Salve, mi chiamo A, 27 anni maschio. Premetto che sono stato in terapia per circa 15 anni, con una

24 risposte
Salve, mi chiamo A, 27 anni maschio.
Premetto che sono stato in terapia per circa 15 anni, con una dottoressa molto capace che mi ha aiutato tanto, fino a quando ho deciso di smettere.
Ho avuto varie situazioni difficili nella mia vita, tra cui, senza scendere nel dettaglio, violenza sessuale, psicologica e fisica (tante botte).
Sono sempre stato una persona buona, empatica ed onesta, ho sempre avuto molti "amici" anche se poi la maggior parte non si è rivelata tale, non sono vergine, ma non ho nemmeno mai avuto una storia seria.
Ogni giorno, escluso sul luogo di lavoro, non parlo mai. Non perché non ne abbia voglia, ne perché non ne sia in grado, ma semplicemente perché nessuno mi chiede mai nulla, ne si interessa alla mia giornata, o a me in generale, tanto che possono passare settimane senza che riceva nemmeno una telefonata. Quando cammino in strada mi sento un misto tra un fantasma e un bersaglio, invisibile ma osservato, gli sguardi mi attraversano e io non posso farci niente. Nella mia vita, ogni ti voglio bene e ogni vaffa che ho detto erano sentiti e sinceri, e ingenuamente credevo fosse lo stesso anche dall'altra parte.
Ho smesso di cercare la salvezza e l'ispirazione nelle altre persone, perché ho capito che nessuno può fornirmela, o non vuole. Ogni giorno quando mi sveglio mi ripeto che posso sopportare tutto ancora per un po', ma ormai sono in riserva.
Bevo, e cerco di non farmi trasportare troppo né da un lato né dall'altro, ma ci sono giorni in cui devo uscire dalla mia testa. Tutti i passi avanti che faccio sono seguiti da cadute rovinose che mi riportano più indietro di quanto sia riuscito ad avanzare. Odio tutti, pochi un po' meno di altri, con cui a volte riesco a passare il tempo, ma comunque vada, ovunque mi trovi sono sempre fuori posto, anche in casa mia. Mi sento sporco, difettoso, rotto, e ho smesso di credere che esista una cura. Tante volte vorrei andarmene da qui, ma non saprei dove. Nessuno mi aspetta, e a nessuno mancherei, e mi ritrovo in questo limbo. La cosa che più mi fa' arrabbiare è che ripensando al passato, al me bambino, posso dire con certezza che mi sarebbe bastato veramente poco, anzi pochissimo per diventare una brava persona, un uomo realizzato e felice. Volevo soltanto una compagna, niente di più, e so che non è poco, ma quando mi guardo intorno e vedo ingrati ed egoisti avere accanto persone che io pagherei oro per avere con me, mi rendo conto di quanto il mondo faccia schifo. Sono 7 anni che non tocco un altro essere umano, 7 anni che non dormo, due dei quali passati imbottito di psicofarmaci che hanno distrutto il mio corpo e il mio metabolismo. Non so nemmeno perché sto scrivendo questo, non ho intenzione di tornare in terapia, sono stanco di pagare qualcuno per far finta di interessarsi a me, piuttosto preferisco tenermi tutto dentro, perché una delle cose più importanti che ho imparato, è che attenzioni e regali non si chiedono mai, altrimenti perdono tutta la loro importanza. Per riuscire a sopportare questo senso di solitudine, ogni cosa che faccio fingo di essere in compagnia, quando guido, quando cucino, quando guardo un film. Mi sono dato due possibili spiegazioni alla pesantezza delle mie reazioni rispetto alle situazioni quotidiane, la prima è che sia io a dare troppa importanza a ciò che in realtà ne ha molta meno di quanto pensi, la seconda che gli altri non ne diano abbastanza a ciò che davvero è importante. Da un po' di tempo a questa parte mi ritrovo a desiderare di aver avuto problemi "normali". Ormai sono un guscio vuoto, una macchina il cui unico scopo è continuare ad esistere, ma anche le macchine hanno bisogno di un compito, una missione, qualcosa che giustifichi la loro esistenza. Comincio a pensare che forse sia meglio così, che è meglio che stia solo, così non sporcherò nessun altro.
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Grazie per aver condiviso con tanta profondità e sincerità una parte così intensa della tua storia. Le tue parole trasmettono un vissuto di dolore, solitudine e resistenza, e raccontano una sofferenza che merita ascolto, rispetto e attenzione vera.

Hai affrontato esperienze traumatiche molto gravi – violenze fisiche, psicologiche e sessuali – e hai comunque cercato, per tanti anni, di elaborarle in terapia, segno di una grande forza e di una profonda volontà di comprensione e guarigione. Nonostante questo percorso, oggi ti ritrovi a vivere un senso di vuoto, di isolamento, di estraneità rispetto al mondo e alle persone che ti circondano.

