Ciao, premetto che questo è solo uno sfogo, ho 27 anni, maschio, con molti anni di terapia alle spal
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Ciao, premetto che questo è solo uno sfogo, ho 27 anni, maschio, con molti anni di terapia alle spalle.
Quando avevo circa 5/6 anni ho subito violenza, e questo purtroppo ha plasmato tutto quello che ho fatto e che sono oggi.
Mi ritengo una persona molto forte, capace di andare avanti anche quando resta solo l'inerzia come unico carburante.
Sono 1 e 80, esteticamente nella media, nel complesso un bel ragazzo, o per lo meno non così brutto.
Nel corso del tempo ho avuto tanti flirt, con tante ragazze, ma che poi non sono mai diventati nient'altro.
Il contatto fisico, credo in seguito a ciò che mi è successo, lo vivo in maniera strana.
Quando mi toccano casualmente, quando mi abbracciano, o quando ho rapporti, il mio corpo è come se si congelasse, e la mia vista sfoca fino a non poter vedere più niente, come uno stato di torpore in cui perdo il controllo dei miei movimenti, e per poterlo riprendere devo concentrarmi intensamente, ma spesso non funziona.
Questo mi porta a non poter godere nemmeno di una carezza le poche volte che mi capita di riceverne.
Ho avuto 3 relazioni nella mia vita, solo 1 ora la considero veramente importante, ed'è con una ragazza a cui avevo pensato di parlare di questa cosa, il che per me a quei tempi sarebbe stato assurdo anche solo da pensare. Comunque, nel momento che stavo per farlo alla fine non sono riuscito. Questo è un problema che mi porto sempre e che in queste situazioni, in cui si sta conoscendo qualcuno, non sò come affrontare. Come si fà a spiegare questa cosa a qualcuno? Un po' la vergogna, un po' la paura che possa dirlo a qualcun altro, o magari anche semplicemente non capirti.
A nessuno và di accollarsi problemi altrui, hanno i loro a cui pensare, come tutti quanti.
Odio il vittimismo e il melodramma, non voglio fare pena a nessuno, è un sentimento orribile da suscitare negli altri.
Sento odore di marcio, sono io che sono sporco, sotto la pelle fino alle ossa, da un po' anche lo spirito, e ho paura sia contagioso, perciò cerco sempre di stare a distanza da tutti, non lo auguro a nessuno.
La cosa che mi fà più arrabbiare è che ci sono 2 possibili motivazioni sul perché sono diventato così.
sono uno studente di oreficeria, da poco ho completato il corso, e a lavoro la ragazza che sta in ufficio mi ha accennato riguardo un anello che avrebbe voluto che le facessi.
È simpatica e molto bella quindi le ho fatto il lavoro senza dirle niente e un giorno, chiedendole prima se volesse che glie lo portassi, glie l'ho dato.
Mi è sembrata contenta, non credo se l'aspettasse, ma è finita lì. Il punto però è un altro, ovvero che dopo averle dato questo "regalo", mi è venuta un po' di malinconia, perché pensavo a quand'è stata l'ultima volta che qualcuno mi ha fatto un regalo.
Non me lo ricordo, l'ultima festa di compleanno che ho festeggiato è stata quella per i miei 17 anni.
Crescendo ho capito di aver fatto, e di fare tutt'ora troppo affidamento sulla buona fede delle persone, ormai noni fido più di nessuno, amici e famiglia compresi, tanto non ho mai raccontato niente di tutto questo a nessuno di loro.
Ho perso la luce che avevo negli occhi, ci penso ogni volta che mi guardo allo specchio, ho lo sguardo di chi non c'è più. Vorrei cambiare aria, andarmene da qualche parte per non sò quanto tempo e scordarmi di tutto. Odio questa città, ma temo sia lo stesso anche altrove.
vorrei riuscirmi a raccontare, ma soprattutto vorrei che a qualcuno importasse così tanto da chiedermelo.
Scusate eventuali errori
Quando avevo circa 5/6 anni ho subito violenza, e questo purtroppo ha plasmato tutto quello che ho fatto e che sono oggi.
Mi ritengo una persona molto forte, capace di andare avanti anche quando resta solo l'inerzia come unico carburante.
Sono 1 e 80, esteticamente nella media, nel complesso un bel ragazzo, o per lo meno non così brutto.
Nel corso del tempo ho avuto tanti flirt, con tante ragazze, ma che poi non sono mai diventati nient'altro.
Il contatto fisico, credo in seguito a ciò che mi è successo, lo vivo in maniera strana.
Quando mi toccano casualmente, quando mi abbracciano, o quando ho rapporti, il mio corpo è come se si congelasse, e la mia vista sfoca fino a non poter vedere più niente, come uno stato di torpore in cui perdo il controllo dei miei movimenti, e per poterlo riprendere devo concentrarmi intensamente, ma spesso non funziona.
Questo mi porta a non poter godere nemmeno di una carezza le poche volte che mi capita di riceverne.
Ho avuto 3 relazioni nella mia vita, solo 1 ora la considero veramente importante, ed'è con una ragazza a cui avevo pensato di parlare di questa cosa, il che per me a quei tempi sarebbe stato assurdo anche solo da pensare. Comunque, nel momento che stavo per farlo alla fine non sono riuscito. Questo è un problema che mi porto sempre e che in queste situazioni, in cui si sta conoscendo qualcuno, non sò come affrontare. Come si fà a spiegare questa cosa a qualcuno? Un po' la vergogna, un po' la paura che possa dirlo a qualcun altro, o magari anche semplicemente non capirti.
A nessuno và di accollarsi problemi altrui, hanno i loro a cui pensare, come tutti quanti.
Odio il vittimismo e il melodramma, non voglio fare pena a nessuno, è un sentimento orribile da suscitare negli altri.
Sento odore di marcio, sono io che sono sporco, sotto la pelle fino alle ossa, da un po' anche lo spirito, e ho paura sia contagioso, perciò cerco sempre di stare a distanza da tutti, non lo auguro a nessuno.
La cosa che mi fà più arrabbiare è che ci sono 2 possibili motivazioni sul perché sono diventato così.
sono uno studente di oreficeria, da poco ho completato il corso, e a lavoro la ragazza che sta in ufficio mi ha accennato riguardo un anello che avrebbe voluto che le facessi.
È simpatica e molto bella quindi le ho fatto il lavoro senza dirle niente e un giorno, chiedendole prima se volesse che glie lo portassi, glie l'ho dato.
Mi è sembrata contenta, non credo se l'aspettasse, ma è finita lì. Il punto però è un altro, ovvero che dopo averle dato questo "regalo", mi è venuta un po' di malinconia, perché pensavo a quand'è stata l'ultima volta che qualcuno mi ha fatto un regalo.
Non me lo ricordo, l'ultima festa di compleanno che ho festeggiato è stata quella per i miei 17 anni.
Crescendo ho capito di aver fatto, e di fare tutt'ora troppo affidamento sulla buona fede delle persone, ormai noni fido più di nessuno, amici e famiglia compresi, tanto non ho mai raccontato niente di tutto questo a nessuno di loro.
Ho perso la luce che avevo negli occhi, ci penso ogni volta che mi guardo allo specchio, ho lo sguardo di chi non c'è più. Vorrei cambiare aria, andarmene da qualche parte per non sò quanto tempo e scordarmi di tutto. Odio questa città, ma temo sia lo stesso anche altrove.
vorrei riuscirmi a raccontare, ma soprattutto vorrei che a qualcuno importasse così tanto da chiedermelo.
Scusate eventuali errori
Gentile utente buonasera.
