Buongiorno Mi trovo ad affrontare una situazione lavorativa complessa e vorrei un parere su come p

24 risposte
Buongiorno
Mi trovo ad affrontare una situazione lavorativa complessa e vorrei un parere su come potermi muovere al meglio.
Dopo tre anni di lavoro in sala colazioni avendo capito di non essendo portata per lavori pratici, e comunque con una laurea triennale alle spalle, ho deciso di provare a lavorare in reception. Dopo un percorso formativo in cui ho imparato in due settimane ad usare pos, gestionale, smistare posta elettronica secondo i loro standard, e un discorso complesso con l’equipaggio di marittimi delle varie navi da crociera che la struttura ospita quotidianamente, l’azienda, che ha diversi hotel di sua proprietà, mi ha proposto un contratto a chiamata a tempo determinato come seconda postazione e supporto alla prima postazione consapevoli che data l’inesperienza e la poca conoscenza alberghiera la mia figura non potesse essere di alter ego alla prima postazione con cui collaboravo nei turni. Ciò nonostante visto il mio impegno e progressi lavorativi e anche il fatto si era instaurato un buon clima con i colleghi mi hanno prorogato il contratto a chiamata alla fine di settembre con possibile proseguo che valutava l’andamento del mio percorso lavorativo. Ho affiancato cinque colleghi, tra veterani che lavoravano lì da 25 anni e nuovi, molto diversi da loro e non essendoci un protocollo comune mi sono dovuta adattare a seguire il metodo lavorativo di ogni collega che affiancavo sentendomi anche in difficoltà nel non avere la libertà personale di scegliere poi il metodo che preferivo. Dei cinque colleghi con cui lavoravo , solo tre mi hanno dato fiducia nel supporto che potevo loro offrire: rispondere autonomamente alla posta, addebiti, chiusura preautorizzazioni guidate, check in senza esercitare troppo controllo in quanto dopo pochi giorni avendo compreso le procedure di check in e check out inserimento camere nel gestionale, tariffe e addebiti, ero già in grado di lavorare senza errori. Purtroppo invece le veterane con cui lavoravo non mi hanno mai dato fiducia e quando cercavo di rendermi utile come facevo con gli altri colleghi, prendendo subito i documenti, dando indicazioni ai clienti, mentre loro erano al pc a vedere la posta magari, lo hanno preso come prevaricazione e sono stata richiamata dalla proprietaria che mi ha detto a voce di voler concludere il rapporto lavorativo perchè queste colleghe veterane so sono lamentate del mio comportamento e preferivano lavorare da sole allora gli ho detto che non essendo a conoscenza di questo loro disagio, assumendomi anche la colpa di aver dato una impressione sbagliata, preferivo mi fosse stato detto prima e mi hanno detto pensavano lo avrei capito da sola nel corso delle settimane. A seguito di questo colloquio ero rimasta con il direttore che mi sarebbe stato concesso qualche giorno per rivedere e modificare la situazione, ho cercato chiarimenti con queste colleghe ma mi hanno detto “non so cosa ti hanno detto loro noi non riferiamo quello che ci viene chiesto e come ci troviamo durante gli affiancamenti, Il fatto è che gli affiancamenti devono essere un supporto, un aiuto per noi e non un continuo controllo se quello che fate lo fate bene perché così diventa un lavoro doppio per noi ed è veramente fonte di stress. A noi serve una persona che sappia già lavorare bene in autonomia e che conosca il lavoro alberghiero, se la persona non è adatta non è qualcosa di personale è solo che non può svolgere l’attività lavorativa richiesta. Mi dispiace
Comunque io sono disponibile, quando vuoi.
Si lamentavano continuamente di errori (addebiti errati, mancato inserimento delle camere nel gestionale, e altro, dei nuovi ma poi hanno fatto ricadere la colpa su di me senza prove evidenti. So per certo di non aver commesso errori in quanto ho sempre prestato molta attenzione su questo. Dopo un paio di giorni dal colloquio mentre ero in turno è arrivata nella mail dell’hotel in cui lavoravo la comunicazione seguente della proprietaria che comunicava il termine in data odierna del mio affiancamento in quell’hotel e avrebbero informato il personale circa le nuove decisioni prese dalla direzione. Allora ho risposto “Buongiorno nel ringraziarla per la comunicazione non avendo ricevuto alcun preavviso dei quindici giorni contrattuali per il licenziamento posso supporre i suddetti mi verranno pagati nella busta paga successiva?
Mi è stato poi risposto “ non sei licenziata, avendo un contratto a chiamata, ti stiamo solo avvisando che per la prossima settimana non sono previste chiamate”
Solo che fino a prima del richiamo avuto, lavoravo con continuità settimanale ogni giorno con un riposo di due giorni a settimana

Un collega di quelli che mi stima mi ha detto di attendere come evolve la situazione ma se entro una decina di giorni non so nulla di cercarmi altro. Vorrei chiedere un parere sulla mia situazione e cosa fare. Personalmente mi sento confusa e non vedo chiarezza, ma se il problema è che queste colleghe preferiscono lavorare sole perché non posso proseguire il mio percorso con gli altri colleghi che riconoscono il mio impegno e mi danno fiducia? Ruotano sempre di settimana in settimana, una settimana uno lavora in un hotel e una settimana in un altro , ma le comunicazioni della proprietaria sembrano confuse al riguardo e vorrei capire meglio se posso dare una voce o se è stata semplicemente fatta una mossa di sospensione per vedere chi commetteva errori o se mi trovo davanti ad un licenziamento non formale che non vogliono fare ma non prevedono di richiamarmi.
Confido in un vostro supporto e Ringrazio per l’attenzione
Dott. Giuseppe Chiarelli
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Salve
Mi piacerebbe esserle di aiuto ma trovo la situazione confusa. La cosa chiara e che ha acquisito abilità e competenze spendibili in varie situazioni, e quelle sono sue. Intanto aggiornerei il CV e cercherei esperienze arricchenti. Buona vita

