti ha anche lasciata andare in parte. Ma il bisogno costante di sapere tutto, la tristezza se ti allontani, la critica verso chi “disobbedisce” ai genitori… sono tutte forme (più o meno inconsapevoli) di controllo.
L’ansia genitoriale, in molti casi, non è solo paura: è un modo di gestire gli altri per ridurre il proprio disagio.
Quindi ogni volta che tua madre si mostra triste o ti giudica, è importante ricordare che non lo fa per te, lo fa per sé stessa. E tu non sei responsabile della sua serenità.
Ogni volta, poi, che rinunci a una vacanza più lunga o a un weekend in più per “non farla preoccupare”, stai, senza volerlo, confermando l’idea che tu sei responsabile della sua tranquillità e che lei ha diritto di condizionare la tua vita. Questo circolo vizioso si autoalimenta e rafforza la tua ansia e il suo ruolo. Prova a spezzare il meccanismo iniziando ad agire secondo ciò che reputi giusto tu, e non ciò che può prevenire il suo eventuale disappunto.
Dai valore a ciò che già fai. Ti prendi cura di tua madre, la vai a trovare, sei presente, la rispetti. Già fai tanto. Il tuo compito non è prevenire ogni sua preoccupazione, ma vivere la tua vita con rispetto per te e per lei.
Se senti che questi temi ti stanno bloccando troppo o ti logorano anche nel corpo (insonnia, tensioni, senso di svuotamento), lavorarci con uno psicologo potrebbe aiutarti a rafforzare i tuoi confini interiori. Spero di esserti stato d'aiuto. Resto a disposizione. Un caro saluto.
Dott. Stefano Recchia
Dott. Francesco Damiano Logiudice
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Buongiorno,
grazie per aver condiviso con tanta chiarezza e profondità la sua esperienza, che tocca un tema molto comune ma spesso poco affrontato: il senso di colpa nei confronti dei genitori quando si diventa adulti, specialmente in relazione a una madre ansiosa e giudicante.

Ciò che descrive è un vissuto molto comprensibile. Quando un genitore ha manifestato ansia o iper-controllo durante l’infanzia e l’adolescenza, è frequente che, una volta diventati adulti, si continui a interiorizzare quel bisogno di “tranquillizzare” o “non deludere” il genitore, anche se razionalmente si sa di non avere alcuna responsabilità diretta verso la sua serenità emotiva.

Nel suo caso, emerge con chiarezza un conflitto tra ciò che razionalmente riconosce (cioè che sua madre è autonoma, ha una vita piena e che lei ha diritto a vivere la sua) e ciò che emotivamente fatica a lasciar andare: il timore di essere giudicata, di non essere una “figlia abbastanza presente”, di deluderla se prende spazio per sé.

È importante distinguere due elementi:

Il senso del dovere che nasce da un attaccamento profondo e affettuoso, ed è naturale.

Il senso di colpa eccessivo, che nasce invece da un meccanismo appreso, spesso legato a dinamiche familiari passate, in cui la figura genitoriale ha trasmesso – direttamente o indirettamente – l’idea che i propri bisogni dovessero avere priorità, o che “preoccuparla” fosse qualcosa da evitare a tutti i costi.

Il suo vissuto di colpa sembra essere alimentato proprio da questo secondo elemento, ed è importante riconoscerlo per cominciare a lavorarci. In effetti, la preoccupazione costante nonostante non ci siano problemi concreti reali, è un segnale che la sua mente sta reagendo a qualcosa di antico, più che alla situazione attuale.

Un altro punto chiave è il giudizio implicito (o esplicito) che lei percepisce da parte di sua madre: la critica verso gli altri figli, il tono valutativo, il “modo di pensare da paese” che lei stessa non condivide. Tutto questo contribuisce a farle sentire un’ansia da prestazione, come se ogni sua scelta dovesse passare attraverso il filtro dell’approvazione materna, anche quando non lo desidera davvero.

