Sono sempre stato un soggetto particolarmente ansioso, per via molto probabilmente di un'educazione

21 risposte
Sono sempre stato un soggetto particolarmente ansioso, per via molto probabilmente di un'educazione eccessivamente protettiva e ansiogena dei miei genitori, che mi ha portato nel corso del tempo a sviluppare una forma di ipersensibilità e ipereattività generalizzata nelle attività di tutti i giorni. Circa due anni fa la situazione è degenerata con l'insorgenza di un disturbo da attacchi di panico, che ho trattato con terapia farmacologica (Escitalopram) e psicoterapia cognitivo comportamentale. Adesso ho sospeso l'SSRI dopo graduale scalaggio come d'accordo col mio psichiatra e proseguo la psicoterapia circa una volta ogni venti giorni. Come può immaginare l'episodio è stato per me fonte di grande sofferenza e mi ha portato a ricercare un equilibrio di vita che da tempo avevo abbandonato. Sono riuscito a riprendermi da una situazione di stallo universitario riuscendo a sostenere 9 esami in questi due anni, ho ripreso a giocare a tennis, a correre, ad avere una vita sociale sana e sto cercando di avvicinarmi al mondo della mindfullness/meditazione. Nonostante questi progressi, sto vivendo un momento di grande smarrimento. Al momento mi mancano 12 esami per laurearmi e sto avendo rimuginii costanti sulla scelta del mio percorso. Sin da prima che emergesse il disturbo da panico ho manifestato una specie di fobia nei confronti dell'ospedale e dell'ambiente medico, e adesso la cosa è ancora presente. E' come se associassi l'ospedale ad un ambiente minaccioso, e per me che studio Medicina la situazione mi sembra paradossale. Questo problema, apparentemente di poco conto, mi sta impedendo di formarmi nel modo corretto e sta generando in me frustrazione. Vedo il tirocinio come qualcosa da cui molto spesso devo stare alla larga, semplicemente per via di questa risposta fobico/ansiosa che però mi lascia quasi sempre un grande senso di spossatezza. Ero a conoscenza di questa mia tendenza quando mi sono iscritto a Medicina, ma ero abbastanza convinto che fosse la strada più adatta a me e che più sposava i miei interessi, ma adesso sento tutto un po' in discussione e forse sto iniziando a sviluppare un senso di rifiuto nei confronti di questa facoltà. La questione è stata ampiamente approfondita col mio psicoterapeuta, che sostiene che in realtà questa mia caratteristica non mi impedirà di fare il medico e di condurre una vita serena, perchè con il passare del tempo scomparirà e sarà solo un lontano ricordo. Invece io, nonostante l'impegno in terapia, continuo a vederla come un qualcosa più grande di me, in cui l'ansia prende il sopravvento e lasciando in me solo una sensazione di passività. Purtroppo anche con dosaggio massimo di Escitalopram, la fobia è sempre stata presente. Non so come gestire questa situazione e la cosa mi sta impedendo di essere sereno e di realizzarmi in ambito lavorativo. Avrei bisogno di un aiuto concreto, perchè al momento sono frustrato e mi sembra che non ci sia soluzione al mio problema.
Dott.ssa Beatrice Merolla
Psicoterapeuta, Psicologo clinico, Psicologo
Milano
Buongiorno, la ringrazio per aver condiviso la sua esperienza e il suo vissuto. Se leggo tra le righe mi sembra di scorgere oltre al senso di smarrimento, che ha opportunamente colto, anche un grande elemento di paura. La paura che prova è in linea con i sentimenti associati alle primissime relazioni con le figure genitoriali ed è espressa nel corso della sua storia attraverso episodi di attacchi di panico. Il supporto farmacologico è senz'altro utile ma è utile anche sondare attraverso la psicoterapia, quanto più possibile, i nuclei e i sentimenti sottostanti alla sintomatologia riportata. Cosa le fa davvero paura? Qual è il suo timore più grande? Aver sbagliato facoltà è solo la rappresentazione più concreta di un tema più profondo, di un pericolo più grande dal quale cerca di difendersi. Lei chiede un aiuto concreto e la comprendo perfettamente, la richiesta deriva da un periodo di esasperazione che vorrebbe lasciarsi alle spalle. Tuttavia, credo, che l'aiuto concreto potrebbe rivelarsi utile nel qui ed ora ma non esserlo nel lungo periodo. Le auguro di trovare presto un senso al suo malessere, un significato che le permetta di decodificare il suo animo e di esplorare le dinamiche più profonde. Un caro saluto. BM

