Gentili dottori, Vi presento la mia situazione. Da almeno sei anni (forse anche più), soffro di
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Gentili dottori,
Vi presento la mia situazione.
Da almeno sei anni (forse anche più), soffro di depressione (che torna periodicamente) insieme ad ansia sia sociale che generalizzata (tendenzialmente sempre presente ma si acutizza in alcuni periodi) ma tutto ciò si è aggravato soprattutto nel e post periodo pandemia e ancor più quest'anno. Infatti, dopo un crollo depressivo a dicembre, a febbraio stavo finalmente riprendendo la vita in mano (o così pensavo) ma poi ad aprile e maggio ecco una ricaduta: mi è peggiorata moltissimo l'ansia e il culmine lo si ha avuto a fine maggio, quando ho avuto un crollo pesante, in cui ero molto triste, in ansia, paranoica e sentivo il bisogno di farmi del male. Non feci nulla alla fine, ma ciò e il sentirmi fuori controllo mi aveva abbastanza spaventato e mi aveva fatto rendere conto di quanto la situazione mi fosse, e mi sia tutt'ora, sfuggita di mano.
Comunque, decidendo di trovare finalmente una soluzione e porre fine all'ansia, che non riuscivo piu a gestire, mi rivolsi al MMG che mi disse che poteva darmi un ansiolitico ma sarebbe stata preferibile una visita specialistica e mi indirizzò a un presidio.
Dunque feci una visita psichiatrica e mi venne prescritto un SSRI che da allora (circa luglio) sto prendendo insieme a un antipsicotico (da settembre). Poi era passato il momento di 'crisi' e sembrava la situazione si fosse risollevata verso fine agosto/settembre.
Ma adesso sembra essersi aggravata nuovamente e mi sembra di essere tornata in depressione maggiore come lo ero anni fa. La cosa mi spaventa per un verso, perché ho paura, e sento dentro di me, che non riuscirei ad uscirne di nuovo; per un altro mi sento distaccata dalla situazione e cerco nell'alcol un modo per far 'tornare' la nebbia, che da quando prendo questo antipsicotico ha iniziato a schiarirsi e darmi una chiarezza mentale che da un po non avevo. Ma questo senso di chiarezza per un certo senso è doloroso e rende le cose ancora più difficili da affrontare.
Ogni giorno è difficile e so che idealmente potrei fare tante cose e l'unico ostacolo è la volontà ma non sento la forza di fare nulla.
Non sento energia o motivazione, ma solo una stanchezza assurda addosso e vorrei che finisse...
Non vedo il senso di continuare qualsiasi cosa... la vita, gli studi, il trovare un lavoro o portare avanti amicizie.
Il senso di andare avanti qual è?
Mi sembra tutto vuoto e privo di significato.
Vorrei anche conoscere nuove persone e instaurare connessioni e penso mi aiuterebbe ma poi penso che neanche questo riempirebbe il vuoto, continuerei a sentirmi sola in me stessa e mi sembra tutto inutile.
Da un lato vorrei che i farmaci funzionassero, dall'altro non vedo il senso e nessun miglioramento.
O meglio, oggettivamente forse qualche miglioramento all'inizio lo si era avuto, almeno a quanto dicono persone che mi vedevano dall'esterno, ma adesso non saprei e non mi sembra funzionino.
Dall'altro lato non so se effettivamente mi servano, forse è tutto frutto del mio cervello ed è solo un illusione e in realtà non serve nulla?
Anche perché non mi sento in una crisi depressiva adesso, mi sento "normale" più o meno ma non so se abbia senso.
Sto pensando di interrompere i farmaci anche per capire se mi servano davvero, o se invece è solo nella mia testa ed è tutto frutto del mio cervello, se magari non mi servono e posso uscirne da sola.
La mia domanda è: c'è davvero modo di uscirne, realisticamente parlando?
Questa cosa va avanti da anni ormai e si ripete sempre ciclicamente. Quando penso di starne uscendo e riprendendo le cose in mano, ecco che si ripresenta e facendomi precipitare nuovamente.. Non ne posso veramente più.
Se questa è una cosa da portare a vita io davvero non ce la faccio.
Vi presento la mia situazione.
Da almeno sei anni (forse anche più), soffro di depressione (che torna periodicamente) insieme ad ansia sia sociale che generalizzata (tendenzialmente sempre presente ma si acutizza in alcuni periodi) ma tutto ciò si è aggravato soprattutto nel e post periodo pandemia e ancor più quest'anno. Infatti, dopo un crollo depressivo a dicembre, a febbraio stavo finalmente riprendendo la vita in mano (o così pensavo) ma poi ad aprile e maggio ecco una ricaduta: mi è peggiorata moltissimo l'ansia e il culmine lo si ha avuto a fine maggio, quando ho avuto un crollo pesante, in cui ero molto triste, in ansia, paranoica e sentivo il bisogno di farmi del male. Non feci nulla alla fine, ma ciò e il sentirmi fuori controllo mi aveva abbastanza spaventato e mi aveva fatto rendere conto di quanto la situazione mi fosse, e mi sia tutt'ora, sfuggita di mano.
Comunque, decidendo di trovare finalmente una soluzione e porre fine all'ansia, che non riuscivo piu a gestire, mi rivolsi al MMG che mi disse che poteva darmi un ansiolitico ma sarebbe stata preferibile una visita specialistica e mi indirizzò a un presidio.
Dunque feci una visita psichiatrica e mi venne prescritto un SSRI che da allora (circa luglio) sto prendendo insieme a un antipsicotico (da settembre). Poi era passato il momento di 'crisi' e sembrava la situazione si fosse risollevata verso fine agosto/settembre.
Ma adesso sembra essersi aggravata nuovamente e mi sembra di essere tornata in depressione maggiore come lo ero anni fa. La cosa mi spaventa per un verso, perché ho paura, e sento dentro di me, che non riuscirei ad uscirne di nuovo; per un altro mi sento distaccata dalla situazione e cerco nell'alcol un modo per far 'tornare' la nebbia, che da quando prendo questo antipsicotico ha iniziato a schiarirsi e darmi una chiarezza mentale che da un po non avevo. Ma questo senso di chiarezza per un certo senso è doloroso e rende le cose ancora più difficili da affrontare.
