Buongiorno sono sposata da 7 anni è il secondo matrimonio. Io ho un figlio di 26 anni e il mio attua
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Buongiorno sono sposata da 7 anni è il secondo matrimonio. Io ho un figlio di 26 anni e il mio attuale marito ha una figlia di quasi 22 anni.
Sua figlia (orfana di madre dalla età di 10 anni) da un anno mangia e dorme dal fidanzato, viene a casa solo per farsi la doccia e cambiarsi , praticamente usa la casa come appoggio…non aiuta in casa , quando fa la lavoratrice la fa solo con i suoi panni, se il padre dice di pulire casa , pulisce solo la sua camera e uno dei bagni il resto dice che non usa nulla quindi non pulisce, fino ad un mese fa il padre le aveva chiesto 200€ da lasciare in casa x farle capire che ci sono bollette da pagare e tutto il contorno di una famiglia. si è presa un auto, la ragazza lavora ed è indipendente, ma il padre continua a pagarle le spese della macchina, (deve portarla dal meccanico perché deve rifare i freni), dato che ha la
Residenza con noi per non pagare molto ha usato l assicurazione della nostra auto con la legge bersani ….insomma oltre ad usare la casa come un albergo, non contribuisce alle spese di casa, dobbiamo anche mantenerla?! Ma secondo voi è corretto tutto questo? Io sono del parere che non si può stare con un piede in due scarpe, troppo comodo, come fa ad imparare cosa significa vivere la realtà? Poco tempo fa , siccome io non posso dirle nulla perché mi dice “cosa vuoi che non sei nessuno” le ho solo detto noi lavoriamo dalla mattina alla sera e se devo venire a casa e vedere te sul letto con il cellulare e la casa un casino, non sposti nemmeno una carta, forse è meglio che prendi una decisione su dove andare a vivere…sarò cattiva, ma vivere così a me non piace..suo padre invece la tratta come una bambina adulta.:.con me dice “basta da oggi deve arrangiarsi” quando arriva il momento di dirle fai le cose da sola, niente da fare gliele fa lui brontolando poi con me..:e all fine litighiamo noi due .. cosa possiamo fare? Grazie mille
Sua figlia (orfana di madre dalla età di 10 anni) da un anno mangia e dorme dal fidanzato, viene a casa solo per farsi la doccia e cambiarsi , praticamente usa la casa come appoggio…non aiuta in casa , quando fa la lavoratrice la fa solo con i suoi panni, se il padre dice di pulire casa , pulisce solo la sua camera e uno dei bagni il resto dice che non usa nulla quindi non pulisce, fino ad un mese fa il padre le aveva chiesto 200€ da lasciare in casa x farle capire che ci sono bollette da pagare e tutto il contorno di una famiglia. si è presa un auto, la ragazza lavora ed è indipendente, ma il padre continua a pagarle le spese della macchina, (deve portarla dal meccanico perché deve rifare i freni), dato che ha la
Residenza con noi per non pagare molto ha usato l assicurazione della nostra auto con la legge bersani ….insomma oltre ad usare la casa come un albergo, non contribuisce alle spese di casa, dobbiamo anche mantenerla?! Ma secondo voi è corretto tutto questo? Io sono del parere che non si può stare con un piede in due scarpe, troppo comodo, come fa ad imparare cosa significa vivere la realtà? Poco tempo fa , siccome io non posso dirle nulla perché mi dice “cosa vuoi che non sei nessuno” le ho solo detto noi lavoriamo dalla mattina alla sera e se devo venire a casa e vedere te sul letto con il cellulare e la casa un casino, non sposti nemmeno una carta, forse è meglio che prendi una decisione su dove andare a vivere…sarò cattiva, ma vivere così a me non piace..suo padre invece la tratta come una bambina adulta.:.con me dice “basta da oggi deve arrangiarsi” quando arriva il momento di dirle fai le cose da sola, niente da fare gliele fa lui brontolando poi con me..:e all fine litighiamo noi due .. cosa possiamo fare? Grazie mille
Buongiorno gentile Utente, quello che sta vivendo è un conflitto che coinvolge affetti, ruoli familiari, senso di giustizia e dinamiche educative complesse. La sua frustrazione è comprensibile e legittima, perché si trova in una posizione delicata: da un lato cerca di difendere un equilibrio familiare, dall’altro si scontra con una realtà in cui le sue richieste sembrano non trovare ascolto, né da parte della ragazza, né soprattutto del marito.
Quello che emerge è una situazione in cui la figlia di suo marito, pur essendo ormai adulta e apparentemente indipendente, mantiene con la casa dei genitori un rapporto comodo ma non responsabile. Questo atteggiamento, seppur non insolito in alcune famiglie, diventa disfunzionale nel momento in cui non c’è un confine chiaro tra l’essere ancora “ospitati” e l’assumersi le proprie responsabilità. È vero che ha una storia dolorosa alle spalle, ma il fatto di essere cresciuta senza la madre non giustifica né la mancanza di rispetto verso di lei, né l’assenza di reciprocità nel contesto familiare.
Il cuore del problema, però, non è solo nel comportamento della ragazza, bensì nella posizione ambivalente del padre. È lui la figura genitoriale, ed è lui che avrebbe la responsabilità di guidare sua figlia verso l’autonomia. Se questo non accade, se le parole rivolte a lei “da oggi deve arrangiarsi” non trovano un’effettiva coerenza nei fatti, allora si crea uno squilibrio in cui lei, pur non essendo la madre biologica, è comunque esposta al peso di una gestione che non le compete pienamente, ma che la coinvolge emotivamente, logisticamente e moralmente.
Lei si sta assumendo un ruolo scomodo, quello di chi cerca di mantenere ordine, chiarezza e giustizia, ma senza avere né l’autorevolezza né il sostegno pieno per farlo. Questo inevitabilmente genera rabbia, senso di impotenza e, come ha detto, anche conflitti col marito.
Il primo passo, in questi casi, non è cercare di modificare direttamente il comportamento della ragazza, ma lavorare sulla comunicazione e sulla chiarezza del patto di coppia. È fondamentale che lei e suo marito troviate un linguaggio comune, che ci sia coerenza tra ciò che viene detto e ciò che viene fatto. Se lui ha paura di essere troppo duro con la figlia, è importante che lo esprima apertamente, ma anche che si confronti sul fatto che, paradossalmente, mantenere un figlio adulto in uno stato di dipendenza e deresponsabilizzazione non è un atto di amore, ma un ostacolo alla sua crescita.
La sua richiesta non è “cattiva”, è un’espressione di un bisogno di equilibrio, rispetto e reciprocità. È del tutto naturale che lei desideri vivere in una casa dove tutti contribuiscono, dove i ruoli siano chiari e dove le responsabilità vengano condivise.
In alcuni casi, può essere utile un breve percorso di consulenza familiare o di coppia per riuscire a creare uno spazio protetto in cui queste tematiche possano essere affrontate con più serenità, senza che si trasformino sempre in scontri o malintesi.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Quello che emerge è una situazione in cui la figlia di suo marito, pur essendo ormai adulta e apparentemente indipendente, mantiene con la casa dei genitori un rapporto comodo ma non responsabile. Questo atteggiamento, seppur non insolito in alcune famiglie, diventa disfunzionale nel momento in cui non c’è un confine chiaro tra l’essere ancora “ospitati” e l’assumersi le proprie responsabilità. È vero che ha una storia dolorosa alle spalle, ma il fatto di essere cresciuta senza la madre non giustifica né la mancanza di rispetto verso di lei, né l’assenza di reciprocità nel contesto familiare.
Il cuore del problema, però, non è solo nel comportamento della ragazza, bensì nella posizione ambivalente del padre. È lui la figura genitoriale, ed è lui che avrebbe la responsabilità di guidare sua figlia verso l’autonomia. Se questo non accade, se le parole rivolte a lei “da oggi deve arrangiarsi” non trovano un’effettiva coerenza nei fatti, allora si crea uno squilibrio in cui lei, pur non essendo la madre biologica, è comunque esposta al peso di una gestione che non le compete pienamente, ma che la coinvolge emotivamente, logisticamente e moralmente.
Lei si sta assumendo un ruolo scomodo, quello di chi cerca di mantenere ordine, chiarezza e giustizia, ma senza avere né l’autorevolezza né il sostegno pieno per farlo. Questo inevitabilmente genera rabbia, senso di impotenza e, come ha detto, anche conflitti col marito.
Il primo passo, in questi casi, non è cercare di modificare direttamente il comportamento della ragazza, ma lavorare sulla comunicazione e sulla chiarezza del patto di coppia. È fondamentale che lei e suo marito troviate un linguaggio comune, che ci sia coerenza tra ciò che viene detto e ciò che viene fatto. Se lui ha paura di essere troppo duro con la figlia, è importante che lo esprima apertamente, ma anche che si confronti sul fatto che, paradossalmente, mantenere un figlio adulto in uno stato di dipendenza e deresponsabilizzazione non è un atto di amore, ma un ostacolo alla sua crescita.
La sua richiesta non è “cattiva”, è un’espressione di un bisogno di equilibrio, rispetto e reciprocità. È del tutto naturale che lei desideri vivere in una casa dove tutti contribuiscono, dove i ruoli siano chiari e dove le responsabilità vengano condivise.
In alcuni casi, può essere utile un breve percorso di consulenza familiare o di coppia per riuscire a creare uno spazio protetto in cui queste tematiche possano essere affrontate con più serenità, senza che si trasformino sempre in scontri o malintesi.
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Gentile paziente anonimo,
dal racconto che condivide, emerge chiaramente come la vostra coppia potrebbe trarre beneficio da un consulto professionale, finalizzato a favorire una maggiore consapevolezza e una comunicazione più chiara dei rispettivi bisogni.
Le propongo alcune domande chiave, che potrebbero aiutarla a esplorare più a fondo la situazione:
Quale bisogno si cela dietro la sua esigenza che la figlia di suo marito scelga dove vivere o contribuisca alla gestione domestica ed economica della casa?
Quale bisogno potrebbe essere alla base della difficoltà di suo marito nel mettere in atto, con la figlia, i piani che comunica privatamente a lei?
Che bisogno c'è sotto le vostre liti?
Vi siete mai chiesti quali sono i vostri bisogni reciproci?
Li comunicate tra voi?
E, quando lo fate, come reagisce l’altro?
Perché reagisce in quel modo?
Ogni comportamento umano, infatti, è un tentativo – più o meno consapevole – di soddisfare un bisogno. Quando più persone sono coinvolte nella stessa dinamica relazionale, è naturale che tutto si complichi e che diventi difficile tenere il filo delle emozioni e delle interazioni.
Proprio per questo, un confronto con un professionista può rivelarsi un valido supporto per ritrovare chiarezza e armonia nella relazione.
Resto a disposizione.
Un caro saluto,
Dott.ssa Ramona Alberti
dal racconto che condivide, emerge chiaramente come la vostra coppia potrebbe trarre beneficio da un consulto professionale, finalizzato a favorire una maggiore consapevolezza e una comunicazione più chiara dei rispettivi bisogni.
Le propongo alcune domande chiave, che potrebbero aiutarla a esplorare più a fondo la situazione:
Quale bisogno si cela dietro la sua esigenza che la figlia di suo marito scelga dove vivere o contribuisca alla gestione domestica ed economica della casa?
Quale bisogno potrebbe essere alla base della difficoltà di suo marito nel mettere in atto, con la figlia, i piani che comunica privatamente a lei?
Che bisogno c'è sotto le vostre liti?
Vi siete mai chiesti quali sono i vostri bisogni reciproci?
Li comunicate tra voi?
E, quando lo fate, come reagisce l’altro?
Perché reagisce in quel modo?
Ogni comportamento umano, infatti, è un tentativo – più o meno consapevole – di soddisfare un bisogno. Quando più persone sono coinvolte nella stessa dinamica relazionale, è naturale che tutto si complichi e che diventi difficile tenere il filo delle emozioni e delle interazioni.
Proprio per questo, un confronto con un professionista può rivelarsi un valido supporto per ritrovare chiarezza e armonia nella relazione.
Resto a disposizione.
Un caro saluto,
Dott.ssa Ramona Alberti
Buongiorno percepisco tutta la fatica ma soprattutto la complessità della situazione e proprio per questo credo che possa essere utile a lei e suo marito trovare uno spazio accogliente in cui portare tutto questo e prendervene cura per la salvaguardia della coppia e delle relazioni con i figli. Queste dinamiche del quotidiano raccontano probabilmente qualcosa di più faticoso che rimane anche più nascosto e che può essere utile vedere.
Buongiorno,
La situazione che descrive è molto comune nelle famiglie ricostituite, e tocca nodi delicati come il confine tra protezione e il senso di responsabilità, e il difficile equilibrio tra affetto e crescita personale dei figli adulti.
Come Psicologo Specializzato in Sistemica Relazionale gli do alcune informazioni e suggerimenti a riguardo :
Ogni famiglia è un sistema relazionale in cui ogni persona é un unita che influenza e viene influenzata dagli altri. Nel caso che lei descrive sembra esserci un sistema disfunzionale che mantiene uno stato di dipendenza emotiva e materiale della figlia adulta, anche se non ce ne sarebbe più bisogno.
Il padre, probabilmente per senso di colpa o per il dolore legato alla separazione con la moglie, potrebbe inconsciamente cercare di "sostituire" la madre, mantenendo la figlia in uno stato di infantilizzazione emotiva. Questo, pur nato da un posto di amore, impedisce alla ragazza di crescere e di sviluppare autonomia.
Lei sta facendo fatica a trovare un proprio spazio relazionale, perché ad un livello inconscio non si sente riconosciuta come parte attiva della famiglia.
Questo è un segnale importante: quando una figura genitoriale non riconosce l’autorevolezza dell’altro, si crea un vuoto educativo e di ruolo.Ovviamente parliamo di tensioni profonde e inconscie.
Lei e suo marito dovete trovare un accordo chiaro su cosa significa "abitare in casa". Definire regole condivise: contributi economici, pulizie, rispetto degli spazi. Senza conflitti, ma con fermezza.
Se la figlia non contribuisce, non vive come un membro della famiglia, ma come un ospite occasionale questo va chiarito: si può abitare in casa con regole chiare, oppure andare via. Non esiste una terza opzione e questo avviene perche come gia detto non percepisce un posto dalla sua famiglia originaria.
È importante ovviamente che sia il padre a prendere parola, ma sempre con il suo sostegno. Senza attacchi, ma con chiarezza: con frasi rafforzative come “Vogliamo che tu stia bene, ma per stare bene insieme, dobbiamo rispettare regole comuni.”
Voglio che tu sappia cha hai un posto nella nostra famiglia originaria e in questo altro sistema familiare con i diritti e responsabilita che ne consegue.
Non si tratta mai di "colpevolizzare" la figlia, ma di rivedere insieme il funzionamento della famiglia a partire di quella originaria. Lei ha il diritto di chiedere che la sua voce conti a patto di un rispetto reciproco.
Crescere non è solo un processo individuale, ma relazionale. E il sistema famiglia ha il dovere di favorirlo, non di ostacolarlo. Data la complessita le consiglio comunque di rivolgersi ad un professionista per sciogliere dei nodi insieme.
Un caro saluto e un incoraggiamento con una frase includente come IO TI VEDO.
Si tratta sempre di avere la pazienza e perseveranza di ricostruire un equilibrio possibile .Cordialmente la saluto.
La situazione che descrive è molto comune nelle famiglie ricostituite, e tocca nodi delicati come il confine tra protezione e il senso di responsabilità, e il difficile equilibrio tra affetto e crescita personale dei figli adulti.
Come Psicologo Specializzato in Sistemica Relazionale gli do alcune informazioni e suggerimenti a riguardo :
Ogni famiglia è un sistema relazionale in cui ogni persona é un unita che influenza e viene influenzata dagli altri. Nel caso che lei descrive sembra esserci un sistema disfunzionale che mantiene uno stato di dipendenza emotiva e materiale della figlia adulta, anche se non ce ne sarebbe più bisogno.
Il padre, probabilmente per senso di colpa o per il dolore legato alla separazione con la moglie, potrebbe inconsciamente cercare di "sostituire" la madre, mantenendo la figlia in uno stato di infantilizzazione emotiva. Questo, pur nato da un posto di amore, impedisce alla ragazza di crescere e di sviluppare autonomia.
Lei sta facendo fatica a trovare un proprio spazio relazionale, perché ad un livello inconscio non si sente riconosciuta come parte attiva della famiglia.
Questo è un segnale importante: quando una figura genitoriale non riconosce l’autorevolezza dell’altro, si crea un vuoto educativo e di ruolo.Ovviamente parliamo di tensioni profonde e inconscie.
Lei e suo marito dovete trovare un accordo chiaro su cosa significa "abitare in casa". Definire regole condivise: contributi economici, pulizie, rispetto degli spazi. Senza conflitti, ma con fermezza.
Se la figlia non contribuisce, non vive come un membro della famiglia, ma come un ospite occasionale questo va chiarito: si può abitare in casa con regole chiare, oppure andare via. Non esiste una terza opzione e questo avviene perche come gia detto non percepisce un posto dalla sua famiglia originaria.
È importante ovviamente che sia il padre a prendere parola, ma sempre con il suo sostegno. Senza attacchi, ma con chiarezza: con frasi rafforzative come “Vogliamo che tu stia bene, ma per stare bene insieme, dobbiamo rispettare regole comuni.”
Voglio che tu sappia cha hai un posto nella nostra famiglia originaria e in questo altro sistema familiare con i diritti e responsabilita che ne consegue.
Non si tratta mai di "colpevolizzare" la figlia, ma di rivedere insieme il funzionamento della famiglia a partire di quella originaria. Lei ha il diritto di chiedere che la sua voce conti a patto di un rispetto reciproco.
Crescere non è solo un processo individuale, ma relazionale. E il sistema famiglia ha il dovere di favorirlo, non di ostacolarlo. Data la complessita le consiglio comunque di rivolgersi ad un professionista per sciogliere dei nodi insieme.
Un caro saluto e un incoraggiamento con una frase includente come IO TI VEDO.
Si tratta sempre di avere la pazienza e perseveranza di ricostruire un equilibrio possibile .Cordialmente la saluto.
Buongiorno, mi rendo conto della complicata situazione. È sempre difficile gestire discontinuità simili in famiglia, ancor di più forse quando la genitorialità deve far fronte a stili educativi diversi, figlie/i che vengono da un altro nucleo familiare, adolescenti o giovani adulti con i quali interagire e comunicare in maniera funzionale. Provare a parlare può essere molto utile, condividere i disagi della situazione, creando un dialogo e piano piano magari proponendo anche delle soluzioni adattive. Prima magari tra coniugi/genitori, per tentare intanto voi di incontrarvi a metà strada, poi anche con i figli. Se però c’è tensione o difficoltà/impossibilità a comunicare allora lì si può rischiare di rimanere incastrati nella retorica che già è presente. In questi casi, degli incontri familiari potrebbe mediare tra i vari “attori” presenti, raccogliendo esigenze varie e proponendo dei compromessi. Anche magari per capire come si è arrivati ad un groviglio simile diciamo. Certo è importante essere tutti d’accordo nel farlo, ma se è una situazione che mette alla fine tutti in difficoltà la possibilità di stare meglio tutti può essere una motivazione sufficiente. A disposizione, dott. Lorenzo Scarpitti.