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Dott.ssa Emanuela Borri
Psicologo, Psicologo clinico
Meda
Grazie per aver condiviso con tanta precisione e lucidità la tua esperienza: il tuo racconto evidenzia chiaramente quanto tu stia mettendo impegno e desiderio di crescita nel tuo percorso professionale.
Dal punto di vista psicologico, la situazione che descrivi è complessa ma tutt'altro che rara nei contesti di lavoro ad alta densità relazionale, specialmente quando non esistono protocolli chiari e il clima di comunicazione non è improntato alla trasparenza.
Ci sono alcuni nodi su cui può essere utile portare chiarezza:
L’ambiguità comunicativa dell’azienda sembra aver generato in te una sensazione di instabilità e frustrazione. Quando mancano feedback precisi, criteri condivisi di valutazione e uno spazio sicuro per il confronto, è facile che ogni segnale venga interpretato con ansia o venga vissuto come una delegittimazione del proprio valore.
Le dinamiche relazionali tra colleghi giocano un ruolo chiave: a volte l’insicurezza altrui, o il timore del cambiamento, può tradursi in una forma di esclusione velata o esplicita verso le persone nuove, anche quando queste si mostrano collaborative e competenti. Non è sempre un attacco personale, ma può diventare un ostacolo serio se non gestito con un intervento chiaro e autorevole da parte della direzione.
Il tuo bisogno legittimo di riconoscimento e chiarezza, che purtroppo al momento non trova risposta né da chi dovrebbe sostenerti nella crescita, né da chi dovrebbe garantire un ambiente equo e strutturato.
Dal punto di vista comunicativo, hai già agito in modo molto maturo: hai cercato il confronto, hai mantenuto uno stile assertivo, e non ti sei sottratta alle responsabilità, mostrando apertura a ricevere feedback.
Tuttavia, proprio perché la comunicazione non è stata finora reciproca e coerente, ti consiglio di considerare l’idea di proteggere il tuo benessere e la tua dignità professionale. Questo significa: chiedere un colloquio formale e scritto alla direzione per avere chiarimenti ufficiali circa la tua posizione, la continuità del contratto e il futuro professionale previsto per te; eventualmente, farti assistere da un sindacato o consulente del lavoro per comprendere meglio i tuoi diritti con un contratto a chiamata, soprattutto considerando la continuità con cui hai lavorato finora; nel frattempo, iniziare a guardarti attorno, non come rinuncia ma come forma di tutela attiva: un ambiente che non valorizza in modo equo il potenziale e la crescita, a lungo andare, può minare anche l’autostima più solida.
Infine, sul piano psicologico-emotivo, ti invito a non confondere il valore delle tue competenze con la mancanza di spazio che ti è stato dato per esprimerle. La tua voglia di imparare, l’attenzione agli errori, la capacità di adattarti a più stili lavorativi e di conquistare la fiducia di alcuni colleghi sono segnali di una professionalità in evoluzione che merita di essere accompagnata, non ostacolata.
Resto a disposizione se desideri approfondire questo momento anche in uno spazio di riflessione individuale più mirato.
Dott.ssa Valeria Carolina Paradiso
Psicologo, Sessuologo, Psicologo clinico
Bollate
Buongiorno,
Comprendo quanto possa essere difficile trovarsi in una situazione lavorativa in cui ti senti impegnata, competente, ma allo stesso tempo non riconosciuta come meriteresti. La frustrazione legata a questa situazione è sicuranente alta!
Il tuo racconto esprime chiaramente la tua dedizione, la voglia di crescere e l'investimento personale fatto in questo percorso.
Le dinamiche che hai descritto — tra aspettative non esplicitate, comunicazioni poco chiare e un clima relazionale complesso — possono generare molta confusione, frustrazione e insicurezza. È comprensibile che tu ti senta destabilizzata e in cerca di chiarezza.
Dal punto di vista psicologico, credo sia importante ora ricentrare l’attenzione su di te chiedendoti:

Cosa desideri davvero per il tuo futuro professionale?

Quali ambienti di lavoro ti fanno sentire valorizzata e stimolata?

Come puoi prenderti cura di te stessa in questo momento così delicato?

Forse questo momento di pausa, seppur forzato, può essere anche l’occasione per fare un punto e comprendere meglio cosa ti fa stare bene davvero, quali competenze vuoi sviluppare, e in che tipo di contesto vuoi metterti in gioco.

Se desideri, possiamo approfondire insieme in uno spazio di ascolto e riflessione personale, per aiutarti a fare chiarezza e trovare le strategie più utili per affrontare questa fase e valorizzare le tue risorse.