Ogni giorno è difficile e so che idealmente potrei fare tante cose e l'unico ostacolo è la volontà ma non sento la forza di fare nulla.
Non sento energia o motivazione, ma solo una stanchezza assurda addosso e vorrei che finisse...
Non vedo il senso di continuare qualsiasi cosa... la vita, gli studi, il trovare un lavoro o portare avanti amicizie.
Il senso di andare avanti qual è?
Mi sembra tutto vuoto e privo di significato.
Vorrei anche conoscere nuove persone e instaurare connessioni e penso mi aiuterebbe ma poi penso che neanche questo riempirebbe il vuoto, continuerei a sentirmi sola in me stessa e mi sembra tutto inutile.
Da un lato vorrei che i farmaci funzionassero, dall'altro non vedo il senso e nessun miglioramento.
O meglio, oggettivamente forse qualche miglioramento all'inizio lo si era avuto, almeno a quanto dicono persone che mi vedevano dall'esterno, ma adesso non saprei e non mi sembra funzionino.
Dall'altro lato non so se effettivamente mi servano, forse è tutto frutto del mio cervello ed è solo un illusione e in realtà non serve nulla?
Anche perché non mi sento in una crisi depressiva adesso, mi sento "normale" più o meno ma non so se abbia senso.
Sto pensando di interrompere i farmaci anche per capire se mi servano davvero, o se invece è solo nella mia testa ed è tutto frutto del mio cervello, se magari non mi servono e posso uscirne da sola.
La mia domanda è: c'è davvero modo di uscirne, realisticamente parlando?
Questa cosa va avanti da anni ormai e si ripete sempre ciclicamente. Quando penso di starne uscendo e riprendendo le cose in mano, ecco che si ripresenta e facendomi precipitare nuovamente.. Non ne posso veramente più.
Se questa è una cosa da portare a vita io davvero non ce la faccio.
Gentile Utente,
Leggo nella tua storia un dolore che non è “solo nella tua testa”, un ciclo che ti ha accompagnata per anni, tra momenti di maggiore chiarezza e ricadute che ti hanno spaventata.
Questa oscillazione non è un fallimento tuo: è tipica delle condizioni depressive ricorrenti e dei disturbi d’ansia associati.
Non sei “strana”, non sei “sbagliata”: stai affrontando qualcosa di complesso, che ha bisogno di un supporto solido e costante.
“Mi sembra tutto inutile, non vedo il senso”
Questa frase l’hai scritta con un peso che si sente sotto la pelle.
Il vuoto che descrivi non è pigrizia, non è mancanza di volontà — è stanchezza depressiva, una stanchezza che inghiotte il senso e ti lascia solo il rumore del dolore.
Questa sensazione di distacco, di “nebbia”, e quella ricerca dell’alcol come anestetico, sono segnali importanti. Non pericolosi in sé, ma delicati, e meritano attenzione immediata da parte di chi ti sta seguendo clinicamente.
“Mi sembra tutto inutile, non vedo il senso”
Questa frase l’hai scritta con un peso che si sente sotto la pelle.
Il vuoto che descrivi non è pigrizia, non è mancanza di volontà — è stanchezza depressiva, una stanchezza che inghiotte il senso e ti lascia solo il rumore del dolore.
Questa sensazione di distacco, di “nebbia”, e quella ricerca dell’alcol come anestetico, sono segnali importanti. Non pericolosi in sé, ma delicati, e meritano attenzione immediata da parte di chi ti sta seguendo clinicamente.
“Posso uscirne davvero?”
Ti rispondo con sincerità e con sensibilità:
Sì, si può uscire da questi cicli.
E tu non sei condannata a viverli per sempre.
Ma — e qui voglio essere chiara e al tempo stesso dolce — non si esce da soli.
Si esce accompagnati, sostenuti, supervisionati.
Si esce con un lavoro integrato: farmacologico, psicoterapico, relazionale.
La depressione ricorrente non è un difetto caratteriale, è un pattern della mente e del corpo.
E come tutti i pattern, può essere modificato, ristrutturato, reso meno violento nel tempo.
La speranza non è la favola: è un lavoro.
un saluto
GJ
Leggo nella tua storia un dolore che non è “solo nella tua testa”, un ciclo che ti ha accompagnata per anni, tra momenti di maggiore chiarezza e ricadute che ti hanno spaventata.
Questa oscillazione non è un fallimento tuo: è tipica delle condizioni depressive ricorrenti e dei disturbi d’ansia associati.
Non sei “strana”, non sei “sbagliata”: stai affrontando qualcosa di complesso, che ha bisogno di un supporto solido e costante.
“Mi sembra tutto inutile, non vedo il senso”
Questa frase l’hai scritta con un peso che si sente sotto la pelle.
Il vuoto che descrivi non è pigrizia, non è mancanza di volontà — è stanchezza depressiva, una stanchezza che inghiotte il senso e ti lascia solo il rumore del dolore.
Questa sensazione di distacco, di “nebbia”, e quella ricerca dell’alcol come anestetico, sono segnali importanti. Non pericolosi in sé, ma delicati, e meritano attenzione immediata da parte di chi ti sta seguendo clinicamente.
“Mi sembra tutto inutile, non vedo il senso”
Questa frase l’hai scritta con un peso che si sente sotto la pelle.
Il vuoto che descrivi non è pigrizia, non è mancanza di volontà — è stanchezza depressiva, una stanchezza che inghiotte il senso e ti lascia solo il rumore del dolore.
Questa sensazione di distacco, di “nebbia”, e quella ricerca dell’alcol come anestetico, sono segnali importanti. Non pericolosi in sé, ma delicati, e meritano attenzione immediata da parte di chi ti sta seguendo clinicamente.
“Posso uscirne davvero?”
Ti rispondo con sincerità e con sensibilità:
Sì, si può uscire da questi cicli.
E tu non sei condannata a viverli per sempre.
Ma — e qui voglio essere chiara e al tempo stesso dolce — non si esce da soli.
