Buonasera Sono consapevole di aver sofferto di disturbi alimentari. Tutto ebbe inizio con un calo
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Buonasera
Sono consapevole di aver sofferto di disturbi alimentari. Tutto ebbe inizio con un calo drastico di peso a seguito di una delusione d amore (non riuscivo a mangiare), persi circa 12 kg in poco più di un mese. Da lì iniziai con il controllo ossessivo del mio peso. Mi pesavo molte volte al giorno. In seguito iniziai palestra e un percorso di bodybuilding.. dall ossessione del peso, all ossessione del cibo, pesa alimenti, calorie. Dopo mesi di presunta normalità abbuffare con sensi di colpa. Ho provato 2 volte a indurre il vomito ma ero abbastanza lucida (forse) per non farlo. Passano i mesi, il corpo cambia, cambia anche il disturbo.. a distanza di 10 anni sono consapevole che non riesco a controllarmi più con il cibo e mi pervadono i sensi di colpa per qualche biscotto. O qualcosa che non sia dietetico, che non sia riso, pollo, tonno. So che ho la visione distorta del mio corpo. Mi accorgo dalle foto che vengono scattate e mi chiedo : ma sono così ?? Non riesco nemmeno a dirlo "magra" perche non mi ci vedo.
Non so più che cosa significa mangiare "normale" se mangio come gli altri sento che sbaglio , se chiedo aiuto.. ho paura, paura di perdere sempre più il controllo. Sono consapevole di avere qualcosa che non va ma non grave come l anoressia, la bulimia. Anche per quello sto tergiversando ... Vorrei chiedere aiuto ma ho paura
Sono consapevole di aver sofferto di disturbi alimentari. Tutto ebbe inizio con un calo drastico di peso a seguito di una delusione d amore (non riuscivo a mangiare), persi circa 12 kg in poco più di un mese. Da lì iniziai con il controllo ossessivo del mio peso. Mi pesavo molte volte al giorno. In seguito iniziai palestra e un percorso di bodybuilding.. dall ossessione del peso, all ossessione del cibo, pesa alimenti, calorie. Dopo mesi di presunta normalità abbuffare con sensi di colpa. Ho provato 2 volte a indurre il vomito ma ero abbastanza lucida (forse) per non farlo. Passano i mesi, il corpo cambia, cambia anche il disturbo.. a distanza di 10 anni sono consapevole che non riesco a controllarmi più con il cibo e mi pervadono i sensi di colpa per qualche biscotto. O qualcosa che non sia dietetico, che non sia riso, pollo, tonno. So che ho la visione distorta del mio corpo. Mi accorgo dalle foto che vengono scattate e mi chiedo : ma sono così ?? Non riesco nemmeno a dirlo "magra" perche non mi ci vedo.
Non so più che cosa significa mangiare "normale" se mangio come gli altri sento che sbaglio , se chiedo aiuto.. ho paura, paura di perdere sempre più il controllo. Sono consapevole di avere qualcosa che non va ma non grave come l anoressia, la bulimia. Anche per quello sto tergiversando ... Vorrei chiedere aiuto ma ho paura
Grazie per aver condiviso qualcosa di così profondo e difficile. Le tue parole raccontano con grande chiarezza quanto hai vissuto e quanto stai ancora attraversando. Non è facile riconoscere e mettere a fuoco un dolore così silenzioso, che spesso viene mascherato da forza di volontà, autocontrollo, “vita sana”. Ma tu l’hai fatto. E già questo è un passo importante, forse il primo davvero autentico verso una possibilità diversa.
Quello che descrivi non è “solo” un periodo difficile: è un vissuto che ha assunto nel tempo caratteristiche proprie di un disturbo del comportamento alimentare. Anche se non ti riconosci pienamente in un’etichetta precisa come anoressia o bulimia, non significa che la sofferenza sia minore o che non meriti ascolto. I DCA spesso si muovono in territori sfumati, si trasformano nel tempo, cambiano volto ma non lasciano mai davvero il corpo e la mente in pace. Le abbuffate, i sensi di colpa, il bisogno di controllo, la paura di perdere il controllo, la distorsione dell’immagine corporea: sono segnali importanti, e tutti insieme parlano chiaro.
Non sei sbagliata. Non sei debole. Non sei esagerata. Hai sviluppato una strategia per sopravvivere a un dolore – inizialmente una delusione affettiva, poi forse molto di più – e quella strategia ha preso spazio, fino a diventare una gabbia. Ma la consapevolezza che qualcosa non va, il dubbio su cosa significhi mangiare in modo “normale”, la fatica nel vederti come sei davvero… tutto questo è il tuo modo, lucido e coraggioso, di bussare piano alla porta del cambiamento.
Hai paura a chiedere aiuto, ed è comprensibile. Lo fanno in tante, in tanti. Paura di non essere creduti, di essere giudicati, di dover “abbandonare” l’unico modo conosciuto per sentirsi un po’ in controllo. Ma il vero pericolo non è chiedere aiuto: è restare soli dentro questa lotta continua. Un aiuto psicologico – magari specializzato nei disturbi alimentari – non ti porterà via il controllo, ma ti accompagnerà a capire da cosa stai cercando di proteggerti, e come puoi iniziare a farlo in modo più sano e più libero.
Non devi avere tutto chiaro per iniziare. Basta avere un punto fermo: il desiderio di stare meglio, anche se piccolo, anche se confuso. Tu lo stai già sentendo.
Ti meriti cura. Ti meriti pace. Anche col cibo, anche con il tuo corpo.
Sempre.
Quello che descrivi non è “solo” un periodo difficile: è un vissuto che ha assunto nel tempo caratteristiche proprie di un disturbo del comportamento alimentare. Anche se non ti riconosci pienamente in un’etichetta precisa come anoressia o bulimia, non significa che la sofferenza sia minore o che non meriti ascolto. I DCA spesso si muovono in territori sfumati, si trasformano nel tempo, cambiano volto ma non lasciano mai davvero il corpo e la mente in pace. Le abbuffate, i sensi di colpa, il bisogno di controllo, la paura di perdere il controllo, la distorsione dell’immagine corporea: sono segnali importanti, e tutti insieme parlano chiaro.
Non sei sbagliata. Non sei debole. Non sei esagerata. Hai sviluppato una strategia per sopravvivere a un dolore – inizialmente una delusione affettiva, poi forse molto di più – e quella strategia ha preso spazio, fino a diventare una gabbia. Ma la consapevolezza che qualcosa non va, il dubbio su cosa significhi mangiare in modo “normale”, la fatica nel vederti come sei davvero… tutto questo è il tuo modo, lucido e coraggioso, di bussare piano alla porta del cambiamento.
Hai paura a chiedere aiuto, ed è comprensibile. Lo fanno in tante, in tanti. Paura di non essere creduti, di essere giudicati, di dover “abbandonare” l’unico modo conosciuto per sentirsi un po’ in controllo. Ma il vero pericolo non è chiedere aiuto: è restare soli dentro questa lotta continua. Un aiuto psicologico – magari specializzato nei disturbi alimentari – non ti porterà via il controllo, ma ti accompagnerà a capire da cosa stai cercando di proteggerti, e come puoi iniziare a farlo in modo più sano e più libero.
Non devi avere tutto chiaro per iniziare. Basta avere un punto fermo: il desiderio di stare meglio, anche se piccolo, anche se confuso. Tu lo stai già sentendo.
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Buongiorno,
intanto la ringrazio per la sua lucida e consapevole analisi. Le consiglierei, anche alla luce dei timori che ha espresso, di iniziare con una prima fase di consultazione (3-4 colloqui), durante la quale poter parlare proprio di queste paure. Ad esempio, il timore di perdere il controllo.
Non è raro, infatti, che all’inizio emergano timori e, di conseguenza, resistenze nel cominciare un percorso di psicoterapia. Domande come: “Sono così da tanti anni, perché dovrei cambiare?” oppure “Quali rischi comporta questa scelta? E se invece di migliorare, peggiorassi?” sono frequenti e comprensibili.
Ritengo molto importante, in una fase iniziale, dare spazio a questi interrogativi e metterli in primo piano. È un lavoro preliminare fondamentale, non solo per aiutarla a stare meglio e costruire un’immagine di sé più vicina a come desidera sentirsi, ma anche per farlo rispettando le sue tempistiche, in un modo che le sia più congeniale.
Si confronti con un professionista: vedrà che saprà affiancarla con rispetto e competenza. E, mi permetta di aggiungere, aver scritto questo post è già un primo passo importante.
Cordiali saluti.
intanto la ringrazio per la sua lucida e consapevole analisi. Le consiglierei, anche alla luce dei timori che ha espresso, di iniziare con una prima fase di consultazione (3-4 colloqui), durante la quale poter parlare proprio di queste paure. Ad esempio, il timore di perdere il controllo.
Non è raro, infatti, che all’inizio emergano timori e, di conseguenza, resistenze nel cominciare un percorso di psicoterapia. Domande come: “Sono così da tanti anni, perché dovrei cambiare?” oppure “Quali rischi comporta questa scelta? E se invece di migliorare, peggiorassi?” sono frequenti e comprensibili.
Ritengo molto importante, in una fase iniziale, dare spazio a questi interrogativi e metterli in primo piano. È un lavoro preliminare fondamentale, non solo per aiutarla a stare meglio e costruire un’immagine di sé più vicina a come desidera sentirsi, ma anche per farlo rispettando le sue tempistiche, in un modo che le sia più congeniale.