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Gentile, dalle sue parole vedo che lei ha svolto un buon percorso con il collega, allo stesso tempo le credo quando parla del rifiuto della sua facoltà, vista la "fobia" di cui parla; posso solo immaginare quanto sia disorientato e spaventato...
Visto che parla di attacchi di panico, di fobie, la inviterei a chiedersi quali emozioni sottostanti (es. paure) sono coperte da questi sintomi?
La sintomatologia è ciò che si manifesta, quando vi sono aspetti più nascosti, difficili da affrontare; più che un lavoro sulla risoluzione pratica del problema - di cui comprendo la necessità - la invito a esplorare e a dare un senso alle emozioni più nascoste, magari parlandone con il suo terapeuta.
Buon lavoro e in bocca al lupo per il suo percorso!
Dott.ssa Valentina Sciubba
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
L'ansia per definizione è una paura senza oggetto, non se ne conosce il motivo oppure esso è indefinito, vago. Spesso la paura è inconscia e l'organismo che non riesce a identificarla, ma soprattutto a neutralizzarla, la manifesta con i sintomi tipici di questa emozione. Potrebbe essere una paura esagerata, come penso suppone il collega, ma potrebbe anche essere ben motivata e potrebbe essere una paura dai contenuti diversi che non si collegano strettamente al corso di studi. Occorre che lo psicologo la identifichi, la valuti e applichi idonee strategie di pensiero e comportamentali per risolverla.
uongiorno, poiché sta già seguendo un percorso terapeutico, ed ha già approfondito l’argomento con il suo terapeuta, non mi dilungherò sulle funzioni e i significati che l’ansia può avere, ma le consiglio di avvicinarsi sempre di più alla pratica della meditazione Mindfulness, che, come ha intuito da solo, potrebbe portarle grandi benefici. La Mindfulness, infatti, aiuta a vedere con chiarezza i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri valori, anche quelli più profondi e “nascosti”. Ci aiuta a lasciar andare tutti i pensieri ossessivi e i rimuginii, consentendo di vedere con chiarezza le risposte alle domande che ci poniamo. Quando ci domandiamo quale sia la cosa giusta da fare, molto spesso abbiamo già dentro di noi la risposta, ma non la vediamo perché è coperta da strati e strati di ansie, paure, pensieri automatici, abitudini, ecc. La Mindfulness aiuta a vedere sotto di questi ed entrare in contatto con il nostro io più autentico. Le auguro di trovare le sue risposte!
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Da ciò che descrive emerge un percorso personale molto intenso, affrontato con grande impegno e consapevolezza. Ha già compiuto passi significativi: ha lavorato sulla propria ansia, ha gestito un disturbo di panico, ha ripreso attività importanti per il suo benessere e sta continuando la psicoterapia. Tutti questi elementi indicano una buona capacità di resilienza, anche se in questo momento il senso di smarrimento può farla sentire come se i progressi non fossero abbastanza.
È comprensibile che l’ambiente ospedaliero attivi in lei una risposta ansiosa: se nella sua storia l’area della salute è stata associata a vissuti di vulnerabilità, l’ospedale può diventare un “trigger” emotivo. Questo non mette in discussione il valore del suo percorso accademico, ma evidenzia un nodo fobico che merita un lavoro più specifico.
La sua difficoltà non è “paradossale”: molti studenti di Medicina vivono una distanza tra il desiderio di aiutare gli altri e il confronto con contesti che, sul piano emotivo, sono percepiti come minacciosi. Questo non significa che non potrà diventare un medico competente, ma che ha bisogno di tempo, gradualità e strategie mirate per desensibilizzare questi stimoli.
Il fatto che la terapia farmacologica non abbia eliminato del tutto la fobia non significa che il problema sia irrisolvibile: le fobie specifiche rispondono bene a interventi mirati, spesso basati su esposizione graduale, regolazione emotiva, lavoro sui pensieri catastrofici e tecniche come l’EMDR, particolarmente utili quando l’ansia ha radici in esperienze pregresse o in apprendimenti emotivi profondi. Anche pratiche come la mindfulness possono supportarla nel ridurre la reattività e aumentare la tolleranza verso le sensazioni corporee.
L’incertezza che sente oggi non invalida le sue scelte: sta attraversando una fase in cui l’ansia tende a ingrandire il problema e a farle percepire tutto come più minaccioso. Ma questo stato non è permanente, e non definisce né il suo futuro professionale né il suo valore personale.
Per gestire in modo concreto questa situazione può essere utile:


Un lavoro psicoterapeutico focalizzato sulla fobia, che includa esposizioni graduate, strategie di coping e ristrutturazione dei pensieri disfunzionali.


Valutare strumenti integrativi, come EMDR, utili a ridurre l’impatto emotivo degli stimoli che oggi la spaventano.


Un percorso di mindfulness guidato, per consolidare le competenze di autoregolazione che sta iniziando a sviluppare.


La sua preoccupazione merita attenzione, ma non rappresenta qualcosa di “più grande di lei”: è un’ansia specifica, affrontabile con un intervento mirato. La invito ad approfondire questo aspetto con uno specialista, in modo da costruire un percorso personalizzato che le permetta di ritrovare serenità e continuità nel suo cammino.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dr. Stefano Lagona
Psicologo, Psicoterapeuta
Torino
Il quadro che descrive — una vulnerabilità ansiosa di lunga data, presumibilmente radicata in uno stile educativo iperprotettivo, con successiva comparsa di attacchi di panico e una componente fobica specifica legata al contesto ospedaliero — è coerente con ciò che talvolta osserviamo nei pazienti con elevata sensibilità e sistemi di attivazione emotiva particolarmente reattivi. La reazione fobico-ansiosa nei confronti dell’ambiente clinico, per quanto paradossale nel percorso di studi che ha scelto, non è insolita né incompatibile con la possibilità di esercitare in futuro la professione medica.
È rilevante sottolineare che, nonostante l’episodio acuto di crisi due anni fa, lei ha dimostrato una notevole capacità di ripresa: ha superato numerosi esami, ha reintrodotto nella sua vita attività sportive, relazioni, una maggiore cura di sé e sta esplorando pratiche contemplative come la mindfulness. Questi elementi, lungi dall’essere secondari, costituiscono indicatori prognostici favorevoli e testimoniano un funzionamento globale ben più solido di quanto la sua percezione attuale lasci trasparire.
Il punto centrale della sua difficoltà odierna sembra essere il persistere della risposta fobica in contesti ospedalieri, associata a un vissuto di passività e impotenza che alimenta il rimuginio e il dubbio sulla scelta del percorso universitario. È comprensibile che tale reazione generi frustrazione, perché ostacola la possibilità di vivere serenamente i tirocini e di confermare interiormente la validità della strada intrapresa.
Tuttavia, ciò che riferisce non indica un’incapacità strutturale a tollerare l’ambiente medico, bensì una sorta di “associazione appresa” tra contesto ospedaliero e minaccia, probabilmente rinforzata nei momenti di massima vulnerabilità ansiosa. Queste associazioni, per quanto tenaci, non sono immutabili.
È importante inoltre distinguere tra due piani:
La sintomatologia ansiosa attuale, che certamente necessita di un contenimento e di strategie specifiche di gestione.
La sua reale attitudine verso la professione medica, che non può essere valutata sulla base di un periodo di vulnerabilità emotiva, ma sul lungo percorso di interessi, valori e investimenti personali che l’hanno portata fino a qui.

Comprendo quanto sia frustrante percepire che la componente fobica persiste anche in presenza di terapia farmacologica a dosaggio pieno. Tuttavia, la farmacoterapia, pur utile per modulare la reattività ansiosa di fondo, non sempre agisce sulle risposte fobiche situazionali, soprattutto quando queste sono radicate in processi associativi più profondi. In questi casi, l’intervento psicoterapeutico — anche tramite tecniche graduali di esposizione, ristrutturazione cognitiva o approcci basati sulla regolazione emotiva — tende ad essere il canale privilegiato per una reale trasformazione della risposta.
Cordialmente
Stefano Lagona
Dott.ssa Giulia Solinas
Psicologo, Psicoterapeuta
Quartu Sant'Elena
Buona sera, la medicina è un campo di studio e applicazione a 360° dove non tutti sono chiamati a effettuare interventi a cuore apèerto, trapiani, inserire protesi, operare cataratte e intervenire chirurgicamente nelle diverse parti del corpo; esisetono moltissimi ambuiti in cui le competenze di un medico trovano applicazioni pratiche nella gestione sanitaria, nell'ambito della prevenzione, negli ambiti laboratoriali, di salute dell'aria dell'acqua e degli alimenti. Credo che lei non abbia ancora esplorato tutti gli ambiti entro i quali non è necessario pensare ad un tirocinio con terrore e se dovesse avere necessità cerchi lei stesso tutte le scuole di specializzazione che non implicano gli ambiti che le ho citato. Se la sua vocazione ha richiamato questo tipo di studi sono certa che lei puo trovare il suo giusto posto senza grandi ansie e paure perchè essere un buon medico non implica sempre essere in prima linea al 118 nè tantomeno dover utilizzare le tecniche chirurgiche ( a tratti viste come cruente e difficili). la salute dei cittadini passa attraverso tantissime altrte scienze ( sportive, nutrizione, igiene, prevenzione ecc). Spero di esserle stata utile
Dott.ssa Luciana Bastianini
Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Salve,

le sue parole descrivono un percorso personale intenso, nel quale, nonostante le difficoltà, ha saputo rialzarsi e riorganizzare la propria vita. Ha affrontato un disturbo di panico, ha ripreso a studiare, a fare sport, a coltivare relazioni e a dedicarsi alla sua crescita interiore. Questi sono segnali di risorse importanti, spesso difficili da riconoscere quando ci si trova immersi in uno stato ansioso. Il senso di smarrimento che sta sperimentando ora non annulla i progressi raggiunti, rappresenta piuttosto una fase di assestamento. La difficoltà che descrive nel contesto ospedaliero è compatibile con una risposta fobica situazionale, che può riattivarsi anche dopo un buon lavoro terapeutico. Il suo terapeuta le ha trasmesso fiducia nel fatto che questa reattività si attenuerà con l’esperienza, e per molte persone è effettivamente così. L’obiettivo è individuare un ritmo che non la sopraffaccia, lavorando parallelamente su un piano emotivo per modulare la risposta ansiosa e su quello esperienziale per avvicinarsi in modo graduale e sostenibile all’ambiente temuto. È importante ricordare che l’ansia non è un segno di fragilità, ma un sistema di protezione iperattivo che, al momento, interpreta alcuni contesti come minacciosi anche quando non lo sono. Il lavoro terapeutico serve proprio a rieducare questo sistema, non a combatterlo. Quando l’ansia si attenua, spesso emerge con maggiore chiarezza anche la direzione delle proprie scelte di vita.

Cordialmente,
Dott.ssa Luciana Bastianini
Dott.ssa Antonella Rocchi
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Mestre
Grazie per aver condiviso con tanta sincerità il tuo percorso. Quello che descrivi è il risultato di una storia personale segnata da ansia, ipersensibilità e un’educazione molto protettiva che, nel tempo, ha lasciato un “sistema di allarme” più attivo del normale. Non è una colpa, né un limite personale: è un funzionamento appreso, che può essere modificato.

Hai già fatto passi enormi: hai ripreso a studiare, a muoverti, a socializzare, a curare la tua salute mentale. Questo dimostra che hai risorse solide, anche se ora ti senti smarrito.

La fobia dell’ambiente ospedaliero non è un segnale che Medicina non fa per te: è una associazione ansiosa che il tuo corpo continua ad attivare. Può succedere anche con terapia farmacologica, perché si tratta di una risposta molto radicata, più corporea che cognitiva.

Per questo un approccio integrato può aiutarti:

tecniche di regolazione del sistema nervoso,

esposizione graduale (prima immaginativa, poi reale),

mindfulness e grounding,

lavoro sulle memorie ansiose e sulla fiducia in te.

Non è un problema “più grande di te”, anche se ora lo senti così. È una condizione affrontabile, con un percorso mirato e paziente. E la tua storia dimostra che hai già la forza per farcela.

Se vuoi, posso aiutarti a strutturare un piano di lavoro concreto e progressivo. Non sei senza soluzione: sei in un passaggio che può trasformarsi.

A disposizione, dottoressa Rocchi Antonella
Salve paziente anonimo
Partiamo dal principio che l'attacco di panico è un messaggio profondo del nostro essere che vuole farci comprendere qualcosa di noi
Vada fino in fondo per capire cosa c'è dietro e lo affronti
La psicoterapia è il luogo più adatto e il suo terapeuta saprà guidarla ma fondamentalnente è l'esplorazione dei suoi veri bisogni che potrà aiutarla ad affrontare il tutto
A volte serve un po' di coraggio per saper scegliere il meglio per noi
In bocca al lupo
Dott.ssaLorenzini Maria santa psicoterapeuta
Dott. Diego Ferrara
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Quarto
Buongiorno,

direi che la cosa più opportuna da fare sarebbe quella di portare ancora una volta in terapia ciò di cui sta parlando qui. Potrebbe esser un interessante spunto su cui soffermarsi e da cui ripartire.

Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Dott.ssa Chiara Tenconi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Rho
Buongiorno, comprendo profondamente il suo smarrimento: ciò che descrive non è raro in chi ha vissuto ansia intensa e attacchi di panico. Anche dopo un buon recupero, alcune paure “legate al trauma” possono riattivarsi, soprattutto se associate a contesti molto simbolici, come per lei l’ambiente ospedaliero.

Nell’ottica EMDR, questo tipo di reazione non è un limite personale né un segno che “non è adatto a Medicina”, ma il risultato di memorie di paura che non sono ancora completamente elaborate. Per questo, pur con farmaco e terapia cognitiva, la fobia può persistere.

La buona notizia è che queste risposte possono cambiare, spesso in modo significativo, lavorando proprio sulle esperienze che oggi attivano ansia e ipersensibilità (ospedale, tirocinio, contatto con l’ambiente medico).
Non è un blocco definitivo, né qualcosa “più grande di lei”: è un circuito appreso che può essere rielaborato.

Il fatto che lei sia riuscito a riprendere la vita, lo studio, lo sport e la socialità dimostra già grandi risorse. Un lavoro mirato sulla parte più emozionale del trauma può aiutarla a “sentire” ciò che oggi razionalmente sa: che può farcela.