Resto a disposizione,
un caro saluto,
Dott.ssa Valeria Carolina Paradiso
Psicologa e Sessuologa
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buongiorno, la ringrazio per aver raccontato in modo così dettagliato e preciso la sua situazione, perché già nel modo in cui ha ricostruito i fatti si percepiscono chiaramente l’impegno, la responsabilità e la serietà con cui sta affrontando questa esperienza lavorativa, nonostante le difficoltà. Capisco bene quanto possa sentirsi confusa e anche scoraggiata di fronte a dinamiche così poco trasparenti, dove a volte è difficile comprendere se dietro certe scelte ci siano motivazioni oggettive, valutazioni legittime o semplicemente rapporti personali che pesano più delle competenze. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, la invito a partire da ciò che può effettivamente controllare. Le emozioni che sta provando, come la frustrazione, il senso di ingiustizia o la delusione, sono naturali e legittime: è importante riconoscerle e accoglierle, senza lasciare che diventino ostacoli paralizzanti. Nella sua situazione, può fare la differenza restare lucida sui fatti concreti: lei ha ricevuto una comunicazione di “non chiamata” che, pur non essendo un licenziamento formale, di fatto interrompe la continuità lavorativa che prima esisteva. È quindi ragionevole pensare che ci sia stata una decisione di metterla in pausa senza chiudere ufficialmente il rapporto, probabilmente per cautelarsi da eventuali obblighi contrattuali più vincolanti. Questo tipo di gestione, purtroppo, è frequente nei contratti a chiamata, proprio perché lascia grande libertà all’azienda di interrompere le collaborazioni senza motivazioni formali, ma non significa che lei debba subire passivamente la situazione. In questo momento il suo potere sta nel chiarire: può chiedere per iscritto, con fermezza e garbo, quali siano le prospettive reali di ripresa del lavoro, se siano previsti turni futuri o se l’intenzione sia effettivamente quella di chiudere la collaborazione. Questo la aiuterà ad avere una posizione più chiara, anche se non è detto che la risposta arrivi subito o sia del tutto trasparente. Dal punto di vista emotivo, è altrettanto importante non interiorizzare troppo questa situazione come un fallimento personale. Da ciò che racconta, emerge un tratto molto comune nelle persone che, come lei, sono motivate, precise e responsabili: la tendenza a sentirsi sempre in dovere di “dimostrare” di valere, adattandosi anche a richieste o climi lavorativi poco chiari pur di non creare conflitti. Ma quando manca un protocollo condiviso, quando ci sono colleghi che agiscono per logiche di protezione del proprio ruolo o di abitudine a lavorare in autonomia, non è la sua competenza a venire meno, ma il contesto a essere poco coerente. Se da un lato può aspettare qualche giorno, come le ha suggerito il collega, dall’altro le consiglio di guardare oltre: inizi a informarsi su altre opportunità lavorative che valorizzino di più l’impegno e la voglia di crescere che ha dimostrato. Si dia la possibilità di capire se altrove può trovare un ambiente più strutturato, con procedure chiare e una cultura del lavoro che non metta in difficoltà chi è alle prime esperienze. In questo momento si trova in un passaggio di grande importanza: può trasformare questa esperienza, per quanto scomoda e dolorosa, in un’occasione per capire cosa cerca davvero da un ambiente di lavoro. Non si faccia scoraggiare dal giudizio di chi non l’ha valorizzata: prenda ciò che ha imparato, lo riconosca come parte delle sue competenze nuove e lo metta a frutto per cercare un contesto più sano e meritocratico. Se sente di avere bisogno di maggiore supporto, anche pratico, un confronto con un consulente del lavoro o con uno sportello sindacale potrebbe aiutarla a fare chiarezza sugli aspetti contrattuali. Parallelamente, può essere utile lavorare su come rafforzare la propria assertività: saper comunicare in modo fermo ma rispettoso ciò che sente, ciò di cui ha bisogno e i limiti entro cui è disposta a muoversi, la proteggerà in futuro da situazioni simili. Il momento è difficile, ma non definisce chi è lei. La sua storia parla di una persona che non ha paura di mettersi in gioco, di imparare, di fare autocritica e di cercare sempre di migliorarsi: questa è la risorsa più preziosa, che nessun contratto a chiamata potrà mai togliere. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott. Francesco Paolo Coppola
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Napoli
Buongiorno, e grazie per aver condiviso con sincerità la sua esperienza. Comprendo quanto possa essere difficile trovarsi in una situazione lavorativa complessa, soprattutto quando si è investito tanto impegno, energia e aspettative. Cercherò di offrirle un punto di vista psicologico che possa aiutarla a ritrovare chiarezza e direzione.
Ciò che spesso ci impedisce di vedere la realtà per quella che è non sono i fatti in sé, ma le idee e i pensieri che coltiviamo su di noi e sul mondo. "Muoversi al meglio", da un punto di vista interiore, significa anche prendere una certa distanza da ciò che ci accade, diventare osservatori più lucidi e meno coinvolti emotivamente dei nostri stessi pensieri.
Lei racconta che, dopo tre anni di lavoro in sala colazioni, ha compreso di non sentirsi portata per attività pratiche, e con una laurea triennale alle spalle ha deciso di intraprendere un percorso in reception. È comprensibile la frustrazione di chi si sente sottovalutato rispetto al proprio percorso di studi. Eppure, spesso il cambiamento richiede tempo e pazienza: non basta essere titolati, serve anche rendersi utili, farsi apprezzare sul campo, diventare affidabili e riconoscibili. Sono processi che maturano nel tempo, non in due settimane.
Lei ha dimostrato iniziativa, ha imparato rapidamente gli strumenti di base — POS, gestionale, posta elettronica — e si è messa in gioco. Tuttavia, il contratto a chiamata e l’affiancamento a personale esperto indicavano già un percorso graduale. È naturale volere di più, ma la crescita lavorativa non segue solo i nostri meriti: dipende anche da equilibri interni, alleanze, resistenze e dinamiche di gruppo.
Ha affiancato cinque colleghi: alcuni l’hanno accolta con fiducia, altri — in particolare le colleghe veterane — l’hanno percepita come una presenza ingombrante. Non è raro, purtroppo, che in ambienti poco regolati e senza una leadership chiara, chi è più nuovo e motivato venga percepito come una minaccia. Le critiche ricevute, le accuse indirette, la mancanza di un confronto onesto hanno probabilmente reso tutto più confuso e ingiusto.
Comprendo il suo disorientamento: il passaggio da una presenza quasi quotidiana alla sospensione improvvisa, senza preavviso formale, è destabilizzante. Eppure, anche questa esperienza può insegnare qualcosa. In particolare, quanto siano importanti non solo le competenze tecniche, ma anche quelle relazionali: comunicare, leggere i segnali, adattarsi senza rinunciare a sé, scegliere i tempi giusti.
Se desidera tutelarsi legalmente, un avvocato saprà consigliarla meglio. Ma se cerca un orientamento personale, forse può iniziare da qui: accettare ciò che è accaduto, senza giudicarsi, senza inasprirsi. È una ferita, ma anche una lezione. Ha imparato a sue spese che in certi ambienti l’energia e la buona volontà non bastano. Serve anche saper osservare, aspettare, modulare. E sì, anche proteggersi.
La prossima volta, come diceva lei, non si risparmi: ma impari a rispondere cercando di andare in profondità, non a reagire. A leggere il campo, non solo a dimostrare il proprio valore, leggere il campo è il valore principale. La lucidità è una lama: può tagliare, ma può anche aprire.
Ogni ostacolo, se lo lasciamo lavorare dentro di noi, può diventare un giovamento. Se le serve un ulteriore aiuto sono su MioDottore e mi chiamo Francesco Paolo Coppola (on line ed in presenza) Napoli
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Buongiorno,

grazie per aver condiviso con tanto dettaglio la tua situazione. È evidente che stai vivendo un momento di forte confusione e stress legato al lavoro, sia sul piano pratico sia sul piano emotivo e relazionale.

Dal tuo racconto emergono alcuni aspetti importanti:

Aspetti contrattuali e organizzativi – Hai un contratto a chiamata, che purtroppo lascia all’azienda la facoltà di non garantirti continuità lavorativa. Questo tipo di contratto non prevede, infatti, obblighi di preavviso paragonabili a quelli di un contratto a tempo indeterminato o determinato “a orario fisso”, anche se è corretto pretendere chiarezza da parte della direzione su eventuali prospettive future. Ti consiglio di conservare tutte le comunicazioni scritte (mail, messaggi, lettere) e, se necessario, valutare un colloquio con un consulente del lavoro o un sindacato per capire se ci siano margini di tutela o eventuali diritti non rispettati.

Aspetti relazionali e psicologici – Sembra che il problema principale non siano le tue competenze (che descrivi in crescita e riconosciute da alcuni colleghi), bensì le dinamiche relazionali interne. L’assenza di un protocollo unico ha sicuramente contribuito a generare confusione e conflitti, esponendoti alle critiche di alcune colleghe più “veterane”. A volte, in contesti lavorativi strutturati da anni su equilibri consolidati, l’ingresso di figure nuove può essere percepito come una minaccia, anche se non lo è. È molto probabile che le tue iniziative (anche se mosse da buona volontà) siano state vissute da alcune colleghe come una forma di controllo o di invasione, soprattutto perché non c’era chiarezza su ruoli e margini di autonomia.

