Buongiorno egregi, al lavoro mi è capitato che un collega (babbasone) vent'anni in meno a me e da po

24 risposte
Buongiorno egregi, al lavoro mi è capitato che un collega (babbasone) vent'anni in meno a me e da poco effettivo, come spesso succede pensano di essere arrivati e di potersi permettere ogni cosa, ha umiliato pubblicamente un ragazzo 18enne non effettivo, con atti simili al mobbing del tipo che non deve prendersi pause nemmeno quando termina il suo compito ma sgobbare, sgobbare e sgobbare, e fate anche cio che non gii viene chiesto al punto che il ragazzo s'è messo a piangere. Silenzio da parte di tutti i presenti.
Ho difeso verbalmente il ragazzo sostenendo che siamo tutti sulla stessa barca e che se la sta prendendo con un ragazzo appena maggiorenne quando anche lui (babbasone..) quando sostituiva noi colleghi in ferie aveva lo stesso comportamento suo, rimettendo la chiesa al centro del villaggio. Quest' ultimo ha subito cercato uno scontro fisico, sono stato bravo a non cedere alla tentazione ma rispedendolo al mittente allontanandolo dopo avergli chiesto per ben sei volte di staccarsi da me.
I superiori orecchie da mercante, venti colleghi nessuno ha visto niente neppure chi in passato mi elemosinava di uscire con le famiglie per fare amicizia...
Detto ciò ho parlato col sindacato chiarendo il precedente e di tenere a tacere per ora la situazione.
Detto ciò vi scrivo principalmente perché a volte mi sento io sbagliato nel l'aspettarmi un certo comportamento dai colleghi amici.. con una collega carissima che sostiene di portare solo me nella sua vita privata nonostante tanti anni di lavoro in azienda e tanti colleghi conosciuti, per farmi arrivare l'importanza e la stima per il sottoscritto.
In pratica il signorino violento ha iniziato a bersagliare lei per farci amicizia e provare a portarsela nella sua combriccola. Inviti a pranzi di lavoro, messaggini, rapporto improvvisamente intensificato al lavoro, inviti a cena con la sua combriccola di maschietti (rifiutati a detta sua..), lei non mette paletti, tende a dar loro gentilezza ma anche disponibilità, le ho fatto notare che secondo me a parti invertite avrebbe dato fastidio anche a lei, ricevendo in cambio che lei benché veda in me un punto di riferimento concreto (spesso verbale ma sporadicamente anche con gesti concreti di ricerca e condivisione di momenti nostri) vuole andare d'accordo con tutti e quindi la sua disponibilità è finalizzata a ciò.
La domanda che mi è partita è che allora la darebbe a chiunque anche a un violento, a un pedofilo, a un camorrista e quant'altro mettendomi sullo stesso piano loro? Io che sono un iperselettivo dando valore presenza e vicinanza solo a chi lo merita, la sua selezione dove sarebbe?
Il suo comportamento mi ha ferito, un po' la sto lasciando fare perché di certo nonostante la profonda amicizia non posso permettermi di dirle quel che deve fare, ma faccio fatica a considerarla con la stessa stima dei precedenti 10 anni di lavoro assieme e mi sono distaccato inevitabilmente con lamentela non esplicita da parte sua, come se le fosse dovuta la mia presenza, dedicandomi a chi invece ha apprezzato il mio gesto, elogiando pubblicamente la mia persona senza aver mai avuto da me nulla in cambio a differenza della collega in questione.
Sinceramente, il vostro approccio sarebbe stato così differente dal mio? O sono io che devo imparare a non fidarmi nemmeno delle amicizie più autentiche (rarissime) che riesco a crearmi?
Dott. Amedeo Fonte
Psicologo, Psicologo clinico
Pescara
Quello che lei racconta mostra quanto per lei sia importante la coerenza tra il sentire interiore e i comportamenti, specialmente nei legami in cui ha investito fiducia e stima. Il suo intervento in difesa del ragazzo denota un forte senso di giustizia e responsabilità, ma l’assenza di supporto da parte degli altri, in particolare della collega a cui si sente legato, sembra aver riaperto una ferita più profonda, forse legata al desiderio di riconoscimento e di reciprocità. La sua delusione non nasce solo da un fatto isolato, ma sembra toccare qualcosa di più ampio, come se quando l’altro non risponde come lei si aspetta, si rompesse qualcosa di essenziale. Potrebbe allora essere utile chiedersi cosa rappresenti per lei la fiducia, e se possa esistere anche quando l’altro non agisce secondo i suoi stessi criteri. La domanda che pone, se sia lei a doversi fidare di meno, forse potrebbe trasformarsi in un’altra, ad esempio cosa si muove in lei quando l’altro si sottrae, non prende posizione, o si mostra ambiguo? Qual è il significato che attribuisce a questi gesti, e perché fanno così male proprio quando provengono da chi sente più vicino? Può esserle utile continuare a riflettere su quanto questo episodio le abbia mostrato su sé stesso, sulla sua posizione nel gruppo, ma anche su ciò che si aspetta da chi sente vicino. E forse, se il dolore è stato così acuto, è proprio perché qualcosa di importante, per lei, si stava giocando in quell’amicizia.

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Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Buongiorno,

grazie per aver condiviso con tanto dettaglio una vicenda così complessa, che tocca diversi piani: lavorativo, relazionale, emotivo e personale.

Dal tuo racconto emerge un quadro molto carico di stress e disillusione, dove hai agito con coraggio difendendo un collega più giovane da atteggiamenti prevaricatori. È comprensibile che, dopo aver preso posizione, tu ti senta solo e deluso dalla mancanza di sostegno sia da parte degli altri colleghi sia da parte dei superiori. Questo senso di isolamento, purtroppo, è frequente nelle dinamiche di gruppo quando qualcuno rompe il “silenzio collettivo” su comportamenti scorretti. Non significa affatto che tu sia “sbagliato” ad aspettarti solidarietà o lealtà: il tuo desiderio di contesti relazionali basati su rispetto reciproco è sano e legittimo.