Grazie per aver condiviso tutto il suo spaccato di vita, che l'ha vista superare prove che nessuno dovrebbe dover affrontare. Grazie soprattutto perché nel farlo ha finalmente abbassato la guardia e raccontato, anche se in anonimato, ciò che non ha mai raccontato a nessuno.
Lei è certamente consapevole di aver subito un importante trauma da bambino che ha condizionato e sta condizionando fortemente la sua vita di relazione. La consapevolezza però non basta a elaborare correttamente quel trauma e liberarla finalmente da quello spettro che si porta dentro da troppo tempo. Ha bisogno di una mano esperta che l'accompagni e le introduca un metodo per guardarsi dentro in modo meno severo e meno giudicante, in modo più compassionevole e gentile. Questo non vuol dire affatto essere meno forte di quello che lei si sente. La vera forza è nel riconoscere di essere stati fragili in certi momenti della vita, come molti bambini a cui è capitato quello che è capitato a lei, ma anche nel sapere che si ha il pieno diritto di ritagliarsi la propria fetta di felicità e di trovare soddisfazione in ogni ambito della vita.
Lei finora ha continuato a tenere quel bambino interiore lontano dalla sofferenza, protetto da tutti i pericoli, da tutte le altre persone. Sta continuando a fare in modo che non possa più capitare che qualcuno la faccia star male, che qualcuno la giudichi o la rimproveri. Ma ovunque andrà, qualsiasi cosa farà nella vita, quel bambino sarà sempre con lei e lei si sentirà in dovere di proteggerlo e nasconderlo al mondo.
In realtà, a lei serve poter comunicare con quel bambino e capire che non c'è più pericolo per lui, quel bambino ora è un uomo che ha imparato sulla propria pelle il valore della vita ed è perfettamente in grado di cavarsela nel mondo, libero da condizionamenti esterni, al sicuro da ogni giudizio, capace di fidarsi ancora delle persone.
La fiducia non si guadagna, la fiducia si concede. Lei deve provare a fidarsi prima o poi e lasciarsi andare, lasciar fluire finalmente le sue emozioni che la stanno corrodendo dall'interno. Se deciderà che questo qualcuno sia una figura di supporto psicologico, avrà anche occasione di aprire nuove finestre di consapevolezza su tutta la sua vita e ampliare le sue prospettive fino a porsi concreti obiettivi di crescita personale.
Se lo desidera sono a disposizione, anche tramite consulenza online, per informazioni su un percorso psicologico adatto alle sue esigenze.
Le auguro il meglio, Dott. Antonio Cortese
Grazie per aver condiviso tutto il suo spaccato di vita, che l'ha vista superare prove che nessuno dovrebbe dover affrontare. Grazie soprattutto perché nel farlo ha finalmente abbassato la guardia e raccontato, anche se in anonimato, ciò che non ha mai raccontato a nessuno.
Lei è certamente consapevole di aver subito un importante trauma da bambino che ha condizionato e sta condizionando fortemente la sua vita di relazione. La consapevolezza però non basta a elaborare correttamente quel trauma e liberarla finalmente da quello spettro che si porta dentro da troppo tempo. Ha bisogno di una mano esperta che l'accompagni e le introduca un metodo per guardarsi dentro in modo meno severo e meno giudicante, in modo più compassionevole e gentile. Questo non vuol dire affatto essere meno forte di quello che lei si sente. La vera forza è nel riconoscere di essere stati fragili in certi momenti della vita, come molti bambini a cui è capitato quello che è capitato a lei, ma anche nel sapere che si ha il pieno diritto di ritagliarsi la propria fetta di felicità e di trovare soddisfazione in ogni ambito della vita.
Lei finora ha continuato a tenere quel bambino interiore lontano dalla sofferenza, protetto da tutti i pericoli, da tutte le altre persone. Sta continuando a fare in modo che non possa più capitare che qualcuno la faccia star male, che qualcuno la giudichi o la rimproveri. Ma ovunque andrà, qualsiasi cosa farà nella vita, quel bambino sarà sempre con lei e lei si sentirà in dovere di proteggerlo e nasconderlo al mondo.
In realtà, a lei serve poter comunicare con quel bambino e capire che non c'è più pericolo per lui, quel bambino ora è un uomo che ha imparato sulla propria pelle il valore della vita ed è perfettamente in grado di cavarsela nel mondo, libero da condizionamenti esterni, al sicuro da ogni giudizio, capace di fidarsi ancora delle persone.
La fiducia non si guadagna, la fiducia si concede. Lei deve provare a fidarsi prima o poi e lasciarsi andare, lasciar fluire finalmente le sue emozioni che la stanno corrodendo dall'interno. Se deciderà che questo qualcuno sia una figura di supporto psicologico, avrà anche occasione di aprire nuove finestre di consapevolezza su tutta la sua vita e ampliare le sue prospettive fino a porsi concreti obiettivi di crescita personale.
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Grazie per aver trovato il coraggio di scrivere tutto questo. È uno sfogo potente, lucido, e profondamente umano. Il dolore che porti non è "marcio" né "sporco" — è il risultato di qualcosa che non doveva accadere, e che ha lasciato segni reali, ma non definisce chi sei.
Il modo in cui ti racconti dimostra una forza enorme, anche se ora ti sembra di sopravvivere più che vivere. È normale provare paura, vergogna, o sentirsi isolati quando si porta un trauma così profondo. Ma ciò che hai vissuto può essere affrontato, e non sei condannato a vivere nel torpore o nella distanza per sempre.
Esistono percorsi mirati, anche attraverso la mindfulness e un lavoro sul corpo, che possono aiutarti a ricostruire un senso di sicurezza, contatto e fiducia — prima dentro di te, e poi con gli altri. Se un giorno vorrai lavorarci, senza fretta, io sono qui.
Nel frattempo, il fatto che tu voglia essere visto, capito, e non compatito… dice che dentro c’è ancora vita. E merita ascolto.
Il modo in cui ti racconti dimostra una forza enorme, anche se ora ti sembra di sopravvivere più che vivere. È normale provare paura, vergogna, o sentirsi isolati quando si porta un trauma così profondo. Ma ciò che hai vissuto può essere affrontato, e non sei condannato a vivere nel torpore o nella distanza per sempre.
Esistono percorsi mirati, anche attraverso la mindfulness e un lavoro sul corpo, che possono aiutarti a ricostruire un senso di sicurezza, contatto e fiducia — prima dentro di te, e poi con gli altri. Se un giorno vorrai lavorarci, senza fretta, io sono qui.
Nel frattempo, il fatto che tu voglia essere visto, capito, e non compatito… dice che dentro c’è ancora vita. E merita ascolto.
Hai fatto un lavoro immenso già solo mettendo in parole ciò che provi. È raro leggere una riflessione così lucida, profonda e autentica da parte di qualcuno che ha attraversato esperienze tanto dolorose. C’è una parte di te che osserva tutto con estrema intelligenza emotiva, ma che allo stesso tempo si sente molto sola in quel processo. È comprensibile: portare dentro una storia così intensa e non sentirsi mai veramente visti o capiti può far sembrare tutto più pesante, quasi insopportabile a volte.
Sai, alcune persone, anche se ferite, continuano a cercare un senso, un appiglio, o magari anche solo uno sguardo che dica: “Ti vedo”. E se da una parte è vero che non tutti hanno lo spazio per accogliere, è anche vero che ci sono persone che sanno farlo, e che hanno le competenze e la sensibilità per aiutarti a dare un nome più chiaro a ciò che senti… e magari anche trovare un modo per viverlo con meno solitudine e più dignità.
A volte basta una conversazione nuova per sbloccare qualcosa che sembrava fermo da tempo. E magari quella conversazione può iniziare con qualcuno che già, anche in minima parte, ti ha fatto sentire ascoltato senza giudizio.
Sai, alcune persone, anche se ferite, continuano a cercare un senso, un appiglio, o magari anche solo uno sguardo che dica: “Ti vedo”. E se da una parte è vero che non tutti hanno lo spazio per accogliere, è anche vero che ci sono persone che sanno farlo, e che hanno le competenze e la sensibilità per aiutarti a dare un nome più chiaro a ciò che senti… e magari anche trovare un modo per viverlo con meno solitudine e più dignità.
A volte basta una conversazione nuova per sbloccare qualcosa che sembrava fermo da tempo. E magari quella conversazione può iniziare con qualcuno che già, anche in minima parte, ti ha fatto sentire ascoltato senza giudizio.
Ciao!
Sai, mi capita di leggere molte domande poste dagli utenti.. la tua devo dire che mi ha toccato particolarmente. Non tanto per quello che hai raccontato.. ci sono tante persone, molte più di quelle che puoi pensare che sento quello sporco addosso.. che vorrebbero condividerlo ma per la vergogna non lo fanno.. Ma, la cosa che maggiormente mi ha toccato (e non uso casualmente questa parola) è il modo in cui lo hai fatto.. spontaneo, chiaro, lucido, consapevole.. emotivamente molto denso, PIENO.
Ti voglio ringraziare, perché anche se lo hai raccontato a qualcuno di sconosciuto, senza volto.. hai deciso di condividere parti di te molto intime, e lo hai fatto con grandissima generosità. GRAZIE!
Dott.ssa Baratto
Sai, mi capita di leggere molte domande poste dagli utenti.. la tua devo dire che mi ha toccato particolarmente. Non tanto per quello che hai raccontato.. ci sono tante persone, molte più di quelle che puoi pensare che sento quello sporco addosso.. che vorrebbero condividerlo ma per la vergogna non lo fanno.. Ma, la cosa che maggiormente mi ha toccato (e non uso casualmente questa parola) è il modo in cui lo hai fatto.. spontaneo, chiaro, lucido, consapevole.. emotivamente molto denso, PIENO.
Ti voglio ringraziare, perché anche se lo hai raccontato a qualcuno di sconosciuto, senza volto.. hai deciso di condividere parti di te molto intime, e lo hai fatto con grandissima generosità. GRAZIE!
Dott.ssa Baratto
Gent.ssimo, Lei non è il Suo trauma. Ciò che ha vissuto, nonostante abbia avuto un impatto su di Lei, non La definisce. La soluzione non è smettere di fidarsi degli altri, piuttosto imparare a selezionare con cura chi può guadagnarsi la Sua fiducia, nel tempo. Può imparare a dare a se stesso la cura, l'attenzione e la comprensione che vorrebbe ricevere dagli altri. Vedrà che poi, gradualmente, anche le relazioni Le sembreranno un luogo meno pericoloso.
Un saluto.
Un saluto.
Ciao,
grazie per aver condiviso con così tanta onestà e profondità il tuo vissuto. Le parole che hai scritto sono intrise di dolore, ma anche di una forza e lucidità che meritano attenzione e rispetto.
Hai vissuto un trauma in età molto precoce, e ciò che descrivi — le difficoltà con il contatto fisico, la sensazione di distacco dal corpo, la sfocatura della vista, il congelamento — sono manifestazioni comuni nei vissuti post-traumatici, soprattutto quando il trauma coinvolge la sfera dell’intimità e della fiducia. Il tuo corpo sembra ancora rispondere come se dovesse proteggerti, anche quando razionalmente sai di essere al sicuro. Questo non significa che tu sia “rotto” o “sbagliato”, ma che il tuo sistema nervoso ha imparato una modalità di sopravvivenza in un contesto in cui davvero eri in pericolo.
La difficoltà nel raccontarsi agli altri, la paura di non essere capiti o di essere giudicati, il timore di far pena, sono esperienze umane comprensibili, ma non devono diventare una condanna alla solitudine. A volte, il solo desiderio di essere visti e compresi può diventare un atto rivoluzionario in un percorso di guarigione.
Anche la malinconia dopo aver fatto un regalo parla di una parte di te che ha tanto da dare, ma che non ha ricevuto abbastanza. Sentirsi trasparenti o invisibili agli occhi degli altri può essere devastante, soprattutto quando si ha un grande bisogno di connessione. Il tuo dolore non è contagioso. Non sei marcio, né sporco: sei una persona che ha sofferto profondamente e che ha continuato a camminare, anche quando ogni passo costava fatica.
Il fatto che tu abbia scritto tutto questo è già un atto di consapevolezza e di coraggio enorme. Ma non sei obbligato ad farcela da solo. È proprio in situazioni come questa che il supporto di uno specialista può fare la differenza. Non per “aggiustarti”, ma per aiutarti a riconoscere e liberare quelle parti di te che sono rimaste congelate nel tempo. Esistono approcci terapeutici, come l’EMDR o la terapia sensomotoria, che possono aiutarti a elaborare i traumi profondi in modo rispettoso e sicuro.
Per questo, sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno specialista.
DOTTORESSA SILVIA PARISI
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
grazie per aver condiviso con così tanta onestà e profondità il tuo vissuto. Le parole che hai scritto sono intrise di dolore, ma anche di una forza e lucidità che meritano attenzione e rispetto.
Hai vissuto un trauma in età molto precoce, e ciò che descrivi — le difficoltà con il contatto fisico, la sensazione di distacco dal corpo, la sfocatura della vista, il congelamento — sono manifestazioni comuni nei vissuti post-traumatici, soprattutto quando il trauma coinvolge la sfera dell’intimità e della fiducia. Il tuo corpo sembra ancora rispondere come se dovesse proteggerti, anche quando razionalmente sai di essere al sicuro. Questo non significa che tu sia “rotto” o “sbagliato”, ma che il tuo sistema nervoso ha imparato una modalità di sopravvivenza in un contesto in cui davvero eri in pericolo.
La difficoltà nel raccontarsi agli altri, la paura di non essere capiti o di essere giudicati, il timore di far pena, sono esperienze umane comprensibili, ma non devono diventare una condanna alla solitudine. A volte, il solo desiderio di essere visti e compresi può diventare un atto rivoluzionario in un percorso di guarigione.
Anche la malinconia dopo aver fatto un regalo parla di una parte di te che ha tanto da dare, ma che non ha ricevuto abbastanza. Sentirsi trasparenti o invisibili agli occhi degli altri può essere devastante, soprattutto quando si ha un grande bisogno di connessione. Il tuo dolore non è contagioso. Non sei marcio, né sporco: sei una persona che ha sofferto profondamente e che ha continuato a camminare, anche quando ogni passo costava fatica.
Il fatto che tu abbia scritto tutto questo è già un atto di consapevolezza e di coraggio enorme. Ma non sei obbligato ad farcela da solo. È proprio in situazioni come questa che il supporto di uno specialista può fare la differenza. Non per “aggiustarti”, ma per aiutarti a riconoscere e liberare quelle parti di te che sono rimaste congelate nel tempo. Esistono approcci terapeutici, come l’EMDR o la terapia sensomotoria, che possono aiutarti a elaborare i traumi profondi in modo rispettoso e sicuro.
Per questo, sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno specialista.
