Buon ferragosto a tutti, vi chiedo la cortesia di darmi qualche dritta per situazioni spiacevoli in
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Buon ferragosto a tutti, vi chiedo la cortesia di darmi qualche dritta per situazioni spiacevoli in ambito lavorativo.
Non chiedetemi perché, sono una persona seria ma giocherellona al tempo stesso, non il simpaticone di compagnia che fa il clown pur di brillare, gentile e disponibile all'aiuto, non amo parlare per stare al centro delle attenzioni, mi piace starmene con le persone con cui mi trovo bene e mi rispettano, gli altri li riduco al minimo e forse per questo mi odiano e sovente sono oggetto di attenzioni femminili nel senso leggero del termine, ovvero che ricevo complimenti diretti e indiretti, attenzioni particolari. Mi sono legato a tre ragazze e un ragazzo. Con una di queste ci siamo legati particolarmente, raccontati, aiutati anche in fasi negative fuori dal contesto lavorativo. Per quasi un anno purtroppo, tre colleghi ci hanno presi di mira per invidia perché loro non hanno rapporti di questo livello, e ogni qual volta ci vedono vicini in pausa caffè o uscendo assieme dopo timbrato, continuano con frasi a denti stretti perostrarle contrarietà oppure inserendosi con prepotenza tra di noi per il sol gusto di interrompere le nostre conversazioni. L'ultima la settimana scorsa, in cui la collega mi chiama per la pausa caffè, non appena la vedono prepararmi il caffè si inserisce un ragazzo che la preme per flirtare con lei, anticipandomi e facendosi la pausa caffe con prepotenza con lei e lei sapendo che non intendo partecipare a climi tossici, mi da il caffè ma io me lo sono bevuto da solo alla mia scrivania, e lei a difenderlo pure dicendo lo sai è un burlone.
Ma in genere è sempre in silenzio senza proteggere il proprio spazio ricreativo, un giorno l'ho fermata chiedendole se quel suo silenzio fosse figlio di un fastidio nel vedermi al suo fianco ma la sua risposta è stata di fregarmene come fa lei di quello che pensano, dicono o fanno, che a lei fa piacere ritargliarsi il suo spazio con me e che evidentemente da fastidio a loro non di certo a lei.
Peccato che la cosa va avanti da oltre un anno.. al punto che mi sono stancato vedere lei in silenzio dinanzi a questi atti persecutori, io ho provato inizialmente a chiedere ai colleghi di pensare ai loro rapporti non a quelli degli altri, una volta chiedendo a lei dinanzi a loro se le desse fastidio la situazione e la sua risposta fu assolutamente no, ma di certo a lungo andare mi sono stancato e distaccato standomene per conto mio, lei mi cerca ma io accetto solo quando non ci sono occhi e lingue negative. Di fatto mi sono allontanato con sforzo perché lei non voleva e adesso che non ha nessuno con cui impegnare le sue pause, sta diventando preda ancora inconsapevole (secondo me di stalking) di un ragazzo che, a differenza mia, la avvicina cercandone anche il contatto fisico, inviti a far serata con lui, accostamenti nei pressi della casa per cercare di strapparle un invito a salire, tutte cose riferitemi da lei, addirittura chiamando il sindacato e una nostra ex direttrice lamentandosi che la ragazza anziché farsela con loro se la facesse con me (e lei in un primo momento ha commentato come una bambinata da stigmatizzare e dopo alcune settimane invece iniziando a investire con loro), soventi avvicinamenti quotidiani in ufficio anche solo per una informazione sciocca e scambiarsi un sorriso e anche negli angoli più nascosti tipo i bagni ma lei anche in questo caso non sa porre limiti ed è sempre accondiscendente non per voglia ma per mancanza di confini chiari. Al di la della sua situazione che adesso se la piange lei visto che lo difende pure, sono atti persecutori quelli che noi abbiamo subito? Cosa è possibile fare con le risorse umane e in che forma, ovvero con che motivazione?
Non chiedetemi perché, sono una persona seria ma giocherellona al tempo stesso, non il simpaticone di compagnia che fa il clown pur di brillare, gentile e disponibile all'aiuto, non amo parlare per stare al centro delle attenzioni, mi piace starmene con le persone con cui mi trovo bene e mi rispettano, gli altri li riduco al minimo e forse per questo mi odiano e sovente sono oggetto di attenzioni femminili nel senso leggero del termine, ovvero che ricevo complimenti diretti e indiretti, attenzioni particolari. Mi sono legato a tre ragazze e un ragazzo. Con una di queste ci siamo legati particolarmente, raccontati, aiutati anche in fasi negative fuori dal contesto lavorativo. Per quasi un anno purtroppo, tre colleghi ci hanno presi di mira per invidia perché loro non hanno rapporti di questo livello, e ogni qual volta ci vedono vicini in pausa caffè o uscendo assieme dopo timbrato, continuano con frasi a denti stretti perostrarle contrarietà oppure inserendosi con prepotenza tra di noi per il sol gusto di interrompere le nostre conversazioni. L'ultima la settimana scorsa, in cui la collega mi chiama per la pausa caffè, non appena la vedono prepararmi il caffè si inserisce un ragazzo che la preme per flirtare con lei, anticipandomi e facendosi la pausa caffe con prepotenza con lei e lei sapendo che non intendo partecipare a climi tossici, mi da il caffè ma io me lo sono bevuto da solo alla mia scrivania, e lei a difenderlo pure dicendo lo sai è un burlone.
Ma in genere è sempre in silenzio senza proteggere il proprio spazio ricreativo, un giorno l'ho fermata chiedendole se quel suo silenzio fosse figlio di un fastidio nel vedermi al suo fianco ma la sua risposta è stata di fregarmene come fa lei di quello che pensano, dicono o fanno, che a lei fa piacere ritargliarsi il suo spazio con me e che evidentemente da fastidio a loro non di certo a lei.
Peccato che la cosa va avanti da oltre un anno.. al punto che mi sono stancato vedere lei in silenzio dinanzi a questi atti persecutori, io ho provato inizialmente a chiedere ai colleghi di pensare ai loro rapporti non a quelli degli altri, una volta chiedendo a lei dinanzi a loro se le desse fastidio la situazione e la sua risposta fu assolutamente no, ma di certo a lungo andare mi sono stancato e distaccato standomene per conto mio, lei mi cerca ma io accetto solo quando non ci sono occhi e lingue negative. Di fatto mi sono allontanato con sforzo perché lei non voleva e adesso che non ha nessuno con cui impegnare le sue pause, sta diventando preda ancora inconsapevole (secondo me di stalking) di un ragazzo che, a differenza mia, la avvicina cercandone anche il contatto fisico, inviti a far serata con lui, accostamenti nei pressi della casa per cercare di strapparle un invito a salire, tutte cose riferitemi da lei, addirittura chiamando il sindacato e una nostra ex direttrice lamentandosi che la ragazza anziché farsela con loro se la facesse con me (e lei in un primo momento ha commentato come una bambinata da stigmatizzare e dopo alcune settimane invece iniziando a investire con loro), soventi avvicinamenti quotidiani in ufficio anche solo per una informazione sciocca e scambiarsi un sorriso e anche negli angoli più nascosti tipo i bagni ma lei anche in questo caso non sa porre limiti ed è sempre accondiscendente non per voglia ma per mancanza di confini chiari. Al di la della sua situazione che adesso se la piange lei visto che lo difende pure, sono atti persecutori quelli che noi abbiamo subito? Cosa è possibile fare con le risorse umane e in che forma, ovvero con che motivazione?
Buongiorno, grazie per aver condiviso con sincerità una situazione per te pesante e dolorosa. Da ciò che descrivi emergono dinamiche di esclusione e rapporti lavorativi caratterizzati da prevaricazioni e confini poco rispettati: affrontarli ogni giorno può diventare davvero logorante. In questi casi un supporto psicologico può aiutarti a distinguere ciò che dipende da te da ciò che appartiene agli altri, a trovare strategie efficaci per proteggere i tuoi confini e a capire come muoverti anche a livello organizzativo (ad esempio con le risorse umane). Se vuoi, possiamo parlarne in un colloquio conoscitivo gratuito: questo ti permetterà di sentirti meno solo e di valutare i passi più adatti da compiere.