Il dolore che descrivi – il sentirsi invisibile, non ascoltato, non cercato, escluso da legami autentici – è un dolore reale. Non è debolezza. Non è “dare troppa importanza alle cose”. È la naturale reazione di un essere umano che, per sua natura, ha bisogno di relazioni, di vicinanza, di sentirsi visto, amato, compreso.

Molti dei tuoi pensieri – il senso di colpa, la rabbia, la sfiducia, la stanchezza, il desiderio di "uscire dalla testa" – sono reazioni comuni in chi ha vissuto traumi gravi e trascuramenti emotivi. Non sei solo nel provare tutto questo, anche se oggi ti senti profondamente solo.

Il fatto che tu abbia scritto questo messaggio, che tu abbia trovato parole per esprimere ciò che vivi, è già un atto importante, vitale. Significa che dentro di te c’è ancora una parte che desidera essere ascoltata, riconosciuta, aiutata. E questa parte merita attenzione, non giudizio.

Capisco il tuo scetticismo verso la terapia, soprattutto se dopo tanti anni ti senti ancora così. Ma il dolore profondo che porti con te, e il bisogno di essere visto veramente, richiedono uno spazio sicuro, rispettoso, non giudicante. Uno spazio dove tu possa tornare ad essere soggetto della tua vita, e non solo spettatore passivo del tuo dolore.

Rivolgersi a uno specialista, anche solo per un colloquio, potrebbe essere un passo importante per uscire da questo limbo. Non perché tu sia “rotto”, ma perché meriti di essere accompagnato da qualcuno che sappia comprendere la complessità della tua storia e aiutarti a ritrovare senso, direzione, respiro.

Con rispetto e umanità,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa







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Dott. Luca Vocino
Psicologo clinico, Psicologo
Trezzano Rosa
Buongiorno gentile Utente, la ringrazio per il coraggio e la profondità con cui ha condiviso la sua storia. Leggere le sue parole mi restituisce la voce di una persona che ha attraversato esperienze estremamente dure, che ha resistito a lungo e che oggi si sente stanca, disillusa, delusa da un mondo che sembra non avergli restituito quanto avrebbe meritato. È come se portasse dentro di sé un dolore stratificato: quello per ciò che ha subito, quello per ciò che ha perso, e forse anche quello per ciò che non ha mai avuto.

Lei ha affrontato abusi, violenze, trascuratezze affettive, e ha comunque cercato (con una tenacia che non può non colpire) di rimanere una persona buona, empatica e onesta. Questo la rende già molto più “integra” di quanto lei si senta in questo momento. Il suo vissuto è quello di un essere umano che ha desiderato il bene, la vicinanza, l’amore e che, non ricevendoli in modo autentico e stabile, si è sentito sporco, rotto, di troppo. Non è strano che il suo corpo e la sua mente abbiano sviluppato sintomi così dolorosi. Ma la loro esistenza non significa che lei sia sbagliato: è la risposta coerente a un dolore profondo e trascurato.

Mi colpisce il modo in cui descrive la sua solitudine, che non è soltanto “non avere nessuno accanto”, ma è il sentirsi invisibile e inascoltato, anche nelle relazioni più vicine. Questo tipo di solitudine può diventare un'esperienza devastante e radicata. Eppure, proprio scrivendo questa lettera, lei sta dimostrando che una parte di sé (forse piccola, forse stanca, ma viva) desidera ancora essere vista, riconosciuta, accolta. E anche se dice di non voler tornare in terapia, il fatto che abbia scelto di condividere tutto questo fa pensare che dentro di lei ci sia ancora un seme di speranza, magari piccolo e fragile, ma reale.

È molto doloroso leggere che ha imparato a non chiedere, perché chiedere significa, per lei, svuotare il valore delle cose. Ma mi permetta di dirle che il diritto a ricevere amore, cura, vicinanza non si conquista con il merito, e nemmeno si misura in base al passato che abbiamo avuto. È qualcosa che ci spetta in quanto esseri umani. E lei ha tutto il diritto di desiderare, e anche di ricevere.

Capisco la sua rabbia, la stanchezza e il desiderio (forse non ancora del tutto consapevole) di trovare un modo per vivere senza sentirsi perennemente in frantumi. È giusto che sia arrabbiato. È comprensibile che si senta in trappola. Eppure, in mezzo a tutto questo, lei continua a osservare, a riflettere, a interrogarsi, a cercare un senso. Questo dice molto della sua intelligenza emotiva e del suo bisogno, ancora vivo, di connessione vera.

Non è sporco, non è rotto, non è un guscio vuoto. È una persona che ha sofferto profondamente, e che forse ha bisogno di poter riscrivere il significato delle sue esperienze, trovando qualcuno capace di restare accanto senza giudicare, senza dover “fare finta”, ma con autenticità e rispetto. Io non posso sapere se vorrà mai riprendere un percorso, ma le posso assicurare che esistono professionisti capaci di accogliere storie come la sua senza banalizzarle o svilirle. La solitudine non è una colpa, e lei non è destinato a restare solo.

Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Dott. Sergio Borrelli
Psicologo, Psicologo clinico
Tradate
Buongiorno A.
Lei ha 27 anni, ma descrive il vissuto di una persona che ha un disincanto sulla vita lungo 90 anni.
Non ha intenzione di riprendere un percorso psicologico, eppure non sa perché scrive qui su questa piattaforma.
Ho letto tutto quello che ha scritto e percepisco molto dolore.
Dott.ssa Stefania Conti
Psicologo, Psicologo clinico
Palermo
Caro A, ti ringrazio per avere condiviso queste parole così intime, intense e dolorose. Leggere il tuo messaggio è stato come entrare, in punta di piedi, in una stanza piena di ferite che parlano
Quello che racconti non è solo un vissuto di sofferenza, ma anche il segno di una lucidità straordinaria: riconosci con precisione ciò che ti fa male, ciò che ti manca, e perfino ciò che hai cercato di costruire, anche quando tutto intorno sembrava remare contro. Questo non è poco. Anzi, è tantissimo. È il cuore di un uomo che ha lottato e lotta ancora, anche quando sente di essere rimasto solo.
Hai attraversato esperienze che lasciano segni profondi, e ciò che esprimi non è solo sofferenza, ma anche una grande consapevolezza. C’è in te una capacità rara di guardarti dentro con lucidità, e di raccontarti senza filtri, con una dignità che, nonostante tutto, resiste.

Il senso di essere fuori posto, di non appartenere a nulla e a nessuno, la fatica nel trovare uno sguardo che si fermi davvero su di te: tutto questo che descrivi non è banale. È il peso di chi è stato troppe volte invisibile, nonostante il desiderio autentico di essere riconosciuto e accolto. E questo desiderio è tutt’altro che sbagliato: è profondamente umano.

Capisco la tua diffidenza verso la terapia, soprattutto dopo un percorso così lungo. È normale sentire stanchezza, o anche rabbia, quando sembra che certi vuoti non si colmino mai. Ma non sempre si tratta di ripartire da capo: a volte basta un luogo dove poter semplicemente essere, senza dover spiegare tutto da zero, senza sentirsi analizzati o giudicati.

Forse non è necessario avere risposte immediate o soluzioni pronte. Forse, in questo momento, può bastare uno spazio dove sentirsi visti. Dove le parole possono uscire senza il timore che siano “troppo”. E se pensi che possa esserci un piccolo margine per ricominciare a parlarti con più gentilezza, io sono qui.

Se e quando vorrai, possiamo prenderci del tempo per un colloquio. Nessuna pressione, solo la possibilità di essere accolto, così come sei, con tutto quello che porti dentro.

Stefania Conti, Psicologa
Gentillissimo,
non mi è chiaro il bisogno che esprime e su cosa immagina di poter essere aiutato.
Mi faccia capire, sia più chiaro, si concentri sulle sue esigenze, sia mirato, e chieda esplicitamente.
Gentile A,
la situazione che descrive sembra davvero molto dolorosa, ma nonostante questo lei sembra aver trovato alcuni strumenti per affrontare la quotidianità, come fingere di stare da solo e darsi delle spiegazioni basate su ciò che è o non è importante per lei o per gli altri. Questi sono strumenti utili ad affrontare il dolore, fondamentali per lei che ha avuto la capacità di costruirli nella necessità.
Comprendo la delusione ricevuta ripetutamente dalle altre persone, che l'ha portata ad odiare tutti, pochi un po' meno di altri, a non voler più pagare qualcuno per far finta che si interessi a lei.
Considerato ciò, le chiedo, se ne ha voglia, di chiedersi se c'era o c'è qualcosa che le dà un po' di serenità, un po' di sollievo, in questo dolore, anche un'azione che può sembrare innocua o insignificante, ma che quando la fa, o la faceva, le sembrava di prendere un respiro, magari addirittura una boccata d'aria.
Se la coglie, le chiederei di prenderla così com'è, prima che venga "sporcata", per usare le sue parole, e di tenerla come un tesoro prezioso. Cosa farebbe lei per prendersi cura di un tesoro?
Se ne ha voglia, provi.
La ringrazio per aver condiviso la sua esperienza con noi e le auguro il meglio.
Resto a disposizione,

Dott.ssa Ramona Alberti
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buongiorno A, la ringrazio innanzitutto per aver scritto queste parole con così tanta lucidità, profondità e coraggio. La lettura del suo messaggio tocca nel profondo, non solo per ciò che racconta ma per come riesce a raccontarlo: con una chiarezza e una consapevolezza emotiva che raramente si incontrano. Nonostante tutto ciò che ha vissuto, e che descrive in modo così crudo e sincero, riesce ancora a riflettere su di sé con intelligenza e rispetto, anche quando la fatica sembra sopraffarla. Questo, anche se forse oggi le sembra solo una briciola in mezzo al dolore, è un segnale di forza interiore. Le sue parole raccontano un vissuto fatto di mancanze fondamentali, di ferite profonde e di solitudine emotiva, spesso più devastante di qualsiasi isolamento fisico. Il bisogno di essere visti, ascoltati, accolti, non è un capriccio dell’anima fragile, ma un diritto primario dell’essere umano. Quando per troppo tempo questo diritto ci viene negato, qualcosa dentro di noi inizia a vacillare: il senso di identità, la fiducia negli altri, persino il valore della nostra stessa esistenza. Lei lo descrive bene quando dice di sentirsi un fantasma e, al tempo stesso, un bersaglio. Invisibile, ma esposto. Questo paradosso è spesso alla base del dolore di chi, come lei, ha vissuto traumi relazionali e abbandoni emotivi. Non sorprende che oggi si senta un guscio vuoto, una macchina che fatica a trovare uno scopo. Quando si sopravvive per anni in un mondo che sembra incapace di offrire nutrimento affettivo, quando l’unica compagnia certa sembra essere quella del silenzio e della delusione, è normale iniziare a dubitare non solo degli altri, ma anche di se stessi. Tuttavia, nella sua storia emerge qualcosa di prezioso: la capacità di non anestetizzarsi completamente, di continuare a sentire. Anche la rabbia che descrive, il senso di ingiustizia, il desiderio di avere una compagna, il bisogno di autenticità... tutto questo parla ancora di un cuore che batte, nonostante tutto. Non è indifferenza, non è freddezza. È l'opposto. È ancora fame di vita. Capisco la sua stanchezza nei confronti della terapia. Quindici anni sono tanti, e sebbene il percorso fatto le abbia dato degli strumenti e l’abbia sostenuta in passato, oggi si trova in un punto diverso, dove la delusione ha preso spazio, forse anche nei confronti della possibilità stessa di essere aiutati. Mi permetto però di dirle, con tutta la delicatezza possibile, che la terapia non è sempre una linea retta né una risposta unica. A volte bisogna fermarsi, altre cambiare approccio, altre ancora riconoscere che alcuni nodi si riattivano nei momenti più silenziosi della vita, e chiedono nuovi modi per essere affrontati. L’orientamento cognitivo-comportamentale, soprattutto nelle sue evoluzioni più recenti come la Schema Therapy o l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy), lavora in profondità proprio su questi vissuti di vuoto, abbandono, e mancanza di scopo, aiutando la persona a ricostruire un senso, non solo nei pensieri ma anche nelle emozioni e nel corpo. Non per negare il passato, ma per far sì che non definisca tutto il futuro. Non per “aggiustare” ciò che si sente rotto, ma per accoglierlo, e da lì ritrovare un nuovo modo di stare al mondo. Non come macchina, ma come essere umano, meritevole di amore e dignità. Lei ha detto una cosa estremamente vera: le attenzioni, se chieste, sembrano perdere valore. Ma il problema non è nella richiesta. È in chi non risponde. Lei ha sempre avuto bisogno e diritto ad essere visto, toccato, ascoltato, amato. Non è sbagliato chiedere, è sbagliato non rispondere a chi chiede con sincerità. Non posso convincerla a tornare in terapia, né voglio provarci. Ma vorrei solo dirle che, nonostante tutto, non è solo. Le sue parole oggi sono arrivate, e non hanno lasciato indifferenti. Lei esiste, e la sua esistenza ha un valore, anche se oggi le sembra invisibile agli occhi degli altri. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott. Diego Ferrara
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Quarto
Buongiorno,

l'idea di sentirsi sporchi e di percepirsi come un involucro vuoto è qualcosa di molto diffuso nelle persone che sono state vittime di abusi e violenze. Non conosco approfonditamente la sua storia di vita per poterle dare consigli e rispetto la sua sofferenza ma credo altrettanto che l'interruzione della terapia in maniera brusca possa aver avuto a che fare con la perdita totale di fiducia negli esseri umani. Ad ogni modo, qualora un giorno le andasse di confrontarsi nuovamente con qualcuno, prenda in considerazione la possibilità di contattarmi, sarei disponibile ad accoglierla ed orientare le sue domande.

Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Dott.ssa Sonia Zangarini
Psicologo, Professional counselor, Psicologo clinico
Napoli
Buongiorno,
La ringrazio per aver avuto la forza e il coraggio di scrivere queste parole, così cariche di verità, rabbia e dolore. Quello che ha scritto è importante, e merita ascolto.

Dalle sue parole emerge una vita attraversata da esperienze profonde e durissime. Eppure, nonostante tutto, si percepisce ancora una parte di lei che osserva, che riflette, che si fa domande, che non si è spenta del tutto. Questo non è poco, e non è scontato.

Non sono qui per dirle cosa dovrebbe fare, né per cercare di convincerla a tornare in terapia. Solo per dirle che non è solo, anche se oggi si sente così. E che la persona che è oggi — anche se arrabbiata, stanca, delusa, e in riserva — è ancora capace di raccontare la sua storia con una lucidità e una profondità che meritano rispetto.

Un caro saluto,
Dott.ssa Sonia Zangarini
Psicologa / Counselor
Dott. Francesco Paolo Coppola
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Napoli

Hai cominciato la terapia molto presto, a 12 anni. E l’hai portata avanti fino ai 27. È una storia lunga, carica di impegno, di tentativi, forse anche di delusioni. Posso chiederti, con delicatezza: cosa ti ha spinto a iniziare? Che tipo di percorso hai seguito? I tuoi genitori erano presenti, o ti sei trovato solo, a reggere il peso di quella ricerca?

Hai menzionato anche due anni di psicofarmaci. Quando sono arrivati? Durante la terapia, o dopo? C’è mai stata una diagnosi chiara? O hai camminato dentro il dolore senza una mappa?

Poi la violenza — se c’è stata. Da chi, dove, quando? Solo se vorrai dirlo.
E ora: l’assenza di legami affettivi, l’isolamento, forse anche l’alcol. Non sono sintomi, ma risposte. Tentativi di non crollare. E io non voglio analizzarli. Voglio solo rispettarli.

Capisco anche che tu voglia scappare da tutto ciò che odora di psicologia. Dopo anni vissuti dentro la parola terapeutica, può diventare un suono insopportabile. Eppure, a 27 anni, sembri seduto in una stazione senza treni, dove resta solo il silenzio di qualcosa che non torna più.

Forse ora è il momento giusto per non fare nulla. Solo respirare. E se vuoi, posso accompagnarti un istante — senza pretese, solo così: Mettiti comodo. Fino a quando ti senti comodo. Rilassa le spalle. Respira in modo naturale, come se il respiro fosse una piuma che sfiora con delicatezza lo sterno, proprio lì — all’altezza del cuore. Non forzare nulla. Stai con la sensazione. Quando i pensieri sorgono, non giudicarli. Non combatterli. Lasciali venire, e andare e fai maturare la calma. Come diceva un filosofo del IV secolo, “I tempi sono tre: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Solo il presente è reale. Il resto sono solo pensieri, che vanno, vengo e scompaiono.

Queste parole, da sole, restano teoria — lo so.
Senza un lavoro costante su di te, una spiegazione non basta.
I cambiamenti non avvengono in un giorno, ma passo dopo passo. Se vuoi, posso condividere con te un piccolo esercizio da fare, una piccola meditazione quotidiana.
Non cura nulla, ma a volte illumina una soglia. Consiglio anche un piccolo libro molto bello che mi ha aiutato nelle piccole difficoltà quotidiane: 101 storie Zen
E io ci sono, anche se volessi fare delle meditazioni insieme.
Consiglio a tutti anche una valutazione medica o psichiatrica di fiducia, per escludere eventuali cause fisiche, metaboliche o neurologiche che possano influenzare lo stato emotivo e percettivo. Avere un quadro clinico chiaro è sempre un aiuto concreto per orientarsi meglio.
Dr. Riccardo Sirio
Psicologo, Psicologo clinico
Trofarello
Buongiorno,
le tue parole esprimono una sofferenza profonda e una solitudine che è difficile ignorare. Anche se il cammino sembra senza luce, voglio dirti che non sei solo. Esistono spazi sicuri dove puoi essere ascoltato senza giudizio, anche se ora può sembrare difficile crederlo. So che la fiducia è stata tradita in passato, ma se mai dovessi sentire il bisogno di parlare, anche solo per un momento, sappi che ci sono persone pronte ad ascoltarti.
Con rispetto e vicinanza.

Buonasera A., comprendo il suo dolore e tutto ciò che dice. D'altro canto a 27 anni ha ancora una vita intera davanti a sé per poter trovare un suo equilibrio e un senso di pienezza che ora sente di non avere.
Quando si vivono situazioni spiacevoli non è semplice destreggiarsi e da soli è ancora più difficile.
Semmai deciderà di intraprendere nuovamente un percorso di psicoterapia lo dovrà fare con la consapevolezza che quest'ultimo le servirà ad elaborare finalmente i traumi vissuti per poter dare luce a tutto ciò di bello che le riserva ancora la vita. In uno spazio di condivisione e cooperazione con l'altro che le restituirà come prima cosa il senso di sentirsi attivi in una relazione.
Non demorda, si vede che è una persona molto coraggiosa.
Dott.ssa Anna Bruti
Psicologo clinico, Psicologo, Psicoterapeuta
San Benedetto del Tronto
Gentile A,
le sue parole sono intense, profonde, e cariche di una sofferenza che merita ascolto vero, non frasi fatte. È chiaro che ha lottato a lungo, con grande lucidità e forza, anche quando si è sentito solo, invisibile o senza uno scopo. Il fatto che abbia trovato il coraggio di scrivere questo messaggio dice che in lei c’è ancora una parte che cerca contatto, verità, senso.

Non è rotto, anche se il dolore le ha fatto credere il contrario. È umano, e quello che ha passato avrebbe spezzato chiunque. Non posso offrirle una soluzione rapida, ma le assicuro che merita più di questa solitudine e che non è condannato a restarci per sempre.

Se mai un giorno volesse riprovarci — con qualcuno che davvero la ascolti e la veda per ciò che è — sono a disposizione.
Dott.ssa Francesca Gottofredi
Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Bologna
le tue parole raccontano un dolore profondo e una sensibilità rara. La solitudine che descrivi non è segno di debolezza, ma di una forza che resiste ogni giorno. Anche se ora non desideri tornare in terapia, sappi che il tuo bisogno di contatto è umano e legittimo. Esistere merita sempre cura. Dott.ssa Francesca Gottofredi.
Dott.ssa Eva Donnini
Psicologo, Psicologo clinico
Grosseto
Gentile scrittore, mi viene da dirle a primo impatto che non puo guarire se si parla come chi l'ha ferita. Ha vissuto una vita sicuramente difficile, si capisce ed è comprensibile che lei si senta cosi, ma si lasci dire che lei non ha colpe di ciò che ha vissuto ma è responsabile di ciò che ne farà di quel dolore che ha dentro.
Nella vita di tutti i giorni la percezione di essere soli è forte, quando avresti bisogno di confidarti con qualcuno o non hai nessuno con cui farlo o le poche persone che hai accanto non ti va di affossarle con i tuoi problemi, in questo lo psicologo può aiutare, lo psicologo è capace di assorbire le sofferenze degli altri e restituire saggezza in cambio. Ci pensi.
Resto a disposizione.
Dr. Fabio Lodico
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Buongiorno A., mi trovo molto dispiaciuto nel leggere le sue parole. La risposta formale che le darei è di dare un'altra chance alla psicoterapia, magari provando a cambiare psicoterapeuta e anche psichiatra. Quella informale invece è di non mollare la spugna. In qualche modo credo possano essere convergenti, spero sinceramente che lei possa trovare un suo modo per farle convergere.
In bocca al lupo,
Fabio
Ciao, ho letto con attenzione il tuo racconto ricco di tante emozioni contrastanti, ti invito a fermarti un attimo, leggere tutto con calma e classificare ogni cosa. Spesso ognuno di noi vive ancorato ad aspettative riguardo agli altri per poi rimanerne delusi, forse dovremmo cominciare a vivere semplicemente per noi stessi e non aspettarci nulla dagli altri, se abbiamo voglia di parlare con qualcuno possiamo avvicinarci noi e iniziare un discorso, senza aspettare che siano sempre gli altri.
Ognuno ha la propria vita assolutamente, ma c'è sempre spazio per tutti, soprattutto per vivere momenti di leggerezza e libertà, se qualcuno ti ha deluso non significa che lo faranno tutti e anche se dovesse succedere si può sempre parlare con queste persone per capirne il motivo.
Sicuramente il tuo passato gioca la sua parte, ma hai dimostrato di essere forte quindi continua ad esserlo e ti auguro di trovare presto qualcuno con cui puoi smettere di avere questa corazza forte e puoi sentirti libero di essere fragile perché qualcuno si prenderà cura di te e guarirà ogni ferita. MA Devi crederci per primo tu.
Dott.ssa Valeria Randisi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Casalecchio di Reno
Buonasera, mi dispiace leggere le sue parole fra le quali intravedo comunque tanta energia per poter cambiare le cose. Gli schemi con cui guarda il mondo sono frutto di ciò che ha vissuto: ci si guarda per come si è stati guardati. Tutto ciò si può modificare e lei stesso ha detto di avere raggiunto dei miglioramenti con la terapia. Non è facile trovare il professionista giusto, così come la persona più affine nel mondo, però esistono le eccezioni. Non condivido che si paghi per ricevere attenzioni, c'è chi ama davvero i propri pazienti, li sceglie, ci si sceglie e spesso, più della tecnica utilizzata è proprio l'amore nel proprio lavoro che dà i frutti migliori. Non demorda.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Dott.ssa Gaia Evangelisti
Psicologo, Psicologo clinico
Genzano di Roma
Salve, grazie per aver trovato la forza di scrivere tutto questo. So che non è facile. Le parole che ha condiviso sono profonde, cariche di dolore, lucidità e un coraggio silenzioso che, seppur lei possa non vederlo, è evidente.

Lei non è troppo sensibile, non sta drammatizzando. Lei è una persona che ha vissuto abusi e trascuratezza e che continua ogni giorno ad esistere in un mondo che spesso tratta la sensibilità come una debolezza e l’onestà emotiva come un peso. Ma ciò che descrive è coerente con il dolore di chi ha subito traumi profondi e prolungati. È un dolore che ha radici, e non è colpa sua se la fa sentire vuoto, solo o sbagliato.
Lei non è rotto, ma ferito: è una distinzione sottile, ma fondamentale. Essere feriti può farci sentire difettosi, ma non è la verità. Lei è una persona viva, che sente profondamente, che ha ancora il desiderio — anche se piccolo — di essere vista, capita, amata. Il fatto che lei riesca ancora a desiderare un legame sincero, una compagnia vera, nonostante tutto, è la prova che dentro di lei c’è qualcosa che non si è spento del tutto.