In realtà, la distanza emotiva che accenna – ovvero la capacità di riconoscere i limiti tra i propri bisogni e quelli del genitore – è un processo sano e necessario per qualsiasi adulto. È possibile volere bene, restare affettuosi, presenti, pur mantenendo i propri confini e il diritto di vivere la propria vita in modo pieno, senza sensi di colpa.

La paura che "se un giorno succede qualcosa" lei possa non essere pronta o possa sentirsi in colpa, è una paura condivisa da molti figli adulti. Ma non può vivere la sua vita preparandosi costantemente a un’emergenza che non esiste. Anzi, vivere serenamente, coltivare i propri spazi, costruire un equilibrio personale, la renderà più forte e presente proprio nel caso in cui un giorno ci sarà davvero bisogno di lei.

Ciò che sta vivendo non è affatto “una paura stupida”. È un’eredità emotiva che ha radici profonde, e che merita rispetto e attenzione. Proprio per questo, sarebbe utile e consigliato rivolgersi ad uno specialista, che possa aiutarla a riconoscere meglio questi meccanismi e accompagnarla nel percorso di liberazione dal senso di colpa e affermazione della propria autonomia emotiva.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa

Dott.ssa Giada Casumaro
Psicologo, Terapeuta, Professional counselor
Rovereto sulla Secchia
Buonasera. Provo a risponderle, anche se le informazioni non sono sufficienti per un'analisi completa, quindi si senta serena nel prendere o meno per vero quello che le propongo.
Sua madre ha vissuto e l'ha cresciuta al meglio delle sue possibilità e per le informazioni che le sono state tramandate dai suoi genitori ma questo probabilmente ad oggi emerge facendola sentire in colpa e dovendo sempre ad aspirare ad una figlia "ideale" ma non reale. Queste aspettative portano con sè ansie e paure perchè è come dover sempre dimostrare per ricevere amore quando in realtà l'amore si riceve e basta senza condizioni. Forse sua madre ad oggi non si aspetta più nulla da lei ma lei continua ad alimentare questo ricordo e rimane ferma nel passato senza permettersi anche solo di vivere il presente.
La nostra vita non è fatta per rimanere attaccati ai nostri genitori ma per vivere la nostra vita e quando sarà il momento, sì, esserci per loro ma senza annullarsi. Allo stesso modo si fa con i figli. Lei è sicuramente abbastanza e ha tantissime risorse e qualità che però forse non porta fuori perchè preoccupata per sua madre. Non ci sono genitori perfetti o figli perfetti, ci siamo noi con la nostra umanità e perfettibilità.
Spero di averle dato qualche spunto di riflessione e se volesse approfondire con un lavoro più centrato rimango a disposizione,
Dott.ssa Casumaro Giada
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buongiorno, la ringrazio per aver condiviso con tanta chiarezza e sensibilità una situazione che, seppur molto personale, rappresenta anche un’esperienza comune a molte persone adulte che si trovano nel mezzo del passaggio tra essere figli e diventare in qualche modo “genitori dei propri genitori”. Quello che lei descrive è un intreccio molto delicato tra affetto, senso del dovere, aspettative familiari, autonomia personale e senso di colpa. E tutto ciò, come accade spesso nei legami più profondi, ha radici molto antiche, che risalgono all'infanzia, a quei primi anni in cui si impara, anche senza parole, che il proprio benessere è strettamente connesso a quello della figura materna. La sua riflessione è estremamente lucida. Lei ha già colto molti dei meccanismi che si attivano, come il senso di colpa preventivo, la paura di essere giudicata o di non essere “abbastanza” nel ruolo di figlia, l'influenza del modello educativo ricevuto e l’impatto che ha avuto e ha ancora oggi su scelte che, in teoria, dovrebbe poter fare in piena libertà. Questo tipo di condizionamento affettivo, anche se non esplicitamente imposto, è profondamente radicato. A volte si manifesta in piccoli segnali, come uno sguardo triste o una parola detta con un certo tono, ma il messaggio che si riceve è potente: “Se fai la tua vita, potresti ferirmi o