DOTTORESSA SILVIA PARISI
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
la ringrazio profondamente per il coraggio e la sincerità con cui ha condiviso il suo vissuto. Le sue parole arrivano dirette, potenti, e mostrano non solo la sofferenza che si porta dentro, ma anche una lucidità e una forza emotiva che meritano attenzione e rispetto. Quando si vive un trauma, specialmente nell'infanzia e in un'età in cui la fiducia nel mondo e negli altri si sta appena formando, è normale che gli effetti si facciano sentire anche a distanza di molti anni. E non soltanto nei momenti dolorosi, ma anche in quelli che, in teoria, dovrebbero essere belli: un abbraccio, un gesto gentile, l'inizio di una relazione. Le reazioni che descrive, come il congelamento del corpo, lo sfocarsi della vista e quella sensazione di distacco da sé stesso, sono manifestazioni molto comuni in chi ha vissuto un trauma. Si tratta di risposte fisiologiche e automatiche del nostro sistema nervoso, che ha imparato, a suo tempo, a reagire così per sopravvivere. In ambito cognitivo-comportamentale, queste vengono inquadrate nell’ambito della cosiddetta risposta dissociativa, una strategia di protezione che però, oggi, la sta limitando in momenti in cui invece avrebbe bisogno di connessione, fiducia e presenza. Ciò che è importante sottolineare è che quello che prova non è colpa sua, né un segno di debolezza o di "essere sbagliato". È il segno di una ferita che non ha ancora potuto guarire del tutto, perché ferite come queste richiedono tempo, accoglienza e uno spazio sicuro in cui potersi raccontare. Ha già fatto molta strada, affrontando anni di terapia, portando avanti una formazione professionale, cercando di costruire relazioni, e mantenendo, nonostante tutto, un’intelligenza emotiva e una sensibilità notevoli. Lo si legge chiaramente nella cura con cui si esprime e nella lucidità con cui descrive le sue esperienze. Il suo desiderio di poter raccontare tutto questo a qualcuno è comprensibile e legittimo. Eppure riconosce, con altrettanta lucidità, quanto sia difficile farlo. La vergogna, la paura del giudizio, del non essere capito, il timore che l’altro possa allontanarsi: tutte queste sono emozioni che chi ha vissuto un trauma spesso conosce bene. Ma condividere ciò che si prova non significa pretendere che gli altri si "accollino" qualcosa, come scrive lei con un'espressione molto dura verso sé stesso. Raccontarsi, invece, è un atto di fiducia e di coraggio, che può aprire a relazioni più autentiche. Non tutti sapranno accogliere quella parte vulnerabile, è vero, ma alcuni lo faranno. E saranno quelli che contano davvero. L'idea che descrive, quella di "sentirsi sporco" fino alle ossa, è un'esperienza comune in chi ha subito un abuso. È una delle conseguenze più subdole del trauma, perché porta a identificarsi con ciò che si è subito. Ma lei non è ciò che ha vissuto. Non è marcio, non è contagioso. È una persona che ha sofferto, che sta cercando un senso, che ha desideri e bisogni profondi. Il fatto stesso che abbia pensato di fare un gesto gentile verso la ragazza dell’ufficio, senza aspettarsi nulla in cambio, è una dimostrazione chiara che la sua parte emotiva, quella che ama, che si prende cura, che spera, è ancora viva. Capisco anche la malinconia che ha provato dopo quel gesto, nel rendersi conto di quanto le manchi ricevere affetto, attenzione e presenza. Ed è doloroso sapere che questa mancanza dura da tanto tempo. Ma non è troppo tardi per invertire questa rotta. Il bisogno di cambiare aria che descrive può essere l’inizio di un’esplorazione, interna ed esterna. Tuttavia, prima ancora di andare altrove, credo che sia importante andare più vicino a sé stesso, provando a guardarsi con più compassione, con meno durezza. A volte cerchiamo di fuggire da un luogo, sperando che altrove sia diverso, ma se non cambiamo il modo in cui ci parliamo e ci trattiamo, rischiamo di portare il dolore con noi ovunque. Lei ha già iniziato a raccontarsi. Questo messaggio è un atto di verità e di umanità che merita rispetto. Non è vittimismo, non è voler fare pena. È un bisogno profondo di essere visto, riconosciuto, accolto. E anche se per ora sembra che nessuno glielo chieda, io le dico con chiarezza: a me importa. E sono certo che, in un contesto terapeutico sicuro, con le giuste modalità, potrebbe tornare ad accorgersi che quella luce negli occhi non è scomparsa per sempre, ma sta solo aspettando il momento in cui poter riemergere. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Salve , inizio col dirle che mi dispiace molto per il disagio che sta vivendo da ormai un pó di tempo ( sia a causa dell’insoddisfazione di fondo che relazionale).
Proprio nella presentazione ha detto di essere da anni in terapia ma pare che nonostante ciò le cose non vadano benissimo.
Io le consigliere di parlare con il suo psicologo ,se non lo ha giá fatto, riguardo questo disagio e di trovare insieme il modo migliore per affrontarlo.
Buone cose, dott. Marziani
Proprio nella presentazione ha detto di essere da anni in terapia ma pare che nonostante ciò le cose non vadano benissimo.
Io le consigliere di parlare con il suo psicologo ,se non lo ha giá fatto, riguardo questo disagio e di trovare insieme il modo migliore per affrontarlo.
Buone cose, dott. Marziani
Buonasera,
grazie mille della sua condivisione, non deve essere stato facile. Ha mai pensato di scrivere un libro della storia della sua vita? Se ha fatto già tanti anni di terapia potrebbe esserle utile nel mettere i suoi vissuti nero su bianco e condividere le sue emozioni; visto che ha definito questo suo scritto uno sfogo.
Le chiedo anche se ha mai utilizzato la tecnica EMDR per il superamento del trauma. Se ha bisogno di informazioni chieda pure.
In bocca al lupo!
E si ricordi che la persona più importante della sua vita è lei! Se ne prenda cura!
Un abbraccio.
grazie mille della sua condivisione, non deve essere stato facile. Ha mai pensato di scrivere un libro della storia della sua vita? Se ha fatto già tanti anni di terapia potrebbe esserle utile nel mettere i suoi vissuti nero su bianco e condividere le sue emozioni; visto che ha definito questo suo scritto uno sfogo.
Le chiedo anche se ha mai utilizzato la tecnica EMDR per il superamento del trauma. Se ha bisogno di informazioni chieda pure.
In bocca al lupo!
E si ricordi che la persona più importante della sua vita è lei! Se ne prenda cura!
Un abbraccio.
Gentilissimo,
Il suo racconto è davvero intenso e sono certa non sia stato facile condividerlo, persino qui. Il vissuto che lei racconta, la paura di condividere con l'altro, la solitudine, la difficoltà di vivere l'intimità, il senso di colpa, il sentirsi sporco, la vergogna, il senso di sfiducia, sono conseguenze che lei condivide con molte persone che hanno vissuto, purtroppo, esperienze traumatiche simili alle sue.
Certamente, poterne parlare con un eventuale partner, sarebbe importante ed anche opportuno, ma questo non è che un passaggio successivo alla possibilità di poter esplorare meglio questo suo vissuto che, radicato nel corpo, non le lascia spazio per vivere pienamente la sua vita, le relazioni o godersi una carezza.
Ciò avviene perché, sebbene lei abbia elaborato dal punto di vista cognitivo il fatto di aver ricevuto abusi e che questo abbia influito sulla sua vita, le emozioni connesse al trauma e tutto quanto le è accaduto, restano comunque nel corpo.
Ma si faccia coraggio, è possibile tornare a vedere la luce, anche se ora le sembra difficile.
