Buonasera, da poco ho iniziato ad andare dallo psicologo, sono alla 4 seduta, ma ogni volta che prov
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Buonasera, da poco ho iniziato ad andare dallo psicologo, sono alla 4 seduta, ma ogni volta che provo a parlare della situazione che mi fa soffrire mi interrompe e non vuole che ne parli, mi chiedevo ma come mai? Io pensavo che dallo psicologo si potesse parlare liberamente sempre di ciò che ci tormenta...
Se non mi sfogo della situazione per cui mi sono rivolto a lui, come faccio? Onestamente non mi piace questa situazione perché io avrei bisogno di sfogarmi... Dunque volevo chiedervi cortesemente, ma fa parte della terapia il parlarne il meno possibile? Non vorrei tratte conclusioni affrettate perché mi trovo bene, però il fatto che non mi faccia sfogare sulla situazione che mi turba da tempo non mi piace... La situazione è di un rapporto finito male e non capisco perché non possa sfogarmi. Grazie per i vostri pareri.
Se non mi sfogo della situazione per cui mi sono rivolto a lui, come faccio? Onestamente non mi piace questa situazione perché io avrei bisogno di sfogarmi... Dunque volevo chiedervi cortesemente, ma fa parte della terapia il parlarne il meno possibile? Non vorrei tratte conclusioni affrettate perché mi trovo bene, però il fatto che non mi faccia sfogare sulla situazione che mi turba da tempo non mi piace... La situazione è di un rapporto finito male e non capisco perché non possa sfogarmi. Grazie per i vostri pareri.
Gentile Utente,
la sua domanda è insolita ma molto interessante! Premetto che, nel campo della psicologia e della psicoterapia, esistono molti approcci diversi: tutti validi, ma ciascuno con propri metodi per osservare e comprendere la sintomatologia del paziente. Non conoscendo il collega né il motivo per cui lei ha scelto di intraprendere un percorso terapeutico, non è semplice offrirle indicazioni precise.
Tuttavia, qualsiasi processo terapeutico si svolge all’interno di una relazione che, pur essendo formale, rimane comunque una relazione di fiducia e di cura. Per questo motivo le suggerisco di parlarne direttamente con il professionista che la sta seguendo. Se questo spazio le sembra limitato, portare apertamente questo suo vissuto in seduta può diventare parte stessa del lavoro terapeutico: può essere utile dire al collega che per lei è frustrante non avere modo di sfogarsi e chiedergli gentilmente di aiutarla a comprendere il senso del suo metodo. Spesso un confronto aperto permette di chiarire malintesi, comprendere meglio il metodo terapeutico e rafforzare la relazione di fiducia, che è parte fondamentale del percorso. In seduta tutto è utile!
Cordialmente
Dott.ssa Valentina Vaglica
la sua domanda è insolita ma molto interessante! Premetto che, nel campo della psicologia e della psicoterapia, esistono molti approcci diversi: tutti validi, ma ciascuno con propri metodi per osservare e comprendere la sintomatologia del paziente. Non conoscendo il collega né il motivo per cui lei ha scelto di intraprendere un percorso terapeutico, non è semplice offrirle indicazioni precise.
Tuttavia, qualsiasi processo terapeutico si svolge all’interno di una relazione che, pur essendo formale, rimane comunque una relazione di fiducia e di cura. Per questo motivo le suggerisco di parlarne direttamente con il professionista che la sta seguendo. Se questo spazio le sembra limitato, portare apertamente questo suo vissuto in seduta può diventare parte stessa del lavoro terapeutico: può essere utile dire al collega che per lei è frustrante non avere modo di sfogarsi e chiedergli gentilmente di aiutarla a comprendere il senso del suo metodo. Spesso un confronto aperto permette di chiarire malintesi, comprendere meglio il metodo terapeutico e rafforzare la relazione di fiducia, che è parte fondamentale del percorso. In seduta tutto è utile!
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Buongiorno,
ha provato a porre la questione allo specialista in questione?
Provi a farlo, laddove non lo avesse ancora fatto, proprio come ha posto la domanda qui. Ogni percorso di terapia è a sè e non esistono leggi universali ma è giusto che se non si sente accolto, liber* e ascoltat* lo faccia presente.
Se proprio non doveste trovare un punto d'incontro potreste scegliere di comune accordo di terminare il percorso terapeutico e magari di scegliere un altro specialista con cui riesce ad aprirsi meglio e di più.
ha provato a porre la questione allo specialista in questione?
Provi a farlo, laddove non lo avesse ancora fatto, proprio come ha posto la domanda qui. Ogni percorso di terapia è a sè e non esistono leggi universali ma è giusto che se non si sente accolto, liber* e ascoltat* lo faccia presente.
Se proprio non doveste trovare un punto d'incontro potreste scegliere di comune accordo di terminare il percorso terapeutico e magari di scegliere un altro specialista con cui riesce ad aprirsi meglio e di più.
Gentile Utente, buongiorno. La ringrazio per aver portato qui questo suo pensiero. Colgo l'occasione per aprire qui una piccola parentesi in merito alla sensazione di non essere compresi dal proprio psicologo. A volte tale percepito è possibile e posso immaginare non sia piacevole e possa comportare fatica e forse un po' di frustrazione, quindi la comprendo. Aggiungo però che tale dinamica può essere dovuta a ragioni specifiche nel percorso che sta affrontando, e può essere volta nel frattempo a lasciare spazio alla conoscenza reciproca e all'identificazione di strategie più funzionali per avvicinarsi alle difficoltà che porta in seduta. Detto ciò, comprendo la necessità di esplicitare questo suo sentire e questo suo vissuto per lei prioritario.
Aggiungo che nel percorso psicologico ha valore la dimensione emotiva, come si sente, le sue emozioni relative al percorso in sè, quindi potrebbe essere un passo utile per lei portare al suo psicologo come si sta sentendo relativamente alla richiesta di posticipare un vissuto che per lei è importante. Comunicare in modo onesto e disteso anche questo suo percepito, è di aiuto nella relazione terapeutica che si sta venendo a creare.
Resto a disposizione. Un caro saluto, Dott.ssa Letizia Turchetto
Aggiungo che nel percorso psicologico ha valore la dimensione emotiva, come si sente, le sue emozioni relative al percorso in sè, quindi potrebbe essere un passo utile per lei portare al suo psicologo come si sta sentendo relativamente alla richiesta di posticipare un vissuto che per lei è importante. Comunicare in modo onesto e disteso anche questo suo percepito, è di aiuto nella relazione terapeutica che si sta venendo a creare.
Resto a disposizione. Un caro saluto, Dott.ssa Letizia Turchetto
Buonasera, capisco molto bene il suo disorientamento. Entrare in terapia è già un passo delicato, e quando si sente il bisogno forte di raccontare ciò che fa soffrire, essere interrotti può generare frustrazione, confusione e persino la sensazione di non essere ascoltati nel modo giusto. È un vissuto comprensibile e non c’è nulla di sbagliato nel provare ciò che sta provando. È vero che nello spazio terapeutico ci si aspetta di poter parlare liberamente dei propri pensieri e delle proprie emozioni, soprattutto di quelle più dolorose. Allo stesso tempo, alcuni terapeuti scelgono di procedere con cautela, perché a volte entrare troppo velocemente in una ferita ancora aperta rischia di farla sanguinare più forte invece di aiutarla a rimarginarsi. Può darsi che il suo psicologo stia cercando di costruire un terreno stabile, un’alleanza solida, prima di affrontare la parte più intensa della storia che lei porta con sé. Oppure che stia cercando di darle strumenti per reggere l’impatto emotivo di ciò che poi affronterete insieme, così che non sia solo uno sfogo ma un percorso che la aiuti davvero a stare meglio. Capisco però che dal suo punto di vista possa sembrare quasi un blocco, come se ciò che sente non avesse spazio. Questo è un punto importante, perché la relazione terapeutica funziona quando ci si sente accolti e quando si percepisce che ciò che si porta non viene messo da parte. La sua fatica a trattenere quello che vorrebbe esprimere merita attenzione, e credo che un primo passo potrebbe essere proprio condividere con il suo psicologo, con calma e sincerità, quello che sta raccontando qui. Non come critica, ma come bisogno. Dirgli che sente la necessità di parlare almeno un po’ di ciò che le fa male, che per lei lo sfogo iniziale è importante e che a volte le sue interruzioni la fanno sentire frenata. È un modo per includerlo nel suo vissuto, e spesso queste conversazioni aiutano il terapeuta a modulare il proprio modo di procedere. Ci sono approcci in cui si cerca di limitare il racconto dettagliato dell’evento doloroso all’inizio, non per ignorarlo ma per non rischiare che la persona rimanga intrappolata nel solo ripetersi della sofferenza. Ma ciò non toglie che lei abbia il diritto di sentirsi ascoltata e compresa, e di vedere almeno un piccolo spazio dedicato a ciò che la