Sono una donna di quasi 37 anni, ho un bambino di quasi 3 anni e mezzo, è l'amore della mia vita e t
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Sono una donna di quasi 37 anni, ho un bambino di quasi 3 anni e mezzo, è l'amore della mia vita e tutto ciò che riesce ancora ad emozionarmi. Il problema è che oltre mio figlio, non riesco a trovare il modo di andare avanti, di realizzarmi come persona, di provare ancora qualcosa; 7 anni fa ho perso mio zio dopo un brutto tumore al cervello, non è servito a niente tentare ogni tipo di cura, è stato sfortunato sotto ogni punto di vista, e tutto quello che poteva andare male, è andato pure peggio delle peggiori aspettative, l'ho visto spegnersi piano piano, nella completa ingiustizia di ciò che gli stava accadendo anche a livello personale, con un ex compagna che non gli dava tregua e ha aspettato che lui perdesse la parola per raccontare bugie su di lui per imbambolare i figli. Mentre mio zio stava male, anche la situazione di mia madre si è aggravata, ha subito diverse amputazioni, e mano mano l'ho vista cambiare, chiedere di morire, l'ho vista spegnersi mentalmente giorno dopo giorno. Sono morti l'uno a distanza di 11 mesi dall'altro, dopo una lentissima devastazione. Dopo qualche anno ho avuto un bambino che è stato un miracolo per me per riportarmi a riassaporare la vita, il problema è che non riesco ad uscire del tutto dal buio in cui sono caduta con la perdita di mio zio e di mia madre, se mio figlio non c'è, io non vivo, anche se lavoro, studio, cerco di intrattenermi, niente mi da soddisfazione, e vivo costantemente nel completo senso di colpa, chiedendomi se avessi potuto fare di più, dicendomi costantemente che se avessi potuto avrei dato io stessa la mia vita per loro. il mio cervello si inceppa è come se non riuscissi ad andare avanti, tutto mi riporta a loro e mi manca il respiro ogni volta, sono passati anni e non riesco più ad emozionarmi, non riesco più a provare nulla per niente e nessuno (fatta eccezione per mio figlio). Mi sono laureata e non ho provato nulla, se non "loro non ci sono", sono diventata mamma e ho sofferto di depressione post parto, rifiutando categoricamente l'aiuto di chiunque perchè io volevo solo essere aiutata da mia madre. Ho un compagno, la famiglia di mia madre che mi è vicina, ma non riesco a provare niente, se non la voglia di andarmene da ogni situazione, e con ciò ho iniziato anche ad avere paura degli spazi stretti, non riesco più a prendere l'ascensore, ad allontanarmi da casa, e quelle volte in cui succede devo raggiungere solo posti vicini in cui ci sia un bagno a disposizione per avere la scusa di staccare un secondo da tutto quello che ho intorno. Non riesco più a godere di niente, sto rovinando il rapporto con le persone che mi sono rimaste, e spesso penso che senso ha vivere così. Nel periodo della depressione post parto ho consultato degli specialisti ma non mi sono sentita capita, e sopratutto non mi sono sentita capita dal mio compagno e ho chiuso la porta alla terapia; però ora mi chiedo, che mi succede? Come posso uscire da tutto questo?
Grazie per aver scritto con tanta apertura, si sente che non è stato facile mettere tutto nero su bianco, eppure lo hai fatto, e questo è già un gesto importante, che merita cura e rispetto.
Hai vissuto un dolore profondo, lungo, complesso...Hai visto due persone a te care – tua madre e tuo zio – spegnersi lentamente, e non è difficile immaginare il senso di ingiustizia che puoi aver provato. Non è solo la perdita in sé, è tutto quello che l’ha accompagnata: la sofferenza, l’impotenza, e poi il vuoto che resta quando tutto è finito e la vita sembra andare avanti come se niente fosse. Solo che per te non va avanti: ti sei ritrovata lì, "congelata" in quel buio, e anche quando qualcosa di bello è arrivato – tuo figlio – quel buio non se n’è andato davvero.
Quando dici che lui è l’unico che riesce ancora a farti provare qualcosa, si sente quanto amore c’è. Ma anche quanto ti stia aggrappando a lui per restare in piedi, perché tutto il resto sembra vuoto, opaco...Ed è una fatica enorme tenere in piedi tutto da sola, quando dentro si è esausti.
Quello che racconti non è “solo” tristezza. È come se il tuo corpo e la tua mente fossero rimasti fermi in quel tempo del dolore, e facessero fatica a tornare al presente. Questo può succedere quando il lutto è troppo grande, troppo ingiusto, e soprattutto quando non si ha la possibilità di viverlo con qualcuno accanto che possa accogliere tutto: il dolore, la rabbia, il senso di colpa, la solitudine.
Il senso di colpa che provi – quel pensiero fisso “potevo fare di più, avrei dato la mia vita per loro” – è qualcosa che molte persone portano dentro dopo un trauma o un lutto. Non perché siano davvero responsabili, ma perché è il modo in cui le persone cercano un senso in qualcosa che non ne ha. Ma questo senso di colpa ti tiene inchiodata in un passato che non riesce a diventare memoria.
Mi ha colpito tanto anche quello che dici sulla tua laurea, sulla maternità, su tutti quei momenti che avrebbero dovuto emozionarti e invece ti hanno lasciato con la sensazione di “manca qualcosa… mancano loro”. È normale sentirsi così, dopo certe perdite, ma non deve diventare per forza la tua condanna.
Hai chiesto aiuto in passato, e non ti sei sentita capita, ed è comprensibile che questo ti abbia fatto chiudere: è molto difficile riaprirsi, affidarsi di nuovo. Però il fatto che oggi ti stai facendo delle domande, che stai cercando di capire cosa ti sta succedendo è un segnale che qualcosa dentro di te sta chiedendo spazio... Forse non per “risolvere tutto”, ma almeno per cominciare a respirare di nuovo.
Quello che stai vivendo ha un nome, e non sei l’unica ad attraversarlo: è una forma di trauma che può avere radici profonde e durare a lungo, se non viene ascoltato nel modo giusto. Ma non è per sempre: esistono percorsi – fatti con calma, rispetto, e con una guida adatta a te – che possono aiutarti a ritrovare un po’ di luce, a sentire di nuovo qualcosa che sia solo per te, non solo attraverso tuo figlio.
Non devi farcela da sola. Nessuno dovrebbe. Se vuoi, possiamo provare insieme a capire quale può essere un primo passo, anche piccolo. Non serve avere già tutta la forza adesso. Basta iniziare. E tu l’hai già fatto scrivendo qui.
Se dovessi aver piacere di parlarne insieme, sono a completa disposizione.
Ti auguro il meglio intanto,
Dott.ssa Lara De Feo.
Hai vissuto un dolore profondo, lungo, complesso...Hai visto due persone a te care – tua madre e tuo zio – spegnersi lentamente, e non è difficile immaginare il senso di ingiustizia che puoi aver provato. Non è solo la perdita in sé, è tutto quello che l’ha accompagnata: la sofferenza, l’impotenza, e poi il vuoto che resta quando tutto è finito e la vita sembra andare avanti come se niente fosse. Solo che per te non va avanti: ti sei ritrovata lì, "congelata" in quel buio, e anche quando qualcosa di bello è arrivato – tuo figlio – quel buio non se n’è andato davvero.