Ha sostenuto 15 anni di terapia ed il peso del silenzio. Ha vissuto abusi e poi la solitudine, che a volte può essere ancora più subdola. Ha scelto la consapevolezza al posto della fuga completa. Ha trovato lo spazio per mettere tutto questo in parole. Scrivere questo messaggio è un atto di vita, non di resa.
E' comprensibile sentirsi arrabbiato e deluso nel vedere persone egoiste amate e coccolate, mentre chi dà amore genuino viene ignorato o tradito. Questo accade. È una delle realtà più amare. Ma non è tutta la verità. Ci sono persone che sentono come lei, che vorrebbero solo qualcuno accanto senza dover implorare amore. Non sono tante, ma esistono. E no, non è troppo tardi.
Non voglio forzarla a tornare in terapia — rispetto la sua scelta. Ma sento che lei ne possa davvero giovare.
Un suggerimento che le posso dare può essere anche lo scrivere a lei stesso come a un amico: ogni giorno, anche due righe. Si rivolga al lei bambino, a quello che ha sofferto. Non per risolvere, ma per riconoscerlo. È un modo per cominciare a vedersi davvero, quando nessun altro lo fa.

Il fatto che si senta un “guscio” non vuol dire che non ci sia più nulla dentro. Significa che ha imparato a proteggersi. E, anche se per ora non vede la via d’uscita, non significa che non esista.

Lei non è solo, anche se adesso le sembra di esserlo.

Se desidera approfondire l'argomento, mi contatti tranquillamente.

Un caro saluto.