A disposizione
Mariella Bellotto
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Salve, é evidente quanto questa situazione, protratta nel tempo, sia diventata emotivamente faticosa. Il contesto lavorativo dovrebbe garantire un clima sereno, equo e rispettoso per tutti, ma ciò che racconta mostra dinamiche di gruppo ostili, ambigue e, in parte, manipolatorie.
Quando comportamenti altrui diventano ripetitivi, invasivi, tesi a svalutare o isolare, e incidono sul benessere psicologico, si può parlare di mobbing o comportamenti persecutori. Tuttavia, per rientrare formalmente nella definizione giuridica o contrattuale, devono esserci alcuni elementi come continuità, intenzionalità e conseguenze dannose rilevabili. In ogni caso, ciò che ha vissuto sembra essere una forma di stress relazionale cronico, spesso sottovalutato, che merita attenzione.
Dal punto di vista della psicoterapia umanistica, è centrale la capacità di restare fedeli a sé stessi senza rinunciare alla propria autenticità. Lei mostra coerenza, dignità, ma anche un’evidente stanchezza. In questi casi può essere utile riappropriarsi dello spazio personale, ridefinire i confini relazionali e scegliere consapevolmente dove e con chi spendere energie. Anche l’analisi bioenergetica suggerisce che un corpo “in difesa” è un corpo che si contrae, si ritira o si irrigidisce, come forma di autoprotezione: l’isolamento che ha scelto può essere una risposta a lungo andare non più sostenibile. Sul piano pratico, può valutare di rivolgersi alle risorse umane con una segnalazione formale e documentata, spiegando che da tempo lei e una collega siete oggetto di pressioni non professionali, continue e inappropriate, che incidono sul clima lavorativo e sulla serenità personale. È utile descrivere i comportamenti osservabili (interruzioni costanti, commenti sgradevoli, atteggiamenti di esclusione) senza entrare nei sentimenti soggettivi, per dare maggiore forza alla segnalazione. Se lei desidera mantenere un profilo riservato, può richiedere un colloquio individuale e confidenziale, ponendo l’accento sulla richiesta di tutela del proprio spazio e sulla necessità di ristabilire un clima di rispetto tra colleghi. In parallelo, un percorso di Mindfulness o EMDR, a seconda del vissuto emotivo, può aiutarla a rielaborare lo stress e a rafforzare la centratura personale, evitando che le dinamiche esterne intacchino il suo equilibrio interiore. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Quando comportamenti altrui diventano ripetitivi, invasivi, tesi a svalutare o isolare, e incidono sul benessere psicologico, si può parlare di mobbing o comportamenti persecutori. Tuttavia, per rientrare formalmente nella definizione giuridica o contrattuale, devono esserci alcuni elementi come continuità, intenzionalità e conseguenze dannose rilevabili. In ogni caso, ciò che ha vissuto sembra essere una forma di stress relazionale cronico, spesso sottovalutato, che merita attenzione.
Dal punto di vista della psicoterapia umanistica, è centrale la capacità di restare fedeli a sé stessi senza rinunciare alla propria autenticità. Lei mostra coerenza, dignità, ma anche un’evidente stanchezza. In questi casi può essere utile riappropriarsi dello spazio personale, ridefinire i confini relazionali e scegliere consapevolmente dove e con chi spendere energie. Anche l’analisi bioenergetica suggerisce che un corpo “in difesa” è un corpo che si contrae, si ritira o si irrigidisce, come forma di autoprotezione: l’isolamento che ha scelto può essere una risposta a lungo andare non più sostenibile. Sul piano pratico, può valutare di rivolgersi alle risorse umane con una segnalazione formale e documentata, spiegando che da tempo lei e una collega siete oggetto di pressioni non professionali, continue e inappropriate, che incidono sul clima lavorativo e sulla serenità personale. È utile descrivere i comportamenti osservabili (interruzioni costanti, commenti sgradevoli, atteggiamenti di esclusione) senza entrare nei sentimenti soggettivi, per dare maggiore forza alla segnalazione. Se lei desidera mantenere un profilo riservato, può richiedere un colloquio individuale e confidenziale, ponendo l’accento sulla richiesta di tutela del proprio spazio e sulla necessità di ristabilire un clima di rispetto tra colleghi. In parallelo, un percorso di Mindfulness o EMDR, a seconda del vissuto emotivo, può aiutarla a rielaborare lo stress e a rafforzare la centratura personale, evitando che le dinamiche esterne intacchino il suo equilibrio interiore. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Buongiorno, la ringrazio per aver raccontato con così tanti dettagli la sua esperienza, perché da ciò che scrive emerge non solo il disagio che sta vivendo, ma anche la fatica accumulata nel dover mantenere per tanto tempo una posizione di equilibrio in un contesto lavorativo che per lei è diventato tossico. Comprendo bene quanto possa essere frustrante sentirsi osservato, giudicato e ostacolato nei rapporti interpersonali, soprattutto quando ciò che si desidera è semplicemente vivere le relazioni con spontaneità, nel rispetto reciproco e senza dover dare spiegazioni a nessuno. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, può essere utile distinguere alcuni piani. Da una parte ci sono i comportamenti dei colleghi, che appaiono caratterizzati da invidia, maldicenze e intrusioni nelle sue relazioni personali. Dall’altra c’è la sua reazione, che nel tempo è cambiata: inizialmente ha cercato di chiarire, poi ha chiesto apertamente alla collega se le situazioni le dessero fastidio, fino ad arrivare a proteggersi con un progressivo distacco. Questa scelta di allontanarsi è comprensibile perché le ha permesso di ridurre l’esposizione a dinamiche tossiche, ma ha avuto come effetto collaterale anche un impoverimento della sua possibilità di vivere momenti sereni con la collega a cui è legato. Riguardo alla sua domanda sugli atti persecutori, occorre fare una distinzione importante. Per configurare un vero e proprio atto persecutorio, in senso clinico o giuridico, devono esserci condotte reiterate, intenzionali e percepite come oppressive o minacciose dalla persona che le subisce. Nel suo racconto compaiono sicuramente elementi di pressione, di invadenza e di maldicenze, che generano fastidio e tensione, ma la valutazione della gravità dipende anche da come vengono percepite e riportate dalla collega, oltre che da un’analisi specifica da parte di figure competenti. Questo significa che non tutto ciò che è spiacevole o inopportuno rientra automaticamente nella categoria del persecutorio, ma resta comunque una condizione che mina il benessere e che ha diritto di essere affrontata. Da un punto di vista pratico, il primo passo utile è lavorare sui confini, sia suoi che della collega. Lei ha già mostrato di saper proteggere il suo spazio prendendo le distanze quando le situazioni diventavano pesanti. Questo è un segnale di consapevolezza importante. Tuttavia, affinché la situazione migliori in modo stabile, è necessario che anche la collega impari a porre dei limiti più chiari. Se resta ambigua o accondiscendente, i colleghi percepiranno lo spazio come libero da regole e continueranno a inserirsi. Per quanto riguarda le risorse umane, può essere utile rivolgersi non tanto presentando la questione come un conflitto personale o come un problema di rivalità, quanto sottolineando che i comportamenti di alcuni colleghi stanno minando il clima lavorativo, creando tensioni e ostacolando le normali relazioni interpersonali. Formulare la segnalazione in termini di benessere organizzativo e di necessità di garantire un ambiente sereno è più efficace che farlo in termini puramente individuali. In questo modo il focus non sarà tanto sul rapporto con la collega, quanto sulla necessità di arginare intrusioni e comportamenti invadenti che compromettono la qualità del lavoro. In parallelo, dal punto di vista personale, può aiutarla continuare a distinguere tra ciò che è sotto il suo controllo e ciò che non lo è. Non può cambiare il modo di agire dei colleghi, ma può rafforzare la sua capacità di non farsi coinvolgere emotivamente nelle provocazioni e di mantenere la rotta sui rapporti che per lei hanno valore. Anche piccoli esercizi di ristrutturazione cognitiva, come ricordarsi che la maldicenza dice molto di più di chi la fa che non della persona a cui è rivolta, possono alleggerire il peso che porta sulle spalle. Non è mai semplice gestire dinamiche simili, perché il lavoro è un contesto in cui passiamo molto tempo e ciò che accade influisce inevitabilmente sul benessere personale. Ma già il fatto che lei abbia la lucidità di riconoscere il carattere tossico di certi comportamenti e la necessità di proteggersi è un segnale di forza e di maturità. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Gentile utente di mio dottore,
credo che la sua istanza possa meglio essere accolta da un consulente che si occupi di lavoro.