Si esce accompagnati, sostenuti, supervisionati.
Si esce con un lavoro integrato: farmacologico, psicoterapico, relazionale.
La depressione ricorrente non è un difetto caratteriale, è un pattern della mente e del corpo.
E come tutti i pattern, può essere modificato, ristrutturato, reso meno violento nel tempo.
La speranza non è la favola: è un lavoro.
un saluto
GJ
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Salve,
Desidero innanzitutto esprimerle la mia vicinanza. Le parole che ha scritto raccontano un’esperienza profonda e complessa, fatta di momenti di sofferenza e, al contempo, di una ricerca di sollievo e di significato. È chiaro che, dopo anni di lotta con la depressione e l’ansia, le cose possano sembrare sfuggire di mano. La depressione e l'ansia sono disturbi che tendono a ripresentarsi ciclicamente, e ciò può creare un senso di frustrazione e impotenza. Tuttavia, questo non significa che non ci sia possibilità di miglioramento. Il fatto che lei abbia cercato aiuto e abbia intrapreso una terapia farmacologica è un passo molto importante. A volte, i farmaci possono richiedere del tempo per fare effetto, o potrebbero necessitare di aggiustamenti, come nel suo caso con la combinazione di SSRI e antipsicotico. Se dopo qualche mese di trattamento non sente ancora un miglioramento significativo, potrebbe essere utile discuterne con il suo psichiatra, magari rivedendo la terapia o cercando altre opzioni terapeutiche. È importante non interrompere il trattamento senza il parere del medico, poiché la sospensione improvvisa dei farmaci potrebbe portare a effetti indesiderati e controproducenti in termini sia fisici che emotivi. Capisco inoltre la sua preoccupazione riguardo all’alcol come mezzo per sfuggire al dolore. È un comportamento che spesso si sviluppa quando il malessere diventa insostenibile, ma è importante considerare che l’alcol può peggiorare la condizione, alimentando il senso di vuoto e aumentando i sintomi depressivi e ansiosi. Le suggerisco di parlarne apertamente con il suo psichiatra o, se già lo sta facendo, con il suo terapeuta. Non è una questione di “colpevolizzarsi”, ma piuttosto un’indicazione che il dolore che prova è molto intenso e merita di essere trattato in modo adeguato. Anche il senso di vuoto che descrive è uno dei sintomi centrali della depressione. Quando ci si trova in uno stato di sofferenza profonda, è normale sentirsi sopraffatti dal pensiero che nulla abbia valore, che ogni cosa sia inutile. Tuttavia, questo è un pensiero che la depressione alimenta, e non una verità assoluta. Quando il dolore è così forte, è difficile immaginare che ci possa essere una via d'uscita ma spesso, miglioramenti anche piccoli e graduali possono portare a un ritorno della motivazione e del senso di sé. Anche piccole azioni quotidiane, come prendersi cura di sé, uscire per una passeggiata, o fare qualcosa che normalmente ci piace, possono fare una grande differenza, anche se all'inizio può sembrare difficile.
Riguardo alla sua riflessione sulla psicoterapia, il supporto psicoterapeutico può davvero aiutarla a comprendere meglio la radice del suo malessere e a sviluppare modalità più efficaci di affrontarlo. La terapia non cancella la sofferenza, ma può aiutarla a dare un nome a ciò che sta vivendo, a restituirle una forma di controllo e a imparare a gestire meglio le ricadute. Può aiutarla a ristrutturare i pensieri negativi e a sviluppare nuovi strumenti per affrontare le difficoltà. Non è facile, ma il fatto che lei stia cercando aiuto e riflettendo su cosa sta vivendo è già un passo importante. Il miglioramento è possibile, anche se richiede tempo, pazienza e il giusto supporto.
Le auguro di poter trovare quanto prima una maggiore serenità. Se desiderasse ricevere un sostegno psicoterapico, non esiti a contattarmi.
Cordialmente,
dott.ssa Luciana Bastianini
Desidero innanzitutto esprimerle la mia vicinanza. Le parole che ha scritto raccontano un’esperienza profonda e complessa, fatta di momenti di sofferenza e, al contempo, di una ricerca di sollievo e di significato. È chiaro che, dopo anni di lotta con la depressione e l’ansia, le cose possano sembrare sfuggire di mano. La depressione e l'ansia sono disturbi che tendono a ripresentarsi ciclicamente, e ciò può creare un senso di frustrazione e impotenza. Tuttavia, questo non significa che non ci sia possibilità di miglioramento. Il fatto che lei abbia cercato aiuto e abbia intrapreso una terapia farmacologica è un passo molto importante. A volte, i farmaci possono richiedere del tempo per fare effetto, o potrebbero necessitare di aggiustamenti, come nel suo caso con la combinazione di SSRI e antipsicotico. Se dopo qualche mese di trattamento non sente ancora un miglioramento significativo, potrebbe essere utile discuterne con il suo psichiatra, magari rivedendo la terapia o cercando altre opzioni terapeutiche. È importante non interrompere il trattamento senza il parere del medico, poiché la sospensione improvvisa dei farmaci potrebbe portare a effetti indesiderati e controproducenti in termini sia fisici che emotivi. Capisco inoltre la sua preoccupazione riguardo all’alcol come mezzo per sfuggire al dolore. È un comportamento che spesso si sviluppa quando il malessere diventa insostenibile, ma è importante considerare che l’alcol può peggiorare la condizione, alimentando il senso di vuoto e aumentando i sintomi depressivi e ansiosi. Le suggerisco di parlarne apertamente con il suo psichiatra o, se già lo sta facendo, con il suo terapeuta. Non è una questione di “colpevolizzarsi”, ma piuttosto un’indicazione che il dolore che prova è molto intenso e merita di essere trattato in modo adeguato. Anche il senso di vuoto che descrive è uno dei sintomi centrali della depressione. Quando ci si trova in uno stato di sofferenza profonda, è normale sentirsi sopraffatti dal pensiero che nulla abbia valore, che ogni cosa sia inutile. Tuttavia, questo è un pensiero che la depressione alimenta, e non una verità assoluta. Quando il dolore è così forte, è difficile immaginare che ci possa essere una via d'uscita ma spesso, miglioramenti anche piccoli e graduali possono portare a un ritorno della motivazione e del senso di sé. Anche piccole azioni quotidiane, come prendersi cura di sé, uscire per una passeggiata, o fare qualcosa che normalmente ci piace, possono fare una grande differenza, anche se all'inizio può sembrare difficile.
Riguardo alla sua riflessione sulla psicoterapia, il supporto psicoterapeutico può davvero aiutarla a comprendere meglio la radice del suo malessere e a sviluppare modalità più efficaci di affrontarlo. La terapia non cancella la sofferenza, ma può aiutarla a dare un nome a ciò che sta vivendo, a restituirle una forma di controllo e a imparare a gestire meglio le ricadute. Può aiutarla a ristrutturare i pensieri negativi e a sviluppare nuovi strumenti per affrontare le difficoltà. Non è facile, ma il fatto che lei stia cercando aiuto e riflettendo su cosa sta vivendo è già un passo importante. Il miglioramento è possibile, anche se richiede tempo, pazienza e il giusto supporto.
Le auguro di poter trovare quanto prima una maggiore serenità. Se desiderasse ricevere un sostegno psicoterapico, non esiti a contattarmi.
Cordialmente,
dott.ssa Luciana Bastianini
Capisco quanto stia soffrendo e quanto sia faticoso convivere con questa alternanza di momenti in cui sembra stare meglio e poi ricadute che la riportano a sentirsi svuotata e senza speranza. È comprensibile che si senta scoraggiata, ma non è una condizione senza via d’uscita.
La depressione e l’ansia, specie quando si ripresentano ciclicamente, richiedono un intervento integrato: la cura farmacologica, sotto la supervisione dello psichiatra, è importante, ma altrettanto fondamentale è affiancarla a un percorso di psicoterapia strutturata.
Le suggerirei una psicoterapia, centrata su:
la gestione dei pensieri negativi e del senso di impotenza,
la ricostruzione graduale della motivazione e del ritmo di vita,
la prevenzione delle ricadute attraverso strategie concrete di autoregolazione emotiva.
Le sconsiglio fortemente di interrompere i farmaci da sola: è una decisione che va sempre presa insieme allo specialista, per evitare peggioramenti improvvisi. Saluti, Dott.Valerio Ancis
La depressione e l’ansia, specie quando si ripresentano ciclicamente, richiedono un intervento integrato: la cura farmacologica, sotto la supervisione dello psichiatra, è importante, ma altrettanto fondamentale è affiancarla a un percorso di psicoterapia strutturata.
Le suggerirei una psicoterapia, centrata su:
la gestione dei pensieri negativi e del senso di impotenza,
la ricostruzione graduale della motivazione e del ritmo di vita,
la prevenzione delle ricadute attraverso strategie concrete di autoregolazione emotiva.
Le sconsiglio fortemente di interrompere i farmaci da sola: è una decisione che va sempre presa insieme allo specialista, per evitare peggioramenti improvvisi. Saluti, Dott.Valerio Ancis
Gentile utente di mio dottore,
le sindromi ansioso-depressive possono esser trattate con successo attraverso l'ausilio combinato di farmacoterapia e psicoterapia. Affianchi al trattamento farmacologico un percorso di psicoterapia, vedrà che con il tempo potrà uscire dalla morsa dei suoi sintomi.
Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
le sindromi ansioso-depressive possono esser trattate con successo attraverso l'ausilio combinato di farmacoterapia e psicoterapia. Affianchi al trattamento farmacologico un percorso di psicoterapia, vedrà che con il tempo potrà uscire dalla morsa dei suoi sintomi.
Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Buon giorno. La cosa che va fatta essenzialmente ora è non sospendere gli psicofarmaci da sola perché potrebbe ritrovarsi con gli effetti negativi del farmaco. È opportuno trovare uno psichiatra che la segua. Poi, prenderei in considerazione anche un supporto psicologico. Ha bisogno, a mio parere, di comprendere il motivo della sua condizione ciclica e di strumenti adeguati per andare avanti.
Un saluto, dottoressa Teresita Forlano
Un saluto, dottoressa Teresita Forlano
Dalle Sue parole emerge una grande fatica, ma anche la lucidità di chi, nonostante tutto, continua a cercare di capire cosa stia accadendo e a trovare un senso in ciò che vive. È un equilibrio fragile, quello tra il voler stare meglio e la sensazione di non farcela più, e spesso proprio questo oscillare diventa la parte più estenuante.
Quando la sofferenza si ripresenta a cicli, può sembrare che nulla cambi davvero, e che ogni piccolo miglioramento sia solo temporaneo. In realtà, anche nei momenti più bui, qualcosa dentro di sé continua a muoversi: lo si intuisce dal modo in cui riesce a descrivere ciò che prova, dalla consapevolezza dei passaggi, dal fatto che continua a cercare risposte invece di spegnersi del tutto.
È comprensibile sentirsi esausti e privi di senso. La stanchezza che accompagna stati come quello che descrive non è mancanza di volontà: è parte stessa della sofferenza.
A volte, poter mettere parole su questo vuoto — e sentirle accolte — è già un modo per non esserne completamente risucchiati.
Un caro saluto,
Dott.ssa Ilaria Cabula
Psicologa Psicoterapeuta
Quando la sofferenza si ripresenta a cicli, può sembrare che nulla cambi davvero, e che ogni piccolo miglioramento sia solo temporaneo. In realtà, anche nei momenti più bui, qualcosa dentro di sé continua a muoversi: lo si intuisce dal modo in cui riesce a descrivere ciò che prova, dalla consapevolezza dei passaggi, dal fatto che continua a cercare risposte invece di spegnersi del tutto.
È comprensibile sentirsi esausti e privi di senso. La stanchezza che accompagna stati come quello che descrive non è mancanza di volontà: è parte stessa della sofferenza.
A volte, poter mettere parole su questo vuoto — e sentirle accolte — è già un modo per non esserne completamente risucchiati.