Dott.ssa Gaia Evangelisti, Psicologa.
Salve A., mi dispiace che abbia interrotto una terapia dove ha avuto dei risultati positivi. Mi dispiace per le sue esperienze negative vissute sin da bambino e che hanno segnato profondamente la sua vita tanto che oggi le fanno provare questo grande senso di solitudine. Il mio consiglio, data la sua giovane età, è di affidarsi ad un terapeuta ed eventualmente valutare anche un colloquio con uno specialista che possa aiutarlo con farmaci, qualora c'è necessità, in modo da poter lavorare su più fronti. Ha obiettivi da raggiungere e desideri da realizzare e mi auguro che possa finalmente realizzarli.
Dott.ssa Alessandra Ronza
Psicologo, Psicologo clinico
Aversa
Buonasera. Comprendo perfettamente la situazione e credo fermamente che c'è sempre la via d'uscita pronta in noi. Forse non era pronto, forse il percorso seguito non era adatto alla situazione senza sminuire nessuno. Non esiste un guscio vuoto ma ferito che con il tempo e l'ascolto può essere sanato. Se vuole mi contatti!
Dott.ssa Anna Maria Nicoletti
Psicologo, Psicologo clinico, Professional counselor
Sora
Gentile paziente A.,
le tue parole esprimono un malessere tangibile e profondo, toccano aspetti complessi e delicati del vissuto umano, e testimoniano un enorme sforzo di consapevolezza e lucidità.
A volte, quando ci si è sentiti invisibili troppo a lungo o quando il dolore ha abitato dentro di noi per anni, può diventare difficile credere che le cose possano cambiare davvero. Ma proprio il fatto che tu abbia scelto di raccontarti, anche se, come scrivi, non sai bene perché, è già un segno di contatto con una parte di te che vuole essere vista, riconosciuta, ascoltata.
Il senso di vuoto, l’isolamento, la fatica nel trovare un posto nel mondo sono esperienze che meritano accoglienza, rispetto e assenza di giudizio. Nessuno merita di vivere sentendosi un “fantasma” o un “errore” o "sporco": ogni persona porta con sé una storia che ha bisogno di essere ascoltata con rispetto e senza etichette.
Non esistono risposte semplici, ma esistono percorsi. E ogni percorso comincia da piccoli gesti di contatto, come quello che hai fatto oggi scrivendo qui. Anche se ora può sembrarti tutto immobile o inutile, è possibile tornare a sentirsi parte del mondo, con tempi e modi che siano rispettosi del tuo sentire.
Ti invito, a non restare solo con tutto questo dolore. Parlare con un professionista che possa accogliere il tuo vissuto con rispetto e continuità, senza forzature, potrebbe essere un primo passo per ritrovare senso e presenza, anche nelle piccole cose quotidiane.
Ti auguro di cuore che tu possa, un po’ alla volta, riscoprire valore e calore anche lì dove oggi ti sembra esserci solo stanchezza.
Un caro saluto, se vuoi resto a disposizione per approfondimenti, anche online.
Dott.ssa Anna Maria Nicoletti
Dott.ssa Tania Zedda
Psicologo, Psicologo clinico
Quartu Sant'Elena
Ciao,
le parole che hai scritto arrivano dritte al cuore. Non posso e non voglio minimamente sminuire il dolore che stai vivendo, né le esperienze che hai attraversato — esperienze che lasciano segni profondi, che nessuno dovrebbe portarsi addosso da solo.
Hai fatto un percorso lungo in terapia, e sei riuscito ad attraversare momenti che avrebbero potuto schiacciare chiunque. Hai dentro di te una forza che forse ora ti sembra invisibile, ma che ti ha permesso di arrivare fin qui, di resistere, anche quando tutto sembrava perdere senso. Questo non significa che tu debba continuare a farcela da solo.
La tua sofferenza è reale, e nessuno ha il diritto di giudicare come la stai vivendo. Il senso di vuoto, la rabbia, la fatica di fidarsi ancora, la voglia di contatto e allo stesso tempo la paura di essere ferito di nuovo: tutto questo convive dentro di te ed è comprensibile. È umano.
Hai detto che non vuoi tornare in terapia perché ti sembra di pagare qualcuno per far finta di interessarsi a te. Ti capisco. Quando ci si sente trasparenti per il mondo, è difficile immaginare che possa davvero esistere uno spazio dove essere visti, ascoltati, considerati davvero. Ma la terapia — quella giusta, con la persona giusta — non è finta. È uno spazio tuo, dove tu conti, dove ogni parola ha valore e nessuna lacrima è inutile.
Se oggi ti senti come una macchina che deve semplicemente andare avanti, allora ti dico che anche le macchine hanno bisogno di carburante, di manutenzione, di qualcuno che si prenda cura di loro. Nessuno merita di essere solo, nessuno merita di sentirsi rotto. Quello che hai vissuto non ti definisce, ma è una parte della tua storia — e anche solo scrivere tutto questo, con questa lucidità e profondità, dimostra che dentro di te c’è ancora desiderio, c’è ancora speranza, anche se piccola.
Vorrei poterti dire che tutto cambierà presto, ma non ti mentirò: il cambiamento richiede tempo. Però può iniziare da un passo piccolo, da un contatto, da un tentativo. Non perché tu debba “guarire” per forza, ma perché meriti di trovare un po’ di pace. Di essere visto, non solo sopportato. Di avere uno scopo che non sia solo resistere.
Hai già dimostrato più forza di quella che pensi. E anche se adesso ti sembra tutto spento, il fatto che tu abbia scritto, che tu abbia messo tutto nero su bianco, è un atto di coraggio immenso. Un primo passo. E anche se non vuoi tornare in terapia adesso, sappi che quando (e se) vorrai, ci sarà sempre qualcuno disposto ad accoglierti per davvero, senza maschere, senza finzioni.
Tu non sei sbagliato. Non sei sporco. Non sei un guscio vuoto. Sei una persona che ha sofferto troppo e che merita di trovare un posto nel mondo dove sentirsi al sicuro. E ci sono strumenti, persone e spazi che possono aiutarti a ritrovare un senso, un po' alla volta. Non devi fare tutto subito. Solo iniziare a non rimanere più completamente da solo con tutto questo peso.
Ti mando un pensiero pieno di rispetto. E, se mai un giorno vorrai parlarne ancora, sarò qui.
Dott.ssa Sara Petroni
Psicologo clinico, Psicologo
Tarquinia
Ciao A,
le tue parole arrivano con una forza e una profondità che fanno capire quanta sofferenza e quanto coraggio ci siano in te. Hai attraversato esperienze che lasciano ferite profonde, e il modo in cui riesci a parlarne con lucidità e onestà mostra che dentro di te non c’è solo dolore, ma anche una grande capacità di capire e di sentire.

Capisco quanto sia pesante svegliarsi ogni giorno con la sensazione di non avere un posto, di essere invisibile e al tempo stesso esposto. Quando si vive per tanto tempo nella solitudine e nel disincanto, è naturale che tutto perda sapore e che anche la speranza sembri una parola vuota. Ma il fatto che tu abbia scelto di scrivere qui, nonostante la stanchezza, significa che una parte di te non ha smesso di cercare un contatto, anche minimo. Ed è proprio quella parte che vale la pena proteggere e far crescere, passo dopo passo, senza giudicarti.

So che hai detto di non voler tornare in terapia, ma dopo tanti anni di percorsi e di tentativi, potresti aver bisogno non di “pagare qualcuno che finge interesse”, ma di trovare qualcuno di diverso, con cui sentire che il rapporto è più umano, più vero. Non tutte le esperienze terapeutiche sono uguali: ci sono professionisti che lavorano in modo autentico, e anche servizi pubblici o centri convenzionati dove potresti non sentirti solo un paziente.
A volte il primo passo non è “guarire”, ma semplicemente permettersi di non farcela da soli.

Dott.ssa Sara Petroni

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