Si confronti con un professionista: vedrà che saprà affiancarla con rispetto e competenza. E, mi permetta di aggiungere, aver scritto questo post è già un primo passo importante.
Cordiali saluti.
Non è facile iniziare un percorso terapeutico. CI sono sempre delle resistenze molto forti da affrontare, ma già il fatto che lei ammetta di avere paura mi sembra già un buon grado di consapevolezza. Chissà quante altre cose potrebbe scoprire su di sè iniziando un percorso serio. Chissà come sarebbe vivere senza questo peso del controllo. Deve fare solo l'ultimo passo e chiedere l'aiuto di uno specialista.
Dott. Paolo Di San Diego
Dott. Paolo Di San Diego
la ringrazio per il coraggio con cui ha condiviso una parte così intima e complessa della sua esperienza. Scrivere ciò che ha scritto non è affatto semplice, ma è già un importante primo passo verso una maggiore consapevolezza e possibilità di cambiamento.
La sofferenza che descrive ha attraversato diverse fasi della sua vita, assumendo forme differenti, ma mantenendo un nucleo emotivo profondo e persistente: la lotta con il controllo, con il senso di colpa, con l’immagine corporea e con l’insicurezza legata al sentirsi inadeguata rispetto a sé stessa e agli altri.
Queste esperienze non vengono lette come semplici “sintomi da eliminare”, ma come tentativi – spesso molto sofferenti – di dare senso e trovare un equilibrio in un mondo interno percepito come fragile, incerto o spaventoso. La sua storia alimentare sembra raccontare una ricerca di controllo per gestire un dolore più profondo, un bisogno di sicurezza, di definizione, di protezione. In questa luce, l’iper-controllo sul cibo, le regole rigide, le abbuffate, la paura di "sbagliare" alimentandosi come gli altri, sono modi attraverso i quali ha cercato di regolare emozioni difficili, di lenire ferite relazionali e di costruirsi un'identità più accettabile, più “gestibile”.
Non è raro che un disturbo alimentare evolva nel tempo, cambi forma, ma continui a esprimere un senso di disagio più profondo. Il fatto che lei si renda conto della distorsione nell’immagine corporea e che metta in discussione le sue percezioni è un segnale molto importante: mostra una capacità di osservazione metacognitiva.
A volte la relazione con il cibo diventa un modo per sopperire a bisogni relazionali frustrati o temuti – come quello di attaccamento, di accudimento o di riconoscimento.
Non occorre "essere abbastanza gravi" per chiedere aiuto: ogni volta che ci si sente prigionieri di qualcosa che limita la libertà di vivere con serenità, quella è una ragione sufficiente per iniziare un percorso.
Non è sola. Il fatto che abbia già messo in parola tutto questo è un grande segnale di consapevolezza e apertura.
La sofferenza che descrive ha attraversato diverse fasi della sua vita, assumendo forme differenti, ma mantenendo un nucleo emotivo profondo e persistente: la lotta con il controllo, con il senso di colpa, con l’immagine corporea e con l’insicurezza legata al sentirsi inadeguata rispetto a sé stessa e agli altri.
Queste esperienze non vengono lette come semplici “sintomi da eliminare”, ma come tentativi – spesso molto sofferenti – di dare senso e trovare un equilibrio in un mondo interno percepito come fragile, incerto o spaventoso. La sua storia alimentare sembra raccontare una ricerca di controllo per gestire un dolore più profondo, un bisogno di sicurezza, di definizione, di protezione. In questa luce, l’iper-controllo sul cibo, le regole rigide, le abbuffate, la paura di "sbagliare" alimentandosi come gli altri, sono modi attraverso i quali ha cercato di regolare emozioni difficili, di lenire ferite relazionali e di costruirsi un'identità più accettabile, più “gestibile”.
Non è raro che un disturbo alimentare evolva nel tempo, cambi forma, ma continui a esprimere un senso di disagio più profondo. Il fatto che lei si renda conto della distorsione nell’immagine corporea e che metta in discussione le sue percezioni è un segnale molto importante: mostra una capacità di osservazione metacognitiva.
A volte la relazione con il cibo diventa un modo per sopperire a bisogni relazionali frustrati o temuti – come quello di attaccamento, di accudimento o di riconoscimento.
Non occorre "essere abbastanza gravi" per chiedere aiuto: ogni volta che ci si sente prigionieri di qualcosa che limita la libertà di vivere con serenità, quella è una ragione sufficiente per iniziare un percorso.
Non è sola. Il fatto che abbia già messo in parola tutto questo è un grande segnale di consapevolezza e apertura.
Buonasera,
innanzitutto grazie per aver condiviso con così tanta sincerità il tuo vissuto. Quello che descrivi è un percorso complesso e doloroso, che coinvolge non solo il rapporto con il cibo e il corpo, ma anche aspetti profondamente emotivi e relazionali.
