Buongiorno, spero non sia un problema desiderare di rimanere anonimo. Non so più come gestire i rapp

24 risposte
Buongiorno, spero non sia un problema desiderare di rimanere anonimo. Non so più come gestire i rapporti di lavoro in un ambiente di venticinque persone in cui non mi sento più libero di vivere chi voglio perché mi sento gli occhi addosso (e commenti) di 3-4 di loro e il loro agire di conseguenza per rovinarmi le amicizie che riesco a crearmi. Porto solo due esempi, ho legato con un ragazzo molto più piccolo che potrebbe essermi nipote, mi vuole un bene dell'anima, l'arrivo di un altro suo coetaneo che già conoscevo ha fatto scattare in quest'ultimo gelosie da portarlo a frequentarsi con lui e dopo alcuni mesi l'ho sentito vantarsi con me come se me l'avesse sottratto per via della mia età dissimile alla loro. Li per li la sua frase mi fece riflettere ma poi non ci ho dato peso perché fui stesso io a consigliargli di frequentarsi coi colleghi della sua età in modo fa crearsi la sua cerchia di amici e non isolarsi vivendo tutti noi fuori regione. Poi questo mio "nipotino" un giorno mi ha letteralmente sorpreso.. a un aperitivo inizia a farmi capire che secondo lui quel collega aveva un atteggiamento controllante, ovvero che vedendogli avere buoni rapporti con me, iniziava a tartassarlo per stare assieme ma quando aveva altre uscite non lo coinvolgeva minimamente e che nei miei confronti gli risultava ingiustamente screditante, come per isolarmi, arrivando a parlare di narcisismo ma per me era esagerata come espressione. Lui allora ha capito il gioco e spontaneamente gli ha fatto comprendere di non essere disponibile con lui con quelle modalità. Siamo andati avanti, ha continuato a coinvolgermi e io per non farlo sentire solo ho cercato di organizzare pranzi da me o uscite assieme. Adesso quell'altro collega si è staccato da lui e ha iniziato a bombardare un'altra collega emotivamente molto legata a me e io a lei, ci confidiamo su ogni aspetto di vita.vissuta e quotidiana, e che abbiamo portato anche fuori lavoro con una frequentazione light. Una delle frasi che mi ha fatto scattare il campanello d'allarme è stato quando il ragazzo manipolativo provocatoriamente nei suoi confronti dinanzi a tutti le ha fatto notare che non se li fila ma preferisce farsi i rapporti per conto suo (ovvero con me) come per riprenderla dolcemente e poi in altra occasione dinanzi a lei vantandosi di avergli aperto persino le porte di casa (cosa che anche io ho vissuto ma senza vanto alcuno, trovandola una cosa di una normalità assoluta). All'improvviso ha iniziato ad essere aggressivo nei miei confronti (io che in passato l'ho aiutato a diventare effettivo), altamente screditante, tentando di isolarmi, lei niente, sorrideva senza capire. Gliel'ho lasciato fare anche perché fino a due giorni prima era venuto proprio da me a chiedermi favori per essere ospitato e aiutato a cercare un appartamento, mi stonava ho pensato sono ragazzi e me ne sono fregato. Però al tempo stesso notando la mia amica ben più grande di lui particolarmente presa dalla sua pomposa e arrogante simpatia, le ho fatto un discorsetto preventivo facendole capire che stava tentando di portarsela nella sua combriccola invitandola a uscire assieme (cosa che la ragazza ha sempre fatto con me per sua iniziativa), spiegandole che era un concetto non solo mio (raccontandole l'argomentazione dell'altro mio "nipotino" che invece da solo aveva aperto gli occhi), raccontandole tutti i gesti screditanti che avevo subíto precendentemente, e lei meravigliatasi mi ha risposto che non sapeva di tutto questo perché lei vive i rapporti più spontaneamente, scusandosi per avermi ferito, che non sarebbe cambiato nulla nei miei confronti perché nessuno avrebbe mai fatto cambiare idea su di me perché ha tanta stima e che adesso che aveva capito, di regolarsi di conseguenza. Io le ho garantito che per me avrebbe potuto fare tutto ciò che voleva, e che se preferiva altre compagnie per le quali io non avevo spazio, di non scandalizzarsi nel vedere anche me ricrearmi spazi più tranquillo e benevoli nei miei confronti. Un mesetto di tregua in cui lei ha preso le distanze da lui, in cui lui l'ho sentito diverse volte lamentarsene con altri e guardarla con occhi cotti, lui ha iniziato quindi a riavvicinarsi a me in modalità bonaria come avesse percepito che per avvicinarsi a lei doveva accettare la nostra amicizia, dopodiché lei sta di nuovo cedendo nel cercarlo (perché lui in chat le scrive tutti i giorni facendola divertire) pur continuando a dare a me il consueto spazio. Lui se vede che arrivo io a parlarle subìto si fa da parte, ma se non ci sono diventa comunella a cui lei da seguito. Nessun problema, alla fine siamo comunque colleghi non c'è un rapporto sentimentale concreto atto a giustificare ulteriori confronti e a prescindere dal più o meno vero interessamento da parte della ragazza, io ho ridotto il legame e la tratto come altre colleghe, scaturendo in lei anche un risentimento evidente al punto tale da cercarlo proprio dinanzi a me come per volermi ferire (e gia questo..). Adesso ci stiamo riavvicinando per cercare un nuovo equilibrio ma non so come gestire la situazione, onestamente non ho assolutamente alcuna voglia di partecipare nemmeno PASSIVAMENTE a questi giochetti infantili e logoranti. Preferisco essere superiore e andare avanti, chi veramente mi vuol bene appresso mi viene. La domanda.. cosa posso fare per evitare di essere bersagliato costantemente da questi attacchi diretti? Intervenire su di lei l'ho fatto e non è il caso di diventare petulante, se un ragazzo di 18 anni da solo ha capito gli intenti mentre lei ben più grande si fa travolgere, mi faccio due domande e mi do anche due risposte, inoltre se chiudo, lei va in crisi mistica e me la farei persino nemica... Intervenire nei rapporti con lui invece non so in che modo né se sia realmente opportuno. E poi intervenire su di me, dovrei fregarmene altamente e invece me ne dispiaccio nel sentirmi innanzitutto sempre bersagliato, fatto sempre oggetto si divisione, e anche per il rapporto vero e sincero che eravamo riusciti a creare con questa ragazza dolcissima, non potrei parlarne male eccetto questo suo aspetto.
Grazie a chi vorrà dedicarmi la propria disponibilità.
Dott.ssa Paola Vitale
Psicologo, Psicologo clinico
Catania
Gentile utente,

grazie per aver condiviso con così tanta sincerità la sua esperienza, che appare davvero carica di tensione, frustrazione e sofferenza.
Da ciò che racconta, emerge un ambiente lavorativo con dinamiche relazionali molto complesse, dove sembra esserci una costante competizione sotterranea per l’attenzione, l’affetto o la “posizione” all’interno del gruppo. Questi meccanismi possono risultare logoranti, soprattutto per chi, come lei, vive i rapporti in modo autentico e profondo. È naturale provare disagio quando si percepisce di essere oggetto di esclusione, manipolazione o rivalità, anche solo sul piano emotivo.