tormenta. Il fatto che lei si trovi bene, salvo questo aspetto, è già un segnale positivo. Significa che c’è un terreno su cui si può lavorare e che vale la pena provare a chiarire questo punto insieme a lui. La terapia è un luogo in cui la comunicazione dovrebbe essere trasparente e dove anche le difficoltà tra paziente e terapeuta possono diventare parte del percorso, se affrontate con delicatezza. Le suggerisco quindi di non trattenere questo disagio ma di usarlo per avvicinarsi ancora di più al cuore del lavoro terapeutico. Potrebbe scoprire che il suo psicologo ha un motivo preciso per la sua modalità e che, una volta compreso, quello che ora la turba potrebbe prendere un senso diverso. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Salve, grazie per aver condiviso un suo vissuto. Iniziare un percorso di supporto psicologico, rappresenta proprio la scelta consapevole di iniziare un cambiamento personale, aprendosi in un ambiente sicuro, libero e non giudicante, per avere più consapevolezze, conoscere blocchi e parti di se, per imparare a gestire meglio ogni situazione di vita. La relazione terapeutica iniziale è impattante e fondamentale ai fini del benessere del paziente, a prescindere dal tipo di orientamento o approccio usato. Resto a sua disposizione.
Buongiorno, grazie per la condivisione.
E' assolutamente comprensibile il senso di frustrazione che riporta e il desiderio di avere uno spazio sicuro in cui esprimere liberamente ciò che più Le preme in questo momento.
La incoraggio a portare questo Suo vissuto direttamente in seduta: confrontarsi con il suo psicologo su questo punto potrebbe aiutarvi a chiarire l'approccio utilizzato e a trovare un modo di lavorare che La faccia sentire più accolta.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sofia Arreghini
E' assolutamente comprensibile il senso di frustrazione che riporta e il desiderio di avere uno spazio sicuro in cui esprimere liberamente ciò che più Le preme in questo momento.
La incoraggio a portare questo Suo vissuto direttamente in seduta: confrontarsi con il suo psicologo su questo punto potrebbe aiutarvi a chiarire l'approccio utilizzato e a trovare un modo di lavorare che La faccia sentire più accolta.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sofia Arreghini
Buongiorno,
Il consiglio è di provare, per quanto difficile, a parlarne direttamente con il collega. Può essere un'occasione per rafforzare l'alleanza terapeutica.
Dott. Marco Cenci
Il consiglio è di provare, per quanto difficile, a parlarne direttamente con il collega. Può essere un'occasione per rafforzare l'alleanza terapeutica.
Dott. Marco Cenci
Buonasera, la ringrazio per aver condiviso questo suo vissuto. Capisco bene il suo disorientamento: quando ci si rivolge a uno psicologo è naturale aspettarsi di poter parlare liberamente, sfogarsi e mettere finalmente “fuori” ciò che pesa dentro. E quando questo non avviene come ci si immaginava, può nascere confusione o persino frustrazione.
Vorrei però offrirle qualche spunto di riflessione. Molte persone pensano che lo psicologo abbia come funzione principale quella di essere uno “sfogatoio”, ma la terapia non si limita al racconto del problema. Ci sono approcci (ad esempio alcune forme di terapia cognitivo-comportamentale, strategica o focalizzata sul presente) in cui il terapeuta interviene proprio per evitare che il paziente rimanga intrappolato nel racconto ripetitivo della stessa sofferenza, perché questo a volte rischia di alimentarla invece di alleviarla.
La domanda importante è: il suo psicologo non la lascia parlare mai, oppure la lascia parlare per un po’ e poi la invita a spostare l’attenzione, magari facendole domande, proponendo riflessioni o indirizzando il discorso verso aspetti più utili al lavoro terapeutico?
Sono due dinamiche molto diverse.
Detto questo, ciò che conta davvero in terapia è la qualità dell’alleanza terapeutica, cioè il sentirsi al sicuro, compresi e rispettati. Senza questo, qualsiasi tecnica perde di efficacia. E l’alleanza nasce anche da momenti come questo, in cui ci si accorge che qualcosa non torna e lo si porta apertamente al terapeuta. Ha provato a parlargli direttamente di ciò che sta provando? Può dirgli esattamente ciò che ha scritto qui: che sente il bisogno di sfogarsi, che le sembra di non avere spazio per farlo e che questo la confonde. I terapeuti sono preparati a gestire questi momenti: non sono “fallimenti”, ma occasioni per chiarirsi, costruire fiducia reciproca e rendere il percorso più efficace.