Aspetti emotivi – È normale, in una situazione come la tua, sentirsi svalutati, insicuri e demoralizzati, soprattutto dopo aver investito tanto impegno in una nuova sfida professionale. Il timore di essere ingiustamente accusata di errori e la sensazione di non avere voce in capitolo aumentano il tuo senso di frustrazione e confusione. È importante però che tu non perda fiducia nelle tue capacità: il fatto che altri colleghi abbiano apprezzato il tuo lavoro è un segnale prezioso.

Cosa puoi fare ora?

Cerca chiarezza con la direzione – Chiedi, per iscritto, di sapere se la tua sospensione è momentanea, se sono previsti futuri turni o se l’azienda intende interrompere la collaborazione. La chiarezza formale è fondamentale, anche ai fini di eventuali tutele legali o di calcolo dei contributi.

Valuta un confronto sereno – Se ti senti in grado, prova a chiedere un incontro con la proprietaria o il direttore per spiegare il tuo punto di vista, chiarire eventuali malintesi e capire se esistano possibilità di reinserimento in turni con colleghi con cui ti trovi meglio.

Considera nuove opportunità – Il consiglio del tuo collega di iniziare a guardarti intorno non è sbagliato: non significa “gettare la spugna”, ma preservare il tuo benessere psicologico ed economico nel caso in cui la situazione non si sblocchi positivamente.

Prenditi cura di te stessa – L’esperienza che stai vivendo è fonte di stress e può erodere autostima e serenità. Se senti che il peso emotivo è troppo grande o che l’ansia inizia a influenzare anche altri ambiti della tua vita, può essere utile parlarne con uno specialista per avere un supporto psicologico concreto.

Sarebbe utile e consigliato per approfondire la situazione emotiva e trovare strategie di gestione dello stress rivolgersi ad uno specialista.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott. Luca Vocino
Psicologo clinico, Psicologo
Trezzano Rosa
Buongiorno gentile Utente, quello che descrive è un vissuto che appare racchiudere frustrazione e disorientamento, e che merita grande rispetto. Si è trovata dentro un contesto professionale poco strutturato, con dinamiche relazionali ambigue e comunicazioni poco chiare da parte della direzione. In questo tipo di ambienti, il rischio di sentirsi svalutati o non riconosciuti nonostante l’impegno personale è purtroppo molto elevato, e mi sembra che lei stia vivendo proprio questo.

Il passaggio che ha fatto, scegliendo di spostarsi dalla sala colazioni alla reception, è stato un atto di crescita e coraggio, motivato da una riflessione personale lucida sul tipo di lavoro in cui potersi sentire più realizzata. In poco tempo ha acquisito competenze, si è adattata a metodi diversi, ha dimostrato attenzione e disponibilità al miglioramento. Tutti segnali di una professionalità in costruzione, ma già solida nella motivazione. Purtroppo non sempre queste qualità bastano, soprattutto quando si entra in un sistema dove le regole sono implicite, le relazioni dominate da dinamiche di potere e di status, e dove alcuni colleghi sembrano più orientati a mantenere un controllo che a favorire l’integrazione.

Le colleghe “veterane” da lei citate, invece di trasformare l’affiancamento in uno scambio professionale e umano, hanno adottato un atteggiamento difensivo e, verosimilmente, competitivo. Non hanno comunicato i loro disagi con chiarezza, lasciando che si sedimentassero e che poi esplodessero in modo passivo-aggressivo attraverso l’intervento della proprietà. È un comportamento che parla più delle loro insicurezze e rigidità che di un reale fallimento da parte sua.

A peggiorare la situazione è intervenuta la gestione poco trasparente della direzione. Il fatto che non le sia stato fornito un feedback strutturato o un'opportunità concreta di rimediare è indice di una mancanza di cultura organizzativa. Anche il ricorso a un contratto a chiamata, sebbene legittimo da un punto di vista formale, rischia di essere usato come strumento per eludere una reale assunzione di responsabilità da parte dell’azienda. Il modo in cui è stata comunicata la sua esclusione (via mail durante un turno di lavoro) è francamente poco rispettoso della persona prima ancora che della professionista.

Capisco bene la sua sensazione di confusione e il desiderio di capire se questa sia una situazione temporanea o un licenziamento non dichiarato. In realtà, la risposta è che (contrattualmente parlando) l’azienda non è obbligata a darle spiegazioni precise, ma sul piano umano e deontologico questo modo di procedere lascia molto a desiderare. Mi sembra anche che lei abbia tutte le capacità per riconoscere che questo tipo di ambiente, così carente di chiarezza e comunicazione, non sia funzionale alla sua crescita.

Il consiglio che mi sento di darle è duplice: da un lato, consideri l’idea di aprirsi a nuove opportunità lavorative dove le sue competenze e la sua motivazione possano essere accolte e valorizzate da una struttura più trasparente e meritocratica. Dall’altro, se avverte che questa vicenda ha lasciato un senso di insicurezza o ha toccato parti più profonde del suo senso di valore, potrebbe essere utile un percorso di supporto psicologico per metabolizzare l’esperienza e trasformarla in un’occasione di consolidamento personale.

Lei ha già dimostrato di avere capacità di apprendimento, spirito di adattamento e volontà di mettersi in gioco. Il problema non è nella sua persona o nelle sue qualità, ma in un sistema lavorativo che non è stato in grado (o non ha voluto) accoglierle. Non smetta di credere in ciò che ha da offrire.

Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Dott.ssa Caterina Puglisi
Psicologo, Psicoterapeuta
Villastellone
Buongiorno le intenzioni circa il suo futuro lavorativo da parte dei suoi responsabili non sono qualcosa su cui posso pronunciarmi; le rispondo per farle da specchio circa due aspetti che mi arrivano centrali dalle sue parole e che riassumerei nelle seguenti domande:
1. Quanto sento il bisogno di conferme esterne e da dove arriva questo bisogno?
2. Qual' è la differenza percepita tra la responsabilità (personale e altrui)e la colpa?
Credo che un lavoro su queste aree possa aiutarla ad affrontare questa e le future situazioni lavorative, che sono pur sempre nodi relazionali, in modo più efficace permettendole anche di ritarare i suoi obiettivi. Saluti
Dott. Leonardo Liberati
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Innanzitutto voglio riconoscere il coraggio e la consapevolezza che hai mostrato. Ascoltarsi a fondo fino al punto di dire “questo ambiente non fa per me” e scegliere di cambiare rotta non è facile. È un gesto di grande responsabilità verso te stessa, un atto di cura. E questa responsabilità l’hai già dimostrata, nel momento in cui hai saputo riconoscere le tue difficoltà, le tue fatiche, e ti sei presa la libertà di lasciar andare qualcosa che non ti stava facendo bene.