La tua frustrazione è comprensibile. Sarebbe utile che tu e tuo marito vi confrontaste con chiarezza sul ruolo che volete attribuire a sua figlia e su quali regole comuni desiderate per la casa. Senza un fronte condiviso, sarà difficile cambiare l’equilibrio attuale senza scontri. Un percorso di consulenza familiare potrebbe aiutarvi a rinegoziare i ruoli in modo più funzionale.
Buongiorno.
La situazione familiare sembrerebbe abbastanza complessa. Potrebbe essere importante comprendere i motivi che hanno portato alla lacerazione del rapporto con sua figlia, questo però è possibile soltanto se si utilizza un metodo di comunicazione efficace. Ulteriori tagli mossi dalla giustificata tensione che si viene a creare in casa non risulterebbero utili e probabilmente potrebbero peggiorare la situazione.
Le consiglio di contattare uno psicologo o psicoterapeuta in maniera tale da ricostruire questo filo ormai logorato e tornare a respirare in casa.
La situazione familiare sembrerebbe abbastanza complessa. Potrebbe essere importante comprendere i motivi che hanno portato alla lacerazione del rapporto con sua figlia, questo però è possibile soltanto se si utilizza un metodo di comunicazione efficace. Ulteriori tagli mossi dalla giustificata tensione che si viene a creare in casa non risulterebbero utili e probabilmente potrebbero peggiorare la situazione.
Le consiglio di contattare uno psicologo o psicoterapeuta in maniera tale da ricostruire questo filo ormai logorato e tornare a respirare in casa.
Capisco profondamente quanto questa situazione possa diventare faticosa sul piano emotivo e relazionale. Quando i ruoli familiari non sono ben definiti, e soprattutto quando le responsabilità non vengono condivise in modo equo, si crea un senso di ingiustizia e solitudine, che può logorare anche la coppia più solida. Nel vostro caso, è evidente che la mancanza di regole condivise e l’atteggiamento ambivalente del suo partner generano frustrazione, perché da un lato si esprime il desiderio di porre dei limiti, dall’altro si continua a mantenere un atteggiamento accomodante verso la figlia. Questo doppio binario rischia di invalidare il vostro ruolo e aumentare il conflitto nella coppia. Un confronto sincero, in cui possiate mettervi dalla stessa parte, come alleati e non come avversari, può essere un primo passo importante. Ridefinire le regole della convivenza non è un atto di durezza, ma un’opportunità educativa e relazionale.
Un caro saluto
Un caro saluto
Buongiorno, la situazione che descrive è sicuramente complessa e molto comune nelle famiglie ricostituite, soprattutto quando i figli giovani attraversano la difficile fase di autonomia e indipendenza. La sua sensazione di disagio è comprensibile: è importante che ciascuno impari a prendersi responsabilità, anche in casa, per crescere e affrontare la realtà adulta.
Il comportamento della ragazza, che usa la casa più come un appoggio che come un vero e proprio ambiente familiare, riflette probabilmente una difficoltà a gestire il passaggio all’autonomia, soprattutto considerando la perdita precoce della madre e il legame forte con il padre. È anche normale che ci siano tensioni tra lei e suo marito nel trovare un equilibrio educativo comune.
Lei ha ragione nel pensare che mantenere un equilibrio tra accoglienza e responsabilità sia fondamentale, e forse sarebbe utile stabilire insieme regole chiare e condivise, coinvolgendo anche la ragazza nel dialogo, per evitare conflitti e creare un ambiente di rispetto reciproco.
Tuttavia, gestire queste dinamiche non è semplice e spesso servono strategie specifiche e un sostegno esperto per mediare i rapporti familiari e trovare un modo sano per far crescere i figli alla responsabilità senza creare divisioni tra gli adulti.
Per questo motivo, le consiglio caldamente di rivolgersi a uno specialista che possa aiutarvi a esplorare più a fondo le dinamiche familiari e accompagnarvi nel costruire un equilibrio che rispetti i bisogni di tutti.
Con stima,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Il comportamento della ragazza, che usa la casa più come un appoggio che come un vero e proprio ambiente familiare, riflette probabilmente una difficoltà a gestire il passaggio all’autonomia, soprattutto considerando la perdita precoce della madre e il legame forte con il padre. È anche normale che ci siano tensioni tra lei e suo marito nel trovare un equilibrio educativo comune.
Lei ha ragione nel pensare che mantenere un equilibrio tra accoglienza e responsabilità sia fondamentale, e forse sarebbe utile stabilire insieme regole chiare e condivise, coinvolgendo anche la ragazza nel dialogo, per evitare conflitti e creare un ambiente di rispetto reciproco.
Tuttavia, gestire queste dinamiche non è semplice e spesso servono strategie specifiche e un sostegno esperto per mediare i rapporti familiari e trovare un modo sano per far crescere i figli alla responsabilità senza creare divisioni tra gli adulti.
Per questo motivo, le consiglio caldamente di rivolgersi a uno specialista che possa aiutarvi a esplorare più a fondo le dinamiche familiari e accompagnarvi nel costruire un equilibrio che rispetti i bisogni di tutti.
Con stima,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè capisco quanto questa situazione possa impattare sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale innanzitutto che lei faccia chiarezza circa ciò che sente e ciò che prova verso questa persona, ritagliandosi uno spazio d'ascolto per elaborare pensieri e vissuti emotivi legati alla situazione descritta pertanto la invito a richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Quello che descrive è un conflitto molto comune in tante famiglie allargate o ricomposte, in cui le dinamiche educative si scontrano con abitudini consolidate, emozioni complesse e un equilibrio che spesso poggia su fili molto sottili. Lei si trova in una posizione delicata: sente la responsabilità di far funzionare la casa come un ambiente ordinato e giusto per tutti, ma nello stesso tempo non riesce a far valere questo principio con una figlia che non è biologicamente sua e che, a quanto dice, non riconosce la sua autorevolezza. La ragazza, da quanto racconta, vive una condizione ambivalente: adulta per età, parzialmente indipendente grazie al lavoro e alla relazione di coppia, ma ancora protetta da un contesto familiare che le permette di evitare responsabilità più scomode. Questo succede spesso quando i figli crescono in famiglie dove uno dei due genitori è scomparso: il genitore rimasto tende, anche inconsapevolmente, a voler colmare i vuoti emotivi con una disponibilità che rischia però di diventare eccessiva. Suo marito, in questo senso, probabilmente fatica a fare un passo indietro, nonostante razionalmente sappia che dovrebbe farlo. È come se avesse paura di farla sentire abbandonata ancora una volta. Lei ha tutto il diritto di sentire fastidio e frustrazione. È normale sentirsi tesi quando si vede la propria casa vissuta in modo superficiale, senza un minimo contributo. Non è cattiva nel volere che questa ragazza impari a prendersi cura delle proprie cose e a contribuire alle spese. Anzi, è proprio questo senso di responsabilità che serve per aiutarla a diventare davvero adulta. Ma purtroppo, senza una linea condivisa tra lei e suo marito, ogni tentativo rischia di ritorcersi contro. La chiave qui sta nel lavoro di coppia. Serve che suo marito comprenda che, se davvero vuole aiutare sua figlia, deve smettere di sostituirsi a lei. Lo faccia riflettere sul fatto che continuando a farle da scudo non la protegge: la imprigiona in una zona di comfort che prima o poi la farà sentire impreparata di fronte alla realtà. Potrebbe essere utile avere una conversazione chiara, senza litigi, in cui provate a definire insieme alcune regole pratiche: un contributo fisso alle spese, un impegno minimo nelle faccende di casa e un limite chiaro all’uso dell’auto e delle spese extra. Se queste regole non vengono rispettate, dovrebbero avere conseguenze concrete, altrimenti restano solo parole vuote. Cerchi di spiegare a suo marito che questa non è una battaglia tra lei e la ragazza, ma una questione di giustizia ed equilibrio per tutta la famiglia. Se serve, potete anche farvi aiutare da un supporto esterno, come un consulente familiare, che possa aiutarvi a trovare una linea educativa comune. Infine, continui a proteggere anche se stessa. Non spenda tutte le sue energie nel controllare o arrabbiarsi: definisca fin dove è disposta ad arrivare e lasci che le responsabilità ricadano su chi dovrebbe assumersele. A volte il cambiamento arriva quando si smette di fare da rete di salvataggio. Le auguro di riuscire a far valere i suoi bisogni, senza perdere il rispetto per la fatica emotiva che questa situazione porta con sé. Non è una battaglia semplice, ma fissare dei limiti chiari è sempre un atto di cura, non di egoismo. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Buongiorno, non è una posizione semplice quella che sta ricoprendo ma probabilmente sarebbe più opportuno scoprire le carte in tavola con suo marito e tornare ad una dimensione genitoriale collaborativa. Per fare ciò c'è bisogno di una comunicazione chiara e delle regole e degli obiettivi condivisi da entrambi, in modo tale poi da avere la percezione di camminare mano nella mano e non uno dietro all'altro.
Buongiorno, mi spiace per la situazione che si è creata in casa. D'altra parte è il passaggio tra essere ragazzina e diventare adulta e questo comporta tanti cambiamenti. Essendo una figlia acquisita proverei di nuovo a parlare con tuo marito e mettere bene in chiaro cosa si può fare: io farei sì leva sulla responsabilità ma le darei anche qualcosa in cambio, è ancora giovane e si impara piano piano. Inoltre la vita è fatta di dare e avere, se le chiedete troppo senza qualcosa in cambio (non basta avere un tetto sulla testa perchè capisca) lei si chiude e si arrabbia. Se poi decide di vivere con il fidanzato lo farebbe per rabbia nei vostri confronti e i rapporti si incrinerebbero.
Quando avete messo in chiaro, anche per iscritto cosa chiederle e darle senza troppo sovraccaricarla (ci sarà modo col tempo di aumentare le richieste) potreste fare una riunione di famiglia ed esporre le vostre idee e, trattandola da adulta, chiederle se ha altre idee, modi.. Coinvolgerla insomma e trattarla da adulta responsabile (questo di solito suscita la sensazione di essere considerata, avere voce in capitolo e si sente investita di responsabilità positiva).
Spero di poter aver dato anche solo uno spunto,
rimango a disposizione per qualunque cosa. Dott.ssa Casumaro Giada
Quando avete messo in chiaro, anche per iscritto cosa chiederle e darle senza troppo sovraccaricarla (ci sarà modo col tempo di aumentare le richieste) potreste fare una riunione di famiglia ed esporre le vostre idee e, trattandola da adulta, chiederle se ha altre idee, modi.. Coinvolgerla insomma e trattarla da adulta responsabile (questo di solito suscita la sensazione di essere considerata, avere voce in capitolo e si sente investita di responsabilità positiva).
Spero di poter aver dato anche solo uno spunto,
rimango a disposizione per qualunque cosa. Dott.ssa Casumaro Giada
Buongiorno,
la situazione che descrive è complessa e coinvolge più livelli relazionali: la coppia, il rapporto padre-figlia, e il delicato equilibrio di una famiglia ricostruita. In ottica sistemica, ciò che emerge è un “triangolo relazionale” in cui lei si trova in una posizione molto faticosa, tra il bisogno di ordine, rispetto e corresponsabilità, e un marito che, pur dichiarando di voler porre limiti, fatica a metterli davvero in atto.
La figlia, cresciuta con una perdita importante, può aver sviluppato un legame col padre in cui lui, forse per compensare il dolore o il senso di colpa, tende a proteggerla più che a educarla all’autonomia. Questo però ha effetti collaterali importanti: la lascia senza confini chiari e mette in difficoltà la vostra relazione di coppia.
Lei non è “cattiva” nel voler chiarezza e rispetto in casa propria. È invece importante che la coppia trovi una posizione comune e coerente. Non si tratta solo di decidere “cosa deve fare la ragazza”, ma soprattutto di ridefinire i ruoli e i confini all’interno del vostro sistema familiare: cosa è tollerabile, cosa no, e chi si assume la responsabilità di dirlo e sostenerlo.
Un percorso di consulenza familiare o di coppia può aiutare entrambi a comunicare in modo più efficace e a prendere decisioni condivise, senza che il conflitto si sposti sempre tra voi due. L’obiettivo non è “allontanare” la figlia, ma costruire un equilibrio più sano e sostenibile per tutti.
la situazione che descrive è complessa e coinvolge più livelli relazionali: la coppia, il rapporto padre-figlia, e il delicato equilibrio di una famiglia ricostruita. In ottica sistemica, ciò che emerge è un “triangolo relazionale” in cui lei si trova in una posizione molto faticosa, tra il bisogno di ordine, rispetto e corresponsabilità, e un marito che, pur dichiarando di voler porre limiti, fatica a metterli davvero in atto.
La figlia, cresciuta con una perdita importante, può aver sviluppato un legame col padre in cui lui, forse per compensare il dolore o il senso di colpa, tende a proteggerla più che a educarla all’autonomia. Questo però ha effetti collaterali importanti: la lascia senza confini chiari e mette in difficoltà la vostra relazione di coppia.
Lei non è “cattiva” nel voler chiarezza e rispetto in casa propria. È invece importante che la coppia trovi una posizione comune e coerente. Non si tratta solo di decidere “cosa deve fare la ragazza”, ma soprattutto di ridefinire i ruoli e i confini all’interno del vostro sistema familiare: cosa è tollerabile, cosa no, e chi si assume la responsabilità di dirlo e sostenerlo.
Un percorso di consulenza familiare o di coppia può aiutare entrambi a comunicare in modo più efficace e a prendere decisioni condivise, senza che il conflitto si sposti sempre tra voi due. L’obiettivo non è “allontanare” la figlia, ma costruire un equilibrio più sano e sostenibile per tutti.
Gentile Paziente,
comprendo quanto questa situazione possa essere delicata e fonte di disagio per lei. La presenza della figlia di suo marito, pur essendo ormai una giovane adulta, sembra generare uno squilibrio nella gestione quotidiana della casa e nella vostra relazione, specialmente in assenza di confini e regole condivise.
Sarebbe importante che lei e suo marito vi confrontaste con serenità, definendo insieme modalità di convivenza più equilibrate, che tengano conto delle esigenze di tutti. Il ruolo del padre, in quanto figura genitoriale, è centrale nel guidare la figlia verso una maggiore autonomia e senso di responsabilità.
Se doveste incontrare difficoltà nel dialogo, un breve percorso di consulenza di coppia potrebbe offrire uno spazio neutro per affrontare questi temi e ritrovare armonia nella vita familiare.
Un caro saluto
Giulia Masin
comprendo quanto questa situazione possa essere delicata e fonte di disagio per lei. La presenza della figlia di suo marito, pur essendo ormai una giovane adulta, sembra generare uno squilibrio nella gestione quotidiana della casa e nella vostra relazione, specialmente in assenza di confini e regole condivise.
Sarebbe importante che lei e suo marito vi confrontaste con serenità, definendo insieme modalità di convivenza più equilibrate, che tengano conto delle esigenze di tutti. Il ruolo del padre, in quanto figura genitoriale, è centrale nel guidare la figlia verso una maggiore autonomia e senso di responsabilità.
Se doveste incontrare difficoltà nel dialogo, un breve percorso di consulenza di coppia potrebbe offrire uno spazio neutro per affrontare questi temi e ritrovare armonia nella vita familiare.
Un caro saluto
Giulia Masin
Buonasera, la sua narrazione rivela un conflitto tra il desiderio di una vita organizzata e rispettosa delle regole di convivenza e le dinamiche di una figura di giovane donna che, forse, si sottrae alla responsabilità e alla partecipazione attiva. È comprensibile sentirsi in disagio di fronte a una presenza che sembra usare la casa come un rifugio privato, senza contribuire alle responsabilità di una vita condivisa, e a un ruolo di padre che si confronta con questa difficoltà, spesso lasciando che il rapporto con la figlia si svolga in modo più fratturato e meno adulto. La tensione tra il desiderio di correggere e il senso di impotenza si riflette nel modo in cui si escre l’intera relazione — come un equilibrio fragile tra il rispetto dei ruoli e la sovversione delle aspettative. Questi aspetti indicano che la questione centrale riguarda una dimensione che si collega anche a come il senso di autonomia, di responsabilità e di riconoscimento si costruiscono tra le generazioni e tra le persone. Nell’impianto psicoanalitico che seguo, si può esplorare come le aspettative di un’educazione al vivere comune siano state in parte tradite, e come le proiezioni di responsabilità si alternino a momenti di desiderio di autonomia. Il lavoro di ascolto e di riconoscimento di queste tensioni può portare a una maggiore comprensione di sé e delle dinamiche familiari, aiutandola a trovare un modo per mettere in luce i desideri profondi e le modalità di affermazione di sé.
Se desidera approfondire questa complessità, sono qui per offrirle uno spazio di dialogo sincero e senza giudizio, in cui poter riflettere e ritrovare equilibrio.
Cordialmente, dottoressa Laura Lanocita.
Buongiorno,
quando si forma una nuova famiglia dopo una separazione o un divorzio, tutti – adulti e figli – si trovano a vivere un processo complesso, in cui i legami, i ruoli e le abitudini devono essere in parte ripensati. Non si tratta solo di “stare insieme” sotto lo stesso tetto, ma di costruire nuove relazioni, spesso mentre si cerca di mantenere in equilibrio quelle del passato.
Per chi è genitore, è naturale provare un senso di responsabilità verso i figli nati da una relazione precedente. A volte, però, questo può portare a un carico emotivo difficile da gestire: sensi di colpa, desiderio di “compensare” la separazione, timore di far soffrire ancora. In molti casi, ciò porta il genitore a essere meno chiaro nei confini educativi, magari diventando più permissivo, o evitando di esercitare una funzione normativa per paura di essere rifiutato e questo tipo di dinamica può creare confusione anche nei figli, che nel processo di crescita verso l’autonomia, si sentono legati da una lealtà profonda, spesso silenziosa, che li trattiene.
Il passaggio dei figli dall’adolescenza alla vita adulta, anche se biologicamente concluso, non avviene automaticamente in termini emotivi e relazionali. Alcuni figli restano più a lungo legati a dinamiche di dipendenza o evitamento, specialmente se percepiscono che da quella posizione ricevono protezione, attenzione o privilegi che temono di perdere nel diventare autonomi. Tuttavia, quando una figlia adulta mantiene atteggiamenti adolescenziali (come usare la casa solo come punto d’appoggio, non collaborare, non contribuire alle spese, evitare il confronto), diventa più faticoso definire con chiarezza ruoli e confini. In molte famiglie ricomposte, il partner del genitore può trovarsi in una posizione difficile, non riconosciuto come figura adulta legittimata a dire la sua, soprattutto se il genitore tende a tenere fuori il nuovo compagno o compagna dalle decisioni che riguardano il figlio, per evitare tensioni o sensi di colpa. Il genitore biologico che mantiene un atteggiamento accudente e protettivo anche con una figlia ormai adulta, va incontro al rischio che la ragazza fatichi a confrontarsi con la realtà e a maturare un senso di responsabilità. Se manca quindi un’alleanza educativa tra i due adulti, si può creare una frattura che rende difficile trovare una linea condivisa, e questo finisce per pesare ancora di più su chi si sente messo da parte, sulla fratria, sulla coppia e su tutto l’assetto familiare.
Parlare di tutto questo in uno spazio terapeutico può essere l’occasione per mettere ordine nei ruoli, nei vissuti, nelle aspettative, e aiutare ogni membro della famiglia a occupare il posto che gli è più utile per crescere e vivere relazioni più sane ma anche per prendersi cura della sua coppia! Riconoscere ciò che si prova – rabbia, stanchezza, senso di esclusione – non è solo legittimo, ma è anche un punto di partenza importante per poter fare scelte più consapevoli e meno sofferte. Le relazioni familiari, anche quando complesse, possono evolvere in modo positivo, se si riesce ad ascoltare con attenzione i segnali che emergono e a dare nuovi significati a ciò che si vive.
Dr.ssa Rosalia Paternoster
quando si forma una nuova famiglia dopo una separazione o un divorzio, tutti – adulti e figli – si trovano a vivere un processo complesso, in cui i legami, i ruoli e le abitudini devono essere in parte ripensati. Non si tratta solo di “stare insieme” sotto lo stesso tetto, ma di costruire nuove relazioni, spesso mentre si cerca di mantenere in equilibrio quelle del passato.
Per chi è genitore, è naturale provare un senso di responsabilità verso i figli nati da una relazione precedente. A volte, però, questo può portare a un carico emotivo difficile da gestire: sensi di colpa, desiderio di “compensare” la separazione, timore di far soffrire ancora. In molti casi, ciò porta il genitore a essere meno chiaro nei confini educativi, magari diventando più permissivo, o evitando di esercitare una funzione normativa per paura di essere rifiutato e questo tipo di dinamica può creare confusione anche nei figli, che nel processo di crescita verso l’autonomia, si sentono legati da una lealtà profonda, spesso silenziosa, che li trattiene.
Il passaggio dei figli dall’adolescenza alla vita adulta, anche se biologicamente concluso, non avviene automaticamente in termini emotivi e relazionali. Alcuni figli restano più a lungo legati a dinamiche di dipendenza o evitamento, specialmente se percepiscono che da quella posizione ricevono protezione, attenzione o privilegi che temono di perdere nel diventare autonomi. Tuttavia, quando una figlia adulta mantiene atteggiamenti adolescenziali (come usare la casa solo come punto d’appoggio, non collaborare, non contribuire alle spese, evitare il confronto), diventa più faticoso definire con chiarezza ruoli e confini. In molte famiglie ricomposte, il partner del genitore può trovarsi in una posizione difficile, non riconosciuto come figura adulta legittimata a dire la sua, soprattutto se il genitore tende a tenere fuori il nuovo compagno o compagna dalle decisioni che riguardano il figlio, per evitare tensioni o sensi di colpa. Il genitore biologico che mantiene un atteggiamento accudente e protettivo anche con una figlia ormai adulta, va incontro al rischio che la ragazza fatichi a confrontarsi con la realtà e a maturare un senso di responsabilità. Se manca quindi un’alleanza educativa tra i due adulti, si può creare una frattura che rende difficile trovare una linea condivisa, e questo finisce per pesare ancora di più su chi si sente messo da parte, sulla fratria, sulla coppia e su tutto l’assetto familiare.
Parlare di tutto questo in uno spazio terapeutico può essere l’occasione per mettere ordine nei ruoli, nei vissuti, nelle aspettative, e aiutare ogni membro della famiglia a occupare il posto che gli è più utile per crescere e vivere relazioni più sane ma anche per prendersi cura della sua coppia! Riconoscere ciò che si prova – rabbia, stanchezza, senso di esclusione – non è solo legittimo, ma è anche un punto di partenza importante per poter fare scelte più consapevoli e meno sofferte. Le relazioni familiari, anche quando complesse, possono evolvere in modo positivo, se si riesce ad ascoltare con attenzione i segnali che emergono e a dare nuovi significati a ciò che si vive.
Dr.ssa Rosalia Paternoster
Buongiorno, io penso che 22 anni non sono così tanti e non mi sorprende che un padre voglia continuare ad aiutare la propria unica figlia, soprattutto se ha vissuto la perdita della madre. È comprensibile che lui senta il bisogno di esserci, di sostenerla anche materialmente ed emotivamente. Il problema, però, non è l’aiuto in sé ma il modo in cui questo aiuto viene gestito: senza limiti, senza dialogo, e soprattutto senza considerare il tuo punto di vista e l’equilibrio familiare.
Essere presenti per i figli adulti significa accompagnarli verso la responsabilità, non solo proteggerli. La questione, quindi, non è smettere di aiutare, ma fare in modo che quell’aiuto non diventi un’ingiustizia o un peso per gli altri componenti familiari. Trovo molto più grave l'atteggiamento che la ragazza ha nei tuoi confronti e le cose che ti dice. Questo evidenzia un conflitto fra di voi ed un suo non accettarti come figura di riferimento. Ma tu sei una figura di riferimento? riflettici. Perchè qui non si tratta di cattiveria ma di mancata accettazione reciproca ( e questo è un tema da elaborare). Se tuo figlio alla stessa età vivesse con voi alle stesse condizioni, tu come ti sentiresti? Forse saresti altrettanto in difficoltà quanto il tuo compagno.. Il mio consiglio è di parlare con lui in un contesto protetto, magari con il supporto di una consulenza di coppia o familiare: questo può aiutarvi a ridefinire i ruoli, i confini e soprattutto recuperare l'alleanza di coppia, senza la quale il rischio è che le tensioni tra voi crescano ancora. un cordiale saluto
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Essere presenti per i figli adulti significa accompagnarli verso la responsabilità, non solo proteggerli. La questione, quindi, non è smettere di aiutare, ma fare in modo che quell’aiuto non diventi un’ingiustizia o un peso per gli altri componenti familiari. Trovo molto più grave l'atteggiamento che la ragazza ha nei tuoi confronti e le cose che ti dice. Questo evidenzia un conflitto fra di voi ed un suo non accettarti come figura di riferimento. Ma tu sei una figura di riferimento? riflettici. Perchè qui non si tratta di cattiveria ma di mancata accettazione reciproca ( e questo è un tema da elaborare). Se tuo figlio alla stessa età vivesse con voi alle stesse condizioni, tu come ti sentiresti? Forse saresti altrettanto in difficoltà quanto il tuo compagno.. Il mio consiglio è di parlare con lui in un contesto protetto, magari con il supporto di una consulenza di coppia o familiare: questo può aiutarvi a ridefinire i ruoli, i confini e soprattutto recuperare l'alleanza di coppia, senza la quale il rischio è che le tensioni tra voi crescano ancora. un cordiale saluto
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Buongiorno e grazie per aver condiviso con tanta sincerità una situazione così complessa e dolorosa. È del tutto comprensibile che si senta frustrata, sfinita e anche non rispettata.
Vorrei offrirle una lettura psicologica della situazione, analizzando le dinamiche in gioco e proponendo qualche spunto di riflessione e azione. Cercherò di guardare alla situazione dal punto di vista di tutti i protagonisti, non per giustificare, ma per comprendere, perché la comprensione è il primo passo per trovare una soluzione.
Analisi delle Dinamiche Familiari
Quella che descrive è una classica "trappola" delle famiglie allargate, aggravata da un lutto significativo. Vediamo i ruoli:
1. Sua Figliastra: La "Bambina Adulta"
La figlia di suo marito ha quasi 22 anni, ma alcuni suoi comportamenti sono quelli di un'adolescente. La perdita della madre a 10 anni è un trauma enorme che può "congelare" lo sviluppo emotivo. Anche se oggi è una giovane donna che lavora, una parte di lei potrebbe essere ancora quella bambina di 10 anni che ha perso il suo punto di riferimento primario.
L'uso della casa come "albergo": È un modo per mantenere la sicurezza del nido familiare senza assumersi le responsabilità dell'età adulta. È il desiderio di avere un porto sicuro a cui tornare, un privilegio che non vuole perdere.
La frase "Cosa vuoi che non sei nessuno": Questa è una difesa molto potente. Non è (solo) un attacco personale a lei, ma un modo per proteggere il suo legame esclusivo con il padre e, forse, la memoria della madre. Riconoscerle un ruolo di autorità significherebbe, nella sua mente, "tradire" la figura materna e accettare una struttura familiare che non ha scelto.
La mancanza di collaborazione: Il suo "pulisco solo quello che uso" è una chiara dichiarazione di non sentirsi parte integrante del nucleo familiare attuale. Si considera un'ospite a lungo termine, non un membro che contribuisce al benessere comune.
2. Suo Marito: Il Padre "In Colpa"
Suo marito è stretto in una morsa. Da un lato, vede la realtà e le dà ragione ("basta, deve arrangiarsi"). Dall'altro, è sopraffatto da un probabile e profondissimo senso di colpa e da un istinto di iper-protezione.
Il senso di colpa del genitore superstite: Spesso, il genitore che rimane si sente in dovere di compensare l'assenza dell'altro. Teme di essere troppo duro, di far soffrire ancora di più una figlia che ha già sofferto tanto. Ogni richiesta le sembrerà un peso aggiuntivo, e cedere diventa il modo più semplice per evitare conflitti e placare la propria ansia.
La paura della perdita: Suo marito potrebbe temere che, se diventasse più severo, la figlia si allontanerebbe del tutto, tagliando i ponti. Questo lo terrorizza, e quindi preferisce "brontolare con lei" piuttosto che affrontare un confronto diretto con la figlia.
L'incoerenza: Il suo dire una cosa a lei e farne un'altra con la figlia è il sintomo più chiaro di questo conflitto interiore. Questo, purtroppo, mina la vostra alleanza di coppia e la sua autorevolezza come genitore.
3. Lei: La Partner e "Figura Esterna"
Lei si trova nel ruolo più difficile. È un'adulta responsabile che vede la situazione con lucidità e ne paga le conseguenze emotive e pratiche.
Il desiderio di giustizia ed equità: La sua reazione è sana. Non è "cattiva", è una persona che chiede rispetto, collaborazione e coerenza, elementi fondamentali per la convivenza.
Il senso di impotenza: Si scontra contro il muro eretto dalla ragazza e l'incoerenza del marito. Questo la porta a sentirsi sola in questa battaglia e a mettere in discussione il suo ruolo. La lite con suo marito è la conseguenza diretta del fatto che il problema principale (la gestione della figlia) non viene risolto e si riversa sulla coppia.
Cosa si può fare? Strategie e Percorsi
La soluzione non risiede in un'unica azione drastica, ma in un cambiamento di approccio che deve partire da lei e suo marito. Il problema principale, in questo momento, non è la figlia, ma la mancanza di un fronte comune tra voi due.
Passo 1: Ricostruire l'Alleanza di Coppia (Il punto più importante)
Dovete smettere di discutere della figlia e iniziare a parlare tra di voi.
Scegliete il momento giusto: Trovate un momento di calma, senza tensioni, per parlare. Non durante o subito dopo una lite. Iniziate la conversazione con un tono collaborativo: "Amore, vorrei parlare con te di come noi stiamo vivendo questa situazione, perché ci tengo a noi e voglio che troviamo una soluzione insieme".
Usate il linguaggio dell' "Io": Invece di dire "Tu non fai mai quello che dici", provi a dire "Io mi sento frustrata e sola quando prendiamo una decisione insieme e poi vedo che non riusciamo ad applicarla. Mi fa sentire che il mio parere non conta". Questo sposta il focus dal criticare lui all'esprimere il suo stato d'animo.
Mostri empatia per lui: Riconosca la sua difficoltà. Dica qualcosa come: "So che per te è difficilissimo e che hai paura di farla soffrire o di perderla. Capisco il tuo dolore e il tuo istinto di proteggerla. Ma dobbiamo trovare un modo che protegga lei, ma anche la nostra serenità e il nostro rapporto".
Definite un OBIETTIVO COMUNE: L'obiettivo non è "cacciare la figlia di casa", ma "aiutarla a diventare un'adulta responsabile e autonoma, mantenendo un rapporto sano con lei". Questo è un obiettivo d'amore, non di punizione.
Passo 2: Stabilire Regole Chiare, Realistiche e Condivise
Una volta che lei e suo marito siete allineati, dovete decidere insieme, nero su bianco, le nuove regole della casa. Queste devono essere poche, chiare e non negoziabili.
Contributo Economico: Se lavora ed è indipendente, un contributo è doveroso. Non è una punizione, è educazione alla realtà. I 200€ erano un buon inizio. Decidete insieme la cifra e la data entro cui deve essere versata. Spiegatele che non sono soldi "per voi", ma per le spese comuni di cui anche lei usufruisce (acqua, luce, gas, cibo se mangia a casa, tasse sui rifiuti, ecc.).
Gestione della Casa: Stabilite dei compiti precisi. Non "aiutare in casa", ma "il martedì è il tuo turno per pulire il bagno comune", "la cucina si lascia pulita dopo averla usata".
Spese Personali: Le spese dell'auto (bollo, assicurazione, meccanico) sono sue. Il padre può aiutarla una tantum se è in difficoltà, ma non deve essere la norma. La Legge Bersani è un aiuto iniziale, ma deve essere chiaro che il resto è a suo carico.
Passo 3: La Conversazione con la Figlia (A Fronte Unito)
Questa conversazione deve essere gestita INSIEME. È fondamentale che suo marito prenda la parola, ma che lei sia presente, silenziosa e solidale, per dimostrare che è una decisione di coppia.
Il tono: Deve essere amorevole ma fermo. "Figlia mia, ti vogliamo bene e siamo orgogliosi di te che lavori. Proprio perché sei diventata una donna, è arrivato il momento di fare un passo avanti nel tuo percorso di autonomia. Io e [suo nome] abbiamo parlato e abbiamo pensato che sia giusto per te e per la famiglia stabilire nuove regole di convivenza...".
Presentate le scelte: Non imponete, ma offrite alternative. "Puoi continuare a mantenere la residenza qui, e questo comporta un contributo di X euro al mese e questi compiti in casa. Oppure, se senti che la tua vita è ormai altrove, possiamo aiutarti a trovare una soluzione abitativa tutta tua. Amiamo averti qui, ma come adulta che contribuisce, non come ospite."
Siate pronti alle reazioni: Probabilmente si arrabbierà, farà la vittima o vi accuserà. Non cadete nella trappola della discussione. Ripetete con calma: "Questa è la nostra decisione, presa per il bene di tutti. Pensaci e facci sapere cosa scegli".
Conclusioni
Lei non è cattiva. Lei desidera una normalità che è sacrosanta. Il suo istinto di dire "prendi una decisione" è corretto, ma per essere efficace deve essere supportato da suo marito.
Il percorso che suo marito deve fare è quello di trasformare il suo ruolo da protettore di una bambina ferita a guida per una giovane donna. Amare un figlio adulto significa anche lasciarlo confrontare con le difficoltà della vita, perché è così che si cresce. Continuare a spianargli la strada non è un atto d'amore, ma un modo per renderlo più fragile a lungo termine.
Se vedete che da soli non riuscite a sbloccare la situazione, considerate un percorso di terapia familiare. Un professionista esterno può aiutarvi a comunicare meglio, a sciogliere questi nodi emotivi e a stabilire nuovi equilibri sani per tutti.
Non è una battaglia contro sua figlia, ma un percorso di crescita per tutta la famiglia. E inizia con lei e suo marito che decidete di percorrerlo insieme, mano nella mano.
Vorrei offrirle una lettura psicologica della situazione, analizzando le dinamiche in gioco e proponendo qualche spunto di riflessione e azione. Cercherò di guardare alla situazione dal punto di vista di tutti i protagonisti, non per giustificare, ma per comprendere, perché la comprensione è il primo passo per trovare una soluzione.
Analisi delle Dinamiche Familiari
Quella che descrive è una classica "trappola" delle famiglie allargate, aggravata da un lutto significativo. Vediamo i ruoli:
1. Sua Figliastra: La "Bambina Adulta"
La figlia di suo marito ha quasi 22 anni, ma alcuni suoi comportamenti sono quelli di un'adolescente. La perdita della madre a 10 anni è un trauma enorme che può "congelare" lo sviluppo emotivo. Anche se oggi è una giovane donna che lavora, una parte di lei potrebbe essere ancora quella bambina di 10 anni che ha perso il suo punto di riferimento primario.
L'uso della casa come "albergo": È un modo per mantenere la sicurezza del nido familiare senza assumersi le responsabilità dell'età adulta. È il desiderio di avere un porto sicuro a cui tornare, un privilegio che non vuole perdere.
La frase "Cosa vuoi che non sei nessuno": Questa è una difesa molto potente. Non è (solo) un attacco personale a lei, ma un modo per proteggere il suo legame esclusivo con il padre e, forse, la memoria della madre. Riconoscerle un ruolo di autorità significherebbe, nella sua mente, "tradire" la figura materna e accettare una struttura familiare che non ha scelto.
La mancanza di collaborazione: Il suo "pulisco solo quello che uso" è una chiara dichiarazione di non sentirsi parte integrante del nucleo familiare attuale. Si considera un'ospite a lungo termine, non un membro che contribuisce al benessere comune.
2. Suo Marito: Il Padre "In Colpa"
Suo marito è stretto in una morsa. Da un lato, vede la realtà e le dà ragione ("basta, deve arrangiarsi"). Dall'altro, è sopraffatto da un probabile e profondissimo senso di colpa e da un istinto di iper-protezione.
Il senso di colpa del genitore superstite: Spesso, il genitore che rimane si sente in dovere di compensare l'assenza dell'altro. Teme di essere troppo duro, di far soffrire ancora di più una figlia che ha già sofferto tanto. Ogni richiesta le sembrerà un peso aggiuntivo, e cedere diventa il modo più semplice per evitare conflitti e placare la propria ansia.
La paura della perdita: Suo marito potrebbe temere che, se diventasse più severo, la figlia si allontanerebbe del tutto, tagliando i ponti. Questo lo terrorizza, e quindi preferisce "brontolare con lei" piuttosto che affrontare un confronto diretto con la figlia.
L'incoerenza: Il suo dire una cosa a lei e farne un'altra con la figlia è il sintomo più chiaro di questo conflitto interiore. Questo, purtroppo, mina la vostra alleanza di coppia e la sua autorevolezza come genitore.
3. Lei: La Partner e "Figura Esterna"
Lei si trova nel ruolo più difficile. È un'adulta responsabile che vede la situazione con lucidità e ne paga le conseguenze emotive e pratiche.
Il desiderio di giustizia ed equità: La sua reazione è sana. Non è "cattiva", è una persona che chiede rispetto, collaborazione e coerenza, elementi fondamentali per la convivenza.
Il senso di impotenza: Si scontra contro il muro eretto dalla ragazza e l'incoerenza del marito. Questo la porta a sentirsi sola in questa battaglia e a mettere in discussione il suo ruolo. La lite con suo marito è la conseguenza diretta del fatto che il problema principale (la gestione della figlia) non viene risolto e si riversa sulla coppia.
Cosa si può fare? Strategie e Percorsi
La soluzione non risiede in un'unica azione drastica, ma in un cambiamento di approccio che deve partire da lei e suo marito. Il problema principale, in questo momento, non è la figlia, ma la mancanza di un fronte comune tra voi due.
Passo 1: Ricostruire l'Alleanza di Coppia (Il punto più importante)
Dovete smettere di discutere della figlia e iniziare a parlare tra di voi.
Scegliete il momento giusto: Trovate un momento di calma, senza tensioni, per parlare. Non durante o subito dopo una lite. Iniziate la conversazione con un tono collaborativo: "Amore, vorrei parlare con te di come noi stiamo vivendo questa situazione, perché ci tengo a noi e voglio che troviamo una soluzione insieme".
Usate il linguaggio dell' "Io": Invece di dire "Tu non fai mai quello che dici", provi a dire "Io mi sento frustrata e sola quando prendiamo una decisione insieme e poi vedo che non riusciamo ad applicarla. Mi fa sentire che il mio parere non conta". Questo sposta il focus dal criticare lui all'esprimere il suo stato d'animo.
Mostri empatia per lui: Riconosca la sua difficoltà. Dica qualcosa come: "So che per te è difficilissimo e che hai paura di farla soffrire o di perderla. Capisco il tuo dolore e il tuo istinto di proteggerla. Ma dobbiamo trovare un modo che protegga lei, ma anche la nostra serenità e il nostro rapporto".
Definite un OBIETTIVO COMUNE: L'obiettivo non è "cacciare la figlia di casa", ma "aiutarla a diventare un'adulta responsabile e autonoma, mantenendo un rapporto sano con lei". Questo è un obiettivo d'amore, non di punizione.
Passo 2: Stabilire Regole Chiare, Realistiche e Condivise
Una volta che lei e suo marito siete allineati, dovete decidere insieme, nero su bianco, le nuove regole della casa. Queste devono essere poche, chiare e non negoziabili.
Contributo Economico: Se lavora ed è indipendente, un contributo è doveroso. Non è una punizione, è educazione alla realtà. I 200€ erano un buon inizio. Decidete insieme la cifra e la data entro cui deve essere versata. Spiegatele che non sono soldi "per voi", ma per le spese comuni di cui anche lei usufruisce (acqua, luce, gas, cibo se mangia a casa, tasse sui rifiuti, ecc.).
Gestione della Casa: Stabilite dei compiti precisi. Non "aiutare in casa", ma "il martedì è il tuo turno per pulire il bagno comune", "la cucina si lascia pulita dopo averla usata".
Spese Personali: Le spese dell'auto (bollo, assicurazione, meccanico) sono sue. Il padre può aiutarla una tantum se è in difficoltà, ma non deve essere la norma. La Legge Bersani è un aiuto iniziale, ma deve essere chiaro che il resto è a suo carico.
Passo 3: La Conversazione con la Figlia (A Fronte Unito)
Questa conversazione deve essere gestita INSIEME. È fondamentale che suo marito prenda la parola, ma che lei sia presente, silenziosa e solidale, per dimostrare che è una decisione di coppia.
Il tono: Deve essere amorevole ma fermo. "Figlia mia, ti vogliamo bene e siamo orgogliosi di te che lavori. Proprio perché sei diventata una donna, è arrivato il momento di fare un passo avanti nel tuo percorso di autonomia. Io e [suo nome] abbiamo parlato e abbiamo pensato che sia giusto per te e per la famiglia stabilire nuove regole di convivenza...".
Presentate le scelte: Non imponete, ma offrite alternative. "Puoi continuare a mantenere la residenza qui, e questo comporta un contributo di X euro al mese e questi compiti in casa. Oppure, se senti che la tua vita è ormai altrove, possiamo aiutarti a trovare una soluzione abitativa tutta tua. Amiamo averti qui, ma come adulta che contribuisce, non come ospite."
Siate pronti alle reazioni: Probabilmente si arrabbierà, farà la vittima o vi accuserà. Non cadete nella trappola della discussione. Ripetete con calma: "Questa è la nostra decisione, presa per il bene di tutti. Pensaci e facci sapere cosa scegli".
Conclusioni
Lei non è cattiva. Lei desidera una normalità che è sacrosanta. Il suo istinto di dire "prendi una decisione" è corretto, ma per essere efficace deve essere supportato da suo marito.
Il percorso che suo marito deve fare è quello di trasformare il suo ruolo da protettore di una bambina ferita a guida per una giovane donna. Amare un figlio adulto significa anche lasciarlo confrontare con le difficoltà della vita, perché è così che si cresce. Continuare a spianargli la strada non è un atto d'amore, ma un modo per renderlo più fragile a lungo termine.
Se vedete che da soli non riuscite a sbloccare la situazione, considerate un percorso di terapia familiare. Un professionista esterno può aiutarvi a comunicare meglio, a sciogliere questi nodi emotivi e a stabilire nuovi equilibri sani per tutti.
Non è una battaglia contro sua figlia, ma un percorso di crescita per tutta la famiglia. E inizia con lei e suo marito che decidete di percorrerlo insieme, mano nella mano.
Cara paziente,la tua stanchezza è più che comprensibile, e no… non sei cattiva. Sei semplicemente una donna che cerca di vivere in una casa dove regole, rispetto e collaborazione dovrebbero essere reciproci, ma al momento ti sembra di portare tutto il peso da sola.La situazione che descrivi è complessa: da un lato una ragazza adulta, indipendente, che però si comporta ancora come se tutto le fosse dovuto. Dall’altro un padre che sembra oscillare tra il volerla responsabilizzare e il timore di perderla, e in mezzo… ci sei tu, con il tuo senso di giustizia e il bisogno – legittimo – di sentirti ascoltata, sostenuta e rispettata dentro casa tua.
Il punto, infatti, non è solo lei, ma soprattutto il fatto che tuo marito non riesca a mantenere una posizione chiara. Quando non prende decisioni ferme, quando ti lascia sola a gestire i conflitti, quando ti dà ragione ma poi nei fatti fa il contrario… finisce per alimentare la tensione, e voi due vi ritrovate a litigare tra voi invece che affrontare il problema come una squadra.
Hai tutto il diritto di chiedere rispetto dei ruoli, partecipazione e confini. Nessuno ti vieta di voler bene alla figlia di tuo marito, ma una relazione si costruisce con il rispetto reciproco, non con l’imposizione o con il silenzio.
Forse può essere utile affrontare la questione in un momento di calma, con tuo marito, cercando di dirgli non solo cosa non va, ma come ti fa sentire il fatto di essere ignorata o lasciata sola nella gestione. Se vuoi, possiamo lavorarci insieme e trovare il modo più efficace per farti ascoltare senza che la conversazione si trasformi in uno scontro.
Ricorda: chiedere equilibrio non è egoismo. È rispetto di sé.
Sono qui se vuoi approfondire o fare un lavoro più mirato su questo tema.
Un caro saluto
Il punto, infatti, non è solo lei, ma soprattutto il fatto che tuo marito non riesca a mantenere una posizione chiara. Quando non prende decisioni ferme, quando ti lascia sola a gestire i conflitti, quando ti dà ragione ma poi nei fatti fa il contrario… finisce per alimentare la tensione, e voi due vi ritrovate a litigare tra voi invece che affrontare il problema come una squadra.
Hai tutto il diritto di chiedere rispetto dei ruoli, partecipazione e confini. Nessuno ti vieta di voler bene alla figlia di tuo marito, ma una relazione si costruisce con il rispetto reciproco, non con l’imposizione o con il silenzio.
Forse può essere utile affrontare la questione in un momento di calma, con tuo marito, cercando di dirgli non solo cosa non va, ma come ti fa sentire il fatto di essere ignorata o lasciata sola nella gestione. Se vuoi, possiamo lavorarci insieme e trovare il modo più efficace per farti ascoltare senza che la conversazione si trasformi in uno scontro.
Ricorda: chiedere equilibrio non è egoismo. È rispetto di sé.
Sono qui se vuoi approfondire o fare un lavoro più mirato su questo tema.
Un caro saluto
Buongiorno,
La situazione che descrive è sicuramente complessa e fonte di tensione, non solo nel rapporto con sua figlia acquisita, ma anche, e forse soprattutto, nella relazione di coppia. Il rischio, in questi casi, è che i ruoli diventino confusi, le responsabilità non condivise in modo equilibrato e le divergenze educative generino conflitti continui, come sta accadendo a voi.
In questi casi può essere molto utile intraprendere un percorso di coordinamento genitoriale.
Si tratta di un intervento mirato a supportare la coppia nel trovare un’intesa educativa, chiarire i ruoli e prendere decisioni condivise rispetto alla gestione dei figli, specialmente in famiglie ricostituite. Potrebbe essere un valido aiuto per ritrovare equilibrio e collaborazione, evitando che i conflitti ricadano sul vostro rapporto.
Per qualsiasi altro approfondimento, resto a disposizione.
Cordiali saluti
La situazione che descrive è sicuramente complessa e fonte di tensione, non solo nel rapporto con sua figlia acquisita, ma anche, e forse soprattutto, nella relazione di coppia. Il rischio, in questi casi, è che i ruoli diventino confusi, le responsabilità non condivise in modo equilibrato e le divergenze educative generino conflitti continui, come sta accadendo a voi.
In questi casi può essere molto utile intraprendere un percorso di coordinamento genitoriale.
Si tratta di un intervento mirato a supportare la coppia nel trovare un’intesa educativa, chiarire i ruoli e prendere decisioni condivise rispetto alla gestione dei figli, specialmente in famiglie ricostituite. Potrebbe essere un valido aiuto per ritrovare equilibrio e collaborazione, evitando che i conflitti ricadano sul vostro rapporto.
Per qualsiasi altro approfondimento, resto a disposizione.
Cordiali saluti
Quello che racconti è una situazione molto chiara: tu e tuo marito avete due modi diversi di gestire sua figlia, e questo crea conflitto nella coppia. La ragazza ha 22 anni, lavora, ha un fidanzato con cui di fatto convive, ma continua a usare la casa del padre come base logistica e a ricevere da lui aiuti economici e pratici. In altre parole, gode di vantaggi da “figlia mantenuta”, senza però assumersi responsabilità o dare contributi alla famiglia.
I punti principali sono:
– La ragazza è adulta. È normale e sano che abbia la sua indipendenza, ma se sceglie di vivere altrove (dal fidanzato), allora non può continuare a trattare la casa del padre come un albergo gratuito senza regole né doveri.
– Il problema non è lei, ma il padre. Tu stessa lo hai visto: quando ne parlate lui dice “basta, da oggi si arrangia”, ma poi al momento concreto cede e la asseconda. Questo manda un messaggio ambiguo: a parole chiede responsabilità, nei fatti gliele toglie.
– Il tuo ruolo. Purtroppo hai ragione: se provi a dirle qualcosa direttamente, rischi solo di sentirti rispondere “non sei nessuno”. La gestione deve arrivare dal padre, perché solo da lui può accettare regole senza viverle come un attacco.
– Il peso sulla coppia. Finché lui continuerà a “fare il genitore buono” con lei e a sfogarsi poi con te, sarete sempre voi due a litigare, mentre lei rimarrà al centro senza cambiare nulla.
Quindi, più che chiederti se sei “cattiva” (non lo sei: stai chiedendo buon senso e rispetto), la questione è: tu e tuo marito dovete mettervi d’accordo. Non sulla ragazza, ma su di voi come coppia. O decidete insieme quali regole imporre e vi sostenete a vicenda, oppure la dinamica resterà questa: tu ti arrabbi, lui cede, voi litigate.
Un’idea concreta: provate a stabilire in anticipo delle regole minime chiare e non negoziabili — contributo economico simbolico per le spese di casa, partecipazione ai lavori domestici, gestione della macchina a carico suo — e che sia il padre a comunicarle. Non tutto insieme, ma almeno un primo passo.
In sintesi: la tua percezione è corretta, la situazione non è sostenibile. Ma il cambiamento può arrivare solo se tuo marito smette di oscillare tra il “parlare da severo” e il “fare da genitore servizievole”. Se resta ambiguo, la figlia continuerà a vivere comoda, e tu a sentirti fuori posto.
Dott.ssa De Pretto
I punti principali sono:
– La ragazza è adulta. È normale e sano che abbia la sua indipendenza, ma se sceglie di vivere altrove (dal fidanzato), allora non può continuare a trattare la casa del padre come un albergo gratuito senza regole né doveri.
– Il problema non è lei, ma il padre. Tu stessa lo hai visto: quando ne parlate lui dice “basta, da oggi si arrangia”, ma poi al momento concreto cede e la asseconda. Questo manda un messaggio ambiguo: a parole chiede responsabilità, nei fatti gliele toglie.
– Il tuo ruolo. Purtroppo hai ragione: se provi a dirle qualcosa direttamente, rischi solo di sentirti rispondere “non sei nessuno”. La gestione deve arrivare dal padre, perché solo da lui può accettare regole senza viverle come un attacco.
– Il peso sulla coppia. Finché lui continuerà a “fare il genitore buono” con lei e a sfogarsi poi con te, sarete sempre voi due a litigare, mentre lei rimarrà al centro senza cambiare nulla.
Quindi, più che chiederti se sei “cattiva” (non lo sei: stai chiedendo buon senso e rispetto), la questione è: tu e tuo marito dovete mettervi d’accordo. Non sulla ragazza, ma su di voi come coppia. O decidete insieme quali regole imporre e vi sostenete a vicenda, oppure la dinamica resterà questa: tu ti arrabbi, lui cede, voi litigate.
Un’idea concreta: provate a stabilire in anticipo delle regole minime chiare e non negoziabili — contributo economico simbolico per le spese di casa, partecipazione ai lavori domestici, gestione della macchina a carico suo — e che sia il padre a comunicarle. Non tutto insieme, ma almeno un primo passo.
In sintesi: la tua percezione è corretta, la situazione non è sostenibile. Ma il cambiamento può arrivare solo se tuo marito smette di oscillare tra il “parlare da severo” e il “fare da genitore servizievole”. Se resta ambiguo, la figlia continuerà a vivere comoda, e tu a sentirti fuori posto.
Dott.ssa De Pretto
Grazie per aver condiviso la sua esperienza, così concreta e piena di emozioni contrastanti.
Dalle sue parole emerge un forte senso di frustrazione: da un lato il desiderio di far crescere questa ragazza e renderla più autonoma, dall’altro la difficoltà di sentirsi impotente davanti a un padre che, pur lamentandosene, continua a proteggerla come fosse ancora una bambina.
Quello che racconta non riguarda solo la figlia, ma la dinamica familiare: lei si sente poco riconosciuta nel suo ruolo e privata di autorevolezza (“non sei nessuno”), e questo, inevitabilmente, mina l’equilibrio della coppia. La vera questione, infatti, non è tanto la ragazza, ma la distanza tra lei e suo marito nel modo di gestire le regole e le responsabilità.
Alcuni spunti riflessivi:
A 22 anni è giusto chiedere a un figlio di essere responsabile, contribuire in casa e imparare a cavarsela. Continuare a sostenerlo in tutto rischia di bloccarne la crescita.
Il comportamento di suo marito – oscillare tra “da oggi deve arrangiarsi” e poi correre a sistemarle tutto – mantiene la figlia in una sorta di limbo, che è comodo per lei ma logorante per voi.
La sua insofferenza è comprensibile: non è “cattiva”, è solo una persona adulta che chiede coerenza e rispetto dentro le mura di casa.
Forse il passo importante è trasformare la discussione da “lei contro la ragazza” a “lei insieme al marito contro il problema”. Finché il padre non prende una posizione chiara e condivisa, lei rischierà sempre di passare per la matrigna rigida, mentre lui resta il “buono”. Parlare con suo marito, in un momento di calma, potrebbe aiutarvi a stabilire regole comuni: un contributo economico fisso, delle mansioni minime da rispettare, e la chiarezza che la casa non è un hotel ma un luogo di convivenza.
Dalle sue parole emerge un forte senso di frustrazione: da un lato il desiderio di far crescere questa ragazza e renderla più autonoma, dall’altro la difficoltà di sentirsi impotente davanti a un padre che, pur lamentandosene, continua a proteggerla come fosse ancora una bambina.
Quello che racconta non riguarda solo la figlia, ma la dinamica familiare: lei si sente poco riconosciuta nel suo ruolo e privata di autorevolezza (“non sei nessuno”), e questo, inevitabilmente, mina l’equilibrio della coppia. La vera questione, infatti, non è tanto la ragazza, ma la distanza tra lei e suo marito nel modo di gestire le regole e le responsabilità.
Alcuni spunti riflessivi:
A 22 anni è giusto chiedere a un figlio di essere responsabile, contribuire in casa e imparare a cavarsela. Continuare a sostenerlo in tutto rischia di bloccarne la crescita.
Il comportamento di suo marito – oscillare tra “da oggi deve arrangiarsi” e poi correre a sistemarle tutto – mantiene la figlia in una sorta di limbo, che è comodo per lei ma logorante per voi.
La sua insofferenza è comprensibile: non è “cattiva”, è solo una persona adulta che chiede coerenza e rispetto dentro le mura di casa.
Forse il passo importante è trasformare la discussione da “lei contro la ragazza” a “lei insieme al marito contro il problema”. Finché il padre non prende una posizione chiara e condivisa, lei rischierà sempre di passare per la matrigna rigida, mentre lui resta il “buono”. Parlare con suo marito, in un momento di calma, potrebbe aiutarvi a stabilire regole comuni: un contributo economico fisso, delle mansioni minime da rispettare, e la chiarezza che la casa non è un hotel ma un luogo di convivenza.
Capisco perfettamente la tua frustrazione: ti ritrovi a gestire una situazione ingiusta, in cui senti di dover sostenere responsabilità che non ti appartengono, senza poter esprimere liberamente il tuo disagio. Il tuo punto di vista è comprensibile: a 22 anni è giusto che una ragazza inizi a capire cosa significa contribuire e prendersi cura degli spazi in cui vive.
Allo stesso tempo, è evidente che tuo marito, per senso di colpa e bisogno di proteggere la figlia, fatichi a porre limiti chiari. Finché lui non prende una posizione coerente, tu continuerai a sentirti impotente e arrabbiata. Sarebbe utile che **parlaste insieme, come coppia,** non solo del comportamento di sua figlia, ma anche dei vostri ruoli: cosa siete disposti a tollerare e cosa no.
Non sei “cattiva”: stai solo cercando equilibrio e rispetto dentro casa tua. La chiave sarà aiutare tuo marito a capire che stabilire confini non significa mancare d’amore, ma insegnare responsabilità.
Allo stesso tempo, è evidente che tuo marito, per senso di colpa e bisogno di proteggere la figlia, fatichi a porre limiti chiari. Finché lui non prende una posizione coerente, tu continuerai a sentirti impotente e arrabbiata. Sarebbe utile che **parlaste insieme, come coppia,** non solo del comportamento di sua figlia, ma anche dei vostri ruoli: cosa siete disposti a tollerare e cosa no.
Non sei “cattiva”: stai solo cercando equilibrio e rispetto dentro casa tua. La chiave sarà aiutare tuo marito a capire che stabilire confini non significa mancare d’amore, ma insegnare responsabilità.
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