deludermi”. Nel suo caso, però, emerge con forza anche il desiderio di trovare un equilibrio, di onorare il legame con sua madre senza sacrificare la sua serenità personale. Questo è un obiettivo molto nobile, e assolutamente possibile, ma per raggiungerlo occorre lavorare su alcune credenze profonde. Ad esempio, la credenza che “amare un genitore significhi dover esserci sempre”, oppure che “se non prevengo ogni possibile mancanza, sarò colpevole in caso di difficoltà”. Queste convinzioni, che si sono probabilmente formate negli anni attraverso esperienze e messaggi ripetuti, non sono segni di debolezza o egoismo. Al contrario, sono indizi della profondità del legame e del desiderio di fare bene. Ma quando diventano rigide, iniziano a generare ansia, sensi di colpa e a compromettere la possibilità di vivere in modo libero e consapevole. Nel suo racconto è evidente come sua madre, nonostante sia presente nella sua vita e ancora autonoma, continui a trasmettere messaggi legati alla sua visione del mondo. La sua critica verso chi si distacca troppo dai genitori, il suo giudizio sulle scelte “diverse”, sono espressioni di una mentalità che appartiene alla sua storia personale, alle sue paure, forse anche alle sue rinunce. È importante ricordare che lei ha tutto il diritto di pensarla in modo diverso, e che questa differenza non la rende meno amorevole o meno presente. Significa solo che ha maturato una visione più autonoma, più aperta, che le permette di scegliere secondo i propri valori. Una delle direzioni più efficaci della terapia cognitivo-comportamentale è proprio quella che aiuta a distinguere i pensieri utili da quelli disfunzionali, a riconoscere le distorsioni cognitive che alimentano il malessere (come la catastrofizzazione o l’eccessivo senso del dovere) e a sostituirle con convinzioni più realistiche e funzionali. Per esempio, una credenza da poter riformulare potrebbe essere: “Posso essere una buona figlia anche se non sono sempre presente fisicamente, perché il mio affetto e il mio sostegno non si misurano solo in presenza ma anche nella qualità della relazione e nel rispetto di me stessa”. È del tutto comprensibile che senta una forma di disagio all’idea di “non esserci” in un futuro ipotetico in cui sua madre potrebbe avere bisogno. Ma vivere in costante stato di allerta rispetto a qualcosa che non è ancora accaduto finisce per toglierle energie e serenità nel presente, senza aggiungere alcuna protezione reale. La prevenzione e l’amore non si misurano con la rinuncia a vivere la propria vita, ma con la capacità di costruire un rapporto basato sul rispetto reciproco, sulla comunicazione onesta e sull'accettazione dei propri limiti. In questo percorso, può essere molto utile imparare a riconoscere i segnali che il senso di colpa sta prendendo il sopravvento, distinguere tra quello che sente di dover fare e quello che realmente ha senso fare per sé e per il bene della relazione. Coltivare spazi personali, affermare i propri bisogni, dare valore alla propria autonomia non significa tradire gli affetti, ma anzi rafforzarli, perché permette di esserci in modo più autentico e non mosso dalla paura o dal dovere. Infine, le suggerisco di accogliere con gentilezza quella parte di sé che ancora oggi si sente in difficoltà a fronte delle aspettative materne. Non ha bisogno di combatterla o di giudicarla. Ha solo bisogno di essere ascoltata, capita e accompagnata verso un modo nuovo di vivere il legame. È un processo graduale, ma profondo, e lei ha già fatto molto per cominciare a tracciarne il cammino. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott. Luca Vocino
Psicologo clinico, Psicologo
Trezzano Rosa
Buongiorno gentile Utente, grazie per aver condiviso in modo così lucido e articolato la sua esperienza. Le sue parole mettono in evidenza una situazione molto comune ma spesso poco discussa apertamente: il senso di colpa latente che può nascere nel rapporto con un genitore, soprattutto quando questi ha avuto (e ha tuttora) un atteggiamento ansioso e giudicante, anche se velato da affetto e premure.