Quel che mi sento di suggerirle, sono due possibilità, che non si escludono, anzi, le direi che porrebbe essere importante provare a seguire entrambe le strade. In primo luogo, potrebbe provare a frequentare un gruppo di auto e mutuo aiuto per persone che hanno subito eventi traumatici, vedrà che sapere che ci sono molte altre persone che vivono la sua stessa sofferenza e che la capiscono come nessun altro potrebbe, la farà sentire molto meno solo e potrebbe tornare a sentire un calore umano che oggi non riesce più a percepire.
In secondo luogo, se sente e ha valutato con il suo terapeuta che la terapia che stava seguendo può dirsi terminata, le suggerirei di provare a iniziare un percorso terapeutico scegliendo un collega esperto in psicotraumatologia che utilizzi ed integri un approccio bottom- up, cioè che porti il corpo in terapia, questo le consentirà di affrontare i sintomi somatici connessi al trauma (si tratta di tutto quello che descrive provocarle il contatto fisico: sensazione di congelamento, vista sfocata, torpore ecc.) e le emozioni che pure abitano il corpo.
Sperando di esserle stata utile, le auguro di cuore di poter ritrovare quella luce di cui parla. Come lei stesso ha detto, non servirà cambiare aria, ma potrà aiutarla prendersi cura di se stesso.
Stia bene.
Cordialmente.
Dott.ssa Lucia Nobis
Il suo racconto è davvero intenso e sono certa non sia stato facile condividerlo, persino qui. Il vissuto che lei racconta, la paura di condividere con l'altro, la solitudine, la difficoltà di vivere l'intimità, il senso di colpa, il sentirsi sporco, la vergogna, il senso di sfiducia, sono conseguenze che lei condivide con molte persone che hanno vissuto, purtroppo, esperienze traumatiche simili alle sue.
Certamente, poterne parlare con un eventuale partner, sarebbe importante ed anche opportuno, ma questo non è che un passaggio successivo alla possibilità di poter esplorare meglio questo suo vissuto che, radicato nel corpo, non le lascia spazio per vivere pienamente la sua vita, le relazioni o godersi una carezza.
Ciò avviene perché, sebbene lei abbia elaborato dal punto di vista cognitivo il fatto di aver ricevuto abusi e che questo abbia influito sulla sua vita, le emozioni connesse al trauma e tutto quanto le è accaduto, restano comunque nel corpo.
Ma si faccia coraggio, è possibile tornare a vedere la luce, anche se ora le sembra difficile.
Quel che mi sento di suggerirle, sono due possibilità, che non si escludono, anzi, le direi che porrebbe essere importante provare a seguire entrambe le strade. In primo luogo, potrebbe provare a frequentare un gruppo di auto e mutuo aiuto per persone che hanno subito eventi traumatici, vedrà che sapere che ci sono molte altre persone che vivono la sua stessa sofferenza e che la capiscono come nessun altro potrebbe, la farà sentire molto meno solo e potrebbe tornare a sentire un calore umano che oggi non riesce più a percepire.
In secondo luogo, se sente e ha valutato con il suo terapeuta che la terapia che stava seguendo può dirsi terminata, le suggerirei di provare a iniziare un percorso terapeutico scegliendo un collega esperto in psicotraumatologia che utilizzi ed integri un approccio bottom- up, cioè che porti il corpo in terapia, questo le consentirà di affrontare i sintomi somatici connessi al trauma (si tratta di tutto quello che descrive provocarle il contatto fisico: sensazione di congelamento, vista sfocata, torpore ecc.) e le emozioni che pure abitano il corpo.
Sperando di esserle stata utile, le auguro di cuore di poter ritrovare quella luce di cui parla. Come lei stesso ha detto, non servirà cambiare aria, ma potrà aiutarla prendersi cura di se stesso.
Stia bene.
Cordialmente.
Dott.ssa Lucia Nobis
Ciao, ti ringrazio per aver condiviso con me un pezzo così intimo e doloroso della tua storia. È evidente che dietro le tue parole c'è una sofferenza profonda e una grande forza d'animo. Hai attraversato e stai attraversando un percorso incredibilmente difficile, e il fatto che tu sia qui a parlarne, anche se in uno "sfogo", è già un segno di grande coraggio.
Spero, però, che questo non sia solo uno sfogo, perché sento la necessità di dirti con chiarezza che è fondamentale che tu continui a lavorare su te stesso, a rielaborare il trauma dell'abuso che hai subito da bambino. Quell'esperienza, come giustamente noti, ha plasmato la tua vita, il tuo rapporto con il corpo, con il contatto fisico e con le relazioni. Il "congelamento" e lo sfocarsi della vista che descrivi durante il contatto fisico sono risposte traumatiche che il tuo corpo ha imparato a mettere in atto per proteggersi. Sono meccanismi di difesa che, sebbene ti abbiano aiutato a sopravvivere, ora ti impediscono di godere della vicinanza e dell'intimità. Lavorare su questo significa dare voce a quelle sensazioni, comprenderle e imparare a gestirle, a poco a poco, con l'aiuto di un professionista. Non sei "sporco", non c'è niente di marcio in te. Quello che senti è il peso del trauma, e il tuo corpo e la tua mente stanno cercando un modo per elaborarlo. La difficoltà nel parlare dell'accaduto, la vergogna, la paura del giudizio e la convinzione che nessuno voglia "accollarsi problemi altrui" sono comprensibili e diffuse tra chi ha subito un trauma. È vero che non tutti sono pronti o capaci di comprendere appieno un'esperienza così complessa, ma ci sono persone che possono e vogliono farlo. La tua capacità di provare affetto, come dimostrato dalla relazione che hai avuto e dal desiderio di confidarti con quella ragazza, è un segno della tua resilienza e della tua umanità.
Il percorso per ricostruire la fiducia, sia negli altri che in te stesso, è lungo e richiede pazienza. Hai menzionato di aver perso la luce negli occhi e di sentirti lontano dagli altri, ma il desiderio di essere ascoltato e compreso è ancora vivo in te, e questo è un punto di partenza fondamentale. Non è un segno di vittimismo desiderare che qualcuno si preoccupi abbastanza da chiederti come stai. È un bisogno umano universale. Hai fatto anni di terapia, e questo è un bagaglio prezioso. Ti incoraggio a considerare la possibilità di riprendere un percorso terapeutico, magari con un approccio specifico al trauma (come l'EMDR o la terapia somatica, ad esempio), che possa aiutarti a integrare queste esperienze e a costruire nuove modalità di relazione con te stesso e con gli altri. Un terapeuta può fornirti uno spazio sicuro e non giudicante dove puoi esplorare queste sensazioni, imparare a gestirle e, passo dopo passo, a ricostruire quella fiducia che senti di aver perso.
Il desiderio di "cambiare aria" è comprensibile, ma come hai intuito, il problema non è la città, ma ciò che porti dentro. Per questo è cruciale che tu continui a lavorare su di te, a dare valore alla tua storia e a cercare il supporto necessario. Non devi fare tutto da solo.
Ricorda, non c'è nulla di cui vergognarsi. La tua forza non sta nel nascondere ciò che hai subito, ma nel riconoscere il dolore, affrontarlo e permettere a te stesso di guarire.