Le sue riflessioni sono lucide: ha cercato di tutelarsi, di mettere dei confini, di parlare apertamente con chi riteneva importante. Ma si coglie anche una stanchezza emotiva, come se fosse costretto a “difendere” ogni legame significativo dalla pressione esterna.

A questo punto, potrebbe esserle utile un lavoro personale su due fronti:

Gestione emotiva e rafforzamento dei confini personali, per imparare a non assorbire ciò che non le appartiene e a proteggersi da dinamiche che non può controllare.

Chiarezza sul proprio ruolo: riconoscere cosa dipende da lei (i suoi comportamenti, le sue scelte, i suoi legami) e cosa no (le reazioni e i giochi altrui), può aiutarla a smettere di “giocare una partita” che non vuole neppure iniziare.

In casi come questo, un percorso psicologico potrebbe aiutarla non solo a elaborare il dispiacere che prova, ma anche a costruire strumenti concreti per gestire queste situazioni senza perdere sé stesso o farsi trascinare da dinamiche tossiche.

Resto a disposizione se desidera approfondire o intraprendere un percorso di sostegno.

Un caro saluto

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Dr. Riccardo Sirio
Psicologo, Psicologo clinico
Trofarello
Capisco quanto possa essere faticoso vivere in un ambiente dove ti senti osservato, giudicato o messo da parte. È importante che tu continui a coltivare i legami che ti fanno stare bene, ma anche a tutelarti emotivamente. Non servono grandi spiegazioni: a volte basta prendere un po’ le distanze con gentilezza e coerenza. Chi tiene davvero a te lo dimostrerà nel tempo, senza bisogno di prove. Non lasciare che dinamiche poco mature condizionino il tuo equilibrio. Rimani fedele a te stesso e cerca spazi, anche piccoli, in cui sentirti libero e sereno. Rimango a disposizione.
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Buongiorno,
grazie per aver condiviso con tanta profondità e sincerità il tuo vissuto. È comprensibile il bisogno di anonimato in situazioni tanto delicate, ed è importante riconoscere il valore del tuo racconto.

Quello che descrivi è un contesto lavorativo complesso, in cui i rapporti interpersonali sembrano carichi di dinamiche ambigue, di manipolazioni sottili, gelosie, alleanze e conflitti relazionali che inevitabilmente influenzano il tuo benessere emotivo. Sentirsi “bersagliato” o screditato in un ambiente dove trascorri buona parte della giornata può diventare logorante e far nascere, come nel tuo caso, un senso di solitudine, ingiustizia e fatica a “reggere” tutto questo.

Ciò che colpisce è il tuo impegno nel costruire relazioni autentiche, nel proteggere i legami a cui tieni, nel fare chiarezza con rispetto e trasparenza. Tuttavia, proprio questa sensibilità ti espone al rischio di essere coinvolto in dinamiche in cui non sempre l'altro è disposto o capace di incontrarti sullo stesso piano.

In contesti come quello che descrivi, può essere utile tenere a mente alcuni punti:

Mettere confini chiari – Non per escludere, ma per proteggere. Scegliere con consapevolezza a chi dare accesso al proprio spazio emotivo può essere una forma sana di autodifesa, non un atto di chiusura.

Non cercare di “salvare” o “far capire” a tutti – Purtroppo, anche le migliori intenzioni possono essere mal interpretate o strumentalizzate. È importante accettare che non tutti avranno la stessa lucidità o volontà di vedere e riconoscere le dinamiche manipolative.

Gestire l’impatto emotivo – È naturale dispiacersi o soffrire quando ci si sente esclusi o messi in discussione, soprattutto da chi ci ha mostrato affetto o stima. Tuttavia, permettere a queste emozioni di guidare le scelte può finire per renderti vulnerabile a chi sfrutta proprio questo tuo senso di giustizia e affetto.

Spostare il focus da "chi ha ragione" a "come voglio stare" – Non sempre è necessario risolvere tutto o essere capiti da tutti. A volte è più utile lavorare su come preservare il proprio equilibrio interiore, anche quando fuori c’è disordine.

Non sottovalutare il bisogno di supporto professionale – Quello che vivi non è banale. È carico di tensioni, dinamiche psicologiche complesse e richiede uno sforzo costante di gestione emotiva. Parlare con uno psicologo può aiutarti a trovare strategie più efficaci per affrontare tutto questo senza logorarti, e a lavorare anche sul perché tutto ciò ti tocchi così profondamente.

Per approfondire e affrontare in modo più sereno e funzionale la situazione che stai vivendo, è utile e consigliato rivolgersi a uno specialista.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Buongiorno, quello che racconti fa male. Si sente che ci hai messo impegno, delicatezza, intelligenza… ma sei finito in un meccanismo in cui ogni tuo passo viene letto male, come se non ci fosse mai spazio per te, né come amico né come persona autonoma.
Ti hanno fatto sentire escluso, giudicato, “invisibile”, e magari colpevole senza che tu abbia fatto niente di sbagliato. E capisco quanto sia frustrante vedere che anche le persone a cui tieni sembrano oscillare, non esporsi, oppure lasciarti solo nel momento in cui avresti bisogno di chiarezza e lealtà.
Forse ora la cosa più sana è proteggerti. Non per chiuderti, ma per ricordarti che non devi sempre spiegarti, giustificarti o chiedere di essere accettato. A volte non sei tu il problema, ma il contesto che esaspera tutto, e che magari si regge su piccoli poteri, insicurezze e alleanze fragili.
Rimani vicino a chi ti fa sentire visto per davvero, anche se sono pochi. E se ti va, continua a scrivere. A volte mettere tutto nero su bianco è già un atto di libertà.