La sua riflessione è estremamente matura. Ha chiaro che sua madre ha una vita piena, che non dipende realmente da lei sul piano pratico, e che, paradossalmente, è proprio questa discrepanza tra il suo apparente benessere e le sue reazioni emotive (le espressioni tristi, i commenti impliciti, il tono critico) a generare in lei un conflitto interiore. Un conflitto tra la sua legittima esigenza di autonomia emotiva e il timore, coltivato nel tempo, di deludere o di venir meno al ruolo di “figlia buona e presente”. Questo tipo di dinamica, che affonda le radici nell’infanzia, può continuare a influenzare la nostra vita adulta anche quando le condizioni esterne sono mutate.

Non è banale quello che lei sente. Il timore che un giorno possa accadere qualcosa di imprevisto e che in quel momento lei non sia lì per sua madre riflette un’antica paura infantile: quella di essere considerata inadeguata, o di essere giudicata severamente per non aver fatto “abbastanza”. Questo meccanismo è spesso alimentato da modelli familiari in cui l’amore è stato mediato dalla responsabilità, dalla rassicurazione costante, dal dovere. Ed è proprio questa forma di “amore ansioso”, che ha certamente avuto anche tratti protettivi, a lasciare il segno.

Lei ha già compreso, in profondità, che parte delle sue paure sono irrazionali. Ma è importante sottolineare che riconoscere qualcosa come irrazionale non significa riuscire automaticamente a lasciarlo andare. Il cambiamento richiede spesso un lavoro interiore graduale, volto a riconoscere non solo i pensieri, ma anche le emozioni sottostanti, i ruoli familiari introiettati, e a rinegoziare, dentro di sé, nuovi equilibri. In questo senso, la cosiddetta “distanza emotiva” di cui lei parla non va intesa come freddezza o distacco, bensì come una nuova modalità di stare in relazione: più adulta, più consapevole, meno dipendente da giudizi esterni.

Si può imparare, attraverso un percorso, a sentire che essere una brava figlia non significa rinunciare alla propria serenità, né anticipare dolori che non esistono. Si può imparare a vivere pienamente la propria vita, anche quando implica scelte differenti da quelle dei propri genitori, senza sentirsi colpevoli. Lei ha già molti strumenti interiori per farlo, ha un pensiero critico, una visione aperta, e la capacità di guardare alla situazione in modo ampio e non reattivo. Ma il senso di colpa ha radici profonde, e spesso ha bisogno di essere accolto, riconosciuto e poi, gradualmente, trasformato.

Ciò che sente oggi è una fase delicata di transizione: la madre che l’ha cresciuta comincia ad apparire più fragile, e il ruolo di “figlia adulta” si intreccia con nuove responsabilità e paure, non ancora reali ma già presenti come possibilità. È umano, ed è anche un’occasione per ridefinire, con rispetto e affetto, ma anche con fermezza, i propri confini.

Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Dott.ssa Livia Sterza
Psicoterapeuta, Psicologo clinico, Psicologo
Roma
Buongiorno e grazie per la sua condivisione.
Quello che descrive sembra riflettere un momento di rinegoziazione del legame con sua madre, in cui si sta cercando un nuovo equilibrio tra autonomia adulta e il senso di responsabilità affettiva che continua a sentire nei suoi confronti.
È comprensibile che, di fronte all’invecchiamento di un genitore, si attivino dinamiche antiche: vecchie lealtà, ruoli interiorizzati, timori di “non fare abbastanza” che forse appartengono a un tempo passato, ma che ancora risuonano.
Forse oggi la domanda non è tanto cosa sua madre si aspetta da lei, ma che tipo di figlia desidera essere ora, in questa fase della vostra storia. Una figlia presente, ma non invischiata; libera, ma non distante. Un equilibrio nuovo, che può richiedere tempo, ma che è già in atto, come mostrano le sue riflessioni.
Un percorso di terapia potrebbe aiutarla ad affrontare questa fase della vita.
Un saluto,
Dottoressa Livia Sterza