Un caro saluto,
Dott.ssa Ilaria Cabula
Psicologa Psicoterapeuta
Buongiorno, dal suo racconto si sente tanta sofferenza e anche questo ripresentarsi ciclico del suo malessere. La cosa che mi sento di dirle è di , ma forse lo sta già facendo, è di privare a ritarare i farmaci con il suo psichiatra di riferimento e unire all'aiuto farmacologico una psicoterapia per cercare di aggiungere consapevolezza a ciò che le succede. Se ritiene anche online posso essere disponibile. Saluti Dario Martelli
Buongiorno la situazione che lei descrive è complessa e meriterebbe di essere considerata anche con un sostegno psicologico, che mi sembra lei non abbia ancora intrapreso, almeno così si evince dal suo scritto. Cordiali saluti.
Gentile, da quello che riporta, i farmaci sono fondamentali come supporto al suo stato, allo stesso tempo è necessario iniziare una psicoterapia, che la aiuti a lavorare per uscire da questo stato che da anni si presenta ciclicamente.
La invito a contemplare l'idea di iniziare un percorso integrato di psicoterapia e farmacoterapia; immagino che questo possa essere un buon passo per lei. Un saluto.
La invito a contemplare l'idea di iniziare un percorso integrato di psicoterapia e farmacoterapia; immagino che questo possa essere un buon passo per lei. Un saluto.
Cara utente,
le parole che porti qui non sono il racconto di “un periodo no”: sono il racconto di una sofferenza lunga, ciclica, che negli anni ha trovato mille modi per tornare a farsi sentire.
E il modo in cui la descrivi — quella stanchezza profonda, il vuoto, l’assenza di senso, il desiderio di spegnere tutto, l’ambivalenza verso i farmaci, la tentazione di far male a te stessa — non parla solo di sintomi. Parla di una parte di te che da anni combatte da sola contro qualcosa che va oltre la tua volontà, oltre il “mettersi d’impegno”.
Quando la depressione torna a ondate, quando l’ansia prende il sopravvento, quando la mente si chiude o si riapre troppo rapidamente, non è solo la chimica o solo la psiche: è un punto di frattura tra passato e presente, tra vissuti antichi e fatiche attuali, tra parti interne che non trovano ancora un modo di stare insieme.
La “nebbia” che a volte senti — e che l’alcol tenta di ricreare — non è solo confusione: è anche un modo per non sentire troppo. La chiarezza che definisci dolorosa è ciò che accade quando qualcosa dentro di te prova a emergere, ma senza ancora trovare contenimento. È comprensibile che faccia male.
Quando la mente inizia a vedere, ma non ha ancora un luogo sicuro dove appoggiare ciò che vede, la realtà può sembrare più dura di prima.
Il punto però è questo:
tu non sei “normale più o meno”, né sei “fuori dalla crisi”.
Se riesci a descrivere in modo così lucido il senso di vuoto, la perdita di significato, la tentazione di interrompere tutto — compresi i farmaci — significa che dentro di te c’è un’intelligenza emotiva intatta, ma anche una parte che sta chiedendo disperatamente un contenimento diverso da quello che ha avuto finora.
Il desiderio di interrompere i farmaci, la domanda se “servano davvero”, il pensiero che forse “è tutto nella tua testa”, non sono riflessioni razionali: sono segnali della parte depressiva che cerca di ritirarsi, di isolarti, di farti credere che non esista possibilità di cura.
È così che la depressione si protegge da ciò che potrebbe indebolirla.
E allo stesso tempo, dentro di te c’è un’altra parte — quella che scrive, che racconta, che cerca aiuto — che non vuole cedere.
La domanda che fai è forse la più dolorosa: «C’è davvero modo di uscirne?»
Dal tuo punto di vista, ogni miglioramento sembra essere solo una tregua momentanea prima di una nuova caduta.
E quando la sofferenza ritorna ciclicamente, può sembrare una condanna.
Ma le ricadute non significano che la cura non funziona.
Spesso significano che qualcosa dentro di noi sta provando a riorganizzarsi, ma non ha ancora trovato una forma stabile. I passaggi tra una fase e l’altra possono essere bruschi, a volte drammatici, come se la psiche oscillasse tra tentativi differenti per trovare un equilibrio.
Ciò che conta ora non è “capire perfettamente cosa hai”, né diagnosticarti da sola, né interrompere il trattamento per provare eroicamente a farcela senza aiuti.
Ciò che conta è riconoscere che sei in un momento di vulnerabilità profonda e che non è qualcosa da affrontare in solitudine.
Non posso dirti cosa fare con i farmaci, né posso sostituirmi ai professionisti che ti seguono — ma posso dirti questo: non interrompere da sola qualcosa che è stato prescritto per proteggerti.
Il pensiero di farlo, in un momento come questo, è parte del quadro che stai vivendo.
Se senti bisogno di cambiare approccio, è essenziale parlarne con chi ti sta seguendo.
E soprattutto:
le idee di farti del male, anche se non sei passata all’atto, sono segnali che meritano un’attenzione immediata da parte dei professionisti che ti seguono. Non perché tu sia “grave”, ma perché quella parte vulnerabile dentro di te ha bisogno urgente di un contenimento reale, concreto, presente.
C’è una via d’uscita, ma non è una via veloce né solitaria.
È un lavoro che richiede continuità, un sostegno costante, un luogo terapeutico dove poter dare forma — lentamente — a tutto quello che ora sembra informe e inutile.
Tu non sei sbagliata.
Non sei “incurabile”.
Non sei destinata a vivere così per sempre.
Se la sofferenza ritorna, è perché qualcosa in te chiede di essere visto con più profondità, non perché sei senza speranza.
Il fatto che tu abbia scritto questo messaggio è un atto di vita, non di resa.
Continua a far sapere a chi ti segue come stai.
E se nei momenti più difficili il pensiero del farla finita torna, è fondamentale che tu lo comunichi — subito — a uno dei professionisti che ti hanno in cura o ai servizi di emergenza della tua zona. Non sei sola, anche se ora dentro sembra tutto silenzio.
Con cura,
dott.ssa Raffaella Pia Testa
le parole che porti qui non sono il racconto di “un periodo no”: sono il racconto di una sofferenza lunga, ciclica, che negli anni ha trovato mille modi per tornare a farsi sentire.
E il modo in cui la descrivi — quella stanchezza profonda, il vuoto, l’assenza di senso, il desiderio di spegnere tutto, l’ambivalenza verso i farmaci, la tentazione di far male a te stessa — non parla solo di sintomi. Parla di una parte di te che da anni combatte da sola contro qualcosa che va oltre la tua volontà, oltre il “mettersi d’impegno”.
Quando la depressione torna a ondate, quando l’ansia prende il sopravvento, quando la mente si chiude o si riapre troppo rapidamente, non è solo la chimica o solo la psiche: è un punto di frattura tra passato e presente, tra vissuti antichi e fatiche attuali, tra parti interne che non trovano ancora un modo di stare insieme.
La “nebbia” che a volte senti — e che l’alcol tenta di ricreare — non è solo confusione: è anche un modo per non sentire troppo. La chiarezza che definisci dolorosa è ciò che accade quando qualcosa dentro di te prova a emergere, ma senza ancora trovare contenimento. È comprensibile che faccia male.
Quando la mente inizia a vedere, ma non ha ancora un luogo sicuro dove appoggiare ciò che vede, la realtà può sembrare più dura di prima.
Il punto però è questo:
tu non sei “normale più o meno”, né sei “fuori dalla crisi”.
Se riesci a descrivere in modo così lucido il senso di vuoto, la perdita di significato, la tentazione di interrompere tutto — compresi i farmaci — significa che dentro di te c’è un’intelligenza emotiva intatta, ma anche una parte che sta chiedendo disperatamente un contenimento diverso da quello che ha avuto finora.
Il desiderio di interrompere i farmaci, la domanda se “servano davvero”, il pensiero che forse “è tutto nella tua testa”, non sono riflessioni razionali: sono segnali della parte depressiva che cerca di ritirarsi, di isolarti, di farti credere che non esista possibilità di cura.
È così che la depressione si protegge da ciò che potrebbe indebolirla.
E allo stesso tempo, dentro di te c’è un’altra parte — quella che scrive, che racconta, che cerca aiuto — che non vuole cedere.
La domanda che fai è forse la più dolorosa: «C’è davvero modo di uscirne?»
Dal tuo punto di vista, ogni miglioramento sembra essere solo una tregua momentanea prima di una nuova caduta.
E quando la sofferenza ritorna ciclicamente, può sembrare una condanna.
Ma le ricadute non significano che la cura non funziona.
Spesso significano che qualcosa dentro di noi sta provando a riorganizzarsi, ma non ha ancora trovato una forma stabile. I passaggi tra una fase e l’altra possono essere bruschi, a volte drammatici, come se la psiche oscillasse tra tentativi differenti per trovare un equilibrio.
Ciò che conta ora non è “capire perfettamente cosa hai”, né diagnosticarti da sola, né interrompere il trattamento per provare eroicamente a farcela senza aiuti.
Ciò che conta è riconoscere che sei in un momento di vulnerabilità profonda e che non è qualcosa da affrontare in solitudine.
Non posso dirti cosa fare con i farmaci, né posso sostituirmi ai professionisti che ti seguono — ma posso dirti questo: non interrompere da sola qualcosa che è stato prescritto per proteggerti.
Il pensiero di farlo, in un momento come questo, è parte del quadro che stai vivendo.
Se senti bisogno di cambiare approccio, è essenziale parlarne con chi ti sta seguendo.
E soprattutto:
le idee di farti del male, anche se non sei passata all’atto, sono segnali che meritano un’attenzione immediata da parte dei professionisti che ti seguono. Non perché tu sia “grave”, ma perché quella parte vulnerabile dentro di te ha bisogno urgente di un contenimento reale, concreto, presente.
C’è una via d’uscita, ma non è una via veloce né solitaria.
È un lavoro che richiede continuità, un sostegno costante, un luogo terapeutico dove poter dare forma — lentamente — a tutto quello che ora sembra informe e inutile.
Tu non sei sbagliata.
Non sei “incurabile”.
Non sei destinata a vivere così per sempre.
Se la sofferenza ritorna, è perché qualcosa in te chiede di essere visto con più profondità, non perché sei senza speranza.
Il fatto che tu abbia scritto questo messaggio è un atto di vita, non di resa.
Continua a far sapere a chi ti segue come stai.
E se nei momenti più difficili il pensiero del farla finita torna, è fondamentale che tu lo comunichi — subito — a uno dei professionisti che ti hanno in cura o ai servizi di emergenza della tua zona. Non sei sola, anche se ora dentro sembra tutto silenzio.
Con cura,
dott.ssa Raffaella Pia Testa
Mi sento intanto di fare una precisazione rispetto a quello che ha scritto. No , non è assolutamente solo una questione di volontà . C è tanto altro dietro il non riuscire a riprendere in mano la propria vita con quello che questa cosa comporta . È una palese svalutazione pensare che basti volere le cose per poterle agire . La sua è una situazione comunque delicata e complessa e soprattutto ciclica , quindi credo che , al di là dei farmaci , che probabilmente è giusto che prenda , ed a tal proposito mi permetto di suggerirle che non vanno mai tolti senza scalare dosaggi e senza una prescrizione medica , ma dicevo , indipendentemente dai farmaci , è probabile che forse una terapia la aiuterebbe a rimettere ordine nella sua vita prendendosi cura degli aspetti che più lei sente come gravosi e faticosi . Bisogna pur cominciare da qualche cosa , Le auguro di riuscirci , e di imparare a dare una voce anche a quegli aspetti che più la tormentano .
Gentile Utente,
la ringrazio per aver condiviso con tanta chiarezza e sincerità un percorso che, da come lo descrive, appare profondamente faticoso e attraversato da momenti di solitudine, paura e smarrimento. Il modo in cui racconta ciò che vive dà il senso di quanto a lungo stia cercando di trovare un equilibrio e di quanto questo equilibrio, nel tempo, sembri continuamente sfuggirle.
Nella prospettiva sistemico–relazionale, ciò che lei sta sperimentando non è mai “solo dentro di sé”, ma prende forma anche nella rete di relazioni, nelle esperienze che ha attraversato e nel modo in cui queste hanno inciso su di lei. Le ricadute, i momenti di maggiore fragilità, il senso di vuoto che racconta, possono essere letti non come fallimenti personali, ma come segnali di un sistema interno ed esterno che in questo momento fatica a sostenere il suo benessere.
Mi colpisce molto la lucidità con cui osserva ciò che accade: la paura di non farcela, il desiderio di stare meglio, i momenti in cui cerca sollievo nell’alcol, la tentazione di interrompere la cura farmacologica, ma anche la consapevolezza che questo potrebbe non aiutarla. Questa oscillazione è comprensibile quando ci si trova da tanti anni dentro a una sofferenza che va e viene, e che a tratti sembra quasi “ingannare”, facendole credere di essere finalmente fuori per poi ripresentarsi.
Rispetto alla sua domanda, “si può davvero uscirne?”, vorrei dirle che molte persone, anche dopo anni di ciclicità, trovano un modo più stabile per stare meglio. È un percorso che raramente si compie da soli: spesso richiede un lavoro graduale, integrato, in cui la psicoterapia – soprattutto se continuativa, aiuta a dare un senso a ciò che sta accadendo, a riconoscere i pattern che si ripetono e a trovare nuove modalità per affrontarli.
In questo momento, più che interrompere improvvisamente i farmaci, potrebbe essere utile condividere con lo specialista che la segue questi dubbi e questi vissuti: il suo sguardo clinico può aiutarla a comprendere cosa stia accadendo e come procedere in modo sicuro.
Il fatto che lei riesca a raccontare con così tanta precisione ciò che sente, compresi i momenti di perdita di controllo e di pensieri auto-lesivi, è un segnale importante: non è indifferente a ciò che prova e sta già cercando attivamente un aiuto. Questa capacità è una risorsa preziosa.
La sofferenza che descrive merita di essere accolta in uno spazio dedicato, in cui poter rimettere insieme i pezzi di questa esperienza e trovare, passo dopo passo, un nuovo modo di stare nel mondo e nelle sue relazioni. Non deve farsene carico da sola.
Resto a disposizione qualora desiderasse approfondire questo percorso.
Un caro saluto.
DOTT.SSA DI MAGGIO FEDERICA
la ringrazio per aver condiviso con tanta chiarezza e sincerità un percorso che, da come lo descrive, appare profondamente faticoso e attraversato da momenti di solitudine, paura e smarrimento. Il modo in cui racconta ciò che vive dà il senso di quanto a lungo stia cercando di trovare un equilibrio e di quanto questo equilibrio, nel tempo, sembri continuamente sfuggirle.
Nella prospettiva sistemico–relazionale, ciò che lei sta sperimentando non è mai “solo dentro di sé”, ma prende forma anche nella rete di relazioni, nelle esperienze che ha attraversato e nel modo in cui queste hanno inciso su di lei. Le ricadute, i momenti di maggiore fragilità, il senso di vuoto che racconta, possono essere letti non come fallimenti personali, ma come segnali di un sistema interno ed esterno che in questo momento fatica a sostenere il suo benessere.
Mi colpisce molto la lucidità con cui osserva ciò che accade: la paura di non farcela, il desiderio di stare meglio, i momenti in cui cerca sollievo nell’alcol, la tentazione di interrompere la cura farmacologica, ma anche la consapevolezza che questo potrebbe non aiutarla. Questa oscillazione è comprensibile quando ci si trova da tanti anni dentro a una sofferenza che va e viene, e che a tratti sembra quasi “ingannare”, facendole credere di essere finalmente fuori per poi ripresentarsi.
Rispetto alla sua domanda, “si può davvero uscirne?”, vorrei dirle che molte persone, anche dopo anni di ciclicità, trovano un modo più stabile per stare meglio. È un percorso che raramente si compie da soli: spesso richiede un lavoro graduale, integrato, in cui la psicoterapia – soprattutto se continuativa, aiuta a dare un senso a ciò che sta accadendo, a riconoscere i pattern che si ripetono e a trovare nuove modalità per affrontarli.
In questo momento, più che interrompere improvvisamente i farmaci, potrebbe essere utile condividere con lo specialista che la segue questi dubbi e questi vissuti: il suo sguardo clinico può aiutarla a comprendere cosa stia accadendo e come procedere in modo sicuro.
Il fatto che lei riesca a raccontare con così tanta precisione ciò che sente, compresi i momenti di perdita di controllo e di pensieri auto-lesivi, è un segnale importante: non è indifferente a ciò che prova e sta già cercando attivamente un aiuto. Questa capacità è una risorsa preziosa.
La sofferenza che descrive merita di essere accolta in uno spazio dedicato, in cui poter rimettere insieme i pezzi di questa esperienza e trovare, passo dopo passo, un nuovo modo di stare nel mondo e nelle sue relazioni. Non deve farsene carico da sola.
Resto a disposizione qualora desiderasse approfondire questo percorso.
Un caro saluto.
DOTT.SSA DI MAGGIO FEDERICA
Buonasera, le sconsiglio vivamente di interrompere i farmaci, soprattutto senza il suggerimento del medico che glieli ha prescritti. Le suggerisco di affiancare un percorso di psicoterapia prima possibile.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Gentile utente, La ringrazio per aver condiviso la sua esperienza. Sono disponibile per una consultazione online; se desidera, può scrivermi in privato prima di fissare un appuntamento.
Cara signora,
l'unica cosa che mi sento di dirle è di non affrontare tutto questo da sola.
Non accenna alla sua famiglia e se questa le è di supporto . Parla di amici quindi posso immaginare che abbia una rete intorno.
Occorre però che si affidi anche ad un professionista che sia uno psichiatra che possa monitorare gli effetti del farmaco nel tempo e modificarli qualora noti l'inefficacia o efficacia parziale o che sia uno pisicoterapeuta che la possa affiancare nel suo momento di difficoltà.
Non interrompa i farmaci su sua iniziativa perchè potrebbe essere pericoloso e potrebbe farla cadere in uno stato depressivo ancora peggiore di quello che sta vivendo.