Un abbraccio, Dott.ssa Paola Massafra
Dott.ssa Silvia Giambrone
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Gentile utente,
innanzitutto la ringrazio per aver condiviso con profondità e sincerità un vissuto tanto complesso e approfondito, è comprensibile che si senta incerto e insicuro. Da un punto di vista sistemico-relazionale, ciò che lei porta non è solo la manifestazione di dinamiche interpersonali all'interno di un contesto lavorativo, ma anche l’intreccio profondo tra identità, appartenenze, ruoli relazionali e bisogni affettivi che cercano spazio di espressione all'interno di un micro-sistema sociale.
Ho alcune domande per lei: qual è il confine tra ciò che desidera condividere e ciò che si sente costretto a difendere?
In quali dinamiche rischia di entrare in reazione con l'altro anzichè esprimere esplicitamente ciò che prova? Quali legami vuole davvero preservare? E a quale prezzo?

Nel modello sistemico, l’asimmetria nei bisogni relazionali genera spesso sofferenza. La chiave sta nel legittimare la distanza come strumento sano di regolazione emotiva:
a tal fine è utile evitare confronti ripetuti con chi ha già manifestato scarsa disponibilità all’ascolto profondo. Può invece rendere trasparente la Sua posizione in modo assertivo senza bisogno di giustificare ogni sua scelta.
L'invito è a domandarsi se è possibile per lei cambiare postura, magari focalizzandosi su altri rapporti extra-lavorativi e sul mantenere invece i rapporti lavorativi più sani ed equilibrati possibile (anche a costo di essere più distaccato).
Resto disponibile per ulteriori approfondimenti, anche in merito a strategie comunicative specifiche da adottare o per un’analisi più ampia dei pattern relazionali vissuti.
Saluti,
Dottoressa Silvia Giambrone
Dott.ssa Chiara Visalli
Psicologo, Psicologo clinico
Palermo
Buon pomeriggio, La ringrazio per questa condivisione così chiara e dettagliata.
Non deve essere facile lavorare in un gruppo che presenta queste dinamiche, sebbene accada spesso quando i gruppi sono molto eterogenei e numerosi.
Per rispondere alla sua domanda, non credo che parlare ancora con la Sua collega sarebbe utile - lo ha già fatto, e lei agirà come meglio crede.
Potrebbe provare a parlare con il Suo collega, ma non sappiamo come reagirebbe e se sarebbe effettivamente utile.
Sicuramente, l'unico su cui ha un controllo, è sè stesso: provi a farsi scivolare addosso i commenti ed i bersagliamenti del Suo collega, sebbene non sempre sia facile, e provi a rivalutare i rapporti che aveva instaurato all'interno del gruppo - cambiando prospettiva.
Purtroppo le dinamiche di gruppo rischiano di diventare molto frustranti e di bloccare il pensiero, di cristallizzarsi in modalità standard molto fastidiose, per cui cerchi quanto più possibile di non "aderire" al comportamento del gruppo - ma anzi apporti pian piano qualche cambiamento, facendosi magari appoggiare da altri colleghi, così che ci sia movimento e spazi di possibilità, di novità, invece che sempre le stesse dinamiche di invidia/gelosia/attacco.
Naturalmente, non è facile... potrebbe anche considerare l'idea di rivolgersi ad un superiore, se la i comportamenti di questo collega dovessero diventare intollerabili e provocarle forte disagio (mobbing).

Spero di esserle stata utile, se avrà ancora bisogno mi troverà a Sua disposizione :)
Dott.ssa Veronica Savio
Psicologo, Psicologo clinico
Medolla
Gentile utente, grazie per aver condiviso con tanta chiarezza e profondità una situazione relazionale che, comprensibilmente, le sta causando disagio e fatica emotiva. Le dinamiche che descrive sembrano riflettere un contesto lavorativo complesso, in cui lei si trova spesso coinvolto in equilibri instabili, legami ambigui e atteggiamenti che suscitano confusione, dispiacere e un senso di esclusione.
La sua sensibilità alle relazioni, la capacità di costruire rapporti autentici e il bisogno legittimo di rispetto e reciprocità sono aspetti preziosi, ma che possono esporla maggiormente a sentimenti di frustrazione e vulnerabilità quando si trova coinvolto in dinamiche poco trasparenti o competitive.

Dal suo racconto emerge con forza il desiderio di vivere i rapporti in modo sincero, equilibrato e senza giochi relazionali: è un bisogno assolutamente sano. Tuttavia, per preservare il proprio benessere, può essere utile porre dei confini interni più solidi, imparando a proteggere la propria energia da dinamiche che non dipendono da lei e che, a lungo andare, rischiano di logorarla.

In questi casi, lavorare su alcuni aspetti personali può fare la differenza: rafforzare l'autostima, accettare che non sempre si può essere capiti o “salvati” dall’equilibrio relazionale, e soprattutto imparare a lasciar andare senza colpa ciò che non è realmente nutriente. La consapevolezza che chi tiene sinceramente a lei saprà rimanerle accanto nel tempo è già una forma di tutela.

Un percorso psicologico individuale potrebbe esserle di grande aiuto nel sostenerla nella gestione emotiva di questi vissuti e nel rafforzare le strategie di protezione personale, senza dover rinunciare alla sua autenticità.