Spero, però, che questo non sia solo uno sfogo, perché sento la necessità di dirti con chiarezza che è fondamentale che tu continui a lavorare su te stesso, a rielaborare il trauma dell'abuso che hai subito da bambino. Quell'esperienza, come giustamente noti, ha plasmato la tua vita, il tuo rapporto con il corpo, con il contatto fisico e con le relazioni. Il "congelamento" e lo sfocarsi della vista che descrivi durante il contatto fisico sono risposte traumatiche che il tuo corpo ha imparato a mettere in atto per proteggersi. Sono meccanismi di difesa che, sebbene ti abbiano aiutato a sopravvivere, ora ti impediscono di godere della vicinanza e dell'intimità. Lavorare su questo significa dare voce a quelle sensazioni, comprenderle e imparare a gestirle, a poco a poco, con l'aiuto di un professionista. Non sei "sporco", non c'è niente di marcio in te. Quello che senti è il peso del trauma, e il tuo corpo e la tua mente stanno cercando un modo per elaborarlo. La difficoltà nel parlare dell'accaduto, la vergogna, la paura del giudizio e la convinzione che nessuno voglia "accollarsi problemi altrui" sono comprensibili e diffuse tra chi ha subito un trauma. È vero che non tutti sono pronti o capaci di comprendere appieno un'esperienza così complessa, ma ci sono persone che possono e vogliono farlo. La tua capacità di provare affetto, come dimostrato dalla relazione che hai avuto e dal desiderio di confidarti con quella ragazza, è un segno della tua resilienza e della tua umanità.
Il percorso per ricostruire la fiducia, sia negli altri che in te stesso, è lungo e richiede pazienza. Hai menzionato di aver perso la luce negli occhi e di sentirti lontano dagli altri, ma il desiderio di essere ascoltato e compreso è ancora vivo in te, e questo è un punto di partenza fondamentale. Non è un segno di vittimismo desiderare che qualcuno si preoccupi abbastanza da chiederti come stai. È un bisogno umano universale. Hai fatto anni di terapia, e questo è un bagaglio prezioso. Ti incoraggio a considerare la possibilità di riprendere un percorso terapeutico, magari con un approccio specifico al trauma (come l'EMDR o la terapia somatica, ad esempio), che possa aiutarti a integrare queste esperienze e a costruire nuove modalità di relazione con te stesso e con gli altri. Un terapeuta può fornirti uno spazio sicuro e non giudicante dove puoi esplorare queste sensazioni, imparare a gestirle e, passo dopo passo, a ricostruire quella fiducia che senti di aver perso.
Il desiderio di "cambiare aria" è comprensibile, ma come hai intuito, il problema non è la città, ma ciò che porti dentro. Per questo è cruciale che tu continui a lavorare su di te, a dare valore alla tua storia e a cercare il supporto necessario. Non devi fare tutto da solo.
Ricorda, non c'è nulla di cui vergognarsi. La tua forza non sta nel nascondere ciò che hai subito, ma nel riconoscere il dolore, affrontarlo e permettere a te stesso di guarire.
"Come si fà a spiegare questa cosa a qualcuno? " memorie somatiche, il nostro corpo crea una memoria "muscolare" delle esperienze che attraversa e attraverso le sensazioni belle e brutte ci spinge a mettere in atto delle risposte, quando queste sensazioni sono fuori da una certa soglia in qualche modo "stacca la spina" e ci si sente distanti, bloccati, irrigiditi perchè in passato il trauma ci ha insegnato contatto fisico ed emotivo= pericolo.
se non lo fai già dovresti lavorare su questi aspetti, è coraggioso e faticoso da parte tua vivere una vita senza contatto fisico.
se non lo fai già dovresti lavorare su questi aspetti, è coraggioso e faticoso da parte tua vivere una vita senza contatto fisico.
Salve..
Quando eri piccolo, in un'età in cui le interazioni di tutti i giorni con oggetti e persone conducono a delle modalità specifiche di vedere il mondo (l'ambiente che ti circonda, le relazioni..), hai subito una violenza.
Di fronte all'impatto di accadimenti violenti il bambino perde in modo drammatico il controllo sul mondo esterno, viene smarrita la percezione rassicurante dell'inviolabilità del proprio corpo e del proprio valore come persona andando a influenzare lo sviluppo della nostra personalità e le relazioni future. Finché non elaborerai il tuo trauma, finché l'adulto di oggi non farà pace con il bambino di un tempo quella violenza continuerà a influenzare la tua vita e il modo di percepire il mondo attorno a te. Il miglior regalo che tu possa farti è trovare un psicoterapeuta adatto a te e che ti possa sostenere in questo percorso..
Quando eri piccolo, in un'età in cui le interazioni di tutti i giorni con oggetti e persone conducono a delle modalità specifiche di vedere il mondo (l'ambiente che ti circonda, le relazioni..), hai subito una violenza.
Di fronte all'impatto di accadimenti violenti il bambino perde in modo drammatico il controllo sul mondo esterno, viene smarrita la percezione rassicurante dell'inviolabilità del proprio corpo e del proprio valore come persona andando a influenzare lo sviluppo della nostra personalità e le relazioni future. Finché non elaborerai il tuo trauma, finché l'adulto di oggi non farà pace con il bambino di un tempo quella violenza continuerà a influenzare la tua vita e il modo di percepire il mondo attorno a te. Il miglior regalo che tu possa farti è trovare un psicoterapeuta adatto a te e che ti possa sostenere in questo percorso..
Ciao, la tua storia ed il tuo vissuto mi appaiono fin da subito densi e pregni si di dolore ma anche di tanta, anzi tantissima dignità. Questa, se è vero che può essere un valore è come una pelle. Due lembi di pelle ricuciti e cicatrizzati, comunque rimangono di solito più sensibili al tatto ma allo stesso tempo più rigidi, ruvidi.
La dignità è qualcosa che per te è stata preziosa per sopravvivere. Stringere i denti dopo ciò che ti è successo e cercare di non parcheggiarsi davanti agli occhi un camion di dolore che bloccasse il passaggio, spesso porta cercare di scordarlo quel camion. Il fatto è che non c'è vergogna, ne sporcizia nella debolezza, nella fragilità, invece c'è molto valore nel fatto che tu non sia lì con il tuo trauma, ma nonostante il tuo trauma.
La paura di perdere il controllo è anche questo, essere in balia dell'altro. E se poi gli altri vedono quanto sono sporco e marcio? E se è per questo che non mi fanno regali?
Il coraggio è fare le cose con la paura, la forza è farle col dolore e la tua dignità merita ascolto e dedizione.
La dignità è qualcosa che per te è stata preziosa per sopravvivere. Stringere i denti dopo ciò che ti è successo e cercare di non parcheggiarsi davanti agli occhi un camion di dolore che bloccasse il passaggio, spesso porta cercare di scordarlo quel camion. Il fatto è che non c'è vergogna, ne sporcizia nella debolezza, nella fragilità, invece c'è molto valore nel fatto che tu non sia lì con il tuo trauma, ma nonostante il tuo trauma.
La paura di perdere il controllo è anche questo, essere in balia dell'altro. E se poi gli altri vedono quanto sono sporco e marcio? E se è per questo che non mi fanno regali?
Il coraggio è fare le cose con la paura, la forza è farle col dolore e la tua dignità merita ascolto e dedizione.
Ciao caro utente, mi spiace non poterti chiamare per nome. La tua storia, per il breve scorcio che hai condiviso, ho la sensazione che porti con sé molta sofferenza, ma anche voglia di essere visto, riconosciuto.. quello che mi sento di dirti è che ciò che racconti merita di essere ascoltato, e la condivisione di qualcosa di così intimo non porta con sé nessun vittimismo o pena. Quando instauriamo una relazione sincera, sentiamo di poterci aprire con l'altro su tutte le nostre parti più intime, e solo allora siamo in grado di farci vedere davvero. Nel momento in cui sentirai questa spinta ad aprirti potresti trovare dall'altra parte accoglienza, comprensione, ascolto e amore. Nessuno può garantire che il rischio di sentirsi incompresi sia nullo, è vero, ma molto spesso dobbiamo fidarci del nostro istinto.