Ora, però, il punto è che quella responsabilità va bilanciata: va esercitata anche nel lasciare agli altri ciò che compete a loro. Perché non puoi caricarti sulle spalle tutto il peso di una situazione disfunzionale come se dipendesse solo da te.

Quando si entra in un nuovo ambiente di lavoro, esiste una cosa che si chiama accoglienza. E l’accoglienza non è un gesto emotivo, è un processo: è una responsabilità precisa che spetta a chi è già dentro, a chi ha più esperienza. Significa riconoscere che una nuova persona, per quanto motivata e sensibile, ha bisogno di essere accompagnata, formata, guidata.

Quindi è vero che tu sei lì, in una posizione tra virgolette “discente”, ed è sano che tu lo riconosca. Ma dall’altra parte dovrebbe esserci chi si prende la responsabilità, se lo desidera, di fare da guida, di dare riferimenti. Altrimenti si crea un corto circuito che rischia di diventare violento: perché ti ritrovi nella posizione paradossale di dover “capire da sola”, ma allo stesso tempo di non avere autonomia reale, né criteri oggettivi su cui basarti.

E in questo corto circuito tu sembri essere finita, come se fossi stata triangolata dentro una dinamica già presente tra colleghe e azienda. Una dinamica che magari preesisteva al tuo arrivo, e che il tuo ingresso – per età, per modalità, per freschezza – ha in qualche modo innescato o reso visibile. Questo non è colpa tua, ma è bene che tu lo veda per quello che è, senza attribuirti più di quanto ti spetta.

Quindi torniamo lì: è una questione di responsabilità, sì, ma nel senso più profondo. La responsabilità verso te stessa adesso è anche quella di valutare se questo ambiente, così com’è, ti permette davvero di crescere e fiorire. Se vale la pena cercare riconoscimento lì dentro, o se invece hai bisogno di un contesto diverso, più aperto, più disposto a fare spazio a te per come sei. Nessuno nasce imparato – come si dice – e il fatto che tu abbia un figlio, che tu sia in una fase delicata, non è una scusa: è una realtà, e chi ti sta intorno dovrebbe avere l’intelligenza e la professionalità di tenerne conto.

Può essere che la situazione si possa ancora trasformare, se riesci a mettere in chiaro alcune cose. Ma può anche darsi che sia più sano, per te, non insistere troppo. Il punto non è restare o andare via: il punto è scegliere, e scegliere bene, da adulta, da persona che sa dove finisce la propria responsabilità e dove comincia quella degli altri.

E da quello che vedo, questa capacità tu ce l’hai già.
Buongiorno,
la ringrazio per aver condiviso con così tanta cura e dettaglio la sua esperienza. Comprendo quanto possa essere difficile trovarsi in una situazione lavorativa come quella che descrive, caratterizzata da confusione, incertezze e, comprensibilmente, da un senso di frustrazione. Provo a restituirle alcune riflessioni che spero possano aiutarla a orientarsi.

Dalle sue parole emerge chiaramente l’impegno che ha messo nell’apprendere un nuovo ruolo, la sua capacità di adattamento e la volontà di costruire relazioni positive con i colleghi. La rapidità con cui ha acquisito nuove competenze e la disponibilità a confrontarsi dimostrano determinazione e serietà.

Ciò che descrive riguardo al contesto lavorativo evidenzia un ambiente privo di una struttura condivisa, con metodi diversi da parte dei colleghi e con una gestione della comunicazione poco chiara. Questo può facilmente generare disagio, perché la mancanza di protocolli comuni e di feedback tempestivi rende difficile comprendere se e come il proprio operato sia valutato.

Per quanto riguarda la gestione del contratto a chiamata, la situazione che vive appare come una sospensione di fatto della collaborazione senza un licenziamento formale. Purtroppo, questo tipo di contratto permette all’azienda di non assegnare turni senza necessità di preavviso, creando, come nel suo caso, un senso di insicurezza e mancanza di chiarezza.

In questa fase potrebbe essere utile richiedere alla direzione, in forma scritta e con tono gentile e professionale, un chiarimento sulle reali possibilità di proseguire la collaborazione. Potrebbe formulare una richiesta come la seguente:
“Vi sarei grata se poteste cortesemente chiarirmi se ci sono prospettive concrete di proseguire la collaborazione o se è preferibile che io mi orienti verso altre opportunità.”

Al tempo stesso, mi sento di suggerirle di iniziare a esplorare altre possibilità lavorative senza attendere troppo. Questo non significa arrendersi, ma prendersi cura della propria serenità e valorizzare le competenze che ha acquisito. Se lo ritiene utile, potrebbe anche rivolgersi a un sindacato o a un consulente del lavoro per avere un quadro più preciso dei suoi diritti e delle tutele legate al suo contratto.

Infine, desidero sottolineare un aspetto importante: la situazione che descrive parla delle dinamiche e delle modalità organizzative del contesto in cui ha lavorato, non del suo valore come professionista. Ha dimostrato qualità importanti come l’impegno, la capacità di apprendere e la volontà di collaborazione, che potranno certamente essere apprezzate in ambienti più strutturati e accoglienti.