Se desidera, possiamo approfondire insieme.
Dott.ssa Denise Cavalieri
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Ravenna
Grazie per aver condiviso una parte così significativa del tuo vissuto. Sento nelle tue parole il peso della sofferenza passata e l'impegno profondo che stai mettendo per riconquistare un equilibrio, mattone dopo mattone. Il percorso che descrivi, dal disturbo di panico al recupero di attività vitali come lo sport e gli studi, dimostra una grande forza interiore e resilienza.
Non mi soffermerò solo sull'analisi del "perché" della tua fobia, come se fosse un pezzo isolato del puzzle. Credo sia importante anche concentrarsi sul "come" stai vivendo la situazione ora, nel qui e ora, e su come questo vissuto si manifesta nella tua interazione con l'ambiente (l'università, l'ospedale, il tuo corpo).
Ecco alcuni spunti su cui possiamo riflettere insieme, per aiutarti a (ri)trovare un senso di integrità:
Tu non sei "solo" la tua ansia o "solo" la tua fobia. Sei una persona complessa che include anche la capacità di superare ostacoli, di sostenere esami, di correre. Il tuo attuale senso di smarrimento nasce dal fatto che la fobia sta momentaneamente occupando uno spazio enorme nel tuo campo fenomenico, oscurando le altre parti di te. Il nostro lavoro è riportare equilibrio, aiutandoti a vedere l'intera "figura" di chi sei.
Noto con piacere il tuo interesse per la mindfulness. È un'ottima strada. La Gestalt lavora molto sulla consapevolezza del momento presente, non per giudicare l'ansia, ma per sentirla, accettarla come parte dell'esperienza momentanea, senza esserne travolti. Quando senti l'ansia salire in tirocinio, prova a notare dove la senti nel corpo: un nodo allo stomaco? Tensione alle spalle? Nominare la sensazione e localizzarla ti aiuta a non identificarti completamente con essa ("io sono ansioso"), ma a vederla come un evento transitorio che accade dentro di te ("c'è ansia").
Parli di un senso di "passività" e di qualcosa "più grande di te". Questo accade quando il ciclo di contatto con l'ambiente si interrompe. Desideri formarti, hai un interesse (energia), ma l'ansia blocca l'azione (il contatto con l'ospedale) e ti lascia un senso di frustrazione e ritiro (la passività). Dobbiamo esplorare come riattivare la tua energia, non per "combattere" l'ansia, ma per permettere al tuo interesse e alla tua motivazione di fluire nuovamente verso l'azione desiderata.
Dentro di te coesistono diverse polarità:
Il desiderio di diventare medico (l'interesse, la vocazione).
La paura dell'ospedale (la fobia, l'evitamento).
La persona resiliente che sostiene esami e quella che si sente in stallo.
Il tuo terapeuta ha un punto valido: la fobia può diventare un ricordo. L'obiettivo non è eliminare la paura, ma integrare queste polarità. Riconoscere che puoi essere una persona competente e interessata alla medicina e contemporaneamente provare ansia in certi contesti. Non sono mutuamente escludenti.
Temere l'ambiente medico potrebbe essere un segnale del tuo organismo che richiede attenzione. Una parte che sente paura e ha bisogno di essere vista e accudita.
Quello che posso suggerirti è di portare in terapia, con il tuo attuale terapeuta (con cui mi sembra tu stia facendo un ottimo lavoro), un'esplorazione più approfondita del vissuto corporeo dell'ansia durante il tirocinio.
Sperimenta l'Evitamento: Invece di combattere la voglia di evitare il tirocinio, prova a sentire l'energia che c'è dietro l'evitamento. Cosa succederebbe se per un attimo ti permettessi di non lottare contro la fobia, ma di darle spazio? Spesso, nell'accettazione paradossale, l'energia bloccata si libera.
Lavora sulle Sensazioni, non solo sui Pensieri: Usa la mindfulness per restare ancorato al corpo quando i rimuginìi sulla scelta del percorso partono. I pensieri ti portano via dal presente; le sensazioni corporee ti riportano qui, dove puoi agire.
Spero che queste riflessioni ti offrano una prospettiva diversa e ti aiutino a sentire che, anche in questo momento di smarrimento, la soluzione non è "fuori" (cambiare facoltà), ma "dentro", nella tua capacità di integrare le diverse parti di te e ripristinare un contatto pieno e vitale con il mondo e con i tuoi desideri più autentici. Con affetto
Denise Cavalieri
Dott.ssa Gloria Polizzi
Psicologo, Psicoterapeuta
Roma
Buongiorno, ci sono delle persone che hanno delle predisposizioni per tratti ansiosi di personalità, la cosa importante è imparare a conviverci, saperli gestire e ascoltare le nostre ansie, le nostre paure, le nostre fobie. L'ansia non è altro che un campanello d'allarme che ci vuole avvisare che qualcosa dentro di noi non sta più andando, C'è qualcosa che va cambiato!
Una spinta interiore che preme per apportare un cambiamento. Quale? non lo sappiamo, non sei riuscito ancora a scoprirlo, per questo stai male!
Il percorso di psicoterapia dovrebbe aiutarti ad ascoltare serenamente le tue ansie, i tuoi attacchi di panico e cominciare a leggerli, interpretarli, capire cosa c'è sotto.
Magari quella che stai vivendo non è la tua vera vita, ovvero la tua vera natura è stata soffocata, ancora non è riuscita ad emergere .
Forse la psicoterapia che facevi prima ti ha aiutato a superare le difficoltà in quel momento, ma ora hai bisogno di altro.
Hai mai pensato ad un percorso terapeutico di introspezione, che ti guidi alla conoscenza delle parti più nascoste di te che hanno paura di emergere ?
Dott.ssa Elisa Oliveri
Psicoterapeuta, Psicologo
Torino
Buongiorno caro ragazzo,
come lei ha raccontato il primo episodio di attacco di panico è subentrato in contemporanea ad una fase di empasse negli studi per cui tutte le sue paure e fragilità si sono canalizzate e hanno trovato come oggetto di sfogo l'ambiente dell'ospedale.
Come lei immaginerà più fugge dall'esperienza, evitando il tirocinio, e più queste paure verranno confermate. L'evitamento ha lo scopo di alleggerire temporaneamente l'ansia.
Potrebbe rivalutare con il suo medico di riprendere i farmaci per l'ansia in modo da aiutarla a affrontare con maggiore tranquillità le sue domande sul suo percorso di studi.
Potrebbero i dubbi che la attanagliano essere frutto delle sue ansie?
Le auguro di trovare quanto prima la sua strada. In bocca al lupo
Dott.ssa Ilaria Innocenti
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Firenze
Buongiorno, premetto che mi sento in difficoltà a dire qualcosa quando c'è una psicoterapia in corso, perché credo sia importante rispettare la direzione seguita dal professionista a cui ci si affida - se si sente che è il metodo che fa al proprio caso; quindi, le do solo due suggerimenti generali (quello che farei io secondo il mio approccio terapeutico): indagherei l'origine di questi sintomi ansiosi (cosa avveniva nella sua vita al momento dell'insorgenza (dell'ADP) e cosa associa profondamente alla scelta di medicina. Un saluto e buon lavoro, Ilaria Innocenti
Dott. Stefano Ventura
Psicologo, Psicoterapeuta
Roma
Gentile Amico,
una situazione davvero pesante e difficile!
Tuttavia, credo che attraverso l'ENDR si può elaborare questa fobia, e desensibilizzarsi.

Con i migliori auguri,
dr. Ventura
Dott. Matteo Mossini
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Parma
Difficile immaginare una soluzione fino a quando non si troverà a dover affrontare veramente la situazione. Il suo terapeuta rimane comunque la persona più indicata con cui gestire questa problematica.
Dott. Salvatore Augello
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Palermo
Salve, mi dispiace viva questo disagio.
Sarà importante condividere e affrontare il suo vissuto emotivo in terapia.
Riscontro numerose preoccupazioni, ed è importante lavorare su di esse.
Cordiali saluti
Dott.ssa Francesca Gottofredi
Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Bologna
“Non è la paura che ci blocca, ma il modo in cui cerchiamo di liberarcene.” – P. Watzlawick
Buonasera,
dal suo racconto emerge una cosa molto chiara: lei non è fermo, è stanco. Stanco perché lotta da anni con un nemico che conosce fin troppo bene e che, proprio per questo, appare più grande di quanto realmente sia. Quello che descrive non è un fallimento, ma il tipico effetto paradossale di chi cerca di controllare troppo la propria ansia e finisce per amplificarla. L’ospedale non è il problema, è il bersaglio su cui la sua sensibilità si è agganciata.
Lei ha già dimostrato qualcosa che molti non riescono nemmeno a immaginare: dopo un crollo ha ripreso l’università, la vita sociale, lo sport, la progettualità. Questo significa che la sua fragilità non è una condanna, ma un tratto che può essere rieducato, non eliminato. È proprio chi è più sensibile che, se impara a gestirsi, diventa un medico più capace degli altri.
Il punto ora non è chiedersi se riuscirà a fare il medico, ma come trasformare quello che oggi teme in una competenza. E la domanda strategica è semplice: come cambierebbe la sua percezione se, invece di evitare l’ospedale, fosse lei a decidere quanta paura provare e quando? L’ansia non scompare quando la sfidiamo a braccio di ferro, ma quando la guidiamo in dosi piccole e chirurgiche. Forse la questione non è “come faccio a non avere la risposta fobica?”, ma “cosa succede se scelgo di farle spazio senza combatterla?”. La sensazione di passività nasce proprio dal tentativo di scacciarla; la padronanza nasce dall’imparare a entrarci dentro un passo alla volta.
Si chieda: qual è il minimo contatto con l’ambiente che oggi posso tollerare, non per guarire, ma per smettere di scappare? E come cambierebbe la mia esperienza se iniziassi a osservare la paura invece di giudicarla?
Non è un inizio di resa, ma un inizio di controllo.
“Ciò a cui resisti, persiste. Ciò che accogli, si trasforma.” – C. G. Jung
Rimango a disposizione.
Dott.ssa Francesca Gottofredi.
Dott.ssa Valeria Randisi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Casalecchio di Reno
Buonasera, le suggerisco di parlarne con il suo psicoterapeuta e concordare insieme come affrontare questa situazione. Dietro ad ogni sintomo c'è una logica, spesso apparentemente irrazionale e contraddittoria. Se il suo dottore lo pratica, potrebbe chiedere di sottoporsi ad un protocollo emdr.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi

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