Quando dici che lui è l’unico che riesce ancora a farti provare qualcosa, si sente quanto amore c’è. Ma anche quanto ti stia aggrappando a lui per restare in piedi, perché tutto il resto sembra vuoto, opaco...Ed è una fatica enorme tenere in piedi tutto da sola, quando dentro si è esausti.
Quello che racconti non è “solo” tristezza. È come se il tuo corpo e la tua mente fossero rimasti fermi in quel tempo del dolore, e facessero fatica a tornare al presente. Questo può succedere quando il lutto è troppo grande, troppo ingiusto, e soprattutto quando non si ha la possibilità di viverlo con qualcuno accanto che possa accogliere tutto: il dolore, la rabbia, il senso di colpa, la solitudine.
Il senso di colpa che provi – quel pensiero fisso “potevo fare di più, avrei dato la mia vita per loro” – è qualcosa che molte persone portano dentro dopo un trauma o un lutto. Non perché siano davvero responsabili, ma perché è il modo in cui le persone cercano un senso in qualcosa che non ne ha. Ma questo senso di colpa ti tiene inchiodata in un passato che non riesce a diventare memoria.
Mi ha colpito tanto anche quello che dici sulla tua laurea, sulla maternità, su tutti quei momenti che avrebbero dovuto emozionarti e invece ti hanno lasciato con la sensazione di “manca qualcosa… mancano loro”. È normale sentirsi così, dopo certe perdite, ma non deve diventare per forza la tua condanna.
Hai chiesto aiuto in passato, e non ti sei sentita capita, ed è comprensibile che questo ti abbia fatto chiudere: è molto difficile riaprirsi, affidarsi di nuovo. Però il fatto che oggi ti stai facendo delle domande, che stai cercando di capire cosa ti sta succedendo è un segnale che qualcosa dentro di te sta chiedendo spazio... Forse non per “risolvere tutto”, ma almeno per cominciare a respirare di nuovo.
Quello che stai vivendo ha un nome, e non sei l’unica ad attraversarlo: è una forma di trauma che può avere radici profonde e durare a lungo, se non viene ascoltato nel modo giusto. Ma non è per sempre: esistono percorsi – fatti con calma, rispetto, e con una guida adatta a te – che possono aiutarti a ritrovare un po’ di luce, a sentire di nuovo qualcosa che sia solo per te, non solo attraverso tuo figlio.
Non devi farcela da sola. Nessuno dovrebbe. Se vuoi, possiamo provare insieme a capire quale può essere un primo passo, anche piccolo. Non serve avere già tutta la forza adesso. Basta iniziare. E tu l’hai già fatto scrivendo qui.
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Ti ringrazio profondamente per aver condiviso con tanto coraggio e autenticità la tua storia. Le parole che usi sono intrise di dolore, ma anche della forza silenziosa di chi continua a vivere, nonostante tutto. Leggerti è come entrare in una stanza piena di amore, di assenza, di desiderio di tornare a sentire qualcosa che non sia solo fatica e senso di colpa. Il dolore che hai attraversato – e che in parte stai ancora attraversando – è di quelli che non si misurano solo con il tempo trascorso. Quando si perdono più figure significative nel giro di poco tempo, e quando questo accade in condizioni così ingiuste e logoranti, è come se il mondo interiore si spezzasse in frammenti che non si sa più come ricomporre. La morte di tua madre e di tuo zio non sono eventi del passato: abitano ancora il tuo presente, e sembra che abbiano lasciato dentro di te un vuoto che nessuna gioia riesce più a colmare.
Nel tuo racconto affiorano due grandi forze: da una parte, l’amore potente e vitale per tuo figlio, che ti àncora alla vita e ti regala ancora emozioni autentiche, dall’altra, il senso di paralisi emotiva, come se il dolore passato avesse assorbito ogni altra possibilità di sentire.
Quello che descrivi è un lutto complesso e non elaborato, che nel tempo si è trasformato in una forma di malinconia e tristezza persistente, forse aggravata dai sintomi che descrivi. Tutti segnali che il tuo corpo e la tua psiche stanno cercando da anni di dirti una cosa semplice ma profonda: “da sola non ce la faccio più”.
È importante sapere che questo non è “un difetto”, ma una richiesta d’aiuto che ha bisogno di uno spazio nuovo, diverso da quello in cui forse in passato non ti sei sentita compresa. Quando dici di non essere riuscita ad affidarti alle persone che avevi accanto, compreso il tuo compagno e gli specialisti consultati, stai parlando di una rottura nel legame di fiducia che è essenziale per potersi sentire sostenuti. Ma il fatto che oggi, con tutta la fatica che porti, tu riesca a porre la domanda “che mi succede?”, è già una porta che si riapre.
Ti succede che sei rimasta congelata in un tempo di dolore che ha bisogno di parole, ascolto, cura.
Il tuo cervello, come dici tu, si inceppa non perché sei sbagliata o fragile, ma perché è esausto di reggere tutto da sola. Il tuo corpo si protegge, si ritira, si allerta, ma non sta cercando di punirti: sta solo tentando, con gli strumenti che ha, di farti capire che hai bisogno di essere accolta, vista, aiutata davvero.
Come psicologa, il mio invito più autentico è questo: prova a riaprire quello spazio che avevi chiuso alla terapia. Ma fallo a modo tuo. Cerca qualcuno con cui senti da subito che puoi respirare, che non ti giudica, che non ti riduce a una diagnosi o a una spiegazione. Qualcuno che non ti faccia sentire sbagliata per il fatto di non provare più gioia, ma che ti accompagni a capire che le emozioni si possono riaccendere solo quando si è accolti, non forzati.
Non si tratta di “tornare quella di prima”, ma di iniziare a diventare, con gentilezza, quella che sei oggi: una donna che ha attraversato la tempesta, che è madre, che ha studiato, che ama profondamente ma che ha smesso di sentirsi viva. È da qui che si può ricominciare.
Se vorrai, ci sono percorsi anche brevi ma intensi che lavorano proprio su lutto, trauma emotivo e blocchi nel sentire. A volte bastano pochi incontri per iniziare a respirare di nuovo. Non per “guarire subito”, ma per smettere di combattere da sola.
Nel tuo racconto affiorano due grandi forze: da una parte, l’amore potente e vitale per tuo figlio, che ti àncora alla vita e ti regala ancora emozioni autentiche, dall’altra, il senso di paralisi emotiva, come se il dolore passato avesse assorbito ogni altra possibilità di sentire.
Quello che descrivi è un lutto complesso e non elaborato, che nel tempo si è trasformato in una forma di malinconia e tristezza persistente, forse aggravata dai sintomi che descrivi. Tutti segnali che il tuo corpo e la tua psiche stanno cercando da anni di dirti una cosa semplice ma profonda: “da sola non ce la faccio più”.
È importante sapere che questo non è “un difetto”, ma una richiesta d’aiuto che ha bisogno di uno spazio nuovo, diverso da quello in cui forse in passato non ti sei sentita compresa. Quando dici di non essere riuscita ad affidarti alle persone che avevi accanto, compreso il tuo compagno e gli specialisti consultati, stai parlando di una rottura nel legame di fiducia che è essenziale per potersi sentire sostenuti. Ma il fatto che oggi, con tutta la fatica che porti, tu riesca a porre la domanda “che mi succede?”, è già una porta che si riapre.
Ti succede che sei rimasta congelata in un tempo di dolore che ha bisogno di parole, ascolto, cura.
Il tuo cervello, come dici tu, si inceppa non perché sei sbagliata o fragile, ma perché è esausto di reggere tutto da sola. Il tuo corpo si protegge, si ritira, si allerta, ma non sta cercando di punirti: sta solo tentando, con gli strumenti che ha, di farti capire che hai bisogno di essere accolta, vista, aiutata davvero.
Come psicologa, il mio invito più autentico è questo: prova a riaprire quello spazio che avevi chiuso alla terapia. Ma fallo a modo tuo. Cerca qualcuno con cui senti da subito che puoi respirare, che non ti giudica, che non ti riduce a una diagnosi o a una spiegazione. Qualcuno che non ti faccia sentire sbagliata per il fatto di non provare più gioia, ma che ti accompagni a capire che le emozioni si possono riaccendere solo quando si è accolti, non forzati.
Non si tratta di “tornare quella di prima”, ma di iniziare a diventare, con gentilezza, quella che sei oggi: una donna che ha attraversato la tempesta, che è madre, che ha studiato, che ama profondamente ma che ha smesso di sentirsi viva. È da qui che si può ricominciare.
Se vorrai, ci sono percorsi anche brevi ma intensi che lavorano proprio su lutto, trauma emotivo e blocchi nel sentire. A volte bastano pochi incontri per iniziare a respirare di nuovo. Non per “guarire subito”, ma per smettere di combattere da sola.
Buonasera, mi rendo conto che ha tanto dolore dentro, che non ha avuto modo di poter metabolizzare a tempo debito. Il lutto in sé è un processo graduale e che consta di varie fasi e da ciò che lei racconta, sembra non essere riuscita ad attraversarle con il tempo e modo adeguato. L'arrivo del suo bambino ha certamente aiutato a distogliere momentaneamente lo "sguardo" dal dolore delle sue due perdite, ma certamente non ha potuto sostituirlo. Probabilmente lei ha solo spostato il suo focus, ma il fatto di non aver avuto modo di affrontare quel dolore e di accoglierlo, le fa sembrare addirittura di essere stata "manchevole" in qualche cosa, aumentando un senso di colpa che si rafforza sempre di più e allo stesso tempo, quest'ultimo, le fa credere che lei non possa più concedersi di provare gioia o emozioni positive, perché il senso di colpa aumenterebbe ancora di più.
Le auguro che decida di darsi un'altra possibilità per accogliere tutto quel dolore, con la terapia e di ritrovare finalmente un nuovo equilibrio per se stessa e per la sua famiglia.
Le auguro che decida di darsi un'altra possibilità per accogliere tutto quel dolore, con la terapia e di ritrovare finalmente un nuovo equilibrio per se stessa e per la sua famiglia.
Buongiorno, leggere le sue parole permette di percepire subito la profondità e la fatica che sta portando con sé da tanto tempo. Quello che racconta non è solo dolore, ma è anche un atto di grande coraggio: scrivere, dare forma a questi pensieri, cercare di capire che cosa le stia succedendo significa già fare un passo verso un cambiamento, anche se in questo momento può sembrare impercettibile. Lei ha attraversato eventi che lasciano segni molto profondi, e non è strano che il suo corpo e la sua mente non riescano più a tornare come prima. Non è un segno di debolezza, ma la reazione di chi ha dovuto reggere troppo, per troppo tempo, da sola. Quando si vivono perdite così dolorose, soprattutto in modo così ingiusto e traumatico come nel caso di suo zio e di sua madre, spesso non è solo il lutto in sé a lasciare una ferita, ma anche tutto ciò che si intreccia intorno: la fatica di vederli soffrire, il senso di impotenza, la rabbia per quello che non ha potuto controllare, la solitudine di non aver potuto contare su chi avrebbe dovuto esserci. In più lei si è trovata a reggere il dolore degli altri e il suo, senza tregua. È comprensibile che ora senta come se qualcosa dentro fosse rimasto congelato, fermo nel tempo. Il senso di colpa di cui parla è uno dei pesi più difficili da sciogliere: nasce dall’illusione, molto umana, di poter avere un potere su eventi che in realtà nessuno può controllare. È come se una parte di lei, per dare un senso a tanto dolore, preferisse dirsi “avrei potuto fare di più” piuttosto che accettare che certe ingiustizie succedono anche se si fa tutto il possibile. Il suo amore per suo zio e sua madre non si misura in ciò che è riuscita o meno a fare, ma in tutto quello che è stata per loro mentre erano vivi. Anche il fatto di sentire che l’unico luogo sicuro e vivo sia suo figlio è molto comprensibile. Un bambino piccolo porta con sé una forza vitale straordinaria, ma allo stesso tempo rischia di diventare l’unico canale per provare ancora qualcosa. È un legame bellissimo, ma se si regge solo su questo può diventare una gabbia, perché non lascia spazio a lei come persona, donna, figlia, compagna. È come se tutta la sua energia fosse data a lui, e per sé non ne restasse più. I sintomi che descrive, come la paura degli spazi chiusi, l’evitamento dei luoghi lontani, il bisogno di avere sempre una via di fuga, sono segnali che il suo corpo continua a stare in uno stato di allerta. È come se dentro di lei fosse rimasto attivo un allarme che non si spegne mai, un allarme che le dice che il mondo non è sicuro e che qualcosa di brutto potrebbe accadere da un momento all’altro. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, è importante sapere che tutto questo si può affrontare, anche se può sembrare impossibile. Non c’è una bacchetta magica, ma ci sono strumenti concreti per lavorare su questi pensieri di colpa, per dare un senso diverso ai ricordi dolorosi e per aiutare la sua mente e il suo corpo a tornare in uno stato di maggiore calma. Probabilmente ha bisogno di ripensare la terapia, ma in un contesto che la faccia sentire accolta e ascoltata per davvero. Capita spesso che i primi tentativi non vadano a buon fine, soprattutto quando ci si sente già molto soli e incompresi. Ma non tutti i percorsi sono uguali, non tutti i terapeuti sono uguali. Può cercare uno specialista con esperienza nel lavoro sul trauma e nel trattamento dei sintomi di ansia e depressione, qualcuno con cui costruire piano piano un’alleanza di fiducia, dove possa portare tutto questo dolore senza sentirsi giudicata o respinta. È anche utile sapere che esistono approcci integrati che possono aiutare non solo a parlare, ma anche a sciogliere nel corpo quelle tensioni che la bloccano: ad esempio tecniche di rilassamento, di respirazione, di esposizione graduale per affrontare la paura degli spazi chiusi. Sono tutti strumenti pratici che, se accompagnati da una relazione di fiducia, possono ridarle un po’ di libertà. Lei non è sbagliata. Non è colpa sua se ora sente di non provare più emozioni per nulla, se non per suo figlio. È una forma di difesa che la sua mente e il suo corpo hanno messo in atto per proteggerla da un dolore troppo grande. Ma ora è possibile, con i giusti tempi e strumenti, riaprire uno spazio anche per se stessa, senza sentirsi ingrata verso chi non c’è più. Un passo concreto che potrebbe fare è parlare con il suo medico di base o con un professionista di fiducia per valutare insieme come riprendere un percorso terapeutico. Se dovesse sentire di non farcela da sola, non esiti a cercare aiuto: non deve portare questo peso da sola. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Gentile utente credo che un percorso di supporto psicologico potrebbe aiutarla in questo momento. Sono uno psiconcologo e sarei felice di accompagnarla in questo percorso.
Se dovesse avere dei dubbi, può contattarmi premendo il tasto 'messaggio' sul mio profilo.
Resto a disposizione attraverso consulenze online.
Dott. Luca Rochdi
Se dovesse avere dei dubbi, può contattarmi premendo il tasto 'messaggio' sul mio profilo.
Resto a disposizione attraverso consulenze online.
Dott. Luca Rochdi
Salve , mi spiace molto per la sua sofferenza.
L’indicazione più importante che posso darle é di rivalutare la possibilità di farsi seguire da un professionista psicologo/terapeuta.
È frustrante non sentirsi capiti e non riuscire a stabilire un buon legame terapeutico però posso assicurarle che per quanto complesso é in realtà tranquillamente possibile ed occorre tentare fino a trovare la persona giusta.
Posso garantirle che lo sentirá praticamente subito se c’è feeling o meno.
Dopotutto…. Quello che ha da guadagnare (ritrovare la sua salute mentale e benessere , per lei , suo figlio , il suo compagno e le persone a cui vuole bene ) credo sia infinitamente più grande di quello che ha da perdere… (qualche ora ed un piccolo investimento economico).
Dopotutto si sta parlando della sua vita.
Per qualsiasi info resto a disposizione.
Buone cose, dott. Marziani
L’indicazione più importante che posso darle é di rivalutare la possibilità di farsi seguire da un professionista psicologo/terapeuta.
È frustrante non sentirsi capiti e non riuscire a stabilire un buon legame terapeutico però posso assicurarle che per quanto complesso é in realtà tranquillamente possibile ed occorre tentare fino a trovare la persona giusta.
Posso garantirle che lo sentirá praticamente subito se c’è feeling o meno.
Dopotutto…. Quello che ha da guadagnare (ritrovare la sua salute mentale e benessere , per lei , suo figlio , il suo compagno e le persone a cui vuole bene ) credo sia infinitamente più grande di quello che ha da perdere… (qualche ora ed un piccolo investimento economico).
Dopotutto si sta parlando della sua vita.
Per qualsiasi info resto a disposizione.
Buone cose, dott. Marziani
Salve, mi dispiace per il suo disagio. Affrontare il lutto non è semplice, non lo è ancora di più se chi muore, muore per malattie gravi e debilitanti. Ogni persona può essere mentalmente, emotivamente, fisicamente scossa da eventi del genere. Per questo è fondamentale rivolgersi ad un professionista, specie perché il suo disagio va avanti da tempo e chi se ne può occupare sono i professionisti della salute mentale.
Cordiali saluti.
Cordiali saluti.
Cara utente,
prima di tutto desidero dirti che le tue parole trasmettono con grande chiarezza e intensità quanto tu stia soffrendo, e quanto tu sia allo stesso tempo una persona forte, capace di amare profondamente, come dimostra l’immenso legame con tuo figlio.
Quello che descrivi è il risultato di un dolore molto complesso e stratificato: hai vissuto esperienze traumatiche importanti, come la lunga malattia e la perdita di persone fondamentali per te (tuo zio e tua madre), e hai dovuto affrontare anche una depressione post-partum. Il senso di colpa, la mancanza di emozioni, la paura degli spazi chiusi, l’evitamento dei luoghi lontani da casa, sono tutti segnali che raccontano quanto il tuo sistema emotivo sia ancora bloccato in una sofferenza non elaborata.
Spesso, dopo traumi importanti, il cervello resta “incastrato” in circuiti di dolore, rimpianto e paura, e diventa difficile tornare a sentire piacere, gioia o speranza. Il fatto che tu riesca a provare emozioni verso tuo figlio è un segnale prezioso: significa che dentro di te la capacità di sentire e di amare è ancora viva, anche se al momento sembra circoscritta a lui.
Il tuo bisogno di avere vicino tua madre nel periodo delicato della maternità è stato naturale e umano, e il suo non esserci stato ha probabilmente intensificato il senso di solitudine e la ferita dell’abbandono. È anche possibile che il tuo attuale malessere abbia a che fare con un Disturbo Post-Traumatico da Stress Complesso o con una depressione persistente, condizioni che possono legarsi strettamente alle esperienze di lutto traumatico e perdita.
La chiusura verso la terapia che hai avuto in passato è comprensibile: quando ci si sente incomprese, il dolore può diventare ancora più grande. Ma ciò non significa che non possa esserci una strada diversa oggi. Gli strumenti terapeutici sono molti (terapia cognitivo-comportamentale, EMDR per l’elaborazione dei traumi, mindfulness, terapia farmacologica se necessaria) e possono davvero aiutarti a sciogliere i nodi che ti imprigionano.
Quello che ti sta succedendo non è colpa tua: il trauma e la depressione non sono una questione di volontà o debolezza, ma di processi neurobiologici ed emotivi che vanno trattati con delicatezza e cura. Non devi affrontare tutto questo da sola. È possibile, poco alla volta, tornare a vivere e a provare piacere, anche se ora ti sembra impossibile.
Sarebbe utile e consigliato per approfondire e ricevere un aiuto mirato rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
prima di tutto desidero dirti che le tue parole trasmettono con grande chiarezza e intensità quanto tu stia soffrendo, e quanto tu sia allo stesso tempo una persona forte, capace di amare profondamente, come dimostra l’immenso legame con tuo figlio.
Quello che descrivi è il risultato di un dolore molto complesso e stratificato: hai vissuto esperienze traumatiche importanti, come la lunga malattia e la perdita di persone fondamentali per te (tuo zio e tua madre), e hai dovuto affrontare anche una depressione post-partum. Il senso di colpa, la mancanza di emozioni, la paura degli spazi chiusi, l’evitamento dei luoghi lontani da casa, sono tutti segnali che raccontano quanto il tuo sistema emotivo sia ancora bloccato in una sofferenza non elaborata.
Spesso, dopo traumi importanti, il cervello resta “incastrato” in circuiti di dolore, rimpianto e paura, e diventa difficile tornare a sentire piacere, gioia o speranza. Il fatto che tu riesca a provare emozioni verso tuo figlio è un segnale prezioso: significa che dentro di te la capacità di sentire e di amare è ancora viva, anche se al momento sembra circoscritta a lui.
Il tuo bisogno di avere vicino tua madre nel periodo delicato della maternità è stato naturale e umano, e il suo non esserci stato ha probabilmente intensificato il senso di solitudine e la ferita dell’abbandono. È anche possibile che il tuo attuale malessere abbia a che fare con un Disturbo Post-Traumatico da Stress Complesso o con una depressione persistente, condizioni che possono legarsi strettamente alle esperienze di lutto traumatico e perdita.
La chiusura verso la terapia che hai avuto in passato è comprensibile: quando ci si sente incomprese, il dolore può diventare ancora più grande. Ma ciò non significa che non possa esserci una strada diversa oggi. Gli strumenti terapeutici sono molti (terapia cognitivo-comportamentale, EMDR per l’elaborazione dei traumi, mindfulness, terapia farmacologica se necessaria) e possono davvero aiutarti a sciogliere i nodi che ti imprigionano.
Quello che ti sta succedendo non è colpa tua: il trauma e la depressione non sono una questione di volontà o debolezza, ma di processi neurobiologici ed emotivi che vanno trattati con delicatezza e cura. Non devi affrontare tutto questo da sola. È possibile, poco alla volta, tornare a vivere e a provare piacere, anche se ora ti sembra impossibile.