Cordiali saluti
Dott. Diego Ferrara
credo che la sua istanza possa meglio essere accolta da un consulente che si occupi di lavoro.
Cordiali saluti
Dott. Diego Ferrara
Gentile utente, la sua attenzione alle intrusioni nella bolla delle sue relazioni è molto sviluppata. È una sentinella sensibile a qualsiasi invasione di campo. Forse questo atteggiamento non è il più funzionale in un gruppo di lavoro. Sicuramente la fa soffrire e credo la costringa a state sulla difensiva, come se ci fosse una frattura tra Noi e Loro. Non è scontato che la sua collega voglia stare nella bolla e non è necessariamente un comportamento persecutorio quello che i suoi colleghi esprimono.
Le consiglierei di parlare in modo più approfondito con uno specialista del suo disagio sul posto di lavoro. Insieme potreste analizzare se ci fossero degli spunti importanti da condividere con le risorse umane o se c’è un suo disagio nella relazione di gruppo.
Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti.
Cordiali saluti
Dott.ssa Lorena Menoncello
Le consiglierei di parlare in modo più approfondito con uno specialista del suo disagio sul posto di lavoro. Insieme potreste analizzare se ci fossero degli spunti importanti da condividere con le risorse umane o se c’è un suo disagio nella relazione di gruppo.
Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti.
Cordiali saluti
Dott.ssa Lorena Menoncello
Buongiorno a Lei, comprendo la complessità e la sofferenza di questa situazione lavorativa e posso dirle che dal suo racconto emergono chiaramente dinamiche disfunzionali che hanno compromesso il vostro benessere professionale e personale.
Quello che descrive presenta caratteristiche riconducibili a comportamenti persecutori sistematici. Gli episodi che riporta - interruzioni continue, inserimenti forzati nelle conversazioni, coinvolgimento di terze parti (sindacato, ex direttrice) per delegittimare il vostro rapporto - configurano un pattern di mobbing relazionale che va oltre la semplice invidia collegiale.
La sua reazione di progressivo distanziamento è comprensibile e rappresenta una strategia di protezione naturale, tuttavia, questo ritiro ha creato un vuoto che, come nota acutamente, sta esponendo la collega a pressioni ancora più invasive.
E posso dirle che quanto descrivete rientra nelle fattispecie di atti persecutori sul lavoro. La sistematicità, la durata (oltre un anno), l'intenzionalità nel danneggiare la vostra relazione professionale e l'escalation verso coinvolgimento di terze parti sono elementi significativi per configurare una situazione di mobbing.
Queste sono alcune proposte operative per le Risorse Umane da mettere in atto:
Può rivolgersi alle HR documentando:
1. Interferenze sistematiche nell'espletamento delle normali attività (pause, comunicazioni lavorative)
2. Clima lavorativo ostile che compromette la serenità professionale
3. Coinvolgimento improprio di organi sindacali per questioni private
4. Escalation comportamentale che sta degenerando in molestie verso la collega
La motivazione può essere formulata come "richiesta di intervento per ripristinare un clima lavorativo sereno e professionale, compromesso da interferenze sistematiche nelle relazioni collegiali".
Per quanto riguarda un possibile sostegno psicologico ( ch eio consiglio sempre in questi casi di forte difficoltà) suggerisco un percorso focalizzato su:
-Rafforzamento dei confini personali in ambito professionale
-Elaborazione della rabbia e frustrazione accumulate
-Sviluppo di strategie assertive per gestire dinamiche tossiche
-Lavoro sulla capacità di mantenere relazioni significative senza farsi influenzare dal giudizio altrui
Ci rifletta attentamente e spero di averle dato alcune informazioni utili
Un cordiale saluto,
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Psicologa clinica - Voice Dialogue - Mindfulness - Dreamwork
Quello che descrive presenta caratteristiche riconducibili a comportamenti persecutori sistematici. Gli episodi che riporta - interruzioni continue, inserimenti forzati nelle conversazioni, coinvolgimento di terze parti (sindacato, ex direttrice) per delegittimare il vostro rapporto - configurano un pattern di mobbing relazionale che va oltre la semplice invidia collegiale.
La sua reazione di progressivo distanziamento è comprensibile e rappresenta una strategia di protezione naturale, tuttavia, questo ritiro ha creato un vuoto che, come nota acutamente, sta esponendo la collega a pressioni ancora più invasive.
E posso dirle che quanto descrivete rientra nelle fattispecie di atti persecutori sul lavoro. La sistematicità, la durata (oltre un anno), l'intenzionalità nel danneggiare la vostra relazione professionale e l'escalation verso coinvolgimento di terze parti sono elementi significativi per configurare una situazione di mobbing.
Queste sono alcune proposte operative per le Risorse Umane da mettere in atto:
Può rivolgersi alle HR documentando:
1. Interferenze sistematiche nell'espletamento delle normali attività (pause, comunicazioni lavorative)
2. Clima lavorativo ostile che compromette la serenità professionale
3. Coinvolgimento improprio di organi sindacali per questioni private
4. Escalation comportamentale che sta degenerando in molestie verso la collega
La motivazione può essere formulata come "richiesta di intervento per ripristinare un clima lavorativo sereno e professionale, compromesso da interferenze sistematiche nelle relazioni collegiali".
Per quanto riguarda un possibile sostegno psicologico ( ch eio consiglio sempre in questi casi di forte difficoltà) suggerisco un percorso focalizzato su:
-Rafforzamento dei confini personali in ambito professionale
-Elaborazione della rabbia e frustrazione accumulate
-Sviluppo di strategie assertive per gestire dinamiche tossiche
-Lavoro sulla capacità di mantenere relazioni significative senza farsi influenzare dal giudizio altrui
Ci rifletta attentamente e spero di averle dato alcune informazioni utili
Un cordiale saluto,
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Psicologa clinica - Voice Dialogue - Mindfulness - Dreamwork
Gentile utente,
capisco bene quanto possa essere difficile lavorare in un clima dove le relazioni diventano fonte di tensione e malessere. Da ciò che scrive emerge che il modo in cui vive le dinamiche con i colleghi non le restituisce soddisfazione, ma piuttosto un senso di esclusione e di fatica. Il non vedere la collega prendere posizione, il percepire invadenze o attenzioni da parte di altri, finiscono per trasformarsi in un peso emotivo che la porta a distanziarsi e a vivere le relazioni con disagio.
Prima ancora di pensare a possibili azioni esterne, può essere utile chiarire dentro di sé alcuni aspetti:
- quali comportamenti, nello specifico, le creano maggiore sofferenza;
- quali limiti e confini sente il bisogno di porre;
- come poter esprimere la sua posizione in modo chiaro e rispettoso.
Spesso non è solo ciò che accade all’esterno a ferirci, ma il significato che attribuiamo a quegli episodi. Lavorare su questo può aiutarla a comunicare più efficacemente ciò che prova, a integrare il punto di vista degli altri senza per questo annullare il proprio, e a vivere con maggiore serenità le relazioni lavorative.
Un cordiale saluto,
Dott.ssa Erika Marrafino – Psicologa e Counselor
capisco bene quanto possa essere difficile lavorare in un clima dove le relazioni diventano fonte di tensione e malessere. Da ciò che scrive emerge che il modo in cui vive le dinamiche con i colleghi non le restituisce soddisfazione, ma piuttosto un senso di esclusione e di fatica. Il non vedere la collega prendere posizione, il percepire invadenze o attenzioni da parte di altri, finiscono per trasformarsi in un peso emotivo che la porta a distanziarsi e a vivere le relazioni con disagio.
Prima ancora di pensare a possibili azioni esterne, può essere utile chiarire dentro di sé alcuni aspetti:
- quali comportamenti, nello specifico, le creano maggiore sofferenza;
- quali limiti e confini sente il bisogno di porre;
- come poter esprimere la sua posizione in modo chiaro e rispettoso.
Spesso non è solo ciò che accade all’esterno a ferirci, ma il significato che attribuiamo a quegli episodi. Lavorare su questo può aiutarla a comunicare più efficacemente ciò che prova, a integrare il punto di vista degli altri senza per questo annullare il proprio, e a vivere con maggiore serenità le relazioni lavorative.
Un cordiale saluto,
Dott.ssa Erika Marrafino – Psicologa e Counselor
Buongiorno,
dalla tua descrizione emerge una dinamica che ha poco a che fare con la professionalità e molto con la gestione immatura dei rapporti interpersonali. Il problema non sta nella tua amicizia con la collega — che per voi due sembra fonte di sostegno e benessere — ma nell’atteggiamento di chi, incapace di costruire legami simili, tenta di minare i vostri con battute, intrusioni e comportamenti poco rispettosi. È comprensibile che, dopo oltre un anno, questo clima abbia iniziato a pesarti profondamente.
Quello che descrivi rientra nel quadro di condotte che, se ripetute e mirate, possono sfociare in forme di pressione psicologica o di mobbing relazionale. Non è tanto il singolo episodio che conta, ma la reiterazione nel tempo e l’impatto che produce: isolamento, fastidio, allontanamento forzato da situazioni che per te erano positive.
La tua collega sembra adottare un atteggiamento di “silenziosa sopportazione”: non nega il valore del rapporto con te, ma fatica a porre confini netti con chi invade il suo spazio. Questo, però, non deve ricadere sulle tue spalle. Ognuno ha i propri tempi e modi per reagire.
Dal punto di vista pratico, se pensi che la situazione abbia superato la soglia della tolleranza, puoi rivolgerti alle Risorse Umane o a un sindacato. In questi casi è utile:
-Documentare gli episodi (date, circostanze, eventuali testimoni).
-Raccontare i fatti senza interpretazioni, evidenziando come i comportamenti ripetuti abbiano reso il clima lavorativo ostile e ti abbiano spinto ad auto-escluderti da momenti di pausa.
-Richiedere un intervento in termini di tutela del benessere organizzativo, non contro qualcuno in particolare, ma a favore di un ambiente di lavoro rispettoso.
Può aiutare pensare che non si tratta di giustificare il tuo comportamento o quello della collega, ma di chiedere che tutti si attengano a regole di rispetto minime, per permettere a ciascuno di vivere i propri rapporti senza intrusioni indebite.
Ricorda: non sei “troppo sensibile” o “esagerato” — chiedere rispetto non è mai fuori luogo.
A volte dare un nome alle cose e portarle alla luce è già il primo passo per non sentirsi più soli dentro a queste dinamiche.
Un caro saluto.
dalla tua descrizione emerge una dinamica che ha poco a che fare con la professionalità e molto con la gestione immatura dei rapporti interpersonali. Il problema non sta nella tua amicizia con la collega — che per voi due sembra fonte di sostegno e benessere — ma nell’atteggiamento di chi, incapace di costruire legami simili, tenta di minare i vostri con battute, intrusioni e comportamenti poco rispettosi. È comprensibile che, dopo oltre un anno, questo clima abbia iniziato a pesarti profondamente.
Quello che descrivi rientra nel quadro di condotte che, se ripetute e mirate, possono sfociare in forme di pressione psicologica o di mobbing relazionale. Non è tanto il singolo episodio che conta, ma la reiterazione nel tempo e l’impatto che produce: isolamento, fastidio, allontanamento forzato da situazioni che per te erano positive.
La tua collega sembra adottare un atteggiamento di “silenziosa sopportazione”: non nega il valore del rapporto con te, ma fatica a porre confini netti con chi invade il suo spazio. Questo, però, non deve ricadere sulle tue spalle. Ognuno ha i propri tempi e modi per reagire.
Dal punto di vista pratico, se pensi che la situazione abbia superato la soglia della tolleranza, puoi rivolgerti alle Risorse Umane o a un sindacato. In questi casi è utile:
-Documentare gli episodi (date, circostanze, eventuali testimoni).
-Raccontare i fatti senza interpretazioni, evidenziando come i comportamenti ripetuti abbiano reso il clima lavorativo ostile e ti abbiano spinto ad auto-escluderti da momenti di pausa.
-Richiedere un intervento in termini di tutela del benessere organizzativo, non contro qualcuno in particolare, ma a favore di un ambiente di lavoro rispettoso.
Può aiutare pensare che non si tratta di giustificare il tuo comportamento o quello della collega, ma di chiedere che tutti si attengano a regole di rispetto minime, per permettere a ciascuno di vivere i propri rapporti senza intrusioni indebite.
Ricorda: non sei “troppo sensibile” o “esagerato” — chiedere rispetto non è mai fuori luogo.
A volte dare un nome alle cose e portarle alla luce è già il primo passo per non sentirsi più soli dentro a queste dinamiche.
Un caro saluto.
Buon ferragosto,
da quanto descrivi, sembra che tu e la tua collega stiate vivendo una situazione di tensione e di disagio lavorativo protratta nel tempo, caratterizzata da comportamenti di prevaricazione, invasione dello spazio personale e dinamiche di pressione psicologica da parte di altri colleghi. Alcuni punti chiave da considerare:
Atti persecutori sul luogo di lavoro: Le condotte che descrivi — come l’inserirsi con prepotenza nelle conversazioni, anticipare o monopolizzare la pausa caffè, i continui commenti o attenzioni indesiderate — rientrano nel fenomeno del mobbing o molestie psicologiche sul lavoro, soprattutto se persistono nel tempo e generano disagio. Anche i comportamenti di un collega nei confronti della tua collega, se costanti e invasivi, possono configurare forme di molestia o stalking sul luogo di lavoro.
Strategie possibili:
Documentazione: Annotare in maniera dettagliata date, orari, episodi, testimoni e modalità dei comportamenti può essere utile sia per confronti interni sia per eventuali interventi formali.
Comunicazione diretta (quando possibile): Limitarsi a interazioni chiare e professionali può ridurre i conflitti. Tuttavia, se il comportamento dei colleghi è aggressivo o manipolatorio, evitare il confronto diretto può essere una scelta prudente.
Risorse umane / ufficio del personale: Rivolgersi alle risorse umane può essere utile, motivando l’intervento con la tutela del benessere lavorativo, la protezione dei collaboratori da comportamenti molesti o prevaricatori, e la necessità di preservare un ambiente di lavoro sano e rispettoso. È importante presentare episodi concreti, senza giudizi personali, evidenziando l’impatto sul lavoro e sul clima aziendale.
Confini personali: È fondamentale sostenere e rispettare i propri limiti, evitando di cedere a pressioni o comportamenti invasivi.
Aspetti emotivi: La situazione descritta può generare stress, ansia e frustrazione. È comprensibile che tu abbia scelto di distaccarti per proteggerti, soprattutto quando la collega non pone limiti chiari.
In conclusione, le condotte subite possono essere considerate forme di molestia psicologica sul lavoro. Agire attraverso la documentazione e il coinvolgimento delle risorse umane è una possibilità concreta, così come porre attenzione alla tutela dei propri confini personali.
Sarebbe utile e consigliato, per approfondire la situazione e ricevere un supporto mirato nella gestione emotiva e strategica, rivolgersi a uno specialista.
DOTTORESSA SILVIA PARISI
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA SESSUOLOGA
da quanto descrivi, sembra che tu e la tua collega stiate vivendo una situazione di tensione e di disagio lavorativo protratta nel tempo, caratterizzata da comportamenti di prevaricazione, invasione dello spazio personale e dinamiche di pressione psicologica da parte di altri colleghi. Alcuni punti chiave da considerare:
Atti persecutori sul luogo di lavoro: Le condotte che descrivi — come l’inserirsi con prepotenza nelle conversazioni, anticipare o monopolizzare la pausa caffè, i continui commenti o attenzioni indesiderate — rientrano nel fenomeno del mobbing o molestie psicologiche sul lavoro, soprattutto se persistono nel tempo e generano disagio. Anche i comportamenti di un collega nei confronti della tua collega, se costanti e invasivi, possono configurare forme di molestia o stalking sul luogo di lavoro.
Strategie possibili:
Documentazione: Annotare in maniera dettagliata date, orari, episodi, testimoni e modalità dei comportamenti può essere utile sia per confronti interni sia per eventuali interventi formali.
Comunicazione diretta (quando possibile): Limitarsi a interazioni chiare e professionali può ridurre i conflitti. Tuttavia, se il comportamento dei colleghi è aggressivo o manipolatorio, evitare il confronto diretto può essere una scelta prudente.
Risorse umane / ufficio del personale: Rivolgersi alle risorse umane può essere utile, motivando l’intervento con la tutela del benessere lavorativo, la protezione dei collaboratori da comportamenti molesti o prevaricatori, e la necessità di preservare un ambiente di lavoro sano e rispettoso. È importante presentare episodi concreti, senza giudizi personali, evidenziando l’impatto sul lavoro e sul clima aziendale.
Confini personali: È fondamentale sostenere e rispettare i propri limiti, evitando di cedere a pressioni o comportamenti invasivi.
Aspetti emotivi: La situazione descritta può generare stress, ansia e frustrazione. È comprensibile che tu abbia scelto di distaccarti per proteggerti, soprattutto quando la collega non pone limiti chiari.
In conclusione, le condotte subite possono essere considerate forme di molestia psicologica sul lavoro. Agire attraverso la documentazione e il coinvolgimento delle risorse umane è una possibilità concreta, così come porre attenzione alla tutela dei propri confini personali.
Sarebbe utile e consigliato, per approfondire la situazione e ricevere un supporto mirato nella gestione emotiva e strategica, rivolgersi a uno specialista.
DOTTORESSA SILVIA PARISI
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA SESSUOLOGA
Da ciò che racconta, è comprensibile che si senta stanco e a disagio, trovarsi in un ambiente lavorativo in cui, da oltre un anno, subisce interruzioni, commenti e intrusioni ripetute mina inevitabilmente la serenità. Forse più che di “atti persecutori” in senso legale, si può parlare di comportamenti ostili e poco rispettosi, simili al mobbing orizzontale, che finiscono per isolarla e renderle difficile vivere il lavoro con tranquillità.
In queste situazioni è importante tutelarsi, può annotare gli episodi per avere chiarezza e poi rivolgersi alle Risorse Umane, presentando la questione come un problema di benessere organizzativo e di clima lavorativo, senza entrare troppo nel personale. Questo le permetterà di mantenere un tono professionale e chiedere un intervento costruttivo.
Resta importante, inoltre, che lei continui a difendere i suoi confini, non è suo compito gestire le scelte o i silenzi della collega, piuttosto prendersi cura della propria serenità e della qualità delle relazioni sul lavoro.
Un caro saluto
In queste situazioni è importante tutelarsi, può annotare gli episodi per avere chiarezza e poi rivolgersi alle Risorse Umane, presentando la questione come un problema di benessere organizzativo e di clima lavorativo, senza entrare troppo nel personale. Questo le permetterà di mantenere un tono professionale e chiedere un intervento costruttivo.
Resta importante, inoltre, che lei continui a difendere i suoi confini, non è suo compito gestire le scelte o i silenzi della collega, piuttosto prendersi cura della propria serenità e della qualità delle relazioni sul lavoro.
Un caro saluto
Buona sera.
Atti persecutori è un termine azzardato e rischioso da usare in questa situazione. Invadenza e intromissione voluta sono più adeguati. Lei ne ha sofferto ma la sua collega l'ha permesso ed ha acconsentito.
Non può fare altro che definire il suo spazio e coltivare rapporti sereni, se possibile.
Dottoressa Teresita Forlano
Atti persecutori è un termine azzardato e rischioso da usare in questa situazione. Invadenza e intromissione voluta sono più adeguati. Lei ne ha sofferto ma la sua collega l'ha permesso ed ha acconsentito.
Non può fare altro che definire il suo spazio e coltivare rapporti sereni, se possibile.
Dottoressa Teresita Forlano
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè capisco quanto questa situazione possa impattare sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale innanzitutto che lei faccia chiarezza circa ciò che sente e ciò che prova verso questa persona, ritagliandosi uno spazio d'ascolto per elaborare pensieri e vissuti emotivi legati alla situazione descritta pertanto la invito a richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Gentile paziente, da ciò che racconti emergono dinamiche di gruppo caratterizzate da invidia e comportamenti di esclusione che, nel tempo, possono diventare vere e proprie forme di mobbing o molestie relazionali. Non sei esagerato a percepirle come “atti persecutori”: quando un comportamento ostile è ripetuto, intenzionale e lesivo della dignità della persona, rientra in un quadro da non sottovalutare.
Dal punto di vista psicologico, il primo passo utile è distinguere ciò che puoi gestire tu (mantenere i tuoi confini, non legittimare le provocazioni, coltivare relazioni sane) da ciò che spetta all’organizzazione. Con le Risorse Umane è possibile portare la questione ponendola in termini di clima lavorativo non rispettoso e di comportamenti ripetuti che ostacolano il benessere e la serenità sul lavoro evitando di ridurla a un conflitto personale. In questo modo resti sul piano della tutela dell’ambiente professionale, più che della singola amicizia...
Infine, tieni presente che la collega con cui ti sei legato ha i suoi limiti nel gestire i confini: il suo silenzio non è necessariamente contro di te, ma denota difficoltà nel prendere posizione. Sta a te decidere quanto vuoi restare in questa dinamica o quanto proteggerti mantenendo una distanza maggiore.
Buongiorno, la vita lavorativa è una convivenza con persone che non sono state scelte personalmente. Questo aspetto è ben chiaro alle risorse umane alle quali è bene rivolgersi e che dovrebbero provvedere. Può fare presente le conseguenze emotive che si hanno nel vivere in un clima del genere. Spesso succede che le persone chiedano uno spostamento di reparto, quando è possibile attuarlo.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Ciao,
da come scrivi emerge chiaramente quanta fatica stai portando sulle spalle in questo ambiente di lavoro: ti sei trovato al centro di dinamiche di invidia, battutine e prepotenze che non solo disturbano il tuo equilibrio, ma minano anche il piacere di vivere momenti di pausa con una collega con cui avevi costruito uno spazio sano e di sostegno reciproco. È comprensibile che tu ti senta stanco e amareggiato: mantenere la calma e la dignità in queste situazioni, senza cadere nei giochi tossici degli altri, richiede moltissima energia.
La prima cosa che vorrei dirti è che non sei “esagerato”: quello che descrivi non è normale spirito goliardico, ma un insieme di comportamenti ripetuti che disturbano, isolano e mancano di rispetto. Quando una persona o un gruppo mette in atto atteggiamenti insistenti, di intrusione o derisione, possiamo parlare di mobbing o di comportamenti a carattere persecutorio, soprattutto se proseguono nel tempo nonostante i tentativi di chiarire.
Rispetto alle risorse umane, può essere utile:
descrivere in modo chiaro e oggettivo i comportamenti che hai subito (battute, interruzioni, inserimenti forzati, tentativi di screditamento);
sottolineare che si tratta di episodi ripetuti e che creano disagio, influenzando la serenità sul posto di lavoro;
chiedere che venga garantito un clima di rispetto e collaborazione, senza puntare il dito sulla singola persona, ma chiedendo una tutela del benessere organizzativo.
Ti incoraggio a pensare che hai diritto a proteggere i tuoi confini: non sei obbligato ad accettare atteggiamenti invadenti né a sacrificare la qualità delle tue relazioni autentiche per paura delle chiacchiere.
Può aiutarti anche mantenere uno sguardo realistico sulla tua collega: se lei tende a non porre limiti agli altri, non è una tua responsabilità “fare da scudo” al posto suo. Puoi esserle vicino, ma senza rimetterci la tua serenità.
da come scrivi emerge chiaramente quanta fatica stai portando sulle spalle in questo ambiente di lavoro: ti sei trovato al centro di dinamiche di invidia, battutine e prepotenze che non solo disturbano il tuo equilibrio, ma minano anche il piacere di vivere momenti di pausa con una collega con cui avevi costruito uno spazio sano e di sostegno reciproco. È comprensibile che tu ti senta stanco e amareggiato: mantenere la calma e la dignità in queste situazioni, senza cadere nei giochi tossici degli altri, richiede moltissima energia.
La prima cosa che vorrei dirti è che non sei “esagerato”: quello che descrivi non è normale spirito goliardico, ma un insieme di comportamenti ripetuti che disturbano, isolano e mancano di rispetto. Quando una persona o un gruppo mette in atto atteggiamenti insistenti, di intrusione o derisione, possiamo parlare di mobbing o di comportamenti a carattere persecutorio, soprattutto se proseguono nel tempo nonostante i tentativi di chiarire.
Rispetto alle risorse umane, può essere utile:
descrivere in modo chiaro e oggettivo i comportamenti che hai subito (battute, interruzioni, inserimenti forzati, tentativi di screditamento);
sottolineare che si tratta di episodi ripetuti e che creano disagio, influenzando la serenità sul posto di lavoro;
chiedere che venga garantito un clima di rispetto e collaborazione, senza puntare il dito sulla singola persona, ma chiedendo una tutela del benessere organizzativo.
Ti incoraggio a pensare che hai diritto a proteggere i tuoi confini: non sei obbligato ad accettare atteggiamenti invadenti né a sacrificare la qualità delle tue relazioni autentiche per paura delle chiacchiere.
Può aiutarti anche mantenere uno sguardo realistico sulla tua collega: se lei tende a non porre limiti agli altri, non è una tua responsabilità “fare da scudo” al posto suo. Puoi esserle vicino, ma senza rimetterci la tua serenità.
Caro/a,
grazie per aver condiviso in modo così dettagliato quello che stai vivendo sul lavoro. È evidente che la situazione ti crea disagio da molto tempo, ed è comprensibile sentirsi stanchi e frustrati quando i rapporti diventano fonte di tensione.
Due aspetti sono importanti:
Distinguere ciò che è sotto il tuo controllo da ciò che non lo è. Non puoi cambiare il comportamento dei colleghi, ma puoi decidere come rispondere e come proteggere il tuo spazio.
Dare confini chiari. Spesso chi non sa difendere il proprio spazio finisce per acconsentire anche quando non vorrebbe. Stabilire limiti gentili ma fermi è un passo fondamentale.
Quanto agli “atti persecutori”, ti suggerirei di descriverli come comportamenti ripetuti di interferenza e disturbo che ostacolano la tua serenità e la tua libertà di relazione. Questo linguaggio è più efficace se decidi di parlarne con le Risorse Umane. Puoi presentare la situazione non come un “conflitto personale”, ma come un problema di clima lavorativo che crea disagio e mina la collaborazione.
Un approccio utile può essere:
Documentare episodi concreti (date, comportamenti osservabili, senza giudizi).
Esporre a HR la richiesta in termini di “ricerca di un ambiente di lavoro sereno e rispettoso”, evitando etichette ma sottolineando il bisogno di benessere e collaborazione.
Infine, ricorda che la tua energia è preziosa: come scrive Leahy, “non possiamo impedire agli altri di provare invidia o fare commenti, ma possiamo imparare a non lasciare che queste reazioni governino le nostre scelte.”
Un caro saluto,
grazie per aver condiviso in modo così dettagliato quello che stai vivendo sul lavoro. È evidente che la situazione ti crea disagio da molto tempo, ed è comprensibile sentirsi stanchi e frustrati quando i rapporti diventano fonte di tensione.
Due aspetti sono importanti:
Distinguere ciò che è sotto il tuo controllo da ciò che non lo è. Non puoi cambiare il comportamento dei colleghi, ma puoi decidere come rispondere e come proteggere il tuo spazio.
Dare confini chiari. Spesso chi non sa difendere il proprio spazio finisce per acconsentire anche quando non vorrebbe. Stabilire limiti gentili ma fermi è un passo fondamentale.
Quanto agli “atti persecutori”, ti suggerirei di descriverli come comportamenti ripetuti di interferenza e disturbo che ostacolano la tua serenità e la tua libertà di relazione. Questo linguaggio è più efficace se decidi di parlarne con le Risorse Umane. Puoi presentare la situazione non come un “conflitto personale”, ma come un problema di clima lavorativo che crea disagio e mina la collaborazione.
Un approccio utile può essere:
Documentare episodi concreti (date, comportamenti osservabili, senza giudizi).
Esporre a HR la richiesta in termini di “ricerca di un ambiente di lavoro sereno e rispettoso”, evitando etichette ma sottolineando il bisogno di benessere e collaborazione.
Infine, ricorda che la tua energia è preziosa: come scrive Leahy, “non possiamo impedire agli altri di provare invidia o fare commenti, ma possiamo imparare a non lasciare che queste reazioni governino le nostre scelte.”
Un caro saluto,
Buongiorno, purtroppo io di risorse umane non sono ferrata ma posso provare a fare delle considerazioni che sono un'ipotesi sulla base delle mie conoscenze e dalle informazioni che lei scrive.
Per quanto riguarda la ragazza se non pone limiti o confini è una scelta sua e se dovesse sentire di averne bisogno può rivolgersi a qualche professionista. So che lo fa perchè la vuole proteggere ma possiamo solo parlargliene come ha già fatto e rispettare le sue considerazioni o scelte. Capisco che sia frustrante vederla così e provare invece rabbia nel vedere questi comportamenti dei colleghi inappropriati ma possiamo occuparci solo di quello che sentiamo noi e non gli altri. Io, eventualmente, posso supportarla in questo suo sentire e trovare strategie per viversela meglio o agire di modo che smettano questi comportamenti. Ribadisco però che possiamo solo gestire le nostre emozioni, sensazioni, pensieri.. quelle degli altri sono scelte loro (anche se fanno del male volontariamente o senza accorgersene).
Se vuole io rimango a disposizione per qualunque necessità e se lo rietiene opportuno può rivolgersi alle risorse umane spiegando la situazione e sottolineando come la fa sentire, minando la sua libertà di avere un rapporto sereno con l'altra collega.
Dott.ssa Casumaro Giada
Per quanto riguarda la ragazza se non pone limiti o confini è una scelta sua e se dovesse sentire di averne bisogno può rivolgersi a qualche professionista. So che lo fa perchè la vuole proteggere ma possiamo solo parlargliene come ha già fatto e rispettare le sue considerazioni o scelte. Capisco che sia frustrante vederla così e provare invece rabbia nel vedere questi comportamenti dei colleghi inappropriati ma possiamo occuparci solo di quello che sentiamo noi e non gli altri. Io, eventualmente, posso supportarla in questo suo sentire e trovare strategie per viversela meglio o agire di modo che smettano questi comportamenti. Ribadisco però che possiamo solo gestire le nostre emozioni, sensazioni, pensieri.. quelle degli altri sono scelte loro (anche se fanno del male volontariamente o senza accorgersene).
Se vuole io rimango a disposizione per qualunque necessità e se lo rietiene opportuno può rivolgersi alle risorse umane spiegando la situazione e sottolineando come la fa sentire, minando la sua libertà di avere un rapporto sereno con l'altra collega.
Dott.ssa Casumaro Giada
Gentile utente,
in situazioni di molestie o prepotenze sul lavoro, la strategia più efficace non è lo scontro diretto, ma il distacco consapevole e la tutela dei confini. Documenti ogni episodio con precisione e si rivolga alle risorse umane mostrando che il suo diritto a uno spazio sicuro e rispettoso non è negoziabile. Proteggere sé stessi con chiarezza e fermezza è il primo passo per far cessare comportamenti tossici senza alimentare ulteriori conflitti.
in situazioni di molestie o prepotenze sul lavoro, la strategia più efficace non è lo scontro diretto, ma il distacco consapevole e la tutela dei confini. Documenti ogni episodio con precisione e si rivolga alle risorse umane mostrando che il suo diritto a uno spazio sicuro e rispettoso non è negoziabile. Proteggere sé stessi con chiarezza e fermezza è il primo passo per far cessare comportamenti tossici senza alimentare ulteriori conflitti.
Quello che descrivi non è una semplice antipatia o qualche battuta di troppo: da come lo racconti, c’è una dinamica che va avanti da molto tempo, fatta di pressioni, interferenze ripetute e continue invasioni del vostro spazio personale. Questo può configurarsi come una vera forma di mobbing o di molestia ambientale, soprattutto perché non si tratta di episodi isolati ma di una serie di comportamenti reiterati nel tempo con l’intento di disturbare, interrompere e rendere difficile la vostra quotidianità lavorativa.
Il fatto che tu abbia già provato a chiarire direttamente, e che lei stessa abbia confermato che non ha fastidio della tua vicinanza, rafforza l’idea che i colleghi non stiano rispettando i confini né tuoi né suoi. Se poi si aggiunge il comportamento di chi cerca insistentemente di avvicinarsi a lei, con contatti fisici non richiesti o pedinamenti fuori dall’orario lavorativo, siamo su un piano che va oltre la semplice “gelosia” o competizione: è un atteggiamento potenzialmente persecutorio, e non va sottovalutato.
Per muoverti con le risorse umane è importante concentrarti non sulle interpretazioni personali (invidia, gelosia ecc.), ma su fatti concreti. Devi segnalare che:
– da oltre un anno tu e una collega siete oggetto di continui interventi e interruzioni mirate a ostacolare le vostre pause o conversazioni;
– ci sono state pressioni e commenti che hanno creato un clima ostile;
– alcuni comportamenti hanno superato il limite della semplice battuta, configurandosi come molestie ambientali o persecutorie;
– la situazione ti ha costretto ad allontanarti e ti impedisce di vivere serenamente gli spazi comuni di lavoro.
La forma migliore è una segnalazione scritta a risorse umane, meglio ancora se condivisa anche con la collega, così che non resti una tua parola contro altri, ma sia chiaro che entrambi avete vissuto la stessa cosa. Non serve descrivere tutto nel dettaglio emotivo, ma essere lineare e oggettivo: date, episodi, conseguenze sul lavoro. In alternativa puoi chiedere un colloquio diretto, ma avere una traccia scritta aiuta a formalizzare.
Le risorse umane hanno il compito di tutelare un ambiente di lavoro sano: la motivazione da indicare è quella di subire comportamenti ripetuti di disturbo e pressione, che minano la serenità lavorativa e configurano un clima ostile. Se la situazione dovesse degenerare, esiste anche la possibilità di rivolgersi a un sindacato o, nei casi più gravi, a figure legali, ma spesso già una presa in carico da parte di HR può bastare a far cessare questi comportamenti.
Dott.ssa De Pretto
Il fatto che tu abbia già provato a chiarire direttamente, e che lei stessa abbia confermato che non ha fastidio della tua vicinanza, rafforza l’idea che i colleghi non stiano rispettando i confini né tuoi né suoi. Se poi si aggiunge il comportamento di chi cerca insistentemente di avvicinarsi a lei, con contatti fisici non richiesti o pedinamenti fuori dall’orario lavorativo, siamo su un piano che va oltre la semplice “gelosia” o competizione: è un atteggiamento potenzialmente persecutorio, e non va sottovalutato.
Per muoverti con le risorse umane è importante concentrarti non sulle interpretazioni personali (invidia, gelosia ecc.), ma su fatti concreti. Devi segnalare che:
– da oltre un anno tu e una collega siete oggetto di continui interventi e interruzioni mirate a ostacolare le vostre pause o conversazioni;
– ci sono state pressioni e commenti che hanno creato un clima ostile;
– alcuni comportamenti hanno superato il limite della semplice battuta, configurandosi come molestie ambientali o persecutorie;
– la situazione ti ha costretto ad allontanarti e ti impedisce di vivere serenamente gli spazi comuni di lavoro.
La forma migliore è una segnalazione scritta a risorse umane, meglio ancora se condivisa anche con la collega, così che non resti una tua parola contro altri, ma sia chiaro che entrambi avete vissuto la stessa cosa. Non serve descrivere tutto nel dettaglio emotivo, ma essere lineare e oggettivo: date, episodi, conseguenze sul lavoro. In alternativa puoi chiedere un colloquio diretto, ma avere una traccia scritta aiuta a formalizzare.
Le risorse umane hanno il compito di tutelare un ambiente di lavoro sano: la motivazione da indicare è quella di subire comportamenti ripetuti di disturbo e pressione, che minano la serenità lavorativa e configurano un clima ostile. Se la situazione dovesse degenerare, esiste anche la possibilità di rivolgersi a un sindacato o, nei casi più gravi, a figure legali, ma spesso già una presa in carico da parte di HR può bastare a far cessare questi comportamenti.
Dott.ssa De Pretto
Buonasera,
da quanto mi racconti, la situazione che stai vivendo in ufficio sembra generare un forte disagio emotivo e stress prolungato. Non sei solo “sensibile” o “troppo serio”: ciò che descrivi rientra in comportamenti di dinamiche lavorative tossiche, con atteggiamenti di pressione, invasione degli spazi e difficoltà a rispettare confini personali.
È comprensibile sentirsi frustrati o feriti quando colleghi interferiscono sistematicamente nelle relazioni o nei momenti di pausa, o quando non si percepisce protezione o supporto da parte di chi ci sta vicino. Non è raro trovarsi in contesti in cui le persone agiscono per invidia o competizione, e questo può diventare stressante a lungo termine.
In questi casi può essere utile:
Prendersi cura dei propri confini e dei propri spazi, evitando di subire dinamiche tossiche.
Tenere traccia dei comportamenti che creano disagio, senza colpevolizzarsi.
Valutare strategie di gestione emotiva e relazionale, anche con supporto professionale, per ridurre lo stress e trovare modalità efficaci di tutela dei propri spazi.
da quanto mi racconti, la situazione che stai vivendo in ufficio sembra generare un forte disagio emotivo e stress prolungato. Non sei solo “sensibile” o “troppo serio”: ciò che descrivi rientra in comportamenti di dinamiche lavorative tossiche, con atteggiamenti di pressione, invasione degli spazi e difficoltà a rispettare confini personali.
È comprensibile sentirsi frustrati o feriti quando colleghi interferiscono sistematicamente nelle relazioni o nei momenti di pausa, o quando non si percepisce protezione o supporto da parte di chi ci sta vicino. Non è raro trovarsi in contesti in cui le persone agiscono per invidia o competizione, e questo può diventare stressante a lungo termine.
In questi casi può essere utile:
Prendersi cura dei propri confini e dei propri spazi, evitando di subire dinamiche tossiche.
Tenere traccia dei comportamenti che creano disagio, senza colpevolizzarsi.
Valutare strategie di gestione emotiva e relazionale, anche con supporto professionale, per ridurre lo stress e trovare modalità efficaci di tutela dei propri spazi.
Buongiorno,
capisco il suo disagio: trovarsi in un ambiente di lavoro con dinamiche svalutanti può essere molto faticoso. Più che soffermarsi sulle etichette (“atti persecutori” o meno), è importante che lei tuteli il suo benessere, magari provare a chiarire i suoi confini in modo assertivo, documentare gli episodi che la mettono in difficoltà, rivolgersi alle Risorse Umane parlando di “comportamenti vessatori che compromettono il clima lavorativo” e chiedendo un confronto.
Se le difficoltà dovessero comunque persistere, un supporto psicologico potrebbe aiutarla a rafforzare le sue risorse personali e la gestione delle relazioni lavorative.
Un saluto.
Simona Santoni - Psicologa
capisco il suo disagio: trovarsi in un ambiente di lavoro con dinamiche svalutanti può essere molto faticoso. Più che soffermarsi sulle etichette (“atti persecutori” o meno), è importante che lei tuteli il suo benessere, magari provare a chiarire i suoi confini in modo assertivo, documentare gli episodi che la mettono in difficoltà, rivolgersi alle Risorse Umane parlando di “comportamenti vessatori che compromettono il clima lavorativo” e chiedendo un confronto.
Se le difficoltà dovessero comunque persistere, un supporto psicologico potrebbe aiutarla a rafforzare le sue risorse personali e la gestione delle relazioni lavorative.
Un saluto.