Rispetto alla collega a cui sei molto legato, il tema centrale che poni riguarda la differenza tra il tuo stile relazionale — selettivo, basato sulla fiducia e sulla reciprocità profonda — e il suo, che appare più improntato alla diplomazia e al desiderio di andare d’accordo con tutti. Non necessariamente la sua disponibilità verso gli altri equivale a metterti “sullo stesso piano” di persone violente o discutibili; può trattarsi di un suo modo di mantenere equilibrio in un ambiente che percepisce ostile o competitivo. Tuttavia, se per te questo comportamento rappresenta un tradimento dei vostri valori condivisi, è naturale che tu provi delusione o ferita.

La domanda se sei “tu a dover imparare a non fidarti nemmeno delle amicizie più autentiche” tocca un punto delicatissimo. Non credo sia necessario diventare diffidenti verso tutti. È però utile, in un contesto lavorativo, distinguere tra relazioni private (basate su fiducia, intimità, valori condivisi) e relazioni professionali, dove talvolta le persone possono agire in modo più ambiguo o strategico. Non significa che l’amicizia con la tua collega sia da buttare via, ma potrebbe essere necessario ridefinire i confini, affinché tu non viva continue frustrazioni o aspettative deluse.

Sul piano pratico, hai gestito con lucidità una situazione che poteva degenerare fisicamente, e hai scelto di riferire al sindacato: una strategia corretta, visto il contesto di silenzio generale. Ti incoraggio a continuare a tutelarti, raccogliendo eventualmente documentazione o testimonianze se gli episodi di mobbing dovessero ripetersi.

In sintesi, il tuo approccio non è affatto sbagliato: hai agito secondo i tuoi valori, e questo è degno di rispetto. Non è detto che tutti avrebbero fatto lo stesso. È però importante proteggerti emotivamente e lavorare su come modulare le aspettative, senza rinunciare del tutto alla fiducia ma nemmeno esponendoti a ferite inutili.

Per approfondire e affrontare queste tematiche in modo più mirato — sia sul piano delle emozioni personali, sia sul piano delle strategie relazionali e lavorative — sarebbe utile e consigliato rivolgersi a uno specialista.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott. Luca Vocino
Psicologo clinico, Psicologo
Trezzano Rosa
Buongiorno gentile Utente, ho letto con attenzione quanto ha voluto condividere e la ringrazio per averlo fatto con un linguaggio schietto, diretto, ma al tempo stesso ricco di riflessioni profonde. Mi pare evidente che lei stia attraversando un momento di forte disillusione, accompagnato da un senso di amarezza e solitudine emotiva, derivante non solo da un contesto lavorativo che appare, per come lo descrive, privo di sostegno e giustizia, ma anche dalla sensazione di vedere venir meno quei legami umani e autentici su cui pensava di poter contare.

Partirei dal primo episodio, quello che riguarda l’umiliazione del giovane collega. Il suo intervento (deciso, tempestivo e coerente con i valori di rispetto e solidarietà) rappresenta un gesto di responsabilità e coraggio non scontato. Non cedere alla provocazione fisica, restando fermo ma lucido, è stato non solo maturo, ma anche eticamente rilevante. Purtroppo, come spesso accade, chi agisce con integrità può ritrovarsi a vivere un paradosso doloroso: l’isolamento, il silenzio dei colleghi, l’ipocrisia di chi un tempo cercava la sua amicizia, l’indifferenza dei superiori. È umano chiedersi, in situazioni simili, se valga davvero la pena esporsi. Ma, con trent’anni di esperienza alle spalle, posso dirle che la coerenza con i propri principi, anche quando costa, resta una delle forme più alte di dignità personale. Non è lei quello “sbagliato”.

Veniamo ora all’altro nodo, forse ancora più spinoso perché tocca la dimensione relazionale e affettiva, che per ognuno di noi ha un peso profondo. Lei parla di una collega verso la quale ha nutrito per anni una fiducia e una stima speciali, costruite nel tempo. Il fatto che lei oggi percepisca in quella collega una sorta di ambiguità (una disponibilità nei confronti di chi ha messo in atto comportamenti discutibili) genera in lei una reazione comprensibile: delusione, rabbia, e forse anche gelosia morale, nel senso più nobile del termine, cioè quel sentimento che nasce quando vediamo qualcuno che stimiamo non tenere la barra dritta rispetto a ciò che per noi è “giusto”.

Ora, lei mi chiede se il suo approccio sia sbagliato, se debba imparare a non fidarsi nemmeno delle amicizie più autentiche. Io non credo che il problema sia la fiducia in sé, quanto piuttosto il modo in cui la nostra mente (quando siamo molto selettivi e idealisti) tende a chiedere coerenza assoluta da chi amiamo o stimiamo. La sua selettività è una qualità, perché le consente di circondarsi di relazioni autentiche, ma quando questa qualità si irrigidisce, rischia di diventare fonte di sofferenza. Le persone che scegliamo, pur se sincere, non sempre si muovono secondo le nostre aspettative. Non è detto che condividano i nostri criteri etici in tutto e per tutto. Questo non vuol dire che abbiano meno valore, ma che forse il valore che lei attribuisce loro va ridefinito in una forma più realistica e meno assoluta.

La delusione che prova verso la sua collega non va negata: è reale e va accolta. Ma nel farlo, le suggerirei di interrogarsi su che tipo di aspettative implicite nutriva nei suoi confronti, che tipo di legame si era venuto a creare, e se il dolore che prova non derivi anche da una forma di investimento affettivo molto profondo che oggi si trova a fare i conti con un limite. Questo non rende lei debole, anzi, indica la sua capacità di sentire, di coinvolgersi, di dare valore. Forse non si tratta di smettere di fidarsi delle amicizie autentiche, ma di imparare a riconoscerle per quello che sono: imperfette, sfumate, diverse da noi, ma pur sempre importanti.

Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Dott.ssa Jessica Furlan
Psicologo, Psicologo clinico
Fiumicino aeroporto
Buongiorno, io le consiglio di non ragionare "o questo o quello" e vedere più possibilità di evoluzione del rapporto con la sua collega andando a "e questo e quello".
Per poter fare questo, le consiglio di parlare apertamente con la sua collega/amica di come si sente.
La sincerità e l'autenticità sono la base per poter soddisfare i suoi bisogni e necessità.
Chiedere all'altro la spiegazione dei suoi comportamenti è necessario per avere una relazione bidirezionale.
Spero di esserle stata di aiuto
Saluti
La ringrazio sinceramente per aver condiviso qui questo suo sfogo, così denso di dolore, lucidità e coraggio. Leggo tra le sue parole una profonda ferita, che non nasce solo dall'episodio di aggressione, ma soprattutto dal silenzio e dall'indifferenza che ne sono seguiti, fino ad arrivare al comportamento della persona che considerava un'amica carissima.
Vorrei essere molto chiaro su un punto: il suo gesto di difendere un collega più giovane e vulnerabile non è "sbagliato". Al contrario, è un atto che rivela un profondo senso di giustizia e di integrità. La sofferenza che prova non nasce dal suo comportamento, ma dalla dolorosa scoperta che i suoi valori non sono universalmente condivisi, nemmeno dalle persone che sentiva più vicine.
Il dolore più grande, mi sembra di capire, arriva proprio da qui: dal vedere l'amica, a cui ha dato un valore speciale, interagire con la persona che l'ha aggredita. Questo la porta a mettere in discussione tutto, a sentirsi tradito e svalutato.
Più che un giudizio sul suo operato, che è stato coraggioso, forse può essere utile guardare alla situazione come a uno scontro tra modi diversi di stare al mondo e di gestire la paura. Lei ha scelto di agire secondo i suoi princìpi, pagandone un prezzo sociale. La sua collega, forse, sta scegliendo una strada diversa, dettata da altre paure o da un bisogno di quieto vivere e di non crearsi problemi in un ambiente che ha già percepito come ostile.
Questo non rende il suo comportamento meno doloroso per lei, ma può aiutare a vederlo non necessariamente come un tradimento personale, ma come l'espressione di una profonda e, a volte, inconciliabile differenza nel modo di intendere le relazioni e il coraggio.
La sua domanda finale, se debba smettere di fidarsi, è il cuore della sua ferita. Forse la lezione dolorosa di questa esperienza non è "non fidarsi più di nessuno", ma comprendere che anche le amicizie più autentiche hanno dei limiti, e che le persone, sotto pressione, rivelano le loro paure e le loro priorità, che non sempre coincidono con le nostre. La sfida, ora, non è tanto giudicare gli altri, ma decidere come prendersi cura di questa ferita e come continuare a vivere in accordo con i propri valori, pur nella consapevolezza che non tutti avranno la sua stessa forza.
Le auguro di poter trasformare questa dolorosa e inaspettata esperienza in un'occasione di crescita personale.
Un caro saluto.
Dott. Francesco Damiano Logiudice
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Leggendo le sue parole si avverte subito quanto questa vicenda abbia toccato corde profonde, non solo sul piano della giustizia e del senso di rispetto sul lavoro, ma anche sul piano dei legami umani, della lealtà e della coerenza di valori che lei, giustamente, difende con determinazione. È evidente che per lei la correttezza, il sostegno reciproco e il dare valore alla persona, soprattutto quando è più fragile, non sono principi astratti ma modi concreti di stare al mondo. Proprio per questo ha avuto la forza di difendere un ragazzo in difficoltà, quando nessuno si è mosso, affrontando da solo anche il rischio di uno scontro fisico e la delusione di vedere i colleghi, quelli che chiamava amici, girarsi dall’altra parte. È normale, di fronte a questa freddezza, sentirsi tradito o persino domandarsi se sia sbagliato aspettarsi qualcosa di più dagli altri. Mi sento di dirle che no, non è sbagliato. Aspettarsi correttezza, gratitudine e una certa coerenza nei comportamenti quando si parla di amicizia vera è un bisogno profondamente umano. Tuttavia, è altrettanto vero che non tutti danno lo stesso significato alle relazioni: lei è selettivo perché investe molto, dà valore e riconosce chi merita la sua fiducia. La sua collega, invece, sembra avere un approccio più accomodante, forse per indole, forse per timore di conflitti o di rotture nette. Non è detto che sia un atteggiamento giusto o sbagliato in assoluto, ma sicuramente è molto diverso dal suo modo di vivere la lealtà. In queste differenze si crea quella frattura dolorosa che descrive: quando ci accorgiamo che qualcuno a cui teniamo profondamente non mette lo stesso limite che noi metteremmo, ci sentiamo messi sullo stesso piano di chi non lo merita. E questo, comprensibilmente, ferisce l’autostima e fa nascere dubbi profondi. Il rischio è che la mente, per difendersi, passi a pensieri assoluti come quello di non fidarsi più di nessuno, o di mettere in dubbio il valore stesso dei legami. Quello che può fare è continuare a distinguere i comportamenti dalle persone: la sua collega probabilmente non ha cattive intenzioni e non la sta sminuendo come valore umano, ma di fronte alle avance di quel collega ha scelto, per ora, di non mettere un confine netto, forse per evitare conflitti. Questo non cancella tutto ciò che c’è stato tra voi, ma è giusto che lei si dia il diritto di sentire questa delusione e di prendere atto che, su questo aspetto, non siete allineati. Non è necessario annullare il legame o diventare freddi, ma può riposizionarlo, senza più caricare quella persona di aspettative che lei non è in grado di soddisfare. Così facendo protegge la sua coerenza e continua a dare valore a chi davvero la merita. Infine, voglio dirle che il gesto di difendere chi non aveva voce non è stato vano, anche se sul momento è sembrato isolato: il ragazzo si ricorderà di chi lo ha protetto, e anche chi ha assistito, seppure in silenzio, sa chi ha avuto coraggio. Questo la definisce come persona, molto più di qualunque parola di circostanza. Non perda questo aspetto prezioso di sé per colpa di chi, per paura o comodità, non riesce a fare altrettanto. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott. Francesco Paolo Coppola
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Napoli
Settimo Sigillo
Caro,
non ti conosco, ma mi sei particolarmente caro.

Perché tutti, quando scrivono, parlano di sé.
Tu invece — con la tua domanda — hai parlato dell’altro, e in fondo di tutti noi.