Sarebbe utile e consigliato per approfondire e ricevere un aiuto mirato rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Buongiorno,
ha vissuto esperienze dolorose che sembrano non essere state elaborate e che mantengono viva la sua sofferenza. Non è mai facile cominciare un percorso di psicoterapia, ma da soli è più difficile uscirne. Ci sono terapeuti specializzati nel superamento del lutto e della depressione. Potrebbe beneficiare della tecnica EMDR. Credo sia il momento di riaprire la porta della terapia.
ha vissuto esperienze dolorose che sembrano non essere state elaborate e che mantengono viva la sua sofferenza. Non è mai facile cominciare un percorso di psicoterapia, ma da soli è più difficile uscirne. Ci sono terapeuti specializzati nel superamento del lutto e della depressione. Potrebbe beneficiare della tecnica EMDR. Credo sia il momento di riaprire la porta della terapia.
Quello che lei racconta è un dolore profondo che non ha ancora trovato un modo per trasformarsi, per essere attraversato davvero. Ha vissuto perdite traumatiche e lente, in cui ha visto spegnersi due figure fondamentali della sua vita, sentendosi impotente, forse anche tradita dalla vita stessa. In questi casi è molto difficile riuscire a separarsi dal dolore, perché si ha la sensazione che lasciarlo andare significhi perdere definitivamente chi non c’è più. E allora si rimane lì, bloccati in un tempo che non passa, come se la vita fosse sospesa. Suo figlio è oggi l’unico spazio dove sembra ancora possibile sentire qualcosa, e anche questo è comprensibile, è il luogo in cui qualcosa della vita ha fatto irruzione di nuovo, ma è anche il modo in cui lei si ancora al senso, mentre tutto il resto appare vuoto. La colpa che prova, quel pensiero costante di non aver fatto abbastanza, di non meritare forse di andare avanti, pesa come un debito mai saldato, ma forse è proprio questa colpa che la lega ancora a chi ha perso, come se provare gioia o piacere oggi volesse dire dimenticarli. Anche il corpo le sta parlando, l’angoscia, la paura degli spazi chiusi, l’impossibilità di allontanarsi da casa, sono modi con cui il suo dolore si esprime. Ma lei continua a cercare, a lavorare, a porsi domande. E già questo è importante. Si chiede cosa le stia succedendo, e forse questa è la domanda giusta da cui partire, non per trovare risposte definitive, ma per iniziare a dare parola a ciò che finora ha potuto solo essere sofferto. Se in passato non si è sentita capita in terapia, è stato sicuramente molto difficile, ma oggi qualcosa in lei sembra pronto a riprovare, a cercare un altro modo per non restare sola in tutto questo. Forse uno spazio in cui possa raccontarsi, senza giudizio né fretta, potrebbe aiutarla a dare un altro senso a ciò che sta vivendo, e a capire, con i suoi tempi, come tornare a vivere anche per sé, non solo attraverso suo figlio.
Buongiorno gentile Utente, leggendo le sue parole si coglie con molta chiarezza quanto stia affrontando da anni una sofferenza profonda, stratificata, che ha lasciato cicatrici tanto nel suo mondo interiore quanto nella sua vita quotidiana. Le sue esperienze sono segnate da un dolore autentico, e ciò che mi colpisce è la lucidità e la forza con cui riesce a raccontarle. A volte la forza non è quella di chi “sta bene”, ma di chi nonostante tutto continua a cercare risposte, continua a domandarsi come uscire dal buio. E questo, anche se non sembra, è già un movimento vitale importante.
Il lutto che ha vissuto non è stato un semplice evento, ma una vera e propria frattura emotiva che ha scosso molte fondamenta del suo essere. Ha dovuto affrontare due perdite gravissime in tempi ravvicinati, e lo ha fatto mentre si prendeva cura, anche concretamente, delle persone che amava. In questi contesti la psiche spesso reagisce non potendo elaborare davvero ciò che è accaduto: si va avanti per sopravvivere, per dovere, per amore, ma dentro qualcosa si blocca. Quel senso di colpa che la tormenta non è raro in questi casi. Tende ad attecchire proprio nelle persone che hanno amato molto e che avrebbero voluto fare l’impossibile per proteggere chi avevano accanto.
La nascita di suo figlio, che lei descrive come un miracolo, sembra essere stata una rinascita possibile, ma anche qui il dolore ha lasciato un’ombra. La depressione post parto non capita mai “a caso” e in certi vissuti si intreccia con le ferite non elaborate, come se il bisogno di sua madre (così forte e umano) fosse diventato insostenibile proprio nel momento in cui sarebbe stata per lei una figura insostituibile.
La difficoltà che descrive nel provare emozioni, il senso di distacco dal mondo, l’evitamento degli spazi, la fatica a trovare senso anche nelle cose “buone” della vita, fanno pensare che lei stia convivendo con un lutto complesso, non elaborato, probabilmente associato a un quadro depressivo cronico che si è trasformato negli anni, anche in manifestazioni ansiose e somatiche.
Quello che sta vivendo non è una colpa, non è una debolezza, e non è nemmeno un “difetto da correggere”. È la conseguenza logica e naturale di ciò che ha attraversato. La sua psiche si è chiusa a protezione, come un animale ferito che si ritrae, perché il dolore è stato troppo e troppo a lungo. Ma proprio in questa sofferenza si intravede ancora la capacità di cercare, di voler comprendere, di chiedere “come posso uscirne?”.
Ciò che può aiutarla oggi è un percorso che non sia solo una “cura dei sintomi”, ma che possa davvero accompagnarla a dare significato, tempo e ascolto a tutto ciò che è rimasto sospeso. In una psicoterapia integrata basata sulle evidenze, come quella che pratico, si lavora esattamente così: con rispetto per la storia unica di ciascuno, con attenzione alla persona e ai suoi tempi, integrando approcci clinici efficaci per sciogliere i blocchi, rielaborare i vissuti e ritrovare una forma più viva di contatto con se stessi.
Il fatto che in passato non si sia sentita capita non significa che la terapia non possa funzionare, ma forse che non ha ancora trovato lo spazio giusto, lo stile e l’approccio che potesse risuonare con la sua storia. Questo non è colpa sua, né un fallimento: è purtroppo una cosa che accade. Ma il suo bisogno di capire, oggi, potrebbe essere il momento giusto per riaprire, con cautela e senza forzature, quella porta.
Lei non è sola, anche se può sembrarlo. La sofferenza che descrive può essere affrontata, curata e attraversata con gli strumenti giusti. Il dolore non scompare, ma può trasformarsi. E anche il vuoto, con il tempo e il giusto accompagnamento, può diventare spazio per qualcosa di nuovo.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Il lutto che ha vissuto non è stato un semplice evento, ma una vera e propria frattura emotiva che ha scosso molte fondamenta del suo essere. Ha dovuto affrontare due perdite gravissime in tempi ravvicinati, e lo ha fatto mentre si prendeva cura, anche concretamente, delle persone che amava. In questi contesti la psiche spesso reagisce non potendo elaborare davvero ciò che è accaduto: si va avanti per sopravvivere, per dovere, per amore, ma dentro qualcosa si blocca. Quel senso di colpa che la tormenta non è raro in questi casi. Tende ad attecchire proprio nelle persone che hanno amato molto e che avrebbero voluto fare l’impossibile per proteggere chi avevano accanto.
La nascita di suo figlio, che lei descrive come un miracolo, sembra essere stata una rinascita possibile, ma anche qui il dolore ha lasciato un’ombra. La depressione post parto non capita mai “a caso” e in certi vissuti si intreccia con le ferite non elaborate, come se il bisogno di sua madre (così forte e umano) fosse diventato insostenibile proprio nel momento in cui sarebbe stata per lei una figura insostituibile.