Il fatto che tu sia consapevole delle dinamiche che ti accompagnano da anni – dal drastico calo di peso iniziale, al controllo ossessivo, alla difficoltà nel riconoscere la fame, la sazietà, fino al senso di colpa e alla paura di perdere il controllo – è un segnale molto importante. Spesso chi affronta disturbi alimentari sviluppa una relazione ambivalente con il proprio disagio: da un lato c'è la consapevolezza che qualcosa non va, dall'altro la paura di affrontare il cambiamento.
Va sottolineato che i disturbi alimentari non devono necessariamente rientrare in una categoria “grave” o “diagnosticabile” come anoressia o bulimia per essere fonte di sofferenza reale. Esistono forme meno conosciute, ma comunque invalidanti, come il Disturbo da Alimentazione Incontrollata, l’Ortoressia, o i Disturbi Sottosoglia, che hanno un impatto significativo sulla qualità della vita.
Il corpo e il cibo sono diventati per te strumenti per cercare di gestire emozioni difficili, come la delusione, la frustrazione, la paura di perdere il controllo. Questo legame può rendere difficile fidarsi di un’alimentazione libera, spontanea, “normale”, come la chiami tu, e può portare a vivere con un costante senso di colpa o inadeguatezza.
Il senso di distorsione dell’immagine corporea che riferisci – quel non riconoscersi nelle foto, il non riuscire a dire "sono magra" – è un aspetto centrale in molti disturbi alimentari, e può mantenere attiva la spirale del disagio.
La tua voglia di chiedere aiuto, nonostante la paura, è già un passo molto importante e coraggioso. È comprensibile avere timore di ciò che si può incontrare lungo un percorso terapeutico, ma è proprio attraverso un lavoro psicologico personalizzato che è possibile esplorare le radici del malessere, imparare a gestire le emozioni in modo più sano, e soprattutto costruire un nuovo rapporto con il proprio corpo e con il cibo, basato sull’ascolto e sulla cura di sé.
Per tutto questo, sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
innanzitutto grazie per aver condiviso con così tanta sincerità il tuo vissuto. Quello che descrivi è un percorso complesso e doloroso, che coinvolge non solo il rapporto con il cibo e il corpo, ma anche aspetti profondamente emotivi e relazionali.
Il fatto che tu sia consapevole delle dinamiche che ti accompagnano da anni – dal drastico calo di peso iniziale, al controllo ossessivo, alla difficoltà nel riconoscere la fame, la sazietà, fino al senso di colpa e alla paura di perdere il controllo – è un segnale molto importante. Spesso chi affronta disturbi alimentari sviluppa una relazione ambivalente con il proprio disagio: da un lato c'è la consapevolezza che qualcosa non va, dall'altro la paura di affrontare il cambiamento.
Va sottolineato che i disturbi alimentari non devono necessariamente rientrare in una categoria “grave” o “diagnosticabile” come anoressia o bulimia per essere fonte di sofferenza reale. Esistono forme meno conosciute, ma comunque invalidanti, come il Disturbo da Alimentazione Incontrollata, l’Ortoressia, o i Disturbi Sottosoglia, che hanno un impatto significativo sulla qualità della vita.
Il corpo e il cibo sono diventati per te strumenti per cercare di gestire emozioni difficili, come la delusione, la frustrazione, la paura di perdere il controllo. Questo legame può rendere difficile fidarsi di un’alimentazione libera, spontanea, “normale”, come la chiami tu, e può portare a vivere con un costante senso di colpa o inadeguatezza.
Il senso di distorsione dell’immagine corporea che riferisci – quel non riconoscersi nelle foto, il non riuscire a dire "sono magra" – è un aspetto centrale in molti disturbi alimentari, e può mantenere attiva la spirale del disagio.
La tua voglia di chiedere aiuto, nonostante la paura, è già un passo molto importante e coraggioso. È comprensibile avere timore di ciò che si può incontrare lungo un percorso terapeutico, ma è proprio attraverso un lavoro psicologico personalizzato che è possibile esplorare le radici del malessere, imparare a gestire le emozioni in modo più sano, e soprattutto costruire un nuovo rapporto con il proprio corpo e con il cibo, basato sull’ascolto e sulla cura di sé.
Per tutto questo, sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Salve,
chiedere aiuto non è mai semplice, si fanno spesso vari tentativi per provare a risolvere da soli delle difficoltà. Un disturbo alimentare è il riflesso di qualcosa di più profondo e complesso e richiede quasi sempre l'aiuto di una specialista. Quando non si riesce a chiedere aiuto, consiglio di fare anche solo un tentativo, di provare ad esempio con un solo colloquio e vedere se si vuole procedere. In caso contrario, intraprenderà il suo percorso di guarigione quando si sentirà pronta.
chiedere aiuto non è mai semplice, si fanno spesso vari tentativi per provare a risolvere da soli delle difficoltà. Un disturbo alimentare è il riflesso di qualcosa di più profondo e complesso e richiede quasi sempre l'aiuto di una specialista. Quando non si riesce a chiedere aiuto, consiglio di fare anche solo un tentativo, di provare ad esempio con un solo colloquio e vedere se si vuole procedere. In caso contrario, intraprenderà il suo percorso di guarigione quando si sentirà pronta.