Dott.ssa Sara Di Martino
Psicologo, Psicologo clinico
Selvazzano Dentro
Quello che sua mamma dice o fa, ci racconta di lei come persona e come genitore.
Perché secondo lei, per come la conosce, sua mamma sente il bisogno di giudicare gli altri o di mostrarsi triste/preoccupata nel momento in cui vi separate?
Ognuno ha una propria storia e dei punti critici che a volte esterna con modalità che non sempre comprendiamo o che ci irritano o ci fanno stare male. Ma i modi che vengono usati ci raccontano sempre dell'altra persona, non di noi.
Dott.ssa Rossella Carrara
Psicologo, Psicologo clinico
Bergamo
Buongiorno, le consiglio un percorso di sostegno psicologico che l'aiuti ad emanciparsi da sua madre. Cordiali saluti.
Dott.ssa Jessica Furlan
Psicologo, Psicologo clinico
Fiumicino aeroporto
Buonasera, mi viene una domanda: "quanta paura ha lei di non sentirsi indispensabile per sua madre?", "il senso di colpa nel non sentirsi la figlia perfetta è più una sua paura e timore o ha sentito esplicitamente sua madre lamentarsi di lei?".
"Queste preoccupazioni nei momenti di tranquillità attuali quanto sono utili per lei? La fanno stare più serena nel non fare cose troppo vitali e che lei reputa giuste o la bloccano pensando che sua madre non è d'accordo?"
Dal suo racconto sua madre vive serenamente e non si preclude niente ed è circondata di amici e persone su cui poter contare, quindi, che problema c'è?
Analizzi lei quanto vuole essere considerata unica e indispensabile per sua madre.
"Quanto bisogno ha di essere vista da sua madre? Cosa sta chiedendo a sua madre che non ha fatto quando lei era piccola?".
Sono solo domande di riflessione che spero possano aiutarla nel ritornare in contatto con sè stessa nella parte più profonda e bisognosa di ascolto, che ora non comprende e che a suo modo sta giudicando.
Spero di esserle stata di aiuto
Saluti
Dott.ssa Francesca Gottofredi
Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Bologna
Buongiorno,
la sua situazione riflette un classico dilemma tra il desiderio di prendersi cura di una persona cara e il bisogno di preservare la propria autonomia emotiva. È importante riconoscere che la paura di deludere o di non essere “sufficientemente” presente spesso nasce da aspettative interiorizzate, più che da bisogni reali della madre.
Può provare a riflettere su quali azioni concrete possono effettivamente fare la differenza per lei e per sua madre, distinguendo ciò che è indispensabile da ciò che è frutto di ansia o senso di colpa. Qual è il piccolo gesto che, fatto con calma e coerenza, può rassicurare entrambi senza sacrificare la sua serenità?

Un’altra domanda utile: cosa succederebbe se decidesse di stabilire un confine più chiaro con sua madre, comunicando con gentile fermezza i suoi bisogni e limiti? A volte, accettare che non si può controllare tutto è il primo passo verso una relazione più equilibrata.