La difficoltà che descrive nel provare emozioni, il senso di distacco dal mondo, l’evitamento degli spazi, la fatica a trovare senso anche nelle cose “buone” della vita, fanno pensare che lei stia convivendo con un lutto complesso, non elaborato, probabilmente associato a un quadro depressivo cronico che si è trasformato negli anni, anche in manifestazioni ansiose e somatiche.
Quello che sta vivendo non è una colpa, non è una debolezza, e non è nemmeno un “difetto da correggere”. È la conseguenza logica e naturale di ciò che ha attraversato. La sua psiche si è chiusa a protezione, come un animale ferito che si ritrae, perché il dolore è stato troppo e troppo a lungo. Ma proprio in questa sofferenza si intravede ancora la capacità di cercare, di voler comprendere, di chiedere “come posso uscirne?”.
Ciò che può aiutarla oggi è un percorso che non sia solo una “cura dei sintomi”, ma che possa davvero accompagnarla a dare significato, tempo e ascolto a tutto ciò che è rimasto sospeso. In una psicoterapia integrata basata sulle evidenze, come quella che pratico, si lavora esattamente così: con rispetto per la storia unica di ciascuno, con attenzione alla persona e ai suoi tempi, integrando approcci clinici efficaci per sciogliere i blocchi, rielaborare i vissuti e ritrovare una forma più viva di contatto con se stessi.
Il fatto che in passato non si sia sentita capita non significa che la terapia non possa funzionare, ma forse che non ha ancora trovato lo spazio giusto, lo stile e l’approccio che potesse risuonare con la sua storia. Questo non è colpa sua, né un fallimento: è purtroppo una cosa che accade. Ma il suo bisogno di capire, oggi, potrebbe essere il momento giusto per riaprire, con cautela e senza forzature, quella porta.
Lei non è sola, anche se può sembrarlo. La sofferenza che descrive può essere affrontata, curata e attraversata con gli strumenti giusti. Il dolore non scompare, ma può trasformarsi. E anche il vuoto, con il tempo e il giusto accompagnamento, può diventare spazio per qualcosa di nuovo.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Buongiorno! Le sue parole sono arrivate con una forza travolgente e dolorosa. Posso solo provare ad immaginare come si sente. Considerato la delicatezza della situazione e i limiti dello strumento, le offrirò un piccolo contributo di pensiero. Sono preoccupato per lei, sono preoccupato per il suo bambino. La fragilità non è una malattia, ma un diritto. Sembra che la perdita dello zio e della mamma abbiano tolto valore al suo mondo interno, riflettendosi sulla realtà di tutti i giorni. Se “loro non ci sono” forse non resta che “essere come loro”. Ho avuto l’impressione che stia amputando parti sempre più significative della sua vita (la soddisfazione personale, l’orgoglio per sé stessa, le relazioni sociali e sentimentali, il lavoro, la terapia), perché non riesce a fare altrimenti. Ha fatto benissimo a scrivere e dare voce a ciò che prova. Sebbene non me la senta di andare oltre, posso ancora dare qualche indicazione pratica. Nel caso in cui non disponesse delle risorse necessarie per un professionista di fiducia, può rivolgersi al Centro di Salute Mentale più vicino (è sufficiente l’impegnativa del medico di famiglia, ma in urgenza può anche farne a meno) dove troverà personale professionalmente preparato e umanamente dotato. Certo i farmaci funzionano molto bene per alcune cose e meno per altre, quindi sarà lo stesso psichiatra a valutare l’opportunità di una psicoterapia e orientarla in tal senso. Poiché sembra aver perso la speranza, mi lasci avere fiducia in lei e sperare che possa finalmente concedersi la possibilità di affidarsi ad una seconda mente con cui ri-pensare le esperienze più significative, i pensieri più dolorosi, le emozioni più forti. Meritate di vivere una vita piena e serena. Farà male, ma è possibile. In bocca al lupo
Buongiorno, la serie di lutti che l'hanno colpita ha indubbiamente aperto ad un periodo di depressione personale, di abbassamento dell'umore. La depressione post-partum ne è stata una conseguenza. Attualmente mi pare di aver capito che lei si trova a vivere una crisi di ritiro sociale, forse vicino all'agorafobia. Le posso consigliare, anche se l'ha già provato, un percorso di supporto psicologico che vada ad analizzare da dove nasce questo sua incapacità di provare emozioni positive e il perchè di questo costante e all'apparenza inesorabile declino relazionale. Credo che un percorso di analisi possa esserle d'aiuto, impegnadosi e non spaventandosi del tempo che potrebbe servire, perchè il ritrovare sè stessi o dei nuovi noi stessi è un lavoro che vale la pena di intraprendere. Cordiali saluti.
Gentilissima, mi dispiace per la situazione dolorosa che sta vivendo. Lei racconta di avere avuto due perdite importanti nel giro di poco tempo.. e poco dopo ha avuto un bambino. Per quanto le abbia dato "la vita" succede che se ci sono lutti non elaborati, poi la sofferenza si fa sentire sotto tante forme.. E anche la maternità comincia a diventare una "salvezza/fuga" ma poi non si riesce a vivere a pieno, integrando tutti gli aspetti della vita. La sensazione di claustrofobia e di non avere una via di fuga segnala un'angoscia e impotenza che ha vissuto, e che non sono state in qualche modo risolte. Per chi è accanto in queste situazioni è difficile comprendere, servono strumenti e un percorso psicoterapeutico. Il mio invito è quello di cercare uno psicoterapeuta con cui costruire un rapporto di fiducia e poter accogliere la sua sofferenza, e poter anche comunicare la sua paura di non essere capita. Un percorso psicoterapeutico è fondamentale per affrontare questo dolore e angoscia che le imdedisce di vivere
Grazie per aver condiviso tutto questo. Lo hai fatto con una lucidità e una profondità che parlano della tua forza, anche se ora non riesci a vederla. Non c’è niente di “sbagliato” in te. C’è dolore, tanto, accumulato negli anni, che ha trovato rifugio nel tuo corpo e nella tua mente. È come se fossi rimasta sospesa, congelata in un tempo che non passa, dove la vita va avanti, ma tu sei rimasta lì, affacciata a un vuoto che non si colma mai. Hai attraversato esperienze devastanti: la perdita lenta, crudele, ingiusta di tuo zio, poi quella di tua madre, anche lei consumata dal dolore. Due lutti uno dietro l’altro, accompagnati da un senso di impotenza che ti si è incollato addosso. E poi, in mezzo a tutto questo, la nascita di tuo figlio, che è luce e vita, ma che è arrivata mentre dentro avevi ancora ferite aperte, profonde, che nessuno ha saputo accogliere nel modo in cui tu avresti avuto bisogno. È normale che il tuo corpo reagisca con ansia, che lo spazio si restringa, che tu senta la necessità di fuggire o di avere vie di fuga. Non è “pazzia”, è una forma di sopravvivenza. Stai vivendo da anni con il freno a mano tirato, con una parte di te che non riesce più a lasciarsi andare, per paura di perdere ancora, per paura che tutto quello che provi possa ferirti di nuovo. Non sei fredda, non sei vuota: sei esausta. Ed è stancante ogni giorno portare dentro tutto questo, fare finta di funzionare, cercare di essere tutto per tuo figlio mentre dentro senti di non esserci più. Ma c’è una cosa importante: tu lo stai scrivendo. Non ti sei arresa. Vuoi capire, vuoi uscirne, anche se fa paura anche solo chiederlo. Questo è già un primo passo, anche se adesso ti sembra piccolo. Non lo è. È immenso. La terapia può aiutarti, ma va fatta con qualcuno che sappia contenere tutta questa complessità, con delicatezza e rispetto. È comprensibile che tu abbia chiuso quella porta se non ti sei sentita vista davvero. Ma forse puoi riconsiderarla, senza pressioni. Hai bisogno di un luogo dove il tuo dolore possa respirare, dove non debba essere nascosto o spiegato sempre, dove qualcuno stia con te nel buio, senza giudicare e senza fretta. Non devi farcela da sola. Non devi essere forte sempre. E non sei sbagliata perché senti troppo, o perché senti troppo poco. Stai sopravvivendo, e a volte la sopravvivenza spegne le emozioni perché sembrano troppo pericolose. Ma quelle emozioni sono ancora lì, sotto la superficie. E non tutto è perduto. Forse la domanda da porti non è solo "come posso uscirne?", ma anche: “chi può accompagnarmi mentre ci provo?”. E questa, già da sola, è una forma di speranza. Resto qui, se vuoi parlare ancora. Anche solo per alleggerire un po’.