Buonasera,
la ringrazio per aver condiviso una parte così profonda e delicata della sua esperienza. Al di là delle definizioni diagnostiche, ogni forma di sofferenza e difficoltà merita attenzione e può ricevere un aiuto adeguato. I disturbi alimentari possono assumere forme diverse, spesso sfumate, ma in tutte le loro manifestazioni incidono profondamente sulla qualità della vita, sul rapporto con il corpo, con il cibo e con sé stessi.
È comprensibile provare paura: chiedere aiuto significa, in qualche modo, riconoscere una fragilità e questo può far sentire esposti. Eppure, spesso è proprio nel momento in cui iniziamo a dare voce a ciò che ci spaventa che cominciamo anche a sentirci un po’ meno soli.
Il fatto che lei percepisca che “qualcosa non va” è già un segnale importante, così come il desiderio, anche se ancora incerto, di iniziare un cambiamento. Un percorso terapeutico può offrirle uno spazio sicuro in cui esplorare questi vissuti, rispettando i suoi tempi e senza pressioni, aiutandola a costruire un rapporto più libero e sereno con il cibo, con il corpo e con le emozioni che oggi sente difficili da gestire.
Se sente che è arrivato il momento di iniziare a prendersi cura di sé con il supporto di uno spazio neutrale e accogliente, sappia che non è sola e che esistono possibilità concrete di stare meglio.
Un saluto, Dott. Gianluca Pignatelli.
la ringrazio per aver condiviso una parte così profonda e delicata della sua esperienza. Al di là delle definizioni diagnostiche, ogni forma di sofferenza e difficoltà merita attenzione e può ricevere un aiuto adeguato. I disturbi alimentari possono assumere forme diverse, spesso sfumate, ma in tutte le loro manifestazioni incidono profondamente sulla qualità della vita, sul rapporto con il corpo, con il cibo e con sé stessi.
È comprensibile provare paura: chiedere aiuto significa, in qualche modo, riconoscere una fragilità e questo può far sentire esposti. Eppure, spesso è proprio nel momento in cui iniziamo a dare voce a ciò che ci spaventa che cominciamo anche a sentirci un po’ meno soli.
Il fatto che lei percepisca che “qualcosa non va” è già un segnale importante, così come il desiderio, anche se ancora incerto, di iniziare un cambiamento. Un percorso terapeutico può offrirle uno spazio sicuro in cui esplorare questi vissuti, rispettando i suoi tempi e senza pressioni, aiutandola a costruire un rapporto più libero e sereno con il cibo, con il corpo e con le emozioni che oggi sente difficili da gestire.
Se sente che è arrivato il momento di iniziare a prendersi cura di sé con il supporto di uno spazio neutrale e accogliente, sappia che non è sola e che esistono possibilità concrete di stare meglio.
Un saluto, Dott. Gianluca Pignatelli.
Grazie per aver avuto il coraggio di raccontare tutto questo. Le tue parole sono forti, lucide, e soprattutto piene di consapevolezza. Se fossi il tuo psicologo, la prima cosa che ti direi è: non sei sola, e no, non devi arrivare al “caso grave” per meritare aiuto.
Il tuo dolore è reale. I tuoi comportamenti, le emozioni che vivi ogni giorno, il senso di colpa, il controllo, la paura del cibo e del corpo… sono sintomi concreti di un disturbo del comportamento alimentare. Non serve rientrare perfettamente in un’etichetta clinica per chiedere sostegno. Ci sei tu. C’è il tuo malessere. E quello basta.
Hai già fatto un passo enorme: vedere, mettere in parole, riconoscere. Questo è l’inizio di ogni percorso di guarigione.
La paura che senti è comprensibile. Chiedere aiuto significa esporsi, perdere un po’ di controllo, aprire un varco in quel muro che da anni tieni solido. Ma sai una cosa? È proprio lì che può entrare l’aria, la cura, il cambiamento.
Non devi guarire da sola. Non devi capire tutto da sola. Ti meriti uno spazio sicuro, rispettoso e senza giudizio dove poter esplorare tutto questo, passo dopo passo.
Il tuo dolore è reale. I tuoi comportamenti, le emozioni che vivi ogni giorno, il senso di colpa, il controllo, la paura del cibo e del corpo… sono sintomi concreti di un disturbo del comportamento alimentare. Non serve rientrare perfettamente in un’etichetta clinica per chiedere sostegno. Ci sei tu. C’è il tuo malessere. E quello basta.