Rimango a disposizione per qualunque chiarimento.
Dott.ssa Veronica Savio
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Grazie per aver condiviso con tanta chiarezza e profondità una situazione che, comprensibilmente, le sta procurando un notevole disagio. Le sue parole raccontano non solo un ambiente lavorativo carico di tensioni relazionali, ma anche una sensibilità acuta verso le dinamiche interpersonali, un forte desiderio di autenticità e rispetto reciproco, e il bisogno legittimo di sentirsi accolto e non strumentalizzato nei propri legami affettivi, anche se vissuti nel contesto professionale. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, quello che sta vivendo può essere letto come un circolo vizioso in cui l’ambiente attiva emozioni forti (dispiacere, frustrazione, delusione), che a loro volta innescano pensieri automatici e strategie di coping spesso difensive, che però finiscono per alimentare ulteriormente lo stress e il senso di isolamento. La sua richiesta centrale, infatti, non è tanto “come cambiare gli altri”, quanto “come posso stare meglio io in tutto questo”. E questo è già un passo molto importante, perché ci sposta dal cercare di controllare l’esterno (che non è mai pienamente nelle nostre mani) al lavorare su ciò che possiamo invece influenzare: noi stessi, i nostri confini, le nostre scelte. È evidente che lei investe molto nei legami umani, anche in contesti formali come quello lavorativo, e che tende a costruire rapporti affettivamente ricchi, profondi, sinceri. Questo è un valore prezioso, ma come tutti i valori profondi, può diventare anche un punto vulnerabile, soprattutto quando si scontra con persone che usano modalità più manipolative, competitive o superficiali. Il fatto che lei riesca a vedere queste dinamiche con tanta lucidità è un punto di forza, ma può anche aumentare la sua esposizione al malessere, perché vede chiaramente cosa sta accadendo, ma si sente impotente nel modificarlo. Una delle strategie utili nel nostro approccio è aiutare la persona a distinguere tra ciò che è sotto il suo controllo e ciò che non lo è. Non può impedire a certi colleghi di agire in modo immaturo o manipolatorio, ma può invece scegliere come rispondere, quanto esporsi, e soprattutto quanto valore dare alle reazioni degli altri. Questo significa cominciare a mettere dei confini emotivi: non chiudendosi o diventando freddi, ma imparando a proteggere la propria serenità senza sentirsi in colpa o in dovere di gestire anche i sentimenti altrui. Per esempio, nel rapporto con la collega a lei cara, ha già fatto qualcosa di molto sano: ha espresso il suo vissuto con chiarezza, ha messo in luce una dinamica senza accusarla, le ha dato fiducia nel decidere come regolarsi. Se lei, nonostante tutto, continua a farsi attrarre da una figura che appare evidentemente problematica, forse non è compito suo proteggerla dalle conseguenze. Può invece tutelare se stesso, scegliendo come calibrare la distanza emotiva, quanto lasciarsi coinvolgere, e anche quanto sentirsi responsabile del suo comportamento. Il tema del “bersaglio” che torna più volte nel suo racconto è molto centrale. Sentirsi presi di mira, visti come un ostacolo, può diventare una ferita profonda nel tempo, soprattutto se si è animati da buone intenzioni e si fatica a capire il perché di tanta ostilità gratuita. Qui può essere utile un lavoro più specifico sui pensieri automatici legati all’autovalutazione e alla percezione dell’approvazione altrui. Le persone che sono abituate a dare molto, spesso interiorizzano l’idea che il valore di un rapporto dipenda da quanto riescono a tenerlo vivo, alimentarlo, salvarlo. Ma a volte, un atto d’amore verso se stessi è proprio lasciar andare ciò che ci chiede troppo e restituisce poco, senza sentirsi in colpa. Il collega che lei descrive sembra agire seguendo uno schema relazionale disfunzionale, basato sul controllo, sul bisogno di primeggiare, sull’attaccamento competitivo. In casi come questo, un confronto diretto rischia di essere controproducente. Può invece essere utile lavorare sull’indifferenza strategica: non farsi coinvolgere nei suoi giochi, non reagire con rabbia, non cercare di smascherarlo. Le persone che agiscono così, spesso si nutrono delle reazioni che provocano. Mostrare che non ha più quel potere su di lei può diventare la forma più efficace di risposta. Infine, il fatto che lei senta ancora la ferita del legame con la collega mostra quanto sia importante per lei vivere rapporti autentici. Non ne faccia motivo di vergogna o debolezza. Piuttosto, provi a chiedersi che cosa ha imparato da questa esperienza e cosa desidera portare con sé nei rapporti futuri: magari meno quantità, più qualità. Più scambio paritario, meno bisogno di spiegare o giustificarsi. Il dolore che si prova quando una persona cara si lascia influenzare da altri è reale, ma diventa gestibile se si torna al proprio centro, ai propri valori, al proprio benessere. Lei ha già molte risorse: empatia, intelligenza emotiva, lucidità. Adesso si tratta solo di usarle non solo per capire gli altri, ma anche e soprattutto per proteggere se stesso. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott. Francesco Damiano Logiudice
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Dott. Nicolò Paluzzi Monti
Psicologo, Sessuologo, Psicoterapeuta
Firenze
Quello che stai vivendo è un intreccio di dinamiche relazionali tossiche, dove si mescolano gelosie, manipolazioni e bisogni di controllo, che mettono a dura prova il tuo senso di sicurezza e autenticità nei rapporti interpersonali. È naturale sentirsi feriti e desiderare un ambiente lavorativo più libero da queste tensioni.

Dal punto di vista costruttivista intersoggettivo, queste esperienze riflettono non solo il modo in cui gli altri agiscono, ma anche come tu interpreti e costruisci il tuo senso di sé in relazione a loro. Il conflitto esterno spesso diventa uno specchio di conflitti interiori su limiti personali, autostima e bisogni di riconoscimento.

Intervenire direttamente sugli altri può risultare fragile se non supportato da una solida consapevolezza interna e da strumenti comunicativi che tutelino il tuo spazio emotivo. La sfida più grande e importante è sviluppare un confine sano che protegga la tua integrità emotiva, senza dover rinunciare alla tua autenticità o sacrificare le relazioni che ti sono care.

Questo percorso richiede lavoro psicoterapeutico che ti aiuti a decostruire le narrazioni disfunzionali, a rafforzare la tua posizione intersoggettiva e a scegliere consapevolmente come partecipare ai giochi relazionali o, al contrario, come distanziarti senza sentirti in colpa o “responsabile” dei comportamenti altrui.
Dott.ssa Rossella Carrara
Psicologo, Psicologo clinico
Bergamo
Buongiorno, le consiglio un percorso di sostegno psicologico che l'aiuti in questo suo difficile momento di vita. Cordiali saluti.
Dott. Amedeo Fonte
Psicologo, Psicologo clinico
Pescara
Buongiorno, non vi è alcun problema nel suo desiderio di rimanere anonimo, anzi, mi sembra già questo un primo movimento importante da considerare, come se l’esigenza di protezione fosse strettamente intrecciata al bisogno di esporsi e di essere ascoltato, quasi a voler dire “eccomi, ma solo in parte”, e questo gesto la dice lunga su quanto può sentirsi esposto nei legami che intrattiene nel suo ambiente di lavoro. Quello che racconta, in effetti, lascia emergere una sensazione costante di essere guardato, commentato, messo al centro di dinamiche che sembrano sfuggire al suo controllo, come se fosse continuamente costretto a giustificarsi o a difendere qualcosa che, nel suo intimo, probabilmente sente come naturale, spontaneo, autentico. Forse una delle questioni che più fanno soffrire nella sua narrazione è proprio questa tensione fra il desiderio di relazioni sincere, libere, e la percezione che queste vengano continuamente inficiate da giochi di potere, gelosie, sottili forme di manipolazione. Ma mi domando se non sia proprio questa frattura – tra ciò che lei vorrebbe vivere e ciò che invece si produce nel legame con questi colleghi – a rimandarle ogni volta la stessa ferita, quella di essere scambiato, frainteso, forse persino “sottratto” di qualcuno o di qualcosa a cui tiene. La questione del sentirsi bersagliato, che lei pone alla fine come nodo centrale, non sembra solo riguardare le azioni concrete di queste persone, ma il fatto che ogni loro gesto, ogni sguardo, ogni parola arrivi a toccarla così profondamente, come se agissero in lei qualcosa che eccede il semplice presente. Potrebbe chiedersi allora se ciò che vive oggi non rievochi, in modo inconsapevole, altre scene in cui si è sentito posto al margine, reso testimone impotente di una perdita o di uno spostamento del desiderio dell’altro. È interessante anche notare come lei si premuri, più volte, di agire in modo generoso, protettivo, cercando di tenere unito ciò che sembra continuamente volersi dividere, e nel farlo si espone ancora. Ha mai pensato, più che a come intervenire sugli altri, a cosa le succede dentro quando sente che un legame si allenta o cambia forma? Che significato assume per lei, oggi, il sentirsi escluso, screditato, o messo da parte? È possibile che la sofferenza che prova non derivi solo dagli attacchi esterni, ma da una ferita più profonda, che questi eventi fanno risuonare con forza. Lei dice di voler essere superiore e andare avanti, ma si avverte anche una fatica nel farlo senza che qualcosa in lei resti toccato, deluso, forse persino ferito nel suo orgoglio più silenzioso. Non è semplice stare in relazioni dove il confine tra l’amicizia, l’alleanza, il bisogno di riconoscimento e le dinamiche narcisistiche si mescola così intensamente. Forse più che evitare gli attacchi, potrebbe provare a interrogarsi su cosa la rende così permeabile a questi gesti, su quale punto sensibile toccano e perché. Non si tratta di colpe, ma di una via per comprendere meglio dove lei è ancora legato a un’immagine di sé che ha bisogno di essere tutelata a ogni costo. Le suggerirei, se lo desidera, di considerare l’idea di uno spazio di ascolto dove queste dinamiche possano trovare un luogo per essere esplorate, dove non è necessario agire o difendersi, ma si può finalmente lasciare che qualcosa emerga nel tempo, senza la pressione di doversi difendere o spiegare. Rimango a disposizione, se sente di voler proseguire questo dialogo.
Dott.ssa Angelica Guido
Psicologo, Psicologo clinico
Perugia
Caro utente, grazie per aver condiviso con tanta lucidità e sensibilità questa esperienza così complessa. Si percepisce chiaramente quanto tu tenga alla qualità autentica dei legami e quanto ti ferisca vedere compromessi i rapporti da dinamiche relazionali ambigue e, a tratti, manipolatorie.
Dal tuo racconto emerge una profonda esigenza di rispetto, coerenza e riconoscimento nei rapporti, che però si scontra con un ambiente in cui spesso sembra prevalere la competitività affettiva o il bisogno di “posizione” più che il legame genuino.
è importante non ridurre la tua esperienza a una reazione sensibile “eccessiva”, ma a leggerla come un segnale: stai difendendo uno spazio affettivo che per te ha un valore alto, fatto di fiducia, lealtà e reciprocità.
Forse l’intervento più utile oggi non è tanto verso “lui” o “lei”, ma verso di te: riconoscere che sei nel pieno diritto di selezionare con cura le relazioni che ti fanno stare bene, senza colpevolizzarti per il dispiacere che senti quando qualcosa che avevi costruito con autenticità viene inquinato.
Non sei debole perché ci stai male. Sei umano, e hai un bisogno profondo di relazioni pulite. Coltiva quelle. Chi davvero tiene a te, lo farà senza bisogno di essere trattenuto.
Un caro saluto.
Dott. Luca Vocino
Psicologo clinico, Psicologo
Trezzano Rosa
Buongiorno gentile Utente, la ringrazio innanzitutto per la fiducia e la profondità con cui ha voluto condividere un vissuto tanto articolato quanto sofferto. Dalle sue parole emerge una notevole capacità di analisi emotiva, una spiccata sensibilità relazionale e una lucidità non comune nel cogliere le dinamiche sottili che si attivano all’interno del suo contesto lavorativo. Proprio queste sue qualità, che sono risorse preziose, sembrano però diventare terreno fertile per sentirsi esposto, osservato, a tratti manipolato e, come giustamente riferisce, persino bersagliato.

Il contesto che descrive pare caratterizzato da una serie di dinamiche relazionali disfunzionali, nelle quali alcuni individui sembrano muoversi non secondo autenticità, ma piuttosto per ricerca di attenzione, affermazione personale o controllo sociale. Lei si trova in mezzo a questi movimenti, non per scelta, ma quasi per la sua stessa capacità di costruire legami sinceri, generosi e privi di secondi fini. Questo, in ambienti insicuri o fortemente competitivi sul piano relazionale, può diventare paradossalmente un elemento che attira rivalità e tentativi di svalutazione.

Quello che mi colpisce, leggendo il suo racconto, è il suo desiderio costante di non far male a nessuno, di agire in modo etico, coerente, protettivo verso le persone a cui tiene. Eppure, nonostante ciò, si ritrova in dinamiche in cui sembra dover continuamente giustificare le proprie scelte affettive, difendere il proprio spazio, proteggere i rapporti dalle intromissioni e dagli spostamenti di equilibrio causati da altri. Tutto questo è oggettivamente stancante. Lei ha già fatto molto: ha comunicato, ha posto confini, ha lasciato libertà, ha rinegoziato la propria posizione con dignità. Tuttavia, si trova ancora al centro di dinamiche che la fanno soffrire, e questo è un segnale da non ignorare.

Il punto centrale, a mio avviso, non è tanto decidere se intervenire su di lui o su di lei. Come lei stesso riconosce, non possiamo cambiare gli altri, né assumerci la responsabilità della loro crescita emotiva o delle loro fragilità. Il nodo reale è capire quanto della sua energia emotiva vale la pena continuare a investire in rapporti che, seppur significativi, si muovono su piani a volte troppo fragili o ambigui per garantire stabilità.

Lei ha già intuito la direzione da prendere: quella della selettività affettiva, della protezione interiore, della distanza sana. Non si tratta di “fregarsene”, come ha scritto, ma piuttosto di praticare una forma di cura verso sé stesso che le consenta di abitare le relazioni senza sentirsi costantemente esposto o messo alla prova. Non è questione di chiudere, ma di scegliere come e dove stare.

Il dolore che prova nel vedere incrinarsi un rapporto che ha sentito sincero è più che comprensibile. Ma è importante che questo dolore non le faccia perdere il senso del proprio valore, né la spinga a rincorrere comprensioni o restituzioni che forse non arriveranno nel modo che lei meriterebbe. Chi davvero la stima, come ha detto lei stesso, resta. E chi invece si muove a intermittenza, confondendo o generando dinamiche poco chiare, forse sta mostrando un limite che non è suo compito colmare.