E se, anche dopo aver espresso questo bisogno, dovesse continuare a sentirsi così, non c’è nulla di sbagliato nel valutare un altro professionista. Non dobbiamo forzarci a stare bene con qualcuno solo perché è “competente”: anche gli psicologi restano persone, e a volte non si crea il giusto incastro.
Rimango a disposizione, un saluto.
Vorrei però offrirle qualche spunto di riflessione. Molte persone pensano che lo psicologo abbia come funzione principale quella di essere uno “sfogatoio”, ma la terapia non si limita al racconto del problema. Ci sono approcci (ad esempio alcune forme di terapia cognitivo-comportamentale, strategica o focalizzata sul presente) in cui il terapeuta interviene proprio per evitare che il paziente rimanga intrappolato nel racconto ripetitivo della stessa sofferenza, perché questo a volte rischia di alimentarla invece di alleviarla.
La domanda importante è: il suo psicologo non la lascia parlare mai, oppure la lascia parlare per un po’ e poi la invita a spostare l’attenzione, magari facendole domande, proponendo riflessioni o indirizzando il discorso verso aspetti più utili al lavoro terapeutico?
Sono due dinamiche molto diverse.
Detto questo, ciò che conta davvero in terapia è la qualità dell’alleanza terapeutica, cioè il sentirsi al sicuro, compresi e rispettati. Senza questo, qualsiasi tecnica perde di efficacia. E l’alleanza nasce anche da momenti come questo, in cui ci si accorge che qualcosa non torna e lo si porta apertamente al terapeuta. Ha provato a parlargli direttamente di ciò che sta provando? Può dirgli esattamente ciò che ha scritto qui: che sente il bisogno di sfogarsi, che le sembra di non avere spazio per farlo e che questo la confonde. I terapeuti sono preparati a gestire questi momenti: non sono “fallimenti”, ma occasioni per chiarirsi, costruire fiducia reciproca e rendere il percorso più efficace.
E se, anche dopo aver espresso questo bisogno, dovesse continuare a sentirsi così, non c’è nulla di sbagliato nel valutare un altro professionista. Non dobbiamo forzarci a stare bene con qualcuno solo perché è “competente”: anche gli psicologi restano persone, e a volte non si crea il giusto incastro.
Rimango a disposizione, un saluto.
Buonasera, in una situazione come quella che descrive, non è possibile trarre conclusioni senza conoscere il metodo del terapeuta, il Suo modo di lavorare e ciò che accade nel dialogo tra Lei e lui. Alcuni professionisti preferiscono approfondire prima le modalità relazionali, altri lavorano sul presente, altri ancora ritengono utile rimandare il racconto dettagliato dell’evento doloroso.
Allo stesso tempo, il Suo bisogno di esprimere ciò che La fa soffrire è legittimo e merita spazio nella relazione terapeutica. Per questo, l’unico passo realmente utile è comunicarlo direttamente al terapeuta, chiedendo chiarimenti sul motivo per cui, in questa fase, preferisca non entrare ancora nella situazione specifica.
Questa conversazione tra Lei e il professionista può chiarire l’intenzione del suo metodo e allo stesso tempo permetterLe di esprimere ciò di cui sente necessità. Un saluto!
Allo stesso tempo, il Suo bisogno di esprimere ciò che La fa soffrire è legittimo e merita spazio nella relazione terapeutica. Per questo, l’unico passo realmente utile è comunicarlo direttamente al terapeuta, chiedendo chiarimenti sul motivo per cui, in questa fase, preferisca non entrare ancora nella situazione specifica.
Questa conversazione tra Lei e il professionista può chiarire l’intenzione del suo metodo e allo stesso tempo permetterLe di esprimere ciò di cui sente necessità. Un saluto!
Gentile, ha provato ad esprimere al suo psicologo i suoi dubbi e le sue necessità? Il rapporto tra psicologo e paziente è basato su autenticità ed alleanza: sono sicura che il terapeuta che la segue saprà accogliere i suoi bisogni, aiutandola ad esplorare i suoi vissuti e ad esprimere le sue emozioni. Un caro saluto
Buongiorno,
Le consiglierei di esprimere questa sua perplessità e il suo bisogno di trattare il tema che le sta a cuore direttamente al suo psicologo che la segue, in modo da capire perché evita l'argomento.