Grazie per aver condiviso con tanta profondità e verità quello che sta vivendo. Come psicoterapeuta, vorrei iniziare dicendole che la sua sofferenza non è "un problema da risolvere", ma un'esperienza umana profondissima che merita spazio, accoglienza e significato. Quello che descrive è un dolore stratificato, che ha radici in perdite multiple e in esperienze traumatiche vissute in un tempo molto ravvicinato. Suo zio, sua madre, la malattia, il lutto, il senso di impotenza, la solitudine, e poi la maternità arrivata forse anche come un’ancora, ma che non è riuscita da sola a tirarti fuori dal mare mosso in cui stavi già lottando. È comprensibile che oggi si senta il respiro corto, non solo fisicamente. Quando dice "avrei voluto dare la mia vita per loro", parla di un amore profondo, ma anche di un vincolo che oggi sembra impedire alla sua vita di andare avanti senza senso di colpa. Il suo corpo che parla attraverso la claustrofobia, gli attacchi d’ansia ed esprime il bisogno di trovare una via di uscita per tutto il dolore che porta dentro. Il legame con suo figlio rappresenta una fonte di vita autentica. È come se tutto l'affetto, la voglia di esserci e di sentirti viva si fosse concentrata su di lui. Questo è bellissimo e vitale, ma al tempo stesso rischia di caricarsi di un peso enorme. Penso che meriterebbe di poter tornare a vivere per te stessa.
Dare significato a tutto questo dolore, mettendolo in parole capire dove il dolore l’ha portata è un modo per dare un senso alla situazione che sta vivendo. Quando il dolore ha un senso, smette di essere una prigione. Ha già avuto esperienze in cui non si è sentita capita e capisco non sia facile affidarsi nuovamente. Questo è un dolore aggiuntivo. Ma non tutte le relazioni terapeutiche sono uguali. Le auguro di trovare uno spazio che sente sicuro e qualcuno che sappia ascoltarla davvero.
Dare significato a tutto questo dolore, mettendolo in parole capire dove il dolore l’ha portata è un modo per dare un senso alla situazione che sta vivendo. Quando il dolore ha un senso, smette di essere una prigione. Ha già avuto esperienze in cui non si è sentita capita e capisco non sia facile affidarsi nuovamente. Questo è un dolore aggiuntivo. Ma non tutte le relazioni terapeutiche sono uguali. Le auguro di trovare uno spazio che sente sicuro e qualcuno che sappia ascoltarla davvero.
Buonasera, leggo il suo disagio e la capisco. Fino ad ora ha tenuto tutto dentro di sé ma forse è arrivato il momento adatto per affrontare eventi che nel passato l'hanno profondamente turbata e cambiata.
Quando affrontiamo perdite come queste non è semplice andare avanti ed elaborarle e senza l'aiuto di un professionista può diventare ancora più difficile da gestire.
Il fatto che non abbia trovato un professionista adatto a lei non deve scoraggiarla, la relazione terapeutica non è una cosa scontata e bisogna essere compatibili con chi abbiamo di fronte per fare sì che il percorso porti suoi frutti. Sono sicura che troverà il coraggio di prendere la strada giusta per fare sì che la sua vita torni a fiorire , anche in onore delle persone care che perduto.
Quando affrontiamo perdite come queste non è semplice andare avanti ed elaborarle e senza l'aiuto di un professionista può diventare ancora più difficile da gestire.
Il fatto che non abbia trovato un professionista adatto a lei non deve scoraggiarla, la relazione terapeutica non è una cosa scontata e bisogna essere compatibili con chi abbiamo di fronte per fare sì che il percorso porti suoi frutti. Sono sicura che troverà il coraggio di prendere la strada giusta per fare sì che la sua vita torni a fiorire , anche in onore delle persone care che perduto.
Buonasera, leggo e percepisco la sua sofferenza.. L'ansia che sta iniziando a provare proviene di sicuro dalle sue paure, dai suoi sensi di colpa e credo, dalla perdita non elaborata dei suoi cari, che avranno significato molto per lei, ma che hanno vissuto il loro percorso di vita, a prescindere da quello che lei pensa abbia potuto fare per loro. La depressione post parto chiedo poi di essere compresa per poterla superare. Può esserle di sicuro utile continuare un percorso psicologico in cui si parli delle sue credenze, in cui i sensi di colpa si radicano, trovare quindi uno spazio tutto suo in cui sentirsi libera di esprimersi e anche conoscersi e amarsi.
Salve Anonima,
mi dispiace per quello che hai passato, non deve essere stato facile.
Mi sento di dirti che hai bisogno di elaborare davvero e bene questi due lutti, gli psicologi, anche se bravi, devono fare al caso nostro.
Tieni conto che con lo psicologo si instaura una relazione, quindi vien da se che quella persona per qualche motivo non sa prenderti, la terapia non è detto funzioni.
Quella che descrivi sembra depressione e ptsd, comunque lutti da elaborare.
I traumi vanno affrontati purtroppo, altrimenti non ti lasciano vivere quando sono così "presenti". Continuare a trascinare questa situazione non penso ti possa portare a una soluzione del problema, fallo per tuo figlio anche.
Il tuo compagno non so come ti abbia fatto sentire ma cerca di avere la forza di iniziare un percorso e far pace col tuo passato, non li devi dimenticare, devi affrontare il dolore, è diverso, se hai bisogno scrivimi.
mi dispiace per quello che hai passato, non deve essere stato facile.
Mi sento di dirti che hai bisogno di elaborare davvero e bene questi due lutti, gli psicologi, anche se bravi, devono fare al caso nostro.
Tieni conto che con lo psicologo si instaura una relazione, quindi vien da se che quella persona per qualche motivo non sa prenderti, la terapia non è detto funzioni.
Quella che descrivi sembra depressione e ptsd, comunque lutti da elaborare.
I traumi vanno affrontati purtroppo, altrimenti non ti lasciano vivere quando sono così "presenti". Continuare a trascinare questa situazione non penso ti possa portare a una soluzione del problema, fallo per tuo figlio anche.
Il tuo compagno non so come ti abbia fatto sentire ma cerca di avere la forza di iniziare un percorso e far pace col tuo passato, non li devi dimenticare, devi affrontare il dolore, è diverso, se hai bisogno scrivimi.