Ha tutto il diritto di vivere con pienezza e serenità il suo ruolo professionale, senza sentirsi giudicato o ostacolato nelle relazioni che sceglie di coltivare. E ha anche il diritto di prendere le distanze da chi, per motivi suoi, continua a giocare ruoli che minano il rispetto reciproco. È questo il punto dove può intervenire su di sé, non reprimendo le emozioni che prova, ma accogliendole e usandole come bussola per orientarsi verso ciò che la fa stare bene davvero.

Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Dott. Leonardo Liberati
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buongiorno, non c’è alcun problema nel rimanere anonimo, non si preoccupi. Anche se, devo essere sincero, questa richiesta mi incuriosisce.
Leggendo attentamente – e più volte – la sua storia, ho avvertito fin da subito quanto sia carica di significato emotivo e identitario. Le relazioni che descrive non sembrano essere esperienze superficiali: in esse sembra investire una parte molto profonda di sé, come se in gioco ci fosse ogni volta qualcosa della propria integrità.
L’ambiente di cui parla non sembra dispersivo: sembra più simile a un piccolo paese, in cui tutti si conoscono, in cui ogni dinamica viene osservata. In contesti del genere, è facile sentirsi addosso lo sguardo degli altri, come se ogni gesto diventasse oggetto di giudizio. Di solito chi ha un’indole più schiva riesce a svincolarsi da questa sensazione di esposizione. Ma non mi sembra il suo caso.
Forse sarebbe utile chiedersi: cosa rappresentano per lei, esistenzialmente, le relazioni? Che spazio occupano nella sua vita? E ancora: quando queste relazioni cambiano, cosa si muove dentro di lei?
Mi sembra che si ripresenti spesso lo stesso schema: prima un legame intimo, quasi esclusivo, poi l’intervento di un terzo che sposta il baricentro dell’attenzione dell’altro altrove. E in quel momento lei, se non proprio ferito, rimane quantomeno dispiaciuto. Non si ritira subito, anzi: prova con tutti gli sforzi a mantenere vivo il rapporto. Ma quando questo non basta, subentra una sensazione di isolamento, come se le fosse stato sottratto uno spazio vitale, e lei non avesse potuto far nulla per evitarlo. Come se qualcuno l’avesse resa un “terzo incomodo” nella sua stessa storia.
La sua grande capacità di razionalizzazione, da un lato, è una risorsa potente: la aiuta a comprendere, a portare ordine. Dall’altro lato, però, rischia di frenare l’espressione spontanea di ciò che prova. Come se agli altri fosse concesso essere impulsivi, reattivi, mentre a lei no. E forse è proprio questa impulsività sfacciata del “terzo” – la sua libertà di agire senza filtri – che la colpisce e l’affligge di più. Come se si prendesse qualcosa davanti ai suoi occhi che lei sente di non potersi permettere.
Ha imparato così bene a “prenderla con filosofia” che forse, a volte, agisce più per filosofia che per desiderio. Ma che effetto le farebbe, se per una volta agisse senza filtri? Se si concedesse di essere più diretto, più istintivo? Come immagina reagirebbe l’ambiente? E lei, che effetto ne riceverebbe?
Forse il suo desiderio più profondo è quello di essere visto per quello che è – davvero – ma senza sentirsi esposto, braccato, come sotto un riflettore. E allora: che forma potrebbe avere questa visibilità discreta? Quali confini, simbolici o concreti, le permetterebbero di essere autentico senza sentirsi violato?
Se vuole, possiamo esplorarlo insieme.

Dott.ssa Federica Ancona
Psicologo, Psicologo clinico
Cagliari
Buongiorno, dal tuo messaggio si evince come tu stia vivendo una situazione complessa e delicata e in cui probabilmente ti senti impotente di fronte a dinamiche relazionali difficili da comprendere e che sembrano sfuggire al tuo controllo. Ti stai confrontando con la delusione ma il fatto stesso che tu riesca comunque a vedere la dolcezza e la bellezza di quel legame, anche nel dolore, è un segnale di grande maturità emotiva.
Rispetto alla tua domanda: “cosa posso fare per evitare di essere bersagliato costantemente da questi attacchi diretti” devo risponderti che non ci è possibile controllare del tutto quello che fanno gli altri, le loro reazioni sono frutto del loro vissuto e non sempre un nostro consiglio, per quanto saggio, o sentire di essere dalla parte del giusto servirà a cambiare le cose. Si può però lavorare sui propri confini personali e sulla nostra modalità di risposta. Hai provato più volte a confrontarti ma potrebbe essere infruttuoso quando non si riesce a trovare un terreno comune di ascolto e di rispetto. In questi casi si può si può provare a ridurre l’esposizione a questo tipo di dinamiche tossiche accettando di risultare anche “distante” ma salvaguardando il tuo benessere. Se senti che la situazione ti sta logorando potresti pensare di parlarne con un professionista.

Dott.ssa Ilenia Colasuonno
Psicologo, Psicologo clinico
Cerveteri
Hai ragione, ti rispondo in modo più diretto e sintetico.

La tua sensibilità ti porta a vivere i legami con profondità, ma sei finito in un contesto in cui prevalgono dinamiche infantili, competitive e manipolative. Il collega di cui parli sembra agire con l’obiettivo di rompere legami per sentirsi al centro. Non è un comportamento raro in gruppi chiusi: chi non ha equilibrio interiore cerca potere nei rapporti altrui.

La tua delusione è comprensibile, soprattutto quando una persona di cui ti fidavi sembra non vedere o non capire quello che sta succedendo. Ma hai già fatto tutto il possibile: sei stato chiaro, rispettoso e coerente. Ora non serve intervenire ancora. Chi vuole restarti vicino lo farà, chi si lascia distrarre o affascinare da atteggiamenti ambigui forse non era davvero pronto per una relazione autentica.