Simona Santoni - Psicologa
Capisco perfettamente quanto questa situazione ti stia pesando e quanto possa generarti frustrazione, ansia e stanchezza. Quello che descrivi rientra in dinamiche tipiche di mobbing relazionale: comportamenti continui di ostilità, intrusioni nelle pause, interruzioni forzate delle conversazioni e prepotenze mirate a isolare o creare disagio. Anche se la tua collega non riesce a mettere limiti chiari o a difendere i propri spazi, questo non giustifica né riduce l’impatto dei comportamenti dei colleghi nei vostri confronti. Puoi rivolgerti alle risorse umane o al management. La tua segnalazione va costruita in modo oggettivo, indicando che questi comportamenti creano disagio, interferiscono con il normale svolgimento del lavoro e compromettono l’ambiente professionale. L’obiettivo non è “denunciare persone”, ma richiedere che l’azienda intervenga per garantire un ambiente sicuro e rispettoso.
Parallelamente, è importante proteggere il tuo benessere emotivo. Definisci confini chiari sulle interazioni, limita i momenti in cui puoi essere esposto a comportamenti tossici e cerca sostegno psicologico se necessario. Un professionista esperto in stress lavorativo, mobbing e burnout può aiutarti a gestire ansia e frustrazione, rafforzando la tua capacità di affrontare la situazione senza logorarti.
Parallelamente, è importante proteggere il tuo benessere emotivo. Definisci confini chiari sulle interazioni, limita i momenti in cui puoi essere esposto a comportamenti tossici e cerca sostegno psicologico se necessario. Un professionista esperto in stress lavorativo, mobbing e burnout può aiutarti a gestire ansia e frustrazione, rafforzando la tua capacità di affrontare la situazione senza logorarti.
Buongiorno, capisco bene il suo vissuto: sentirsi presi di mira e non tutelati sul lavoro può essere molto pesante e logorante. È importante distinguere ciò che dipende da lei (confini, scelte, risposte) da ciò che appartiene alla sua collega. Coinvolgere le risorse umane in modo chiaro e circostanziato può aiutarla a non restare solo in questa situazione. Se desidera, possiamo lavorare su strumenti pratici per rafforzare i suoi confini emotivi e comunicare con più assertività. Resto a disposizione.
Un caro saluto
Dott.ssa Barcella
Un caro saluto
Dott.ssa Barcella
Salve,
capisco bene quanto questa situazione La stanchi profondamente. Quando in un ambiente di lavoro si crea un clima ambiguo, invadente o competitivo, e quando i rapporti spontanei vengono travisati o ostacolati da dinamiche di gruppo, la sensazione è quella di essere costantemente sotto osservazione, quasi “preso di mira”. È comprensibile che Lei si senta logorato e diffidente, soprattutto dopo molti mesi.
Le restituisco alcuni punti chiave, così da aiutarLa a distinguere ciò che è emotivamente doloroso da ciò che rientra in veri atti persecutori.
Non posso stabilire direttamente, senza un’analisi legale e interna all’azienda, se si tratti formalmente di **atti persecutori** in senso giuridico. Però come neuropsicologa posso dirLe che le dinamiche che descrive rientrano spesso in quello che chiamiamo **mobbing leggero o comportamenti disfunzionali di gruppo**: intrusioni nelle pause, battutine ripetute, tentativi di destabilizzare una relazione positiva, prepotenze e invasioni di spazio relazionale. È un pattern relazionale che, nel tempo, crea stress cronico e modifica i Suoi confini.
Per quanto riguarda la collega, quello che racconta non indica cattiva fede, ma **assenza di assertività**. È una persona che non pone limiti e che tende a “galleggiare”, lasciando che siano gli altri a decidere il tono delle interazioni. Questo però non La deve portare a pensare che Lei sia “solo” o che il Suo malessere non sia legittimo: il punto non è se lei difende o meno il rapporto, ma come **Lei** viene trattato dal gruppo.
Sul piano pratico, ciò che realisticamente può fare con le Risorse Umane è questo:
non parlare di “gelosie”, “rapporti personali” o “amicizie” — rischia di essere letto come un conflitto personale. La chiave è spostarsi su un piano **comportamentale e professionale**, descrivendo i fatti in modo neutro:
– “intrusioni ripetute nelle pause che interrompono il mio diritto a un momento di decompressione”;
– “battute e commenti allusivi sul mio rapporto con una collega presenti in modo reiterato e non richiesti”;
– “comportamenti svalutanti o provocatori che minano la serenità del clima lavorativo”;
– “situazioni che interferiscono con la mia capacità di svolgere serenamente la giornata lavorativa”.
Queste sono **motivazioni legittime** per chiedere un colloquio con HR, senza trasformare la questione in un conflitto privato. L’obiettivo non è accusare qualcuno, ma **tutelare il Suo benessere professionale** e chiedere che la direzione intervenga sul clima relazionale, non sulle persone.
Al contempo, se Lei sente che la situazione sta diventando più grande di quanto possa gestire da solo, un breve percorso psicologico orientato all’assertività e alla gestione dei confini potrebbe aiutarLa a sentirsi di nuovo protagonista delle Sue scelte e delle Sue relazioni lavorative. Ci sono strumenti molto efficaci per questo tipo di dinamiche, e lavorarci insieme potrebbe restituirLe stabilità emotiva e chiarezza su come muoversi.
Se desidera, posso aiutarLa impostare una strategia relazionale più centrata e protettiva.
Saluti e resto a disposizione.
capisco bene quanto questa situazione La stanchi profondamente. Quando in un ambiente di lavoro si crea un clima ambiguo, invadente o competitivo, e quando i rapporti spontanei vengono travisati o ostacolati da dinamiche di gruppo, la sensazione è quella di essere costantemente sotto osservazione, quasi “preso di mira”. È comprensibile che Lei si senta logorato e diffidente, soprattutto dopo molti mesi.
Le restituisco alcuni punti chiave, così da aiutarLa a distinguere ciò che è emotivamente doloroso da ciò che rientra in veri atti persecutori.
Non posso stabilire direttamente, senza un’analisi legale e interna all’azienda, se si tratti formalmente di **atti persecutori** in senso giuridico. Però come neuropsicologa posso dirLe che le dinamiche che descrive rientrano spesso in quello che chiamiamo **mobbing leggero o comportamenti disfunzionali di gruppo**: intrusioni nelle pause, battutine ripetute, tentativi di destabilizzare una relazione positiva, prepotenze e invasioni di spazio relazionale. È un pattern relazionale che, nel tempo, crea stress cronico e modifica i Suoi confini.
Per quanto riguarda la collega, quello che racconta non indica cattiva fede, ma **assenza di assertività**. È una persona che non pone limiti e che tende a “galleggiare”, lasciando che siano gli altri a decidere il tono delle interazioni. Questo però non La deve portare a pensare che Lei sia “solo” o che il Suo malessere non sia legittimo: il punto non è se lei difende o meno il rapporto, ma come **Lei** viene trattato dal gruppo.
Sul piano pratico, ciò che realisticamente può fare con le Risorse Umane è questo:
non parlare di “gelosie”, “rapporti personali” o “amicizie” — rischia di essere letto come un conflitto personale. La chiave è spostarsi su un piano **comportamentale e professionale**, descrivendo i fatti in modo neutro:
– “intrusioni ripetute nelle pause che interrompono il mio diritto a un momento di decompressione”;
– “battute e commenti allusivi sul mio rapporto con una collega presenti in modo reiterato e non richiesti”;
– “comportamenti svalutanti o provocatori che minano la serenità del clima lavorativo”;
– “situazioni che interferiscono con la mia capacità di svolgere serenamente la giornata lavorativa”.
Queste sono **motivazioni legittime** per chiedere un colloquio con HR, senza trasformare la questione in un conflitto privato. L’obiettivo non è accusare qualcuno, ma **tutelare il Suo benessere professionale** e chiedere che la direzione intervenga sul clima relazionale, non sulle persone.
Al contempo, se Lei sente che la situazione sta diventando più grande di quanto possa gestire da solo, un breve percorso psicologico orientato all’assertività e alla gestione dei confini potrebbe aiutarLa a sentirsi di nuovo protagonista delle Sue scelte e delle Sue relazioni lavorative. Ci sono strumenti molto efficaci per questo tipo di dinamiche, e lavorarci insieme potrebbe restituirLe stabilità emotiva e chiarezza su come muoversi.
Se desidera, posso aiutarLa impostare una strategia relazionale più centrata e protettiva.
Saluti e resto a disposizione.
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