Provo a dirla così:
perché c’è il male? la morte? la vecchiaia? la malattia? la povertà?
È questa la tua domanda. E anche se non l’hai detta con quelle parole, io l’ho sentita così.

È la stessa domanda che si fece Siddharta, il Buddha, quando lasciò il palazzo dorato in cui suo padre — re Śuddhodana — lo aveva rinchiuso per impedirgli di vedere la realtà della condizione umana.
Quando fuggì, vide un vecchio, un malato e un morto.
E da lì iniziò la ricerca.

Anche San Francesco abbandonò tutto.
Ma anche milioni di persone anonime, senza nome, che ogni giorno non si voltano dall’altra parte davanti al dolore degli altri.

Ma allora, se Dio è buono e onnipotente, perché esiste il Male?

È la domanda che ha attraversato tutta l’umanità.
E ancora oggi nessuno ha saputo davvero rispondere.

Ingmar Bergman ci ha provato con un film meraviglioso: “Il Settimo Sigillo”.
Nel film, ambientato al tempo delle crociate, un cavaliere torna dalla guerra e incontra la Morte, che lo segue come un’ombra.
Lui gioca a scacchi con lei, cercando di capire, di rimandare la fine, di trovare un senso.
Quel settimo sigillo, secondo l’Apocalisse, è l’ultimo da aprire prima del silenzio di Dio.
E dentro quel silenzio… ci siamo noi.

Allora ti rispondo così:
se davvero vuoi aiutare gli altri, inizia da te.
Conosci te stesso.
Perché solo chi conosce le proprie ombre, può vedere l’altro per intero, senza idealizzarlo e senza giudicarlo.

Un grande albero protegge i funghi, gli uccelli, i fiori…
Eppure non si muove.
Sta fermo.
Ma accoglie.

Così dovremmo essere anche noi.
Non per salvare.
Ma per essere presenza stabile, vera, senza pretese.

Perché se l’altro non decide di cambiare,
di amare se stesso,
di vedere la propria ferita,
tu potrai solo stargli accanto, ma non “guarirlo”.

Quando una persona mi dice: “Come faccio a cambiare mio marito, mio figlio, il mio caro?”,
io rispondo:
“Perché lo accompagni? E perché non cominci, invece, a comprendere te stesso?”

Grazie per la domanda.
Hai toccato un sigillo antico.
Forse, senza saperlo, l’hai già aperto.

Sono Francesco Coppola psicologonapoli.org
Per ulteriori informazioni su di me ed i miei scritti le troverai sul mio PROFILO
Dott.ssa Sandra Petralli
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Pontedera
Buongiorno,quella che descrive è una situazione complessa e carica di tensioni emotive. Ha agito con coraggio, opponendosi a un comportamento che può essere ricondotto al mobbing sul lavoro, difendendo un collega più giovane e vulnerabile. È naturale, dopo un gesto simile, sentirsi feriti nel constatare la passività o l’ambiguità di chi considerava vicino, specialmente in un contesto professionale dove la fiducia tra colleghi e le amicizie sul lavoro possono rappresentare un punto d’appoggio.Le sue riflessioni toccano un tema profondo: quando le aspettative relazionali non trovano corrispondenza, può emergere un senso di disillusione, o addirittura di smarrimento. Il fatto che lei attribuisca valore, tempo ed energia solo a chi ritiene davvero degno della sua fiducia dimostra una struttura valoriale solida. Tuttavia, non tutti adottano lo stesso criterio selettivo nelle relazioni, e questo può dar luogo a incomprensioni e sofferenze, senza che vi sia necessariamente una malafede.Ciò che ferisce, spesso, non è l’atto in sé, ma il suo significato per noi: vedersi messi sullo stesso piano di chi ha agito con violenza o mancanza di rispetto può toccare profondamente il senso di giustizia personale. Tuttavia, ogni persona ha modalità diverse di gestione dei rapporti e non sempre una mancata presa di posizione equivale a una presa di distanza nei suoi confronti. Non si tratta tanto di smettere di fidarsi, quanto di riconoscere – e accettare – che non tutti condividono lo stesso livello di sensibilità e coerenza. Se la ferita permane, potrebbe essere utile affrontarla in uno spazio protetto come quello psicoterapeutico, per elaborare il senso di ingiustizia e rafforzare le sue risorse . Con una modalità come la mindfulness potrebbe imparare a dirigere la propria attenzione e le sue emozioni in modo da diminuire il senso di offesa e ferita che ora la attanaglia.
Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Salve , purtroppo c’è un dilagare di comportamenti tossici nella nostra società e quindi anche sul posto di lavoro.
Il malessere personale, gli irrisolti e la frustrazione possono spesso condurre a ciò.
Chiaramente non essendo calato nella situazione e non conoscendo bene le dinamiche é impossibile dare un parere e dire quale sia il “comportamento giusto “ , però dalla sua descrizione si descrive “iperselettivo”.
Sebbene avere degli standard sani e funzionali sia una cosa fondamentale alcune volte un eccesso di questi standard potrebbe farci sentire soli e di non stare effettivamente sereni.
A tal proposito le suggerirei anche uno solo o pochi incontri con un collega psicologo per approfondire la situazione, le sue modalità di risoluzione dei conflitti, la comunicazione e tanti altri aspetti relazionali che magari potrebbero aiutarla ad avere una gestione persino migliore dei rapporti sul luogo di lavoro e non solo.
Buone cose, dott.Marziani
Dott. Gianluigi Torre
Psicologo clinico, Psicologo
Terracina
La ringrazio per aver condiviso con tanta profondità ciò che ha vissuto. Le sue parole raccontano una vicenda densa di significati, e soprattutto portano alla luce una questione centrale: il senso di solitudine che può provare chi sceglie di agire secondo coscienza, anche quando farlo significa esporsi, mettersi in una posizione scomoda, andare controcorrente. Lei ha difeso un ragazzo fragile in un momento di evidente ingiustizia, ed è stato l’unico a farlo. Questo la qualifica, senza alcun dubbio, come una persona dotata di un’etica interiore solida, mossa da una forma di responsabilità che va ben oltre il dovere formale. In contesti lavorativi dove prevale l’omertà, l’indifferenza o la paura del conflitto, la sua voce stonava, in senso buono perché era l’unica in armonia con qualcosa di più grande: il rispetto per l’altro, la difesa dei più vulnerabili, la giustizia.