Ti consiglio di spostare il focus da loro a te: proteggi il tuo benessere, scegli relazioni più limpide, e non investire energie dove non c’è reciprocità. Non è chiusura: è protezione. E chi tiene davvero a te, tornerà con maggiore consapevolezza.
Dott.ssa Monica Cecconi
Psicologo, Psicologo clinico, Professional counselor
Lido di Camaiore
Buongiorno,
la ringrazio per aver condiviso una parte così delicata della sua esperienza. Comprendo quanto possa essere difficile affrontare situazioni di questo tipo, specialmente quando si desidera mantenere l’anonimato per sentirsi più liberi di esprimersi.
Ciò che racconta è un vissuto complesso, caratterizzato da dinamiche emotive e relazionali che, purtroppo, non sono rare in alcuni contesti lavorativi, dove i rapporti tendono a farsi più personali che professionali. Vorrei offrirle qualche spunto di riflessione, con il massimo rispetto per la sua sensibilità e per la profondità delle sue considerazioni.
1. Il bisogno di autenticità e appartenenza
È del tutto legittimo desiderare di essere se stessi, costruire relazioni sincere e vivere serenamente l’ambiente di lavoro. Il problema non è questo bisogno, ma il contesto in cui sembra emergere: un ambiente con dinamiche immaturi, competitive e manipolative. In situazioni del genere, chi riesce a creare legami autentici può diventare un bersaglio, perché percepito come una minaccia da chi ha bisogno di sentirsi al centro per rafforzare la propria autostima.
2. Dinamiche manipolative e triangolazioni
Quello che descrive è un tipico esempio di triangolazione: una persona che si inserisce tra due relazioni significative non per unire, ma per dividere o controllare. La gelosia mascherata da gentilezza, le battute sottili, il tentativo di conquistare la fiducia altrui isolando gli altri, sono segnali di un comportamento manipolativo, spesso radicato in profonde insicurezze. Il fatto che queste dinamiche si ripetano con più persone indica un modello relazionale consolidato, non un episodio isolato.
3. Come proteggersi senza sentirsi “petulanti”
Lei ha già fatto molto: ha comunicato in modo assertivo, ha posto limiti chiari e ha cercato un confronto maturo. Ora può concentrarsi su due aspetti fondamentali:
• Protezione emotiva: accolga il dispiacere senza colpevolizzarsi, si dia il permesso di scegliere con chi mantenere una relazione e non senta il bisogno di giustificarsi all’infinito. Non tutti sono pronti a comprendere certe dinamiche e insistere può solo generare ulteriore frustrazione.
• Gestione strategica: eviti di cadere nei giochi relazionali, risponda con gentilezza ma fermezza alle provocazioni, e mantenga il focus sul lavoro, dimostrando che il suo equilibrio professionale non è influenzato da dinamiche personali.
4. Intervenire sulla persona manipolativa: serve davvero?
Come ha già intuito, affrontare direttamente chi usa i rapporti come strumenti di potere raramente porta a un cambiamento autentico. Spesso queste persone negano, minimizzano o fingono apertura per poi tornare agli stessi schemi. In questi casi, è preferibile limitare l’interazione al minimo indispensabile, mantenendo una neutralità formale. Se necessario, può chiarire una sola volta con messaggi diretti e trasparenti, senza aspettarsi una reale trasformazione.
5. Ricostruire il proprio spazio interiore
A volte si cresce proprio nei momenti di maggiore difficoltà. Il dolore, la solitudine e il senso di ingiustizia possono trasformarsi in un’opportunità per rafforzare la propria identità e i propri confini. Avere una sensibilità autentica, come la sua, non è un segno di debolezza, ma di profondità: la rende più esposta, è vero, ma anche più capace di riconoscere chi merita davvero un posto nella sua vita. Costruire relazioni durature, anche se poche, è spesso più prezioso che avere legami superficiali e numerosi.
Se lo desidera, uno spazio terapeutico potrebbe aiutarla a trasformare queste esperienze in consapevolezza e forza, anziché in ferite.
Resto a disposizione per ogni ulteriore approfondimento.
Un caro saluto.

Dott. Giuseppe Zucaro
Psicologo, Psicologo clinico
Corato
Buongiorno,
capisco il disagio che sta vivendo nel suo ambiente di lavoro, dove sembra esserci una costante manipolazione e difficoltà nelle dinamiche relazionali. È naturale voler proteggere i propri legami autentici, ma in situazioni complesse come questa, stabilire dei confini chiari è essenziale. Intervenire direttamente su altre persone spesso non porta ai risultati desiderati e può esporla a ulteriori conflitti. Potrebbe essere utile riflettere su come definire i suoi limiti senza sentirsi obbligato a giustificare le sue scelte.
Se desidera esplorare più a fondo questi temi e capire come gestire le emozioni in modo più sano, sarebbe utile affrontarli in un incontro. Non esiti a contattarmi per fissare un colloquio.
Un caro saluto e grazie per la sua fiducia.
Gentile utente,
grazie per aver condiviso con sincerità e profondità il suo vissuto. È evidente quanto tenga ai rapporti umani e quanto investa in modo autentico nel costruire legami sinceri e solidi, tanto da provare dispiacere e frustrazione quando questi vengono messi alla prova da dinamiche poco trasparenti o competitive.

Ciò che descrive riflette un ambiente relazionale complesso, in cui le **interazioni sono cariche di ambiguità, rivalità sottili, e in alcuni casi, manipolazioni**. Questo può generare stress, senso di solitudine e un naturale bisogno di proteggere se stessi.

**Il primo passo importante è riconoscere un suo bisogno sano**: quello di stare in relazioni che la rispettino, la valorizzino e non la costringano a continue difese o strategie. Questo è assolutamente legittimo.

Le propongo alcune riflessioni e consigli pratici:

1. **Stabilisca confini chiari (ma flessibili)**
Non sempre serve spiegarsi o difendersi. A volte, semplicemente **scegliere quanto coinvolgersi** emotivamente e quanto no è già una forma di protezione. I rapporti non devono essere chiusi bruscamente, ma può modulare la **quantità di energia** che dedica a certe persone o dinamiche. Lei ha già iniziato a farlo, il passo ora è farlo in modo sereno, non come reazione ma come scelta di benessere.

2. **Non personalizzi i comportamenti degli altri**
Alcune persone **agiscono per insicurezza, bisogno di controllo o di visibilità**. Non si tratta necessariamente di un attacco a lei, ma di uno schema che mettono in atto con chiunque. Se riesce a spostare il focus dal “perché lo fanno a me?” al “questa è una dinamica che appartiene a loro”, potrà sentirsi meno bersagliato e più libero.

3. **Accetti che anche i rapporti autentici possano attraversare momenti ambigui**
La collega con cui ha un rapporto speciale, pur stimandola, può essere attratta anche da altre relazioni, talvolta senza accorgersi delle implicazioni. **Parlare una volta con chiarezza, come ha già fatto, è sufficiente**. Continuare a intervenire può appesantire il legame. In questi casi vale la regola: “Una volta chiarito, lascio all'altro la libertà (e la responsabilità) di scegliere”.

4. **Faccia spazio a sé stesso**
Dedichi tempo e attenzione anche a se stesso al di fuori di quel contesto: coltivare rapporti esterni, hobby, passioni, è una forma potente di ricarica emotiva. Più è saldo dentro, meno sarà scalfito da dinamiche esterne.

5. **Valuti un confronto professionale**
Se sente che questo ambiente continua a consumare la sua energia e a condizionare il suo benessere, potrebbe considerare un breve percorso psicologico individuale. Non per “curare” qualcosa, ma per **rafforzare strategie di confine, assertività, e gestione delle emozioni** in contesti complessi come quello descritto.