Le tematiche che porti sono tanto intense, e quello che penso è che meriterebbero di essere approfondite insieme ad un/una professionista, qualora ne avessi voglia.
Grazie per la tua condivisione.
Irene
Le tematiche che porti sono tanto intense, e quello che penso è che meriterebbero di essere approfondite insieme ad un/una professionista, qualora ne avessi voglia.
Grazie per la tua condivisione.
Irene
Buongiorno e grazie per aver condiviso qualcosa di così intimo. Gli anni di terapia che hai fatto ti avranno sicuramente aiutato ad affrontare alcuni vissuti, ma è altrettanto chiaro che il dolore e gli effetti del trauma che hai vissuto sono ancora molto presenti, soprattutto nel rapporto con gli altri e con te stesso. Quello che descrivi, il congelamento corporeo, la difficoltà nel contatto fisico, la paura del giudizio, il sentirsi “sporco” o “contagioso” , sono vissuti molto comuni in persone che hanno subito un trauma precoce, in particolare un trauma di natura relazionale o sessuale. Non sono reazioni sbagliate, ma al contrario forme di difesa che il corpo e la mente hanno messo in atto per proteggerti, spesso quando eri troppo piccolo per poter elaborare ciò che stava accadendo. Porsi la domanda “come faccio a raccontarmi a qualcuno?” è già un passo fondamentale. La risposta non è semplice, ma parte dal riconoscere che non sei obbligato a raccontare tutto, a tutti, subito. La condivisione profonda e personale ha senso solo se avviene in un contesto sicuro, con persone capaci di accogliere, senza giudizio. Per questo, lavorare su questo tema in un contesto terapeutico, con un professionista esperto in trauma, potrebbe aiutarti ad avvicinarti con maggiore sicurezza e autonomia a questo desiderio di apertura, se non l'hai ancora fatto. Se senti il bisogno di cambiare aria, o di “ricominciare”, è giusto ascoltare quel bisogno. Ma prima ancora del luogo, è fondamentale che tu possa sentirti più radicato dentro, riconoscendo che il tuo valore non è definito da ciò che ti è accaduto, ma da ciò che sei riuscito a essere nonostante tutto. Se vuoi, possiamo approfondire insieme questo vissuto, passo dopo passo, con rispetto. Dr ssa Isabella Mazzocchi
Ciao....innanzitutto grazie per aver condiviso la tua storia, anche se tu lo definisci semplicemente uno "sfogo" è sempre importantissimo raccontarsi ed inoltre denota forza e coraggio. Sicuramente il tuo vissuto ha avuto un forte impatto nella tua vita; tutte le sensazioni da te riportate (come il "congelamento", ad esempio) possono essere considerate reazioni protettive, che la tua mente mette in atto per proteggersi, appunto. Ciò che posso consigliarti è senz'altro di continuare il percorso di terapia, magari con un altro professionista o che adotti un altro approccio se vuoi, ma vai avanti con fiducia, anche se mi rendo conto che può sembrarti molto difficile. Soprattutto, cerca di ricordare sempre una cosa fondamentale, tu NON SEI il tuo trauma! Ti ha segnato, questo è certo, ma non lasciare che il trauma subito definisca chi sei, la forza e il coraggio che mostri ogni giorno cercando di andare avanti, piuttosto, devono farlo. Un grosso in bocca al lupo! Resto a disposizione, dott.ssa Valentina Costanza
Carissimo,
le sue parole raccontano con grande lucidità e profondità un dolore che ha lasciato segni visibili nel tempo e nel corpo. Il modo in cui descrive il congelamento, la sfiducia, la fatica nel lasciarsi avvicinare, è chiaro e potente. Non c’è nulla di “sporco” in lei, ma piuttosto la traccia di una ferita che ha imparato a sopportare troppo a lungo da solo.
Il desiderio di essere compreso, visto, accolto, non è debolezza ma un bisogno umano e legittimo. Parlarne con un professionista potrebbe aiutarla a dare finalmente spazio a quella parte di sé che vuole tornare a vivere. Ciò che ha scritto è già un atto di grande forza. Buon percorso a lei!
le sue parole raccontano con grande lucidità e profondità un dolore che ha lasciato segni visibili nel tempo e nel corpo. Il modo in cui descrive il congelamento, la sfiducia, la fatica nel lasciarsi avvicinare, è chiaro e potente. Non c’è nulla di “sporco” in lei, ma piuttosto la traccia di una ferita che ha imparato a sopportare troppo a lungo da solo.
Il desiderio di essere compreso, visto, accolto, non è debolezza ma un bisogno umano e legittimo. Parlarne con un professionista potrebbe aiutarla a dare finalmente spazio a quella parte di sé che vuole tornare a vivere. Ciò che ha scritto è già un atto di grande forza. Buon percorso a lei!
Buonasera, la sua mail mi ha molto colpito e commosso. Lei ha subito una vicenda molto traumatica che non ha avuto il beneficio dell'elaborazione, in pratica per ciò che riguarda quel triste episodio, i suoi pensieri e le sue emozioni sono rimaste congelate al Se stesso bambino di 5 anni, parimenti la vergogna e il senso di colpa ingiustificati ma tipici di un modo disfunzionale di spiegarsi l'accaduto di un bimbo abusato. Prima o poi questo trauma lo deve affrontare, in primis rendere giustizia a se stesso, e spiegarlo con la mente e la maturità dei suoi 27 anni. Un fatto di cui non ha niente da vergognarsi e che non le ha impedito di diventare il ragazzo sensibile e intelligente che il suo scritto rivela. Vada in psicoterapia, ci vada al più presto, e vedrà dissolversi questo nodo crudele che le impedisce di vivere e di apprezzarsi. Resto a disposizione se vuole scrivermi in privato. Un abbraccio. Dr.ssa Daniela Benvenuti
Buongiorno gentile Utente, la sua condivisione è intensa, profonda e carica di un dolore che sembra cercare finalmente uno spazio dove poter essere ascoltato senza essere giudicato, compatito o ridotto a una semplice etichetta. Mi colpisce molto la lucidità con cui parla della sua storia, della fatica che affronta quotidianamente, ma anche della sensibilità con cui si prende cura degli altri (come nel gesto generoso di realizzare quell’anello) pur avendo lei stesso un bisogno grande, e silenzioso, di ricevere attenzioni, gesti d’affetto, ascolto.
Il trauma che ha vissuto in età così precoce, e che con tanta forza ha cercato di affrontare negli anni, lascia spesso una traccia sottile ma profonda nel corpo e nella mente. Ciò che descrive – la sensazione di congelamento, la perdita di contatto con il momento presente durante un gesto fisico o intimo, la difficoltà a lasciarsi andare – sono reazioni coerenti con una memoria traumatica non ancora pienamente elaborata. Non sono un difetto suo, né un problema da risolvere con la forza di volontà. Sono, piuttosto, il linguaggio che il corpo utilizza per dirle che c’è ancora qualcosa che ha bisogno di essere accolto, riconosciuto, integrato.
Lei ha già fatto tanto, e la forza che dimostra non è quella ostentata, ma quella di chi resiste, di chi si interroga, di chi non ha smesso di cercare una forma di senso. Il fatto che abbia scelto di scrivere tutto questo è, a mio avviso, un atto di grande coraggio e maturità. Non c’è nulla di “marcio” in lei, nulla di “sporco”. Quelle sono parole che spesso vengono interiorizzate da chi ha vissuto esperienze così profonde e invasive da modificare la percezione del proprio valore. Ma ciò che leggo tra le righe è esattamente l’opposto: una persona capace di empatia, di cura, di bellezza, nonostante le ferite.