Hai già fatto un passo enorme: vedere, mettere in parole, riconoscere. Questo è l’inizio di ogni percorso di guarigione.
La paura che senti è comprensibile. Chiedere aiuto significa esporsi, perdere un po’ di controllo, aprire un varco in quel muro che da anni tieni solido. Ma sai una cosa? È proprio lì che può entrare l’aria, la cura, il cambiamento.
Non devi guarire da sola. Non devi capire tutto da sola. Ti meriti uno spazio sicuro, rispettoso e senza giudizio dove poter esplorare tutto questo, passo dopo passo.
Buongiorno, molto spesso chiedere aiuto spaventa, ma rimane la scelta migliore che una persona possa fare nei momenti di difficoltà della vita. Affrontare il tema del cibo non è mai semplice poiché è una tematica che tocca spesso altre tematiche ad esso associate, anche se apparentemente distinte. Chiedere anche solo un consulto psicologico potrebbe essere utile per rompere il ghiaccio ed eventualmente iniziare poi un percorso di psicoterapia.
Resto a disposizione, dott.ssa Irene Rocchetti
Resto a disposizione, dott.ssa Irene Rocchetti
Buonasera,
la ringrazio profondamente per il coraggio e la lucidità con cui ha condiviso il suo vissuto. Le sue parole raccontano un'esperienza lunga, faticosa, attraversata da dolore, tentativi di controllo, ricadute e consapevolezze importanti.
Ciò che sta vivendo merita attenzione, rispetto e soprattutto ascolto. Il fatto che non si riconosca nelle etichette diagnostiche più “note” non significa che il disagio non sia reale o che non sia importante. I disturbi del comportamento alimentare possono assumere forme diverse e spesso silenziose, ma non per questo meno impattanti sulla qualità della vita.
Il rapporto col cibo, con il corpo, con il controllo, sembra aver assunto nel tempo un ruolo centrale, fino a farle perdere il riferimento su cosa significhi davvero mangiare in modo sereno, ascoltarsi, sentirsi “a posto”. È comprensibile che ci sia paura: chiedere aiuto implica esporsi, ma anche iniziare a lasciar andare un equilibrio – seppur doloroso – che finora le ha dato una certa sicurezza.
Chiedere aiuto non significa perdere il controllo, ma provare a rimettere al centro la propria salute, il proprio benessere, la possibilità di stare meglio. E non è mai troppo presto – né troppo tardi – per iniziare a farlo.
Se vorrà, potrà trovare in un percorso psicologico uno spazio protetto, non giudicante, in cui poter esplorare queste difficoltà, darle un senso e lavorare gradualmente verso un rapporto più libero e compassionevole con sé stessa.
Un caro saluto,
resto a disposizione.
la ringrazio profondamente per il coraggio e la lucidità con cui ha condiviso il suo vissuto. Le sue parole raccontano un'esperienza lunga, faticosa, attraversata da dolore, tentativi di controllo, ricadute e consapevolezze importanti.
Ciò che sta vivendo merita attenzione, rispetto e soprattutto ascolto. Il fatto che non si riconosca nelle etichette diagnostiche più “note” non significa che il disagio non sia reale o che non sia importante. I disturbi del comportamento alimentare possono assumere forme diverse e spesso silenziose, ma non per questo meno impattanti sulla qualità della vita.
Il rapporto col cibo, con il corpo, con il controllo, sembra aver assunto nel tempo un ruolo centrale, fino a farle perdere il riferimento su cosa significhi davvero mangiare in modo sereno, ascoltarsi, sentirsi “a posto”. È comprensibile che ci sia paura: chiedere aiuto implica esporsi, ma anche iniziare a lasciar andare un equilibrio – seppur doloroso – che finora le ha dato una certa sicurezza.
Chiedere aiuto non significa perdere il controllo, ma provare a rimettere al centro la propria salute, il proprio benessere, la possibilità di stare meglio. E non è mai troppo presto – né troppo tardi – per iniziare a farlo.
Se vorrà, potrà trovare in un percorso psicologico uno spazio protetto, non giudicante, in cui poter esplorare queste difficoltà, darle un senso e lavorare gradualmente verso un rapporto più libero e compassionevole con sé stessa.
Un caro saluto,
resto a disposizione.
Gentile Utente,
spiacente per la trappola che pare descrivere e vivere. Il cibo è molto più che mere calorie da introdurre, molto più che mera benzina.
Confermo, nonostante le paure, l'utilità di una presa in carico professionale. La psicoterapia breve strategica ha protocolli di intervento specifici per i singoli disturbi e le rispettive varianti per cui l'invito è interfacciarsi per lavorare su una reale gestione e non vivere in balia della paura e delle ossessioni.
Un saluto
spiacente per la trappola che pare descrivere e vivere. Il cibo è molto più che mere calorie da introdurre, molto più che mera benzina.
Confermo, nonostante le paure, l'utilità di una presa in carico professionale. La psicoterapia breve strategica ha protocolli di intervento specifici per i singoli disturbi e le rispettive varianti per cui l'invito è interfacciarsi per lavorare su una reale gestione e non vivere in balia della paura e delle ossessioni.
Un saluto
Cara utente,
innanzitutto grazie per aver condiviso qua la sua situazione.
Capisco che abbia paura, il cambiamento fa paura perchè include una parte di "non conoscenza" di ciò che potrà accadere.
Quello che le posso assicurare è che intraprendere un percorso significa avere la possibilità di comunicare queste paure al terapeuta, in modo tale da poterle gestire insieme.
Spero di esserle stata di aiuto,
Dott.ssa Giada Valmonte
innanzitutto grazie per aver condiviso qua la sua situazione.
Capisco che abbia paura, il cambiamento fa paura perchè include una parte di "non conoscenza" di ciò che potrà accadere.
Quello che le posso assicurare è che intraprendere un percorso significa avere la possibilità di comunicare queste paure al terapeuta, in modo tale da poterle gestire insieme.
Spero di esserle stata di aiuto,
Dott.ssa Giada Valmonte
Buongiorno, è normale avere paura nella situazione che descrive e non è sempre facile chiedere aiuto. Si rivolga a un centro specializzato per i disturbi alimentari dove le persone che incontrerà potranno consigliarla al meglio, avendo una buona conoscenza della dinamica che lei ha così ben descritto. Ogni percorso è volontario per cui sarà sempre lei a scegliere se e come procedere.
Buonasera,
quanto descrive dimostra una profonda consapevolezza di sé, maturata nel tempo e attraverso molte fasi complesse. Il suo racconto evidenzia un rapporto con il cibo e con il corpo che ha assunto negli anni caratteristiche compatibili con un disturbo del comportamento alimentare, anche se non sempre riconducibile alle etichette diagnostiche più note come anoressia o bulimia. È importante sapere che esistono forme meno riconoscibili, ma altrettanto sofferte e invalidanti, come il disturbo dell’alimentazione incontrollata o altri quadri misti, che meritano attenzione.
Il bisogno di controllo, la rigidità alimentare, il senso di colpa legato al cibo, la percezione alterata del proprio corpo e la paura di “mangiare normalmente” sono segnali importanti. Non è necessario “toccare il fondo” per chiedere aiuto: spesso il momento più efficace per farlo è proprio quando si riconosce, come ha fatto lei, di essere in una zona grigia dove la sofferenza è presente ma si tende a sminuirla.
La sua lucidità è una risorsa, ma da sola non basta per modificare schemi che nel tempo si sono radicati. Un percorso psicoterapeutico centrato sui disturbi del comportamento alimentare può offrirle gli strumenti per ritrovare un equilibrio più sano e rispettoso del proprio benessere.
Resto a disposizione, se lo desidera, per approfondire la situazione in un contesto più riservato.
quanto descrive dimostra una profonda consapevolezza di sé, maturata nel tempo e attraverso molte fasi complesse. Il suo racconto evidenzia un rapporto con il cibo e con il corpo che ha assunto negli anni caratteristiche compatibili con un disturbo del comportamento alimentare, anche se non sempre riconducibile alle etichette diagnostiche più note come anoressia o bulimia. È importante sapere che esistono forme meno riconoscibili, ma altrettanto sofferte e invalidanti, come il disturbo dell’alimentazione incontrollata o altri quadri misti, che meritano attenzione.
Il bisogno di controllo, la rigidità alimentare, il senso di colpa legato al cibo, la percezione alterata del proprio corpo e la paura di “mangiare normalmente” sono segnali importanti. Non è necessario “toccare il fondo” per chiedere aiuto: spesso il momento più efficace per farlo è proprio quando si riconosce, come ha fatto lei, di essere in una zona grigia dove la sofferenza è presente ma si tende a sminuirla.
La sua lucidità è una risorsa, ma da sola non basta per modificare schemi che nel tempo si sono radicati. Un percorso psicoterapeutico centrato sui disturbi del comportamento alimentare può offrirle gli strumenti per ritrovare un equilibrio più sano e rispettoso del proprio benessere.
Resto a disposizione, se lo desidera, per approfondire la situazione in un contesto più riservato.
Buonasera, prendere la decisione di iniziare una terapia personale a volte non è facile, capisco la sua paura, ma forse le può essere utile pensare che se deciderà di farlo, sarà solo per il suo bene, per capire il suo rapporto col cibo e tanto altro. Chiedere aiuto è il primo passo verso la guarigione.
Buonasera, da ciò che scrive le consiglio di chiedere aiuto, provare a vincere la paura. un rapporto terapeutico con una persona che le ispira fiducia la può sostenere a recuperare controllo sulla sua vita.