Le consiglierei di esprimere questa sua perplessità e il suo bisogno di trattare il tema che le sta a cuore direttamente al suo psicologo che la segue, in modo da capire perché evita l'argomento.
Buongiorno, preferisco non commentare la correttezza o meno del lavoro di un altro professionista. Però posso dirle che ci sono diversi approcci e modi di lavorare, anche rispetto al parlare liberamente di tutto ciò che il paziente sente di voler portare.
Credo che la cosa migliore sarebbe parlarne direttamente con il suo terapeuta ed esprimergli i suoi dubbi.
Spero di esserle stata di aiuto,
Cordiali saluti
Credo che la cosa migliore sarebbe parlarne direttamente con il suo terapeuta ed esprimergli i suoi dubbi.
Spero di esserle stata di aiuto,
Cordiali saluti
Buongiorno, grazie per la condivisione. Da quanto racconti, la tua difficoltà nasce dal desiderio di parlare liberamente della situazione che ti turba e dal fatto che, durante le sedute, ti senti interrotto o bloccato nel farlo. È comprensibile sentirsi confusi o frustrati in questi casi, perché uno degli aspetti fondamentali della terapia è proprio poter esprimere i propri pensieri ed emozioni in sicurezza. La cosa più importante, però, è che tu esprima apertamente come ti senti riguardo a questa modalità. Parlane direttamente con la tua psicologa: puoi spiegare che senti il bisogno di sfogarti e che questa limitazione ti crea disagio. In sintesi: non devi tenere per te quello che pensi o senti al riguardo; affrontare il discorso apertamente con la tua psicologa è parte integrante della terapia stessa, perché permette di costruire un percorso basato sulla fiducia e sul rispetto dei tuoi bisogni emotivi. Un caro saluto, dott.ssa Chiara Pesce.
Caro utente,
ciò che ha scritto qui su Mio Dottore è importante che lo possa dire anche al suo psicologo in modo tale che si possa affrontare la questione e chiarire il tutto. Dallo psicologico si può parlare di tutto, ma oltre allo sfogo deve essere anche un momento costruttivo in cui si capiscono cose di sè e si uniscono puntini rimasti distanti per tanto tempo. Potrebbe essere un modo di lavorare del suo terapeuta, ma in ogni caso la cosa più importante è la relazione paziente-psicologo: quest'ultima deve essere chiara, trasparente e libera per poter cooperare con l'obiettivo comune di benessere. Quindi, come ha fatto qui, gliene parli così da chiarire tale dinamica e tornare a lavorare insieme stando un po' più comodi.
Un caro saluto
Dott.ssa Claudia Fontanella
ciò che ha scritto qui su Mio Dottore è importante che lo possa dire anche al suo psicologo in modo tale che si possa affrontare la questione e chiarire il tutto. Dallo psicologico si può parlare di tutto, ma oltre allo sfogo deve essere anche un momento costruttivo in cui si capiscono cose di sè e si uniscono puntini rimasti distanti per tanto tempo. Potrebbe essere un modo di lavorare del suo terapeuta, ma in ogni caso la cosa più importante è la relazione paziente-psicologo: quest'ultima deve essere chiara, trasparente e libera per poter cooperare con l'obiettivo comune di benessere. Quindi, come ha fatto qui, gliene parli così da chiarire tale dinamica e tornare a lavorare insieme stando un po' più comodi.
Un caro saluto
Dott.ssa Claudia Fontanella
Buongiorno, ogni psicologo ha il suo metodo e il suo approccio. Mi spiace che non si senta di potersi sfogare nel suo percorso intrapreso. E' importante valutare se è il professionista giusto per lei, non sempre si trova il professionista giusto alla prima occasione. Tuttavia prima di intraprendere un nuovo percorso le consiglio di parlare di questo suo vissuto al suo psicologo. Spero di esserle stata utile, rimango disponibile, buona fortuna.
Buongiorno, in terapia, a prescindere dall'orientamento del terapeuta, portare ciò che senti fa parte del lavoro. Possono essere emozioni, sensazioni, dubbi o domande.
potresti provare a dire:“Quando provo a parlare della situazione che mi fa soffrire, sento che vengo interrotto/a e questo mi crea disagio. Ho bisogno di sfogarmi almeno un po’. Possiamo capire insieme perché succede?”
Hai il diritto di chiedere spiegazioni con serenità: non è una critica al terapeuta, ma un importante passo di chiarificazione. Non è detto che il tuo psicologo stia sbagliando; potrebbe avere una strategia precisa. Tuttavia, il tuo disagio è valido e merita spazio. Portare in seduta proprio questa preoccupazione potrebbe diventare un momento molto prezioso nella vostra relazione terapeutica. Restando a disposizione.
Dott.ssa Giulia Raiano
potresti provare a dire:“Quando provo a parlare della situazione che mi fa soffrire, sento che vengo interrotto/a e questo mi crea disagio. Ho bisogno di sfogarmi almeno un po’. Possiamo capire insieme perché succede?”
Hai il diritto di chiedere spiegazioni con serenità: non è una critica al terapeuta, ma un importante passo di chiarificazione. Non è detto che il tuo psicologo stia sbagliando; potrebbe avere una strategia precisa. Tuttavia, il tuo disagio è valido e merita spazio. Portare in seduta proprio questa preoccupazione potrebbe diventare un momento molto prezioso nella vostra relazione terapeutica. Restando a disposizione.
Dott.ssa Giulia Raiano
Capisco il tuo senso di frustrazione: quando si inizia un percorso psicologico ci si aspetta, giustamente, di poter parlare e sfogarsi liberamente su ciò che fa soffrire. In molte terapie questo è possibile fin da subito, ma non tutti gli approcci funzionano allo stesso modo.
Alcuni psicologi, soprattutto nelle prime sedute, cercano prima di capire il funzionamento della persona, le sue risorse e il suo modo di gestire le emozioni, e possono temporaneamente evitare di entrare subito nel contenuto più doloroso per non rischiare di farti sentire sopraffatto/a o bloccato/a. Non è necessariamente un “non voler ascoltare”, ma una modalità di lavoro diversa, che a volte mira prima a costruire stabilità, fiducia e strumenti.
Detto questo, è fondamentale che tu possa esprimere come ti senti anche rispetto alla terapia stessa. Se vivi questa cosa come un ostacolo o come un bisogno non ascoltato, è importante dirglielo apertamente: fa parte del percorso e può aiutarvi a chiarire l’intenzione di quel metodo.
Parlare della situazione che ti fa soffrire dovrebbe avere spazio nella terapia, magari con tempi e modalità diverse da come te le immagini, ma comunque in modo da farti sentire accolto/a e non zittito/a.
Il mio consiglio è di portare proprio questo tema in seduta: chiedergli gentilmente qual è il motivo di questa scelta e come immagina che affronterete insieme ciò che ti fa stare male. Un buon terapeuta sarà disposto a parlarne con trasparenza.
Non stai sbagliando nulla: stai semplicemente cercando di capire se il percorso che hai iniziato risponde ai tuoi bisogni, ed è un tuo pieno diritto.
Alcuni psicologi, soprattutto nelle prime sedute, cercano prima di capire il funzionamento della persona, le sue risorse e il suo modo di gestire le emozioni, e possono temporaneamente evitare di entrare subito nel contenuto più doloroso per non rischiare di farti sentire sopraffatto/a o bloccato/a. Non è necessariamente un “non voler ascoltare”, ma una modalità di lavoro diversa, che a volte mira prima a costruire stabilità, fiducia e strumenti.
Detto questo, è fondamentale che tu possa esprimere come ti senti anche rispetto alla terapia stessa. Se vivi questa cosa come un ostacolo o come un bisogno non ascoltato, è importante dirglielo apertamente: fa parte del percorso e può aiutarvi a chiarire l’intenzione di quel metodo.
Parlare della situazione che ti fa soffrire dovrebbe avere spazio nella terapia, magari con tempi e modalità diverse da come te le immagini, ma comunque in modo da farti sentire accolto/a e non zittito/a.
Il mio consiglio è di portare proprio questo tema in seduta: chiedergli gentilmente qual è il motivo di questa scelta e come immagina che affronterete insieme ciò che ti fa stare male. Un buon terapeuta sarà disposto a parlarne con trasparenza.
Non stai sbagliando nulla: stai semplicemente cercando di capire se il percorso che hai iniziato risponde ai tuoi bisogni, ed è un tuo pieno diritto.
Buonasera, ha provato a parlarne direttamente con il suo psicologo? È giusto che lei possa esprimere le sue perplessità in seduta.
Parlane in terapia, esprimi il tuo bisogno al tuo terapeuta e come ti fa sentire questa situazione
Buonasera,
è comprensibile sentirsi frustrati quando si ha il desiderio di parlare liberamente di ciò che ci turba e ci si sente bloccati dal terapeuta. In alcune modalità di psicoterapia, soprattutto in approcci cognitivo-comportamentali, il terapeuta può guidare le sedute verso l’osservazione dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti, più che sul semplice “sfogo” della sofferenza. Questo perché l’obiettivo non è solo raccontare il dolore, ma comprendere i meccanismi che lo alimentano e imparare strategie per gestirlo in modo efficace.
Tuttavia, la comunicazione è alla base della relazione terapeutica: se senti di non poterti esprimere su ciò che ti fa soffrire, è importante parlarne apertamente con il tuo psicologo. Questo confronto può chiarire le modalità della terapia e adattarle meglio ai tuoi bisogni, senza trarre conclusioni affrettate sulla validità del percorso.
In ogni caso, per comprendere al meglio il significato di questo approccio nel tuo percorso specifico, è consigliabile approfondire la questione direttamente con uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
è comprensibile sentirsi frustrati quando si ha il desiderio di parlare liberamente di ciò che ci turba e ci si sente bloccati dal terapeuta. In alcune modalità di psicoterapia, soprattutto in approcci cognitivo-comportamentali, il terapeuta può guidare le sedute verso l’osservazione dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti, più che sul semplice “sfogo” della sofferenza. Questo perché l’obiettivo non è solo raccontare il dolore, ma comprendere i meccanismi che lo alimentano e imparare strategie per gestirlo in modo efficace.
Tuttavia, la comunicazione è alla base della relazione terapeutica: se senti di non poterti esprimere su ciò che ti fa soffrire, è importante parlarne apertamente con il tuo psicologo. Questo confronto può chiarire le modalità della terapia e adattarle meglio ai tuoi bisogni, senza trarre conclusioni affrettate sulla validità del percorso.
In ogni caso, per comprendere al meglio il significato di questo approccio nel tuo percorso specifico, è consigliabile approfondire la questione direttamente con uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Salve,
capisco bene il suo dubbio e anche la frustrazione che descrive. Quando si inizia una terapia, è naturale aspettarsi di poter parlare liberamente di ciò che fa soffrire, soprattutto se è proprio quella situazione ad averla portata a chiedere aiuto. Il bisogno di “sfogarsi” non è sbagliato, anzi: spesso è il primo passo per sentirsi un po’ meno soli con quello che si sta vivendo.
Detto questo, le modalità di lavoro in terapia possono essere diverse. Alcuni terapeuti, soprattutto nelle prime fasi, evitano di soffermarsi troppo sul racconto dettagliato dell’evento doloroso perché temono che la persona resti intrappolata nella storia, nel rimuginio o nella riattivazione del dolore, senza riuscire a elaborarlo davvero. In questi casi l’attenzione viene spostata più su come lei sta oggi, su cosa prova nel presente e su come quella relazione finita continua ad agire dentro di lei.
Questo, però, non significa che il suo bisogno di parlare e di raccontare non sia legittimo. La terapia è uno spazio che dovrebbe farla sentire accolta e ascoltata, e se qualcosa non le torna o la fa sentire bloccato è importante portarlo apertamente in seduta. Anche dire “ho bisogno di parlare di questa cosa e mi sento frustrato quando vengo interrotto” è già lavoro terapeutico; lo porti in terapia e lo utilizzi con il/la collega.
Se, dopo averlo condiviso, dovesse continuare a sentire che non c’è spazio per ciò che per lei è centrale, allora può essere utile chiedersi se questo approccio è quello più adatto a lei in questo momento della sua vita. Non esiste un modo giusto o sbagliato di fare terapia in assoluto, ma esiste quello che funziona per lei e che le permette di sentirsi davvero accompagnato
capisco bene il suo dubbio e anche la frustrazione che descrive. Quando si inizia una terapia, è naturale aspettarsi di poter parlare liberamente di ciò che fa soffrire, soprattutto se è proprio quella situazione ad averla portata a chiedere aiuto. Il bisogno di “sfogarsi” non è sbagliato, anzi: spesso è il primo passo per sentirsi un po’ meno soli con quello che si sta vivendo.