Raccontarsi a qualcuno, nella maniera che desidera lei (senza suscitare pietà, senza sentirsi “di peso”)– è possibile, ma richiede una relazione sicura, stabile e competente. Non tutte le persone, anche animate dalle migliori intenzioni, hanno gli strumenti per capire certe dinamiche. Ma uno psicoterapeuta formato nell’ambito del trauma (possibilmente con un approccio integrato) può offrirle quello spazio che lei, giustamente, sta cercando: uno spazio in cui potersi raccontare, lentamente, nei tempi e nei modi che sente più suoi, senza sentirsi esposto, sbagliato o giudicato.
Ha diritto a desiderare una carezza e ha diritto a non sentirsi in colpa se, per ora, il suo corpo non riesce ad accoglierla. Ha diritto a essere ascoltato, senza dover sempre dimostrare di essere “forte abbastanza”. E ha diritto a pensare che il mondo possa ancora offrirle qualcosa di buono, anche se oggi le sembra che tutto sia distante o irraggiungibile.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Il trauma che ha vissuto in età così precoce, e che con tanta forza ha cercato di affrontare negli anni, lascia spesso una traccia sottile ma profonda nel corpo e nella mente. Ciò che descrive – la sensazione di congelamento, la perdita di contatto con il momento presente durante un gesto fisico o intimo, la difficoltà a lasciarsi andare – sono reazioni coerenti con una memoria traumatica non ancora pienamente elaborata. Non sono un difetto suo, né un problema da risolvere con la forza di volontà. Sono, piuttosto, il linguaggio che il corpo utilizza per dirle che c’è ancora qualcosa che ha bisogno di essere accolto, riconosciuto, integrato.
Lei ha già fatto tanto, e la forza che dimostra non è quella ostentata, ma quella di chi resiste, di chi si interroga, di chi non ha smesso di cercare una forma di senso. Il fatto che abbia scelto di scrivere tutto questo è, a mio avviso, un atto di grande coraggio e maturità. Non c’è nulla di “marcio” in lei, nulla di “sporco”. Quelle sono parole che spesso vengono interiorizzate da chi ha vissuto esperienze così profonde e invasive da modificare la percezione del proprio valore. Ma ciò che leggo tra le righe è esattamente l’opposto: una persona capace di empatia, di cura, di bellezza, nonostante le ferite.
Raccontarsi a qualcuno, nella maniera che desidera lei (senza suscitare pietà, senza sentirsi “di peso”)– è possibile, ma richiede una relazione sicura, stabile e competente. Non tutte le persone, anche animate dalle migliori intenzioni, hanno gli strumenti per capire certe dinamiche. Ma uno psicoterapeuta formato nell’ambito del trauma (possibilmente con un approccio integrato) può offrirle quello spazio che lei, giustamente, sta cercando: uno spazio in cui potersi raccontare, lentamente, nei tempi e nei modi che sente più suoi, senza sentirsi esposto, sbagliato o giudicato.
Ha diritto a desiderare una carezza e ha diritto a non sentirsi in colpa se, per ora, il suo corpo non riesce ad accoglierla. Ha diritto a essere ascoltato, senza dover sempre dimostrare di essere “forte abbastanza”. E ha diritto a pensare che il mondo possa ancora offrirle qualcosa di buono, anche se oggi le sembra che tutto sia distante o irraggiungibile.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Ciao, mi ha colpito il tuo "sfogo". Da quello che leggo sembra di capire che, almeno in questo momento, tu veda la tua sofferenza come un carico troppo pesante da portare agli altri, anche perchè, dici, ognuno ha già i suoi problemi a cui pensare. E' vero questo, come è vero che probabilmente molti desidererebbero condividere i propri problemi.
Ti sembra che le tue esperienze ti abbiano "macchiato" ma in ciò che scrivi non si sente solo sfiducia verso gli altri, sconforto per le tue esperienze, si avverte anche un rimpianto e quindi una speranza perchè arrivi qualcosa di dolce, come una carezza. In ciò che scrivi, rimane uno spazio, anche se piccolo per la dolcezza.
Immagino che certamente non avrò colto a pieno il significato di quanto hai scritto, ad ogni modo, ti auguro di ritrovare la luce nei tuoi occhi che ti manca.
Ti sembra che le tue esperienze ti abbiano "macchiato" ma in ciò che scrivi non si sente solo sfiducia verso gli altri, sconforto per le tue esperienze, si avverte anche un rimpianto e quindi una speranza perchè arrivi qualcosa di dolce, come una carezza. In ciò che scrivi, rimane uno spazio, anche se piccolo per la dolcezza.
Immagino che certamente non avrò colto a pieno il significato di quanto hai scritto, ad ogni modo, ti auguro di ritrovare la luce nei tuoi occhi che ti manca.
Quando un trauma avviene in età precoce, non si imprime solo nella mente, ma si radica anche nel corpo. È per questo che, anche a distanza di anni, il corpo può reagire come se quel pericolo fosse ancora presente. Il congelamento, la tensione, la perdita momentanea di controllo sono risposte fisiologiche di difesa, che il corpo ha imparato per proteggerti.
Il contatto fisico può così diventare percepito come minaccioso, anche quando nasce da gesti affettuosi o sicuri. Ma questo non significa che ci sia qualcosa di sbagliato in te. Significa che una parte di te continua a proteggerti, perché non ha ancora avuto modo di sentirsi davvero al sicuro.
Inoltre, proprio il fatto che tu riesca oggi a raccontare ciò che hai vissuto, è già un atto di cura verso te stesso. Parlare di qualcosa che per anni è rimasto nel silenzio è un primo, fondamentale passo nel processo di elaborazione. Ricordati che il dolore che hai vissuto non definisce chi sei e il tuo desiderio di essere ascoltato e considerato è il segnale che dentro di te esiste ancora un po' di luce. Puoi farcela!
Il contatto fisico può così diventare percepito come minaccioso, anche quando nasce da gesti affettuosi o sicuri. Ma questo non significa che ci sia qualcosa di sbagliato in te. Significa che una parte di te continua a proteggerti, perché non ha ancora avuto modo di sentirsi davvero al sicuro.
Inoltre, proprio il fatto che tu riesca oggi a raccontare ciò che hai vissuto, è già un atto di cura verso te stesso. Parlare di qualcosa che per anni è rimasto nel silenzio è un primo, fondamentale passo nel processo di elaborazione. Ricordati che il dolore che hai vissuto non definisce chi sei e il tuo desiderio di essere ascoltato e considerato è il segnale che dentro di te esiste ancora un po' di luce. Puoi farcela!
Buongiorno,
nonostante abbia fatto tanti anni di terapia, alcune problematiche connesse all'esperienza dell'abuso credo facciano ancora breccia dentro di lei, al punto tale da perturbarla all'interno delle relazioni. L'aspetto della vergogna è un qualcosa di molto diffuso solitamente in questi casi. Valuti la possibilità di lavorarci ancora un po', una maggiore consapevolezza e crescita personale potrebbe garantirle maggior serenità nei rapporti e minor imbarazzo nell'esser se stesso.
Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
nonostante abbia fatto tanti anni di terapia, alcune problematiche connesse all'esperienza dell'abuso credo facciano ancora breccia dentro di lei, al punto tale da perturbarla all'interno delle relazioni. L'aspetto della vergogna è un qualcosa di molto diffuso solitamente in questi casi. Valuti la possibilità di lavorarci ancora un po', una maggiore consapevolezza e crescita personale potrebbe garantirle maggior serenità nei rapporti e minor imbarazzo nell'esser se stesso.
Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
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