Rimango a disposizione qualora sentisse il bisogno di un ulteriore confronto :)
Dott.ssa Ilenia Colasuonno
Psicologo, Psicologo clinico
Cerveteri
Grazie per aver condiviso così apertamente quello che stai vivendo. È chiaro che ti sei impegnata molto, e nonostante le difficoltà, hai mostrato motivazione, adattabilità e voglia di crescere. Stai attraversando una situazione lavorativa ambigua e frustrante, e il senso di confusione che provi è una reazione normale. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, ti invito prima di tutto a distinguere tra ciò che è sotto il tuo controllo e ciò che non lo è. Non puoi controllare le opinioni delle colleghe o le decisioni poco chiare della direzione, ma puoi osservare i tuoi pensieri, valutare quanto siano fondati, e scegliere come agire in modo funzionale. Il rischio è che inizi a ruminare o a cercare spiegazioni in una situazione che forse non è razionale, ma legata a dinamiche interne dell’azienda su cui non hai potere. In momenti come questi, è utile porti una domanda: sto aspettando chiarezza da persone che finora mi hanno dato segnali incoerenti? Se la risposta è sì, può darsi che restare in attesa aumenti solo la tua frustrazione. Se invece prendi atto che la comunicazione è stata opaca, puoi valutare concretamente i tuoi bisogni: stabilità, rispetto, possibilità di crescita. Se l’attuale ambiente non ti offre queste condizioni, allora iniziare a guardarti intorno non è una sconfitta, ma un atto di cura verso te stessa.
Per quanto riguarda il tuo dubbio: sì, è possibile che l’azienda stia evitando di formalizzare un licenziamento preferendo “non richiamarti”. Questa ambiguità però non deve impedirti di prendere in mano la situazione. Puoi scegliere di scrivere una mail chiara e professionale in cui chiedi se è prevista una prosecuzione del rapporto, e in mancanza di risposta o chiarezza, considerare chiuso il capitolo, anche solo dal punto di vista psicologico. Ti sei dimostrata capace, disponibile, e desiderosa di imparare. Questo non cambia, a prescindere da come si comportano gli altri. Ora il punto è chiederti: voglio restare ferma in attesa di una risposta che forse non arriverà o voglio iniziare a cercare un contesto in cui il mio valore venga riconosciuto e sostenuto?
Resto qui, se vuoi esplorare insieme i prossimi passi.
Dott.ssa Stefania Conti
Psicologo, Psicologo clinico
Palermo
Buongiorno,
la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità la sua esperienza. Comprendo quanto possa essere difficile affrontare una situazione lavorativa così complessa, soprattutto quando l’impegno e la disponibilità non vengono riconosciuti come meriterebbero.

In momenti come questo, può essere utile fermarsi un attimo, fare chiarezza e ritrovare un punto di equilibrio.
Se lo desidera, possiamo fissare un colloquio per approfondire insieme quanto sta vivendo e orientarsi con maggiore serenità.

Quando vuole, sono a disposizione.
Un caro saluto
Dott.ssa Stefania Conti, Psicologa
Dott.ssa Chiara Biasi
Psicologo, Psicologo clinico
Brescia
Buongiorno, comprendo la sua frustrazione visto che si è impegnata e ha dato il meglio che poteva per questa azienda che in questo momento non la sta trattando con la giusta trasparenza che si merita. Un contratto a chiamata di norma dovrebbe essere stipulato proprio per la sua occasionalità, mentre spesso viene usato per non assumere a tempo determinato un lavoratore, quindi stipulo un contratto occasionale ma nella realtà dei fatti tu vieni tutti i giorni a lavorare negli orari prestabiliti. Può sempre provare ad approfondire queste domande in un colloquio con la proprietaria, ma se c'è stato un cambio di approccio così repentino nei suoi confronti probabilmente ci sono delle mosse dall'alto che non le vogliono dire. Deve poi valutare lei se per lei va bene accettare determinate condizioni di lavoro o se non è meglio provare a guardarsi attorno.
Dott.ssa Giuseppa Farina
Psicologo, Psicologo clinico
Frattamaggiore
Buongiorno, la ringrazio per aver raccontato la sua esperienza con tanta chiarezza e sincerità. Si percepisce quanto lei abbia investito in questo percorso, con impegno ma anche quanto questa situazione la stia mettendo alla prova, sul piano lavorativo ed emotivo. Le dinamiche sono complesse e il clima poco trasparente può generare molta confusione e insicurezza.
Le consiglio di ripensare a ciò che hai imparato finora, sia sul piano pratico che personale; di valutare se richiedere un confronto diretto con la direzione per chiarire la sua posizione, oppure orientarsi verso un ambiente di lavoro che riconosca meglio il suo valore;
Può considerare un sostegno psicologico, se sente il bisogno di elaborare quanto accaduto e lavorare su come affrontare certe dinamiche professionali, come il riconoscimento del suo ruolo o la relazione con i colleghi.
Anche se ora tutto appare difficile, questa esperienza può aiutarla a fare maggiore chiarezza su ciò che desidera per il suo futuro, e a rafforzare la sua consapevolezza e sicurezza professionale.
Un caro saluto.
Dott.ssa Pina Farina
Dott.ssa Anna Tosi
Psicologo, Psicologo clinico
Caldiero
Buongiorno, mi dispiace per la difficoltà lavorativa che ora sta vivendo. Questo tipo di situazioni incerte e ambigue, che potenzialmente segnano l'avvio di un cambiamento di vita, possono causare grande stress e disorientamento. Per questo consiglio sempre di ricercare un supporto nel caso in cui ci si percepisca particolarmente in difficoltà. Detto ciò, non è facile fornire un mio punto di vista della situazione perchè si parla di una cultura aziendale e delle pratiche organizzative peculiari per il suo luogo di lavoro, che da fuori è difficile comprendere a pieno. Sicuramente in questi contesti è sempre meglio che le problematiche che emergono tra colleghi vengano condivise col diretto interessato, quindi da parte sua può fare il possibile per ribadire quanto per lei sia importante capire per tempo quali comportamenti adattare alla situazione. Dall'altra parte, mi sembra che questa situazione al momento sia fuori dal suo controllo, quindi potrebbe aiutarla orientarsi per ricercare un altro impiego, in modo da fornirsi un'ulteriore possibilità di cambiamento in un ambiente più accogliente. Infatti, nel caso la ricontattassero, penso che riprendere il suo incarico precedente in un luogo in cui non si è senta capita, non la aiuti ad affrontare meglio questa situazione. Spero di esserle stata d'aiuto, ad ogni modo resto a disposizione. Dott.ssa Anna Tosi
Dott. Marco De Fonte
Psicologo, Psicoterapeuta
Bari
La sua situazione riflette purtroppo una realtà frequente in ambienti lavorativi poco strutturati dal punto di vista comunicativo e organizzativo. Il suo racconto mostra impegno, adattabilità, e disponibilità a mettersi in discussione — tutte qualità preziose. Tuttavia, l’assenza di un protocollo chiaro, la mancanza di feedback trasparenti e la gestione informale dei rapporti interni hanno creato un contesto ambiguo, in cui i criteri di valutazione sembrano soggettivi e poco equi.

Il fatto che la comunicazione del suo “non reintegro” sia avvenuta tramite un’email vaga e senza preavviso, pur in presenza di un contratto a chiamata, può rappresentare un segnale di chiusura non detta. Anche se non si tratta tecnicamente di un licenziamento, spesso queste strategie vengono usate per sospendere un lavoratore senza esporsi legalmente.