Infine, quando si sente sopraffatta dalla paura del “momento del bisogno”, può aiutarla ricordare a sé stessa che si sta prendendo cura di sua madre anche attraverso la propria vita serena e autonoma. Come pensa che potrebbe iniziare a mettere in pratica queste riflessioni?
Dott.ssa Sandra Petralli
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Pontedera
Buonasera, le dinamiche che descrive sono molto comuni in figli adulti cresciuti accanto a figure genitoriali ansiose o giudicanti, soprattutto quando, col passare del tempo, i ruoli si sfumano e si fa spazio il timore di non “essere abbastanza” per i propri genitori.
Ciò che lei vive ha radici antiche: l’abitudine a rassicurare sua madre da giovane ha probabilmente costruito dentro di lei uno schema relazionale fondato sul senso di responsabilità e sul dover “proteggere” l’altro, a costo della propria libertà emotiva. Non sorprende quindi che oggi si senta divisa tra il desiderio di autonomia e la paura del giudizio o del senso di colpa. È una forma di lealtà affettiva che, se non riconosciuta, può trasformarsi in un peso difficile da portare.
Il bisogno di distanza emotiva che ha già intuito è fondamentale. Non si tratta di distacco affettivo, ma di un sano confine relazionale: imparare a riconoscere ciò che è suo e ciò che appartiene a sua madre. Le emozioni che lei esprime (senso di colpa, paura del giudizio, timore di non essere presente in caso di bisogno) sono il frutto di un’eredità emotiva, non di un suo reale “fallimento”.
Un percorso psicoterapeutico può aiutarla a ridefinire questi confini interni, a rafforzare la sua identità adulta e a tollerare, senza subirlo, il dissenso o il giudizio materno. La gestione dell’ansia anticipatoria, legata all’idea che possa accadere qualcosa, è un altro nodo su cui lavorare: l’ansia, quando non ha un oggetto reale, tende a sostituirsi al controllo e a rubare serenità nel presente.
In ambito clinico, si tratta spesso di un percorso di svincolo, ovvero un processo psicologico in cui il figlio adulto si riconosce libero di vivere secondo i propri valori, pur rimanendo affettivamente vicino. La chiave non è “fare tutto per un genitore”, ma fare ciò che è sostenibile per sé, nel rispetto reciproco. La sua consapevolezza è già un punto di forza. La invito a non minimizzare il proprio sentire: non è una paura “stupida”, ma una richiesta di equilibrio interiore fondamentale per la sua salute psichica.
Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Salve. Stai vivendo un classico conflitto tra individuazione adulta e senso di colpa filiale, complicato dal fatto che tua madre proietta le sue ansie attraverso comportamenti manipolativi inconsci.
Il problema centrale è che stai ancora funzionando con schemi emotivi dell’infanzia, dove dovevi “non farla preoccupare” per essere una “brava figlia”. Ora da adulta, questo pattern ti intrappola in sensi di colpa irrazionali che non hanno fondamento nella realtà presente.
Tua madre usa meccanismi di controllo sottili ma efficaci: espressioni triste quando parti, sguardi preoccupati, giudizi su altri figli che “abbandonano” i genitori. Questi sono tentativi inconsci di mantenere la vicinanza emotiva attraverso il senso di colpa, tipici di genitori che hanno sviluppato uno stile ansioso.
Per lavorarci puoi iniziare con la ristrutturazione cognitiva. Quando senti colpa, fermati e chiediti “cosa succederebbe realmente se parto per due settimane?” Spesso scoprirai che le conseguenze temute sono completamente irrazionali. Mantieni i tuoi ritmi e le tue routine senza giustificarti eccessivamente. La coerenza nelle tue scelte riduce l’ansia di entrambe a lungo termine.
È importante che ricordi che tua madre ha una vita piena e autonoma. La sua ansia è sua responsabilità emotiva, non tua. Quando comunichi con lei, prova a essere diretta: puoi dire qualcosa come “Capisco che ti preoccupi, ma ho bisogno che tu rispetti le mie scelte senza manifestare disapprovazione”.
Il tuo timore del “momento del bisogno” è comprensibile ma paralizzante. Essere una figlia responsabile non significa sacrificare la tua vita presente per ansie ipotetiche future. La differenziazione emotiva è un processo graduale, ma ogni volta che resisti al senso di colpa stai rinforzando la tua autonomia adulta.​​​​​​​​​​​​​​​​
Dott.ssa Ilaria De Pretto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Quello che racconti descrive bene un conflitto interiore molto comune in chi è cresciuto accanto a un genitore ansioso e giudicante. Da una parte c’è la consapevolezza razionale che tua madre è autonoma, attiva, circondata da amiche e che al momento non ha bisogno di cure costanti. Dall’altra, c’è l’eredità emotiva di anni di messaggi del tipo “non farmi preoccupare”, “avvisami sempre”, “una figlia deve esserci”. Questo ha lasciato in te una sorta di “radar” sempre acceso che ti porta a sentirti in colpa se non sei presente quanto credi che lei si aspetti.

Il punto che sottolinei bene è proprio questo: la tua paura non nasce da una situazione reale (un bisogno pratico concreto), ma da un condizionamento emotivo e dal timore di giudizio. Non è “stupida”, come scrivi: è coerente con la tua storia familiare. Ma oggi ti sta togliendo serenità, perché ti fa vivere come se fossi sempre in difetto.

Alcune riflessioni possono aiutarti:

– Distinguere bisogni reali da paure apprese. Al momento tua madre non dipende da te. Ha una vita attiva e indipendente. Questo significa che il tuo “non sto facendo abbastanza” non nasce dalla realtà, ma da un retaggio di colpevolizzazione. Puoi ricordartelo ogni volta che sorge il pensiero.

– Accettare che lei abbia un modo diverso di pensare. È vero, ha un atteggiamento critico e tende a giudicare. Questo dice di lei, della sua mentalità, non di te. Non puoi cambiare il suo sguardo, ma puoi imparare a non prenderlo come misura del tuo valore.

– Darti il diritto di essere figlia, non badante preventiva. Quando e se avrà bisogni concreti, potrai affrontarli. Non serve vivere oggi come se fossi già nel “momento del bisogno”. Questo ti consuma energie senza aiutare lei.

– Gestire i segnali non verbali (faccia triste, preoccupata). Quelli sono modi per esprimere ansia o disappunto, non richieste oggettive. Puoi riconoscerli come parte del suo carattere, senza sentirti obbligata a “riparare” ogni volta.

– Lavorare sul senso di colpa. Il senso di colpa è ciò che ti tiene incastrata. Ogni volta che appare, prova a chiederti: “Sto davvero trascurando un suo bisogno reale, o sto rispondendo a un giudizio interiore che non mi appartiene?”.

Quello che vivi è molto comune, soprattutto quando si è cresciuti con un genitore ansioso e poco capace di accettare prospettive diverse. La differenza non la fanno tanto i genitori (che spesso non cambiano), quanto la capacità dei figli adulti di riconoscere che il giudizio del genitore non è più una misura di quanto valgono.

Non sei tu a sbagliare, non sei tu a essere “poco figlia”: sei una donna adulta che ha costruito la sua vita e che sta cercando di trovare un equilibrio tra affetto e libertà. E questa è la strada giusta.