Gentile utente,
lei ci racconta di due lutti importanti e che hanno avuto un decorso difficile. Entrambi hanno e continuano ad avere un grande impatto sulla sua vita quotidiana.
Inoltre la depressione post-parto è stato un momento altrettanto intenso e difficile, accompagnato dal vissuto di dolore che i lutti hanno comportato. Sono tre eventi, questi, che è necessario approfondire per poter alleviare la sofferenza che ci racconta. Comprensibilmente l'esperienza insoddisfacente della terapia precedente può essere un ostacolo ad intraprendere un nuovo percorso, ma il consiglio è di ritentare e cercare un/a professionista che la aiuti a mettere in parola ciò che la fa soffrire.
Un caro saluto e in bocca al lupo
lei ci racconta di due lutti importanti e che hanno avuto un decorso difficile. Entrambi hanno e continuano ad avere un grande impatto sulla sua vita quotidiana.
Inoltre la depressione post-parto è stato un momento altrettanto intenso e difficile, accompagnato dal vissuto di dolore che i lutti hanno comportato. Sono tre eventi, questi, che è necessario approfondire per poter alleviare la sofferenza che ci racconta. Comprensibilmente l'esperienza insoddisfacente della terapia precedente può essere un ostacolo ad intraprendere un nuovo percorso, ma il consiglio è di ritentare e cercare un/a professionista che la aiuti a mettere in parola ciò che la fa soffrire.
Un caro saluto e in bocca al lupo
Buongiorno, Grazie per aver condiviso la sua storia con così tanta sincerità e dolore. Le sue parole arrivano dritte al cuore. Ha vissuto perdite profondissime, situazioni traumatiche e un dolore che si è stratificato nel tempo. E dentro tutto questo, ha trovato la forza di dare la vita, di essere madre, di studiare, di lavorare. Ma questo non significa che stia bene. E lo sa bene anche lei.
Quello che sta vivendo oggi — quel senso di vuoto, di distacco dalle emozioni, l’ansia, l’evitamento degli spazi, la fatica a stare nelle relazioni — non è debolezza. È una risposta profonda e prolungata a traumi non elaborati. È il suo corpo e la sua mente che le stanno dicendo: non ho più spazio dentro per reggere tutto questo da sola.
Ciò che prova ha un nome. Non è "pazzia", non è mancanza di volontà. È dolore che ha bisogno di essere ascoltato, accompagnato, accolto.
Ha già fatto un passo enorme scrivendo queste parole. Non è poco. È una richiesta d’aiuto limpida, chiara, e umanissima.
E il fatto che si sia sentita incompresa da chi ha provato ad aiutarla in passato, è un'altra ferita. Ma non è la fine. Esistono professionisti preparati, anche specializzati nel lutto complicato, nella depressione post-partum, nei traumi familiari. Esistono terapie accoglienti, anche dolci, che non spingono, ma camminano accanto, passo dopo passo. Può essere un percorso diverso, più adatto a lei.
Lei non è sbagliata. Non è rotta. È una donna che ha dato tutto ciò che poteva, e che ora ha diritto di ricevere.
Lei ha ancora molto da vivere, ma non può farlo se continua a vivere solo per resistere. Ha bisogno e ha diritto di rinascere, e questa rinascita può iniziare non facendo di più, ma lasciando finalmente che qualcuno si prenda cura anche di lei.
Io sono qui se vuole continuare a parlare. Anche solo per scrivere. Anche solo per respirare, un pezzetto alla volta. Mi contatti
Dott.ssa Stefania Conti, Psicologa
Quello che sta vivendo oggi — quel senso di vuoto, di distacco dalle emozioni, l’ansia, l’evitamento degli spazi, la fatica a stare nelle relazioni — non è debolezza. È una risposta profonda e prolungata a traumi non elaborati. È il suo corpo e la sua mente che le stanno dicendo: non ho più spazio dentro per reggere tutto questo da sola.
Ciò che prova ha un nome. Non è "pazzia", non è mancanza di volontà. È dolore che ha bisogno di essere ascoltato, accompagnato, accolto.
Ha già fatto un passo enorme scrivendo queste parole. Non è poco. È una richiesta d’aiuto limpida, chiara, e umanissima.
E il fatto che si sia sentita incompresa da chi ha provato ad aiutarla in passato, è un'altra ferita. Ma non è la fine. Esistono professionisti preparati, anche specializzati nel lutto complicato, nella depressione post-partum, nei traumi familiari. Esistono terapie accoglienti, anche dolci, che non spingono, ma camminano accanto, passo dopo passo. Può essere un percorso diverso, più adatto a lei.
Lei non è sbagliata. Non è rotta. È una donna che ha dato tutto ciò che poteva, e che ora ha diritto di ricevere.
Lei ha ancora molto da vivere, ma non può farlo se continua a vivere solo per resistere. Ha bisogno e ha diritto di rinascere, e questa rinascita può iniziare non facendo di più, ma lasciando finalmente che qualcuno si prenda cura anche di lei.
Io sono qui se vuole continuare a parlare. Anche solo per scrivere. Anche solo per respirare, un pezzetto alla volta. Mi contatti
Dott.ssa Stefania Conti, Psicologa
Gentilissima,
Le suggerisco di rivolgersi ad altri professionisti. Una brutta esperienza con un terapeuta non deve precludere la possibilità di intraprendere un intervento. Probabilmente in quel momento Lei stessa non era pronta ad affrontare la sua condizione e ha messo in atto meccanismi di resistenza nei confronti dello/a specialista.
La Sua condizione psichica ed emotiva può compromettere la buona genitorialità e quindi l'interesse e la crescita del suo bambino.
Cordialmente.
Dott.ssa Romano
Le suggerisco di rivolgersi ad altri professionisti. Una brutta esperienza con un terapeuta non deve precludere la possibilità di intraprendere un intervento. Probabilmente in quel momento Lei stessa non era pronta ad affrontare la sua condizione e ha messo in atto meccanismi di resistenza nei confronti dello/a specialista.
La Sua condizione psichica ed emotiva può compromettere la buona genitorialità e quindi l'interesse e la crescita del suo bambino.
Cordialmente.
Dott.ssa Romano
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Gentile utente,
il fatto che si sia presa del tempo per scrivere sul portale potrebbe indicare un ulteriore desiderio e tentativo da parte sua di affidarsi e fidarsi, con l'obiettivo di riprendere in mano la propria storia e provare a stare meglio.
"Uscire da tutto questo" è una possibilità, con dei significati che tramite un percorso con un professionista possono essere guardati con gentilezza e compassione, un poco alla volta. Qualora lo ritenesse un buon momento resto a disposizione per un incontro conoscitivo, online o in presenza se si trova a Brescia o limitrofi
Cordialmente,
dott.ssa SZ
il fatto che si sia presa del tempo per scrivere sul portale potrebbe indicare un ulteriore desiderio e tentativo da parte sua di affidarsi e fidarsi, con l'obiettivo di riprendere in mano la propria storia e provare a stare meglio.
"Uscire da tutto questo" è una possibilità, con dei significati che tramite un percorso con un professionista possono essere guardati con gentilezza e compassione, un poco alla volta. Qualora lo ritenesse un buon momento resto a disposizione per un incontro conoscitivo, online o in presenza se si trova a Brescia o limitrofi
Cordialmente,
dott.ssa SZ
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