Salve, mi dispiace. Le auguro di potersi rivolgere ad uno specialista che possa aiutarla dato che anche lei comprende la gravità della situazione. Non è semplice affidarsi ad un altra persona, questo non significa necessariamente perdere il controllo ma fare un percorso di condivisone, confronto nel quale lei riacquisti il controllo su di sé e la sua vita.
Cordiali saluti.
Dott.Salvatore Augello
Cordiali saluti.
Dott.Salvatore Augello
Buongiorno,
riuscire a chiedere aiuto non è sempre facile, è necessario riuscire ad affidarsi a qualcuno. Non è questione di perdita di controllo, forse ora ha poco il controllo perchè non riesce a vivere come vorrebbe ma si ritrova ingabbiata in quei pensieri. L'aiuto la potrebbe avvicinare a una maggiore consapevolezza per trovare un modo di vivere che le porti maggiore serenità.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Francesca Torelli
riuscire a chiedere aiuto non è sempre facile, è necessario riuscire ad affidarsi a qualcuno. Non è questione di perdita di controllo, forse ora ha poco il controllo perchè non riesce a vivere come vorrebbe ma si ritrova ingabbiata in quei pensieri. L'aiuto la potrebbe avvicinare a una maggiore consapevolezza per trovare un modo di vivere che le porti maggiore serenità.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Francesca Torelli
Buonasera! Le sue parole rendono palpabile la paura e fanno sentire molto bene quanto sia spaventata. Considerato la delicatezza della situazione e la particolarità del contesto, proverò ad offrire un piccolo contributo di pensiero. La paura ci offre l’occasione per pensare insieme a quanto possa essere difficile fidarsi e affidarsi alle cure di qualcuno. Riconoscere di aver bisogno di aiuto, accettare una dipendenza (buona) dal* terapeuta, può scatenare il timore profondo di un coinvolgimento, di un vincolo con l’altro stabile, presente, diverso; può produrre la sensazione di perdere il controllo e uno svilimento del valore di sé; ma anche la sensazione di essere finiti in una trappola dalla quale non si riuscirà più a liberarsi. Sembra essere tutto ciò che ha sempre cercato di evitare, controllando il corpo, il peso, le calorie, l’immagine. Adesso tutto viene messo tutto in discussione, come se si fosse prodotta una crepa dalla quale le “cose” scappano, si fanno presenti, si impongono, spaventano. Le chiedo scusa, ma non mi sento di andare oltre. Poiché sono preoccupato per lei, le darò qualche indicazione di tipo pratico. Potrebbe rivolgersi SUBITO al centro per l’assistenza a persone con disturbo del comportamento alimentare più vicino a lei (trova l’indirizzo e i contatti su internet). Di solito, l’accesso è libero e non occorre l’impegnativa del medico di famiglia. Troverà personale professionalmente preparato e umanamente dotato, un équipe multiprofessionale, che si occuperà sia degli aspetti fisici che di quelli più profondi. Se non ci fossero le condizioni per una presa in carico (bisogna capire se siamo di fronte ad un franco disturbo alimentare), potrebbe rivolgersi ad un* psicoterapeuta privat* per un percorso ben strutturato e di largo respiro. Spero di essere stato di aiuto. Non tergiversi e in bocca al lupo per tutto
Buonasera, la sua consapevolezza e il modo in cui descrive il suo vissuto rappresentano già un importante passo avanti. Mi chiedo: il senso di colpa che prova è più legato al mangiare in sé oppure al fatto di non avere un certo tipo di corpo? Spesso i disturbi alimentari non hanno confini netti e possono cambiare forma nel tempo, rendendo difficile incasellarli in categorie rigide. Il fatto che lei si stia ponendo queste domande e che manifesti queste preoccupazioni è un segnale positivo: significa che c’è una volontà di cercare aiuto e di trovare un equilibrio più sereno con il cibo e con sé stessa. Non c’è nulla di male nel chiedere supporto, anzi: spesso il primo passo più difficile è proprio questo. Rimango a sua disposizione.
Un caro saluto,
Dott. Domenico Mattiello
Psicologo – Psicoterapeuta
Un caro saluto,
Dott. Domenico Mattiello
Psicologo – Psicoterapeuta
Dici che hai paura a chiedere aiuto. Paura di cosa? Se senti il bisogno di chiedere aiuto devi farlo senza alcun timore. Un primo passo lo ho già fatto scrivendo qui, ora fai il successivo e chiama qualcuno. Ti consiglio di chiamare uno psicoterapeuta ad indirizzo analitico. Ricorda che può capitare a tutti di avere periodi nella propria vita in cui si perde il filo, non si riesce a trovare chiarezza in sé stessi. Rivolgersi a qualcuno che possa aiutarti a trovare risposte e ritrovare il filo del tuo discorso può solo farti bene.
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