È del tutto comprensibile che, in mezzo al silenzio degli altri e alla passività dei superiori, lei si sia sentito disilluso, perfino amareggiato. Ma questo non fa di lei “quello sbagliato”. Al contrario, dimostra quanto sia raro incontrare qualcuno che abbia ancora il coraggio di non girarsi dall’altra parte. Questo tipo di integrità ha un prezzo: spesso, chi la possiede finisce per sentirsi isolato. Non perché è sbagliato lui, ma perché sono in pochi a esporsi davvero.

Poi c’è la questione della collega, un rapporto che tocca corde più intime. Da quanto racconta, appare chiaro che lei le ha attribuito un ruolo speciale nella sua vita, e che nel tempo ha costruito con lei un legame basato su una stima profonda, maturata non solo attraverso le parole ma anche nei gesti concreti, nella fiducia, nella selezione reciproca. Ecco perché il suo comportamento, oggi, fa così male. Non si tratta solo del fastidio per la sua diplomazia con un soggetto aggressivo, ma di una ferita ben più profonda: quella di sentirsi messi sullo stesso piano di chi non condivide i suoi valori, quella di vedere una relazione importante svilita da scelte che, nel suo modo di intendere le relazioni, risultano incoerenti, forse perfino ingiuste.

Ma qui bisogna fare una distinzione sottile, anche se dolorosa. Ogni persona si muove nel mondo con un proprio codice relazionale. Lei è iperselettivo, autentico, probabilmente abituato a legarsi solo dove percepisce coerenza e profondità. La sua collega, invece, sembra muoversi in modo più conciliante, accomodante, forse persino strategico. Non necessariamente per superficialità, ma per una forma di adattamento che privilegia l’armonia all’interno del gruppo. Questo non significa che lei le importi meno. Ma significa che, nel suo codice, il valore della relazione non si misura con gli stessi parametri che lei usa.

Tuttavia, questa differenza, se non accolta o almeno riconosciuta, può diventare un ostacolo profondo. Può spezzare un equilibrio. E può farle giustamente nascere il bisogno di ridefinire quella relazione, magari abbassando le aspettative, prendendo atto che non è ciò che pensava, che non può darle ciò che lei invece ha offerto con autenticità.

Distaccarsi in modo graduale non è una punizione, ma una forma di protezione. Non è detto che il legame debba essere reciso. Ma può cambiare, può trovare un nuovo assetto, meno idealizzato, più realistico. Lei non deve smettere di fidarsi del prossimo, ma forse può iniziare a riconoscere che alcune persone non hanno i suoi stessi strumenti emotivi, non parlano il suo stesso linguaggio affettivo, e non per questo sono da escludere, ma neppure da idealizzare.

In definitiva, non è lei a dover cambiare natura. La sua coerenza, il suo senso di giustizia, la capacità di agire quando gli altri tacciono, sono qualità preziose. Ma forse può scegliere con maggiore lucidità dove investire davvero, dove mettere il cuore, dove aspettarsi reciprocità. E dove, invece, limitarsi a osservare, comprendere, e proteggersi. La sua sensibilità non è un difetto. È solo un dono raro, che va custodito con la stessa cura con cui lei ha difeso quel ragazzo. Anche lei merita quella stessa difesa. Da parte sua, prima di tutto.








Un abbraccio.

Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Psicologo, Psicologo clinico, Professional counselor
Forlì
Salve, ti faccio i miei complimenti per il coraggio che hai avuto e perchè hai agito con correttezza difendendo un collega vulnerabile e mantenendo la calma di fronte alle provocazioni. Capisco la delusione verso la collega che mantiene un atteggiamento più “aperto” verso tutti, anche verso persone per te problematiche, ma devi capire che il suo atteggiamento riflette uno stile relazionale diverso: tu sei selettivo e cerchi profondità, lei preferisce l’armonia e l’inclusività. Questo però non toglie valore alla vostra amicizia, ma ti richiede di accettare le differenze fra voi senza sentirti tradito. La fiducia resta preziosa e va coltivata, ma non è detto che ogni divergenza significhi perdita di stima o fallimento del rapporto. Trovo sia importante e utile mantenere un dialogo aperto sulle vostre diverse aspettative, senza pretendere cambiamenti immediati o forzati da parte sua.
Se senti il bisogno di approfondire queste dinamiche e lavorare su fiducia e confini relazionali, un percorso psicologico potrebbe offrirti supporto e strumenti efficaci e ti aiuterebbe anche a comprendere meglio quello che provi e a dargli lo spazio che merita. Pensaci seriamente.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Dott.ssa Valeria Randisi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Casalecchio di Reno
Buonasera, il suo comportamento così raro e apprezzabile non trova facilmente risonanza in chi ha paura di portare avanti le proprie idee, in un posto di lavoro che per molti diventa fonte di paura. Credo che la maggior parte delle persone teme di essere perseguitato se fa valere le proprie idee e se sa difendere la propria dignità. Credo che in questa società debba selezionare tanto soprattutto a lavoro ma con un po' di intuito imparerà a farlo in fretta. Un suggerimento: le amicizie a lavoro sono più difficili da trovare.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Dott. Michele Basigli
Psicologo, Psicologo clinico
Perugia
Buongiorno e grazie per aver condiviso questa complessa e delicata situazione.
La tua domanda tocca diversi aspetti fondamentali delle relazioni sul lavoro e delle dinamiche personali, e ti risponderò cercando di fornirti una prospettiva equilibrata e professionale.

1.Riconoscere le dinamiche di potere e il rispetto sul lavoro: il comportamento del collega più giovane e aggressivo, che umilia e mobbizza un ragazzo più giovane, è inaccettabile e viola le norme di rispetto e civiltà sul luogo di lavoro. È importante che tali comportamenti vengano affrontati con fermezza, anche se, come hai fatto tu, hai scelto di agire con discrezione e di coinvolgere il sindacato. La mancata reazione da parte dei superiori può creare un senso di abbandono e di insicurezza, ma il fatto che tu abbia preso una posizione e che tu stia cercando di tutelare l’ambiente di lavoro è molto positivo.

2.Il valore delle relazioni autentiche e la fiducia: il fatto che tu abbia instaurato un rapporto di stima e amicizia con la collega, e che questa ti consideri un punto di riferimento, è un elemento prezioso. Tuttavia, è naturale che in ambienti lavorativi ci siano limiti e confini che devono essere rispettati, specialmente quando si tratta di comportamenti che potrebbero risultare invadenti o ambigui. La disponibilità e l’apertura sono valori importanti, ma devono essere bilanciate con la capacità di mettere dei paletti quando si percepisce un’invasione o un rischio di manipolazione.

3 Il rischio di mettere tutti sullo stesso piano: la tua riflessione sulla possibilità che la collega possa “mettere sullo stesso piano” comportamenti gravemente riprovevoli (come quelli di un pedofilo o di un criminale) tocca un punto delicato. La distinzione tra comportamenti etici e inaccettabili è fondamentale. La disponibilità e la gentilezza non devono essere interpretate come accettazione di comportamenti scorretti o pericolosi.
È legittimo aspettarsi che le persone siano consapevoli dei propri limiti e dei propri valori morali, e che non confondano la cordialità con l’approvazione di tutti i comportamenti.

4 Gestire la propria fiducia nelle relazioni: è comprensibile che tu ti senta ferito o deluso dal comportamento della collega, specie dopo tanti anni di collaborazione e amicizia. La fiducia si costruisce nel tempo, e quando questa viene tradita o messa in discussione, può creare un senso di smarrimento. D’altra parte, la capacità di discernere tra le persone autentiche e quelle che, per varie ragioni, si comportano in modo meno coerente, è una competenza importante.

5 Consigli pratici e riflessioni:
-Mantieni i confini: È importante continuare a rispettare i tuoi valori e i tuoi limiti, anche se questo comporta un certo distacco emotivo.
-Non mettere tutto in discussione, ma riflettere: La fiducia va data con cautela, ascoltando il proprio intuito e osservando i comportamenti nel tempo.
-Supporto e confronto: Parlare con persone di fiducia, come il sindacato o un professionista, può aiutarti a elaborare le emozioni e a trovare strategie di gestione.
-Autocura: Ricordati di dedicare tempo anche a te stesso, alle tue emozioni, e a ciò che ti dà senso e benessere.

6. Il tuo approccio e il mio punto di vista
Il modo in cui hai agito dimostra integrità, rispetto per le persone e senso di giustizia.
La mia prospettiva sarebbe stata molto simile: mantenere i propri valori, agire con fermezza e discrezione, e proteggere il proprio benessere emotivo senza rinunciare alla propria integrità. La fiducia nelle persone è fondamentale, ma deve essere accompagnata da un’attenta valutazione e dalla capacità di mettere i limiti quando necessario.

In conclusione, non devi dubitare del valore delle relazioni autentiche, ma è importante anche riconoscere i segnali di allarme e tutelarti. La fiducia si costruisce nel tempo e si rafforza con coerenza e rispetto reciproco. È normale sentirsi feriti o delusi, ma ciò non significa che tu abbia sbagliato: significa solo che sei una persona che tiene molto alle proprie relazioni e ai propri valori, e questo è un punto di forza.

Se senti la necessità, potrebbe essere utile approfondire queste tematiche con un professionista che possa aiutarti a elaborare meglio le emozioni e a trovare strategie di gestione che siano in linea con i tuoi valori.

Resto a disposizione per ulteriori riflessioni o chiarimenti.
Un caloroso saluto.
Dott. Michele Basigli
Dott. Gabriele Taddei
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Comprendo quanto questa esperienza lavorativa le abbia provocato dolore, indignazione e anche un profondo senso di solitudine. Quando in un contesto professionale si verifica un episodio di prevaricazione così evidente e si assiste all'omertà generale, può essere naturale sentirsi disorientati e chiedersi se valga davvero la pena agire secondo i propri valori. Ancora di più se a ferire non è solo il comportamento di chi agisce con violenza, ma anche l'ambiguità o la mancata presa di posizione di persone che reputavamo alleate, se non addirittura amiche.

In psicoterapia, situazioni come quella che descrive diventano spesso occasione per esplorare una ferita antica: quella di chi, pur cercando autenticità e lealtà nei rapporti, si ritrova spesso a sentirsi più solo nel momento in cui prova a fare la cosa giusta. Le sue reazioni – la difesa del ragazzo, il tentativo di mantenere la lucidità di fronte a un’aggressione, la richiesta di coerenza alla collega – parlano di una forte integrità morale, di un senso profondo di giustizia e di una modalità relazionale basata sulla selettività e sulla reciprocità del legame. Ma proprio questa capacità di scegliere con cura a chi dare fiducia, se non riconosciuta e rispettata dagli altri, può trasformarsi in sofferenza.

Spesso, nelle relazioni, ciò che ferisce non è solo l’evento in sé, ma l’attivazione di uno schema relazionale profondo che ci accompagna da tempo: ad esempio l’idea che "se non c’è reciprocità, allora non valgo abbastanza" oppure che "la vera amicizia si dimostra prendendo posizione, e chi non lo fa mi tradisce". Sono schemi che possono avere una loro legittimità, ma che talvolta si irrigidiscono e ci fanno soffrire più del necessario.

Non si tratta di imparare a “non fidarsi di nessuno”, ma forse di imparare a modulare le aspettative, a distinguere tra diversi tipi di legami, e soprattutto a riconoscere che la nostra integrità non perde valore se non viene immediatamente riconosciuta dagli altri. In un percorso terapeutico si potrebbe lavorare per mantenere salda questa parte “giusta” di sé – quella che ha difeso il ragazzo, che ha agito con fermezza – senza lasciarsi travolgere dalla frustrazione quando gli altri non si dimostrano all’altezza dei nostri valori.

In fondo, le relazioni più profonde non sono quelle perfette, ma quelle che sappiamo attraversare anche nelle loro ambiguità e contraddizioni, restando in contatto con chi siamo davvero.
Dott.ssa Elda Valente
Psicologo, Psicologo clinico
Torremaggiore
Salve, le questioni poste da lei in questo messaggio sono davvero molto interessanti e ci sarebbe un ottimo lavoro da fare con se stesso per cercare di analizzare le motivazioni che la spingono ad avere tutti questi pensieri e quesiti. Forse sa benissimo come si sente quel ragazzo appena maggiorenne che tanto l’ha mosso? Oppure: cosa la muove ad essere così selettivo nelle sue relazioni? Ci sarebbe, ripeto, un ottimo lavoro analitico da poter svolgere per essere più consapevole delle sue personali modalità di entrare in relazione.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente. Dott.ssa Elda Valente
Dott. Diego Ferrara
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Quarto
Buongiorno,

quanto accaduto e il cambiamento di questo rapporto deve averle fatto crollare alcune certezze soprattutto in tema di amicizia generandole dubbi e malessere. Credo possa esser importante per lei aprirsi alla possibilità di parlarne con un professionista all'interno di uno spazio di ascolto più ampio che solo un percorso psicologico potrebbe fornirle. Nel caso resto disponibile ad accogliere la sua richiesta di aiuto, ricevo anche on-line.

Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Dott.ssa Alessandra Motta
Psicologo clinico, Psicologo
Roma
Gentile utente,

comprendo bene il senso di amarezza e solitudine che può nascere quando si agisce per giustizia e rispetto, e si viene ripagati con indifferenza o silenzio. Ciò che ha fatto richiede coraggio e coerenza, ed è naturale che chi agisce con valori profondi si aspetti un riconoscimento simile da chi sente vicino.

Ma proprio perché è una persona selettiva e autentica, è importante imparare a distinguere tra chi può stare davvero nel cerchio della fiducia e chi, pur stimabile, ha risorse e modalità diverse dalle sue. Questo non significa smettere di fidarsi, ma scegliere con più consapevolezza chi merita quella fiducia fino in fondo, senza restare prigionieri della delusione.

Le relazioni autentiche non si fondano solo sulla condivisione di momenti, ma anche sulla capacità di rispettare le differenze senza perdere sé stessi.

Resto a disposizione se vorrà approfondire,

Dott.ssa Alessandra Motta – Psicologa Strategica
Dott.ssa Stefania Conti
Psicologo, Psicologo clinico
Palermo
Buongiorno,
grazie per aver condiviso con tanta chiarezza e coinvolgimento una vicenda che, comprensibilmente, ha lasciato in lei sentimenti di amarezza, delusione e rabbia. Il suo racconto tocca diversi aspetti — la giustizia, il rispetto sul lavoro, il valore dell’amicizia, il senso di coerenza personale — e dimostra una forte etica, oltre che una profonda sensibilità.

Ha fatto qualcosa di importante: è intervenuto in una situazione ingiusta, prendendo le difese di un ragazzo vulnerabile, assumendosi dei rischi anche a livello relazionale. Questo dice molto della persona che è: leale, coraggiosa, capace di distinguere cosa è giusto da cosa non lo è.

Quando, però, si ha uno sguardo limpido e valori solidi, è normale rimanere feriti davanti all’indifferenza o alla dissonanza tra ciò che si dà e ciò che si riceve. È doloroso accorgersi che chi riteniamo “dalla nostra parte” non prende posizione, o che si mostra disponibile verso persone che noi vediamo come eticamente inaccettabili. Questo non significa che lei sia “troppo”, ma che ha un criterio di selezione molto alto, e questo può generare una certa distanza emotiva rispetto a chi ha invece un atteggiamento più adattivo o accomodante.

La sua collega, pur stimandola e nutrendo un affetto sincero per lei, può avere un modo diverso di relazionarsi agli altri — più “inclusivo”, forse più diplomatico — e questo non sempre coincide con il suo. Ma comprendo il dolore di sentirsi messi sullo stesso piano di persone che lei reputa moralmente discutibili: è un’esperienza che può minare profondamente la fiducia.

È naturale che il legame si modifichi, e forse sta accadendo proprio questo: un riassestamento, non necessariamente una rottura. In questi casi, non si tratta di smettere di fidarsi, ma di imparare a distinguere tra tipi diversi di relazioni e accettare, per quanto difficile, che non tutti condividono gli stessi codici etici o affettivi.

Il suo comportamento, a mio avviso, è stato coerente, generoso e coraggioso. Non è sbagliato aspettarsi lo stesso tipo di lealtà, ma è utile ricordare che ognuno ha i propri limiti, paure e strategie di sopravvivenza in ambienti lavorativi complicati.

Se desidera approfondire questi vissuti, elaborare le delusioni relazionali e trovare un modo più leggero ma autentico di stare nei rapporti, resto a disposizione per un colloquio. Sarebbe un piacere offrirle uno spazio di ascolto riservato e rispettoso.