Le consiglio, intanto, di salvaguardare la sua serenità e cominciare a valutare attivamente altre opportunità. Allo stesso tempo, può rivolgersi a un consulente del lavoro o a un sindacato per comprendere i margini di tutela del suo contratto, anche solo per verificare la correttezza del trattamento ricevuto.

A livello personale, questa esperienza può essere dolorosa, ma anche rivelatrice: ha dimostrato capacità, apprendimento veloce, e relazioni positive con alcuni colleghi. Sono queste le basi su cui costruire il prossimo passo, possibilmente in un contesto che riconosca e valorizzi davvero il suo potenziale.
Dott. Francesco Damiano Logiudice
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Dott. Francesco Giampaolo
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buongiorno,

so che la situazione ti sta generando confusione e frustrazione: stai vivendo insieme una questione emotiva — il bisogno di riconoscimento e la delusione per la mancanza di fiducia — e una questione contrattuale — contratto a chiamata, assenza di preavviso, ambiguità sui turni. Ecco una lettura integrata e alcune mosse concrete.

Inquadra i fatti: Con un contratto a chiamata l’azienda può decidere di “non chiamarti” senza configurare formalmente un licenziamento.

Chiedi chiarezza: Prima di qualsiasi decisione invia una richiesta formale alla direzione e prova a chiederequal è la programmazione prevista per le prossime settimane. Usau n tono assertivo, non accusatorio: o ti offrono un rientro con contorni chiari, oppure avrai la prova che stanno semplicemente lasciando “morire” il rapporto.

Gestisci il conflitto con le veterane. Il problema non è solo tecnico ma gerarchico-informale: chi lavora lì da vent’anni sembra temere di perdere controllo. Senza confini chiari, ogni gesto rischia di apparire invasivo.

Proteggi la tua autostima. Feedback vaghi (“dovevi capirlo da sola”) alimentano rimuginio. Attieniti ai fatti: hai eseguito addebiti, check-in e pre-autorizzazioni senza errori? Tieni traccia delle operazioni corrette: sono il dato oggettivo che contrasta le accuse generiche.

Più di tutto prepara un piano B.

Inizia seriamente a cercare altrove, magari non a chiamata. Non è un fallimento: spesso il “fit” culturale pesa più delle competenze. Intanto: • aggiorna CV e LinkedIn, sottolineando la tua rapidità d’apprendimento (POS, gestionale, front-office);
• valuta mini-corsi o certificazioni di settore (front-desk, revenue basics) per rafforzare il profilo;
• coltiva contatti con colleghi che ti stimano: possono diventare referenze.

Infine, ma non alla fine, prenditi cura di te.
L’incertezza contrattuale è un piccolo lutto: routine, identità lavorativa e clima di squadra vengono a mancare. Concediti spazio per elaborare: scrivi ciò che provi, condividilo con persone di fiducia, e dedica tempo ad attività che ti restituiscano senso di competenza (sport, hobby, formazione).

Valuta un supporto professionale. Se noti che l’ansia cresce (insonnia, tensione fisica, pensieri intrusivi sul lavoro), un breve percorso psicologico può aiutarti a elaborare la delusione, definire obiettivi di carriera e rafforzare l’assertività.

In sintesi: cerca di ottenere il massimo da dove ti trovi, in maniera assertiva; nel frattempo proteggi il tuo benessere e costruisci un’alternativa. Tenere aperta — ma non dipendente — la porta del rientro ti permetterà di restare lucida e di non farti trovare scoperta se le chiamate non dovessero ripartire.

Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti.
Un caro saluto e buon proseguimento di percorso.
Gentile utente,
Capisco quanto questa situazione possa essere frustrante e confusa. Da quanto racconti, sembra che ci sia stata una gestione poco chiara da parte dell’azienda, sia nella comunicazione interna sia nel trattamento nei tuoi confronti. Hai dimostrato impegno e capacità, ma sei stata penalizzata da dinamiche relazionali complesse e da una struttura lavorativa poco trasparente.
Il mio consiglio è di proteggerti: inizia a cercare altre opportunità lavorative, mantenendo un atteggiamento professionale in questa fase. Se nei prossimi giorni non ricevi comunicazioni chiare o continuità lavorativa, considera l’eventualità che stiano chiudendo il rapporto senza formalizzarlo. Raccogli tutto ciò che può documentare il tuo operato e, se necessario, valuta un confronto con un consulente del lavoro.
Resto disponibile se vorrai approfondire.
Dott.ssa Emma Basilico, psicologa.
Dott.ssa Laura Lanocita
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
La situazione che descrive è attraversata da una serie di complessità che influenzano sia il suo ambiente lavorativo sia la sua percezione del valore professionale. Il suo impiego nel contesto alberghiero e la transizione tra l'apprendimento e l'indipendenza lavorativa hanno portato a dinamiche di incomprensione e di conflitto, che sembrano derivare più da interazioni umane che da competenze tecniche. È naturale sentirsi destabilizzati quando la propria professionalità viene messa in discussione, soprattutto se si ha l’impressione di non poter influire su tale percezione. Le esperienze che ha vissuto, dalle differenze lavorative tra colleghi ai rapporti interpersonali con i veterani dell'ambiente, possono suscitare sentimenti di frustrazione e ambiguità. Questo attrito riflette una questione più profonda riguardante il riconoscimento e il desiderio di integrazione. In una prospettiva psicoanalitica, si considererebbe il modo in cui il suo inconscio risponde a situazioni di marginalizzazione e come ciò interagisca con il suo bisogno di stabilità e accettazione. Nell'approccio che seguo, l'attenzione si focalizza su come possano emergere dei modelli di risposta a situazioni di conflitto interiore, cercando di svelare i legami inconsci che strutturano la situazione. Affrontare questi problemi richiede uno spazio in cui sia possibile esplorare queste dinamiche senza giudizio, per scoprire come queste esperienze si intrecciano con il proprio senso di sé e il posizionamento professionale.
Se desidera, possiamo esplorare insieme queste aree, cercando di comprendere come affrontare la difficile situazione attuale.
L’aspetto fondamentale è il suo di modo di tornare a sentirsi sicura, libera di agire e di affermarsi.
Sono qui per ascoltarla e sostenerla in questo percorso.
Cordialmente, dottoressa Laura Lanocita.
Buongiorno,
grazie per aver descritto con così tanta precisione la sua situazione. Provo a restituirle un parere professionale sintetizzando i punti principali:
1. Contratto a chiamata (o intermittente). Con questo tipo di contratto non esiste un obbligo da parte dell’azienda di garantire continuità lavorativa, né è richiesto un preavviso formale in caso di interruzione delle chiamate.
La frase "non sei licenziata, semplicemente per la prossima settimana non sei prevista in turno" è formalmente corretta, ma lascia spazio a un uso ambiguo da parte dell’azienda, che può di fatto “congelare” la sua posizione senza interrompere ufficialmente il rapporto.
2. Dinamiche relazionali e valutazione soggettiva. Il fatto che alcune colleghe non abbiano mai espresso direttamente le loro perplessità, ma abbiano riportato tutto alla proprietà, è purtroppo una dinamica comune nei contesti non strutturati, dove mancano protocolli chiari o una leadership che favorisca il confronto costruttivo.
Nonostante i suoi sforzi, è evidente che la mancanza di un coordinamento interno e di un metodo condiviso abbia penalizzato la sua posizione. Questo, unito al fatto che alcune colleghe più esperte non volevano supporto ma piuttosto "autonomia totale", ha creato un contesto difficile per una figura junior come la sua.
3. Comportamento dell’azienda. La decisione improvvisa di toglierla dall’hotel (senza una comunicazione scritta diretta a lei, ma inviata all’indirizzo generale dell’hotel) e il fatto che non ci siano attualmente chiamate previste fa pensare a una volontà implicita di allontanarla, senza formalizzarlo (per evitare complicazioni legali o di reputazione).
Tuttavia, l’assenza di una disdetta scritta la lascia in una sorta di “limbo contrattuale”.