In conclusione, il punto non è “come cambiare gli altri”, ma “come preservare la propria serenità scegliendo dove e quanto esporsi”. Lei ha già dimostrato grande lucidità, sensibilità e capacità di analisi: usi queste doti anche per proteggersi e **non rimanere incastrato in giochi che non le appartengono**.

Sono a disposizione se vuole approfondire, anche in forma riservata e professionale.

Con stima,
Dott.ssa Martina Panaro
Psicologa
Dott.ssa Alessia Vianello
Psicologo, Psicologo clinico
Mirano
Buongiorno,
la ringrazio per aver condiviso in modo così articolato e preciso il vissuto che sta affrontando. La sua capacità di descrivere le dinamiche relazionali, individuando con lucidità i comportamenti disfunzionali all’interno del contesto lavorativo, evidenzia una buona consapevolezza dei processi interpersonali in atto e dei correlati emotivi che ne derivano.
Situazioni come quella che descrive possono generare un notevole carico di stress, determinato da dinamiche di triangolazione, manipolazione relazionale e tentativi di controllo indiretto da parte di alcuni membri del gruppo, e sembrano essere date da persone più giovani di lei. È comprensibile, in questi contesti, sviluppare sentimenti di frustrazione, fatica emotiva e sensazione di essere ingiustamente esposto a dinamiche a cui si sente/non si vuole appartenere.
Le situazioni che lei descrive sono tipiche di diversi ambienti lavorativi, dove si sviluppano equilibri instabili, alleanze, gelosie e meccanismi di esclusione che possono generare forte stress, senso di vulnerabilità e fatica. La sua volontà di cercare un modo equilibrato per gestire questi aspetti, evitando escalation conflittuali, denota una buona competenza emotiva e relazionale, e anche maturità.
Per rispondere in modo maggiormente diretto alla sua domanda, le direi di provare a definire maggiormente i confini, chiedersi che cosa lei ha, si aspetta e cosa le porta avere legami anche al di fuori del contesto lavorativo con i colleghi, e infine le direi di poter provare a confrontarsi direttamente con l'interessato maggiore, ovvero quello che crea maggiormente queste dinamiche, e riflettere nuovamente rispetto al fatto di potersi pian piano "allontanare", mettendo dei limiti alla relazione, o comunque essere maggiormente chiaro. Le relazioni a lavoro sono molto difficili da mantenere, in quanto vi è molta differenza tra rapporto lavorativo e personale, dato che facilmente si sovrappongono e poi ci si sente sopraffatti. Spero di poterle essere stata d'aiuto, un saluto
Buonasera, sembra di comprendere il suo stato di disagio nelle relazioni con queste persone che frequenta, che sembra preoccuparla tanto. Posso dirle che non siamo responsabili delle scelte che gli altri fanno per le proprie relazioni, non siamo in grado di dirigere pensieri, azioni e emozioni degli altri, ma solo capire a fondo le nostre insicurezze e i nostri pensieri che possono essere anche limitanti. Se vuole possiamo approfondire insieme.
Dott.ssa Tania Zedda
Psicologo, Psicologo clinico
Quartu Sant'Elena
Buongiorno, la ringrazio per aver condiviso la sua esperienza con tanta chiarezza e sensibilità. Da ciò che racconta emerge quanto lei sia una persona attenta ai rapporti umani, rispettosa e sincera, e quanto le dinamiche che si stanno creando nel suo ambiente di lavoro la stiano facendo sentire a disagio e appesantito. È assolutamente comprensibile il suo dispiacere: quando investiamo energie emotive nei legami e ci troviamo coinvolti in situazioni che generano tensione o ci fanno sentire bersagliati, è normale sentirsi stanchi e confusi.
Credo che il suo desiderio di “non partecipare a questi giochi infantili” sia un segnale molto positivo: significa che ha ben chiaro il tipo di rapporti che vuole costruire e che sta cercando un modo per proteggersi. Spesso, in situazioni come questa, può essere utile lavorare proprio sul rafforzamento dei propri confini personali: imparare a tutelare il proprio spazio emotivo, senza sentirsi in dovere di spiegare o giustificare sempre le proprie scelte, e senza farsi trascinare in dinamiche che non sente sue.
Il fatto che lei abbia già provato a chiarire e a proteggere i rapporti con le persone coinvolte mostra quanto tenga alla qualità delle relazioni. Ora potrebbe essere utile spostare l’attenzione su di sé: su come può alleggerirsi da questo carico e ritrovare maggiore serenità, magari anche accettando che non sempre possiamo cambiare il comportamento degli altri, ma possiamo scegliere come reagire e come posizionarci.
Se lo desidera, un percorso di supporto psicologico potrebbe offrirle uno spazio protetto in cui riflettere su queste dinamiche e individuare strategie pratiche per gestire al meglio la situazione, senza che questa continui a pesare così tanto sul suo benessere.
Le auguro di cuore di poter ritrovare quella leggerezza e serenità che sta cercando. Un caro saluto.
Dott. Vincenzo Capretto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buon pomeriggio.
Da quello che racconti, stai vivendo una situazione molto complessa e stressante sul lavoro, dove dinamiche di gelosia, manipolazione e rivalità tra colleghi minano la tua serenità. È comprensibile sentirsi frustrato e “bersagliato”, soprattutto quando cerchi relazioni genuine e sincere.
Alcuni punti chiave:
Controllo su te stesso: puoi influenzare solo le tue azioni e i tuoi confini. Continuare a comportarti in modo rispettoso, trasparente e coerente con i tuoi valori ti mette in una posizione di forza.
Gestione dei confini: ridurre al minimo il contatto con chi tende a manipolare o screditarti è legittimo. Non devi giustificarti o intervenire continuamente per spiegare comportamenti altrui.
Osservare senza reagire: gli attacchi o le provocazioni spesso cercano una reazione; mantenere calma e distacco riduce il potere che hanno su di te.
Comunicazione chiara con la collega fidata: confermare il rispetto reciproco e il tuo spazio, senza insistere o diventare petulante, può aiutare a rafforzare il legame e prevenire fraintendimenti.
Supporto esterno o strategia pratica: se la situazione diventa troppo logorante, puoi valutare di parlarne con un supervisore, HR o un professionista per strategie di gestione di conflitti e dinamiche tossiche sul lavoro.
In sintesi: proteggi te stesso e i tuoi confini, mantieni relazioni sincere senza cercare di controllare gli altri, e limita le interazioni con chi crea tensione. In questo modo riduci lo stress e preservi la tua serenità, pur continuando a lavorare con rispetto e professionalità.
Resto a disposizione su qualunque canale.

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