Un caro saluto.
Dott.ssa Stefania Conti, Psicologa
Dott.ssa Francesca Gottofredi
Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Bologna
Gentile,
dal suo racconto emerge con forza un senso di giustizia profonda, di coerenza, e un desiderio umano e legittimo: essere visto, riconosciuto e ricambiato nella stessa misura con cui lei si espone per gli altri.
Ha fatto qualcosa di raro, oggi: ha preso una posizione netta davanti a un’ingiustizia, ha protetto il più fragile, e lo ha fatto a costo di esporsi, di restare solo, persino di rischiare. Questo non è un comportamento comune: è un valore.
Ma quando i valori più profondi non vengono condivisi o ricambiati, la delusione può trasformarsi in amarezza. E allora il dolore prende la forma della domanda: sono io che sbaglio ad aspettarmi lealtà, reciprocità, rispetto?
Nel suo racconto, sento anche un’altra tensione: lei è molto selettivo, e quindi attribuisce un valore altissimo alle relazioni in cui decide di investire. Ed è qui che, quando qualcosa traballa, la ferita brucia di più.
Forse non è tanto il comportamento della collega a ferirla, ma il fatto che lei non abbia fatto la stessa scelta di campo. Eppure, come lei stesso intuisce, non possiamo forzare gli altri a scegliere secondo i nostri parametri. Possiamo solo scegliere noi cosa farne di quella distanza.
Il problema non è tanto l’evento, quanto la percezione rigida che abbiamo di ciò che dovrebbe accadere. Quando siamo prigionieri di una visione “tutto o niente” (o sei con me o sei contro di me), rischiamo di trasformare la nostra sensibilità in un punto cieco che ci fa soffrire ancora di più.
Lei è sensibile e lucido. Ma anche molto esigente — con sé e con gli altri. E forse oggi è chiamato a chiedersi: questa mia esigenza mi protegge o mi isola? Mi fa sentire forte o mi lascia solo?
Buongiorno, lei mette in evidenza una realtà che, a mio avviso, è molto difficile da accettare: le altre persone non riescono mai a soddisfare le nostre aspettative al 100%. Siamo diversi, e in alcuni punti riusciamo a incontrarci, in altri invece siamo irraggiungibili. Lei e la sua amica, ad esempio, siete riusciti a incontrarvi in diversi punti e occasioni. Però, sulla questione che lei porta, c'è tra di voi una prospettiva differente. Il fatto che la sua amica voglia mantenere buoni rapporti con tutti i colleghi non implica che, nei suoi confronti, non debba essere una buona amica. Non ritengo si tratti di un problema di "fiducia", in quanto la sua amica non l' ha propriamente tradito. Credo si tratti per lo più di una questione di "stima". Lei deve decidere se è disposto a mantenere un' amicizia con una persona che l'ha in qualche modo deluso, di cui forse ha perso in parte appunto la stima.
Dott.ssa Ilaria De Pretto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Capisco bene il tuo malessere, quello che hai vissuto è stato un episodio forte e ingiusto, reso ancora più pesante dal silenzio dei colleghi e dall’atteggiamento dei superiori. Difendere un ragazzo così giovane da un’umiliazione pubblica è stato un gesto di coraggio e di integrità, e la reazione violenta del collega ha solo confermato la sua immaturità. La tua fermezza nel non scendere sul piano fisico è stata una prova di grande padronanza di te stesso.

È comprensibile che tu ti senta ferito dal comportamento di chi consideri amico e punto di riferimento. Tu sei molto selettivo, dai valore solo a chi senti che lo merita e quindi vedi la sua disponibilità “generica” come se sminuisse il legame particolare che vi unisce. In realtà non credo che lei ti metta sullo stesso piano di chiunque altro, ma che abbia un modo diverso di muoversi nelle relazioni: più accomodante, più diplomatico, meno conflittuale. È il suo modo per stare nell’ambiente di lavoro senza tensioni, non un segno di minor valore attribuito a te.

Il dolore nasce proprio da questa differenza di stile. Tu vivi le relazioni come scelte profonde e rare, e questo ti rende esigente e autentico. Lei tende ad avere un approccio più inclusivo e probabilmente per lei questo non toglie nulla all’importanza che ti attribuisce, ma per te suona come una mancanza di selezione.

Non sei tu lo sbagliato per aspettarti coerenza e riconoscimento, così come non è lei “sbagliata” per voler andare d’accordo con tutti. Sono modi diversi di vivere i legami. È comprensibile che questo ti abbia fatto perdere un po’ della stima che avevi, ma non significa che l’amicizia non fosse autentica, né che tu debba rinunciare a fidarti delle persone. Piuttosto, accettare che perfino i rapporti più sinceri possano avere limiti e zone grigie può aiutarti a non sentirti deluso in modo così assoluto.

Dott.ssa De Pretto
Dott.ssa Federica Giudice
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
Questi elementi che descrivi sono dinamiche che spesso accompagnano situazioni di burnout relazionale e organizzativo. È normale sentirsi feriti, persino messi in discussione nel proprio valore o nella capacità di “leggere” correttamente gli altri.
Il punto è che non sei tu a essere “sbagliato”: ciò che provi è la reazione naturale di una persona che investe molto nelle relazioni e che si trova a fare i conti con ambienti lavorativi dove prevalgono conformismo, convenienza o paura.
Il passo successivo è proteggerti emotivamente e sviluppare strumenti per gestire queste dinamiche senza logorarti, mantenendo la tua dignità e i tuoi valori.
Proprio per queste ragioni ho realizzato una masterclass dedicata al mobbing e al burnout, in cui spiego come riconoscere i meccanismi tossici, come tutelarsi (anche legalmente e organizzativamente) e come preservare il proprio equilibrio interiore.Vuoi che ti condivida i dettagli per accedere alla masterclass?
Dott.ssa Sara Petroni
Psicologo clinico, Psicologo
Tarquinia
Gentile utente,
il suo racconto trasmette un forte senso di giustizia e di coerenza personale: ha difeso chi non poteva farlo da solo e ha scelto di non cedere alla provocazione, mantenendo il controllo in una situazione che avrebbe potuto degenerare. È comprensibile che ora si senta deluso e amareggiato, sia per il silenzio dei colleghi sia per l’atteggiamento di una persona a cui tiene molto.
Quando si ha un alto senso etico, spesso si soffre di più nel vedere l’indifferenza o l’ambiguità negli altri: non è lei “sbagliato”, ma semplicemente più consapevole e sensibile a certi valori. Tuttavia, può essere utile distinguere tra il bisogno di coerenza e l’aspettativa che gli altri condividano la stessa misura. La sua collega, probabilmente, usa la gentilezza come strategia per mantenere equilibrio in un ambiente di lavoro complesso, mentre lei agisce seguendo un principio di selezione e fiducia più profondo.
Accettare che non tutti abbiano la stessa intensità o lo stesso codice morale non significa rinunciare ai propri valori, ma tutelare se stesso dalle delusioni. Può continuare a essere una persona leale senza pretendere che ogni legame abbia la stessa autenticità: in questo modo protegge la sua integrità, ma anche la sua serenità.

Dott.ssa Sara Petroni

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