Cosa può fare adesso?
- Monitorare la situazione per qualche giorno, come suggerito dal collega, ma dandosi una scadenza chiara (max 10 giorni).
- Preparare un'alternativa lavorativa, iniziando a inviare CV e valutare ambienti più strutturati dove l'apprendimento e il merito siano valorizzati.
-Scrivere una mail educata ma chiara alla direzione, dicendo ad esempio:
"A seguito della comunicazione ricevuta e della sospensione dell’affiancamento, vorrei sapere se sono previste chiamate future o se posso considerare concluso il mio percorso. Mi farebbe piacere comprendere se vi siano possibilità di proseguire con altri colleghi o in altre strutture del gruppo, dato l’apprezzamento ricevuto da parte di alcuni membri del team.”
- Valutare una consulenza con un patronato o sindacato, soprattutto se il contratto a chiamata è stato usato impropriamente (es. con turni sistematici settimanali: in certi casi si configura una subordinazione di fatto che può essere oggetto di contestazione legale).

Lei ha mostrato impegno, flessibilità e una volontà concreta di crescere. Se l’azienda non sa valorizzare questo, forse non è l’ambiente giusto per il suo sviluppo professionale.
Non è una sconfitta, ma un passaggio che può insegnarle a riconoscere contesti più sani, dove possa crescere con più autonomia e rispetto.

Se desidera, posso aiutarla a rivedere il suo CV per future opportunità.

Un caro saluto,
e forza: ha tutte le carte in regola per ricominciare con più consapevolezza.

Dott.ssa Janett Aruta
Psicologa (sociale, del lavoro e delle organizzazioni) - ricevo su MioDottore e in presenza a Palermo
Dott.ssa Giada Casumaro
Psicologo, Terapeuta, Professional counselor
Rovereto sulla Secchia
Ciao, il tuo impegno penso debba essere rispettato e anche il mettersi in gioco non è da tutti. Stare in questa situazione precaria o comunque non chiara non aiuta ma è importante che qualunque decisione tu prenda sia serena e consapevole delle eventuali conseguenze che ci possono essere. se rimani è importante che tu riconosca il tuo valore senza ascoltare quello che altri possono pensare o dire, d'altra parte se non è un lavoro che ti soddisfa è il momento giusto per guardarsi intorno e cercare anche qualcosa in cui ti senti molto brava e che l'impegno sia faticoso che anche appagante.
Rimango a disposizione, Dottssa Casumaro Giada
Dott.ssa Simona Santoni
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Salve,
la situazione che descrive è molto delicata e comprensibilmente fonte di frustrazione, confusione e senso di ingiustizia. Sta affrontando non solo un cambiamento lavorativo impegnativo, ma anche una serie di dinamiche relazionali e organizzative che sembrano aver messo in discussione il suo valore professionale, nonostante l’impegno e i progressi da lei descritti.
Da quanto racconta, emerge un forte desiderio di mettersi in gioco, di imparare, e una grande attenzione alla qualità del proprio lavoro. È doloroso quando questi sforzi non vengono riconosciuti e, anzi, si trasformano in malintesi o giudizi.
Purtroppo in contesti lavorativi poco strutturati, senza linee guida chiare o protocolli condivisi, il rischio è che le differenze tra colleghi generino conflitti silenziosi o tensioni non esplicitate. Quando poi il feedback arriva in modo improvviso e poco trasparente, come sembra essere accaduto nel suo caso, può lasciare una ferita profonda e un forte senso di spaesamento.
Dal punto di vista contrattuale, avendo un contratto a chiamata (che prevede una chiamata solo in caso di effettivo bisogno), la mancata continuità non costituisce formalmente un licenziamento. Tuttavia, sul piano umano e professionale, ricevere un’interruzione improvvisa dopo settimane di impegno regolare può essere vissuto come tale. È lecito interrogarsi su quanto l’ambiente di lavoro sia realmente pronto a sostenere chi, come lei, sta affrontando una transizione di ruolo e crescita.
Se il vissuto emotivo di questa esperienza pesa molto, valutare un supporto psicologico, anche breve, può aiutarla a elaborare quanto vissuto e ritrovare una direzione.
A volte le difficoltà lavorative ci offrono informazioni preziose su ciò che cerchiamo davvero in un contesto professionale.
Un caro saluto,
Simona Santoni - Psicologa
Dott. Mario Edoardo Camanini
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Buongiorno, dalle sue parole si percepiscono impegno, dedizione e anche una grande confusione per quanto sta accadendo. È comprensibile sentirsi disorientata dopo un’esperienza in cui ha dato molto e non ha ricevuto la chiarezza che merita. Spesso, in ambienti di lavoro dove mancano comunicazione e procedure condivise, possono nascere incomprensioni che non dipendono solo dalle competenze, ma anche dalle dinamiche tra colleghi.

Prima di trarre conclusioni definitive, può essere utile prendersi del tempo per capire cosa desidera davvero per sé sul piano professionale e personale, e come tutelarsi con lucidità. Un percorso psicologico orientato all’autostima e alla gestione dei conflitti potrebbe aiutarla a rafforzare la fiducia in sé e a trovare una direzione più serena. Se lo desidera, può contattarmi: potremo lavorare insieme su come affrontare questa fase e darle un significato costruttivo. Saluti

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