Il fatto che lei non trovi il senso è proprio un sintomo della depressione, quando avrà trovato la giusta prescrizione per lei che le consenta nel tempo una stabilizzazione dell'umore e se verrà seguita da uno psicoterapeuta potrà recuperare una vita gratificante e ricca di opportunità.
Le auguro il meglio!
l'unica cosa che mi sento di dirle è di non affrontare tutto questo da sola.
Non accenna alla sua famiglia e se questa le è di supporto . Parla di amici quindi posso immaginare che abbia una rete intorno.
Occorre però che si affidi anche ad un professionista che sia uno psichiatra che possa monitorare gli effetti del farmaco nel tempo e modificarli qualora noti l'inefficacia o efficacia parziale o che sia uno pisicoterapeuta che la possa affiancare nel suo momento di difficoltà.
Non interrompa i farmaci su sua iniziativa perchè potrebbe essere pericoloso e potrebbe farla cadere in uno stato depressivo ancora peggiore di quello che sta vivendo.
Il fatto che lei non trovi il senso è proprio un sintomo della depressione, quando avrà trovato la giusta prescrizione per lei che le consenta nel tempo una stabilizzazione dell'umore e se verrà seguita da uno psicoterapeuta potrà recuperare una vita gratificante e ricca di opportunità.
Le auguro il meglio!
Quello che vivi non è un fallimento tuo né un deficit del cervello: è la ripetizione di un punto di sofferenza che ritorna e che chiede ascolto.
La depressione ciclica, l’ansia, il vuoto, l’alcol per “fare nebbia” sono modi con cui il tuo inconscio tenta di dire qualcosa che ancora non ha trovato un luogo.
Non interrompere i farmaci da sola: il peggioramento che descrivi richiede un confronto urgente con lo psichiatra.
Sì, è possibile uscirne, ma non nel senso di eliminarlo per sempre: si può trasformare il rapporto con il sintomo attraverso un lavoro analitico, che permette di leggere ciò che oggi ti travolge.
In questo momento servono due cose insieme:
un sostegno medico stabile, e un percorso analitico che dia parola a ciò che ritorna.
Il punto da cui partire è questo:
qual è la frase, il pensiero, il significante che ritorna ogni volta prima che cadi?
La depressione ciclica, l’ansia, il vuoto, l’alcol per “fare nebbia” sono modi con cui il tuo inconscio tenta di dire qualcosa che ancora non ha trovato un luogo.
Non interrompere i farmaci da sola: il peggioramento che descrivi richiede un confronto urgente con lo psichiatra.
Sì, è possibile uscirne, ma non nel senso di eliminarlo per sempre: si può trasformare il rapporto con il sintomo attraverso un lavoro analitico, che permette di leggere ciò che oggi ti travolge.
In questo momento servono due cose insieme:
un sostegno medico stabile, e un percorso analitico che dia parola a ciò che ritorna.
Il punto da cui partire è questo:
qual è la frase, il pensiero, il significante che ritorna ogni volta prima che cadi?
Carissima, la depressione, come ogni sintomo, ogni sofferenza, e’ un messaggio dell’inconscio, la dimostrazione che qualcosa non va come dovrebbe andare; a volte è sufficiente questa consapevolezza, ed un supporto farmacologico, ma non sempre. In questo caso va accolto e compreso il senso profondo del malessere per risvegliare le energie interne che possono curarci. La tua paura di ricadere può indicare la
Consapevolezza che qualcosa è rimasto in sospeso.
Consapevolezza che qualcosa è rimasto in sospeso.
Buon pomeriggio, penso che un percorso di psicoterapia possa aiutarla ad affrontare le cause psicologiche di questo suo stato di malessere ciclico e a trovare un suo modo di rispondervi: le risorse dentro di lei, i suoi interessi che in certi momenti si annebbiano con l'aiuto della psicoterapia possono riprendere luce. Spero di esserle stata utile, un saluto. Ilaria Innocenti
Gentile ragazza, non c'è niente che dura "a vita". Se il malessere perdura, è perché lo teniamo in vita con la nostra mente. Lei chiede: "qual è il senso di andare avanti?", una domanda che ritengo molto importante ai fini del suo benessere. Il mio punto di vista è questo: la vita diventa meravigliosa nel momento in cui individuiamo i nostri talenti, le nostre capacità innate, la nostra originalità. I talenti nascono con noi, sono come il colore dei nostri occhi, nessuno ce li può togliere. Grazie ai nostri talenti possiamo realizzarci profondamente, sia dal punto di vista lavorativo che personale.
La nostra originalità è il motivo per cui siamo al mondo: individuare ciò che ci rende unici e coltivarlo è lo scopo della nostra esistenza. E la vita diventa davvero degna di essere vissuta, un'avventura dove gli ostacoli diventano alleati preziosi del nostro viaggio verso la realizzazione.
Il suo mondo interiore è ricco di tesori da cui attingere a piene mani, e i suoi disagi arrivano per ricordarglielo :-)
Se lo desidera, sarò felice di accompagnarla verso l'individuazione e la realizzazione della sua originalità. Una vita migliore l'aspetta, la vita non aspetta ;-)
La nostra originalità è il motivo per cui siamo al mondo: individuare ciò che ci rende unici e coltivarlo è lo scopo della nostra esistenza. E la vita diventa davvero degna di essere vissuta, un'avventura dove gli ostacoli diventano alleati preziosi del nostro viaggio verso la realizzazione.
Il suo mondo interiore è ricco di tesori da cui attingere a piene mani, e i suoi disagi arrivano per ricordarglielo :-)
Se lo desidera, sarò felice di accompagnarla verso l'individuazione e la realizzazione della sua originalità. Una vita migliore l'aspetta, la vita non aspetta ;-)
Buongiorno. La situazione che accenna andrebbe valutata in modo approfondito in sede clinica per poterle prospettare qualche ipotesi di cura. Di sicuro, interrompere autonomamente le cure farmacologiche senza la guida di uno specialista rischia di procurarle ulteriore disagio. Prenda appuntamento con qualche specialista e si faccia aiutare con costanza e in modo continuativo. SG
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