Dott.ssa De Pretto
Dott.ssa Tania Zedda
Psicologo, Psicologo clinico
Quartu Sant'Elena
Buongiorno, quello che racconti è molto comune tra figli adulti: la paura di non essere “abbastanza” per i genitori, soprattutto quando diventano più anziani e mostrano preoccupazione. È chiaro quanto tu sia una figlia attenta e presente, e proprio per questo ti senti in colpa al minimo segnale di insoddisfazione da parte di tua madre. La verità è che ciò che vivi non è stupidità né debolezza: è il peso delle responsabilità interiorizzate in anni di richieste implicite (“non farmi preoccupare”).
La buona notizia è che tua madre oggi è autonoma, ha una vita sociale attiva e non dipende realmente da te. La paura che descrivi (“se un giorno avrà bisogno io non ci sarò”) è un pensiero ansioso: immagina che stai soffrendo per un futuro che non esiste ancora. In questi casi può aiutare fermarsi e chiedersi: “Cosa sto facendo ora, nel presente, che già dimostra cura?” Probabilmente molto più di quanto pensi. Non si tratta di essere la “figlia perfetta” ma di essere una figlia con i suoi limiti, che però vuole bene alla madre. E questo, credimi, è già tanto.
Slave, dalle sue parole emerge l'importanza che il rapporto con sua madre rappresenti per lei e quanto si impegni per non farle mancare la tua presenza. È una situazione in cui molti si ritrovano: da una parte il bisogno di vivere con serenità e libertà, dall’altra la paura di deludere o far preoccupare un genitore.
Quello che pesa non è tanto un bisogno concreto di sua madre, visto che lei è indipendente e molto attiva, ma piuttosto il suo modo di mostrarsi ansiosa o giudicante e il ricordo delle attenzioni che le chiedeva da bambina. Anche se oggi razionalmente sai che non c’è motivo di sentirti in colpa, dentro di lei resta viva quella sensazione di “dovere” verso di lei.
Può aiutare pensare che queste emozioni non sono un difetto, ma la prova di un legame importante che ora va un po’ “ridisegnato”: trovare un equilibrio tra la sua libertà e il bisogno di sua madre di sentirsi ancora al centro.
Se lo desidera, si potrebbe approfondire insieme in un percorso psicologico come alleggerire quel senso di colpa e trasformarlo in un modo più sereno di vivere la relazione, senza rinunciare a te stessa. Un caro saluto, Dr. Daniele Rossetti
Dott. Amedeo Fonte
Psicologo, Psicologo clinico
Pescara
Lei sembra trovarsi in una tensione continua tra il desiderio di vivere la sua vita liberamente e il senso di colpa che la trattiene, come se non potesse mai bastare a sua madre. Anche se oggi sua madre è autonoma e circondata da attività, ciò che pesa su di lei non è tanto la realtà attuale quanto l’eredità di quelle richieste di rassicurazione che ha interiorizzato fin da giovane. Il timore di essere giudicata, che lei stessa riconosce di non condividere come modo di pensare, appare come qualcosa che porta ormai dentro di sé, più che come un reale sguardo esterno. Forse la domanda che si apre non è come smettere di preoccuparsi, ma che significato ha per lei questo senso di colpa e di responsabilità, come se non esserci nel momento del bisogno equivalga a non essere una “buona figlia”. Può chiedersi allora se questo giudizio appartenga davvero a sua madre oggi o se sia uno sguardo che lei rivolge a se stessa. Un percorso di ascolto potrebbe aiutarla a dare un senso nuovo a questo nodo, senza cancellarlo ma accogliendolo come occasione per comprendere meglio il suo posto tra la sua vita e il legame con sua madre.
Buongiorno,
mentre leggevo le sue parole, mi arrivava con molta chiarezza la delicatezza del legame che descrive: un filo intrecciato tra amore, responsabilità, senso di dovere, allo stesso tempo, un profondo desiderio di libertà e serenità interiore. È un movimento molto umano, quello di chi, diventando adulto, sente ancora vibrare dentro di sé la voce della bambina che voleva “non far preoccupare la mamma”.
Sembra che lei stia portando dentro di se due parti: una che sa, razionalmente, che la propria madre è autonoma, serena, circondata da affetti; e un’altra che sente ancora, emotivamente, la paura di deluderla, di non “esserci abbastanza”. È come se una parte antica, forse quella che si è costruita nell’infanzia accanto a un genitore ansioso, continuasse a voler garantire la sua tranquillità, anche ora che le circostanze sono cambiate.
Forse potrebbe essere interessante chiedersi: che cosa significa, oggi, “esserci” per sua madre? È un gesto concreto, una presenza fisica, o è anche un modo di sentire, di essere con lei interiormente, pur restando nella sua vita?
E ancora: che cosa significa, per lei, essere “una buona figlia”? Da dove viene quell’immagine? E' sua, o appartiene a un modello che ha ereditato?
A volte, nel rapporto madre-figlia, le frontiere tra cura e colpa si confondono. L’amore si tinge di dovere, la libertà di senso di colpa. Ma forse questa fase della sua vita la sta invitando a rinegoziare quel confine, non come un taglio, ma come un nuovo modo di stare in relazione.
Non c’è nulla di “stupido” nel suo sentire. C’è, anzi, un profondo movimento d’amore, che forse ora sta cercando una forma più libera.

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