Detto questo, le modalità di lavoro in terapia possono essere diverse. Alcuni terapeuti, soprattutto nelle prime fasi, evitano di soffermarsi troppo sul racconto dettagliato dell’evento doloroso perché temono che la persona resti intrappolata nella storia, nel rimuginio o nella riattivazione del dolore, senza riuscire a elaborarlo davvero. In questi casi l’attenzione viene spostata più su come lei sta oggi, su cosa prova nel presente e su come quella relazione finita continua ad agire dentro di lei.
Questo, però, non significa che il suo bisogno di parlare e di raccontare non sia legittimo. La terapia è uno spazio che dovrebbe farla sentire accolta e ascoltata, e se qualcosa non le torna o la fa sentire bloccato è importante portarlo apertamente in seduta. Anche dire “ho bisogno di parlare di questa cosa e mi sento frustrato quando vengo interrotto” è già lavoro terapeutico; lo porti in terapia e lo utilizzi con il/la collega.
Se, dopo averlo condiviso, dovesse continuare a sentire che non c’è spazio per ciò che per lei è centrale, allora può essere utile chiedersi se questo approccio è quello più adatto a lei in questo momento della sua vita. Non esiste un modo giusto o sbagliato di fare terapia in assoluto, ma esiste quello che funziona per lei e che le permette di sentirsi davvero accompagnato
Salve, suggerirei di affrontare apertamente queste sue perplessità con il suo psicologo per capire se magari è una strategia o una fase del suo percorso che ha pensato di condurre in questo modo, oppure c'è altro.
Il rimuginio non sempre è salutare poiché, a volte, ci fa sfogare ma alimenta un circolo vizioso di pensieri che portano disagio, pertanto in alcune occasioni è bene alleggerire il carico di pensieri rispetto ad alcune tematiche... ad ogni modo ritengo sia sempre meglio portare i propri dubbi al suo professionista di fiducia per valutare anche assieme a lui/lei come sia meglio procedere.
Saluti.
Dr. Francesco Rossi.
Il rimuginio non sempre è salutare poiché, a volte, ci fa sfogare ma alimenta un circolo vizioso di pensieri che portano disagio, pertanto in alcune occasioni è bene alleggerire il carico di pensieri rispetto ad alcune tematiche... ad ogni modo ritengo sia sempre meglio portare i propri dubbi al suo professionista di fiducia per valutare anche assieme a lui/lei come sia meglio procedere.
Saluti.
Dr. Francesco Rossi.
Buonasera,
Le dico che, in linea generale, nello spazio psicologico si può e si deve poter parlare di ciò che fa soffrire. Detto questo, esistono diversi modi di lavorare in terapia e, in alcune fasi, il terapeuta può scegliere di non soffermarsi troppo sul “racconto dei fatti” per concentrarsi su come lei vive emotivamente ciò che è accaduto, su come e dove ciò si ripete, etc.
Forse, in questo caso, è opportuno lavorare sul qui ed ora della relazione terapeutica.
Se lei sente di non potersi esprimere, questa sensazione va assolutamente portata in seduta. Non è una critica sbagliata né una mancanza di fiducia: è il cuore stesso della terapia.
Se, dopo averne parlato apertamente con il terapeuta, dovesse continuare a sentirsi non ascoltato o non autorizzato a portare il suo dolore, allora avrebbe senso interrogarsi se quel tipo di setting e di stile terapeutico siano adatti a lei in questo momento.
Cordialmente, Dott.ssa Jessica Servidio.
Le dico che, in linea generale, nello spazio psicologico si può e si deve poter parlare di ciò che fa soffrire. Detto questo, esistono diversi modi di lavorare in terapia e, in alcune fasi, il terapeuta può scegliere di non soffermarsi troppo sul “racconto dei fatti” per concentrarsi su come lei vive emotivamente ciò che è accaduto, su come e dove ciò si ripete, etc.
Forse, in questo caso, è opportuno lavorare sul qui ed ora della relazione terapeutica.
Se lei sente di non potersi esprimere, questa sensazione va assolutamente portata in seduta. Non è una critica sbagliata né una mancanza di fiducia: è il cuore stesso della terapia.
Se, dopo averne parlato apertamente con il terapeuta, dovesse continuare a sentirsi non ascoltato o non autorizzato a portare il suo dolore, allora avrebbe senso interrogarsi se quel tipo di setting e di stile terapeutico siano adatti a lei in questo momento.
Cordialmente, Dott.ssa Jessica Servidio.
Buongiorno,
la cosa migliore sarebbe porre questa domanda al suo psicologo.
la cosa migliore sarebbe porre questa domanda al suo psicologo.
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