Salve sono un ragazzo di 20 Anni. Volevo parlavi di un problema che ho sempre avuto. Sono una person
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Salve sono un ragazzo di 20 Anni. Volevo parlavi di un problema che ho sempre avuto. Sono una persona che ha delle aspettative di se davvero alte dal punto di vista morale. Sono molto riflessivo e questo a volte mi causa problemi. Non riesco a lasciar andare pensieri o piccole cose che dico che li sul momento mi fanno ridere poi mi fanno sentire in colpa o cose cosi . Mi capita che la mia testa vaghi e faccia pensieri in cui non mi rivedo e in seguito mi giudico , sono il peggiore giudice di me stesso. Questa cosa mi ha sempre portato problemi soprattutto nelle relazioni come potete immaginare , qualche consiglio per vivere meglio queste cose? Perché a volte è davvero pesante stare cosi.
Vi faccio un esempio , una sera ero in discoteca, c'era anche la mia ragazza , e mi sono accorto che c'era la migliore amica di un ragazzo che conosco( questo ragazzo con me fa sempre molto lo spavaldo si sente chissa chi ecc) io mi sono accorto che questa ragazza mi guardava , e ogni tanto mi giravo ma proprio in modo automatico per vedere se mi stesse guardando penso che lo volessi sapere perche visto che questo ragazzo fa molto lo spaccone con me e mi prende anche ogni tanto in giro (abbastanza comunque scherzosamente) volevo sbattergli in faccia che la sua migliore amica mi guardasse e mi ero abbastanza fissato su sta cosa. Questa ragazza non mi piace nemmeno ne mai è mai piaciuta, ed ero anche molto brillo quella sera , ne ho parlato anche con la mia ragazza di questa ragazza che mi guardava spesso . È una cosa che in realtà faccio molto spesso quando noto che un ragazzo o una ragazza mi accorgo che mi guarda , di vedere se mi guarda ancora. E questa cosa qui quando bevo si amplifica. Fatto sta che questa cavolata per farvi capire ancora adesso mi da da pensare nonostante sia successo non so 4 mesi fa e io e lei ci siamo lasciati oltretutto. Questa cosa mi capita anche con I pensieri e con molte cose. Per farvi capire quanto io sia severo con me stesso . Non so se è un meccanismo che la mia mente mette in atto per via di qualche altro motivo questo non lo so.
Vi faccio un esempio , una sera ero in discoteca, c'era anche la mia ragazza , e mi sono accorto che c'era la migliore amica di un ragazzo che conosco( questo ragazzo con me fa sempre molto lo spavaldo si sente chissa chi ecc) io mi sono accorto che questa ragazza mi guardava , e ogni tanto mi giravo ma proprio in modo automatico per vedere se mi stesse guardando penso che lo volessi sapere perche visto che questo ragazzo fa molto lo spaccone con me e mi prende anche ogni tanto in giro (abbastanza comunque scherzosamente) volevo sbattergli in faccia che la sua migliore amica mi guardasse e mi ero abbastanza fissato su sta cosa. Questa ragazza non mi piace nemmeno ne mai è mai piaciuta, ed ero anche molto brillo quella sera , ne ho parlato anche con la mia ragazza di questa ragazza che mi guardava spesso . È una cosa che in realtà faccio molto spesso quando noto che un ragazzo o una ragazza mi accorgo che mi guarda , di vedere se mi guarda ancora. E questa cosa qui quando bevo si amplifica. Fatto sta che questa cavolata per farvi capire ancora adesso mi da da pensare nonostante sia successo non so 4 mesi fa e io e lei ci siamo lasciati oltretutto. Questa cosa mi capita anche con I pensieri e con molte cose. Per farvi capire quanto io sia severo con me stesso . Non so se è un meccanismo che la mia mente mette in atto per via di qualche altro motivo questo non lo so.
Grazie per aver condiviso questo aspetto così importante di te. Essere severi con se stessi può essere faticoso nel tempo, soprattutto quando quello sguardo critico prende il sopravvento e toglie spazio alla comprensione e gentilezza verso di sè. Insieme possiamo esplorare da dove nasce questa severità e trovare modi più funzionali e sereni per stare con te stesso. se senti che è il momento giusto, possiamo fissare un primo incontro: ti accolgo volentieri e con rispetto per il tuo percorso. Dott.ssa Alessandra Corti
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Buongiorno, da quello che descrivi, sembra che tu viva una forte autocritica e una tendenza al rimuginio, soprattutto su eventi del passato anche se di piccola entità. Questo ha un impatto significativo sul tuo benessere e sulla tua vita sociale.
Essere molto severi con sé stessi spesso è un modo che si impara per cercare di “fare meglio”, ma con il tempo può diventare un ostacolo. I pensieri ricorrenti e il senso di colpa possono creare un ciclo difficile da interrompere da soli.
Ti invito a considerare un passaggio importante: la possibilità di coltivare uno sguardo più compassionevole verso te stesso. Questo non significa “giustificare tutto”, ma imparare a distinguere tra la responsabilità e l’autocolpevolizzazione, tra la riflessione utile e il rimuginio che blocca.
Un percorso psicologico potrebbe aiutarti a comprendere meglio l’origine di questi meccanismi, a riconoscere i tuoi pensieri automatici e a costruire un dialogo interno più equilibrato e meno giudicante. L’obiettivo non è eliminare completamente il senso di responsabilità, ma renderlo più sano e sostenibile.
Hai già fatto un passo importante nel condividere il tuo vissuto: parlarne è il primo modo per iniziare a gestirlo. Resto a disposizione, buona giornata!
Essere molto severi con sé stessi spesso è un modo che si impara per cercare di “fare meglio”, ma con il tempo può diventare un ostacolo. I pensieri ricorrenti e il senso di colpa possono creare un ciclo difficile da interrompere da soli.
Ti invito a considerare un passaggio importante: la possibilità di coltivare uno sguardo più compassionevole verso te stesso. Questo non significa “giustificare tutto”, ma imparare a distinguere tra la responsabilità e l’autocolpevolizzazione, tra la riflessione utile e il rimuginio che blocca.
Un percorso psicologico potrebbe aiutarti a comprendere meglio l’origine di questi meccanismi, a riconoscere i tuoi pensieri automatici e a costruire un dialogo interno più equilibrato e meno giudicante. L’obiettivo non è eliminare completamente il senso di responsabilità, ma renderlo più sano e sostenibile.
Hai già fatto un passo importante nel condividere il tuo vissuto: parlarne è il primo modo per iniziare a gestirlo. Resto a disposizione, buona giornata!
Buon pomeriggio,
dalle sue parole mi sembra di cogliere una sensibilità marcata, un forte senso morale e un’autocritica molto accentuata, elementi che – se da un lato possono guidarla verso una condotta etica e responsabile – dall’altro possono facilmente trasformarsi in un peso emotivo, soprattutto quando sfociano nell’iper-controllo o nel rimuginio costante.
Ponendo l’attenzione sull’autocritica, è possibile considerare varie chiavi i lettura in merito al forte giudizio che sente verso di sè: la invito a riflettere sull’educazione che ha ricevuto; sulle esperienze passate, sulla tendenza al perfezionismo, su una forte componente morale che la porta al bisogno di sentirsi “sempre nel giusto” pur di ricevere approvazione/amore. C’è qualcosa che le risuona particolarmente?
In merito a queste riflessioni, le lascio anche degli spunti utili che, seppur non esaustivi, possono indirizzarla verso il percorso migliore per lei: l’imperfezione è una connotazione umana che appartiene a tutta la specie e prima la si accoglie, più ci si sente liberi, flessibili e si contrasta la rigidità; il moralismo è un elemento che spesso comporta stasi, e, mi ripeto, rigidità: avere dei pensieri scomodi succede, non si giudichi eccessivamente. Collegato a questo, sarebbe importante allenare un comportamento di maggiore tolleranza e compassione che spesso nutriamo verso gli altri, molto meno verso noi stessi. Un esempio: a parità di una difficoltà, come il non riuscire a superare un esame, saremo molto più accoglienti verso l’amico che fallisce che non verso noi stessi.
E proprio questa rigidità e questa feroce autocritica nutrono il rimuginio che, con un maggior passaggio all’azione, con maggiore concretezza, con maggior coraggio, può essere ridimensionato notevolmente.
In sostanza, si identifichi meno con questi pensieri e si affidi di più all’azione nel momento presente, quotidiana, lasciando andare ciò che è stato e mettendo le migliori basi possibili per ciò che sarà.
Consapevole di non poter essere esaustiva attraverso queste risposte, mi auguro quantomeno di averle lasciato spunti su cui riflettere.
Un caro saluto,
Dottssa Laura Montanari
dalle sue parole mi sembra di cogliere una sensibilità marcata, un forte senso morale e un’autocritica molto accentuata, elementi che – se da un lato possono guidarla verso una condotta etica e responsabile – dall’altro possono facilmente trasformarsi in un peso emotivo, soprattutto quando sfociano nell’iper-controllo o nel rimuginio costante.
Ponendo l’attenzione sull’autocritica, è possibile considerare varie chiavi i lettura in merito al forte giudizio che sente verso di sè: la invito a riflettere sull’educazione che ha ricevuto; sulle esperienze passate, sulla tendenza al perfezionismo, su una forte componente morale che la porta al bisogno di sentirsi “sempre nel giusto” pur di ricevere approvazione/amore. C’è qualcosa che le risuona particolarmente?
In merito a queste riflessioni, le lascio anche degli spunti utili che, seppur non esaustivi, possono indirizzarla verso il percorso migliore per lei: l’imperfezione è una connotazione umana che appartiene a tutta la specie e prima la si accoglie, più ci si sente liberi, flessibili e si contrasta la rigidità; il moralismo è un elemento che spesso comporta stasi, e, mi ripeto, rigidità: avere dei pensieri scomodi succede, non si giudichi eccessivamente. Collegato a questo, sarebbe importante allenare un comportamento di maggiore tolleranza e compassione che spesso nutriamo verso gli altri, molto meno verso noi stessi. Un esempio: a parità di una difficoltà, come il non riuscire a superare un esame, saremo molto più accoglienti verso l’amico che fallisce che non verso noi stessi.
E proprio questa rigidità e questa feroce autocritica nutrono il rimuginio che, con un maggior passaggio all’azione, con maggiore concretezza, con maggior coraggio, può essere ridimensionato notevolmente.
In sostanza, si identifichi meno con questi pensieri e si affidi di più all’azione nel momento presente, quotidiana, lasciando andare ciò che è stato e mettendo le migliori basi possibili per ciò che sarà.
Consapevole di non poter essere esaustiva attraverso queste risposte, mi auguro quantomeno di averle lasciato spunti su cui riflettere.
Un caro saluto,
Dottssa Laura Montanari
Per capire ed esplorare come mai la sua risposta a determinati eventi è un pensiero ricorrente che somiglia ad una fissazione (per come ha esposto l'esempio) chiaramente sarebbe necessario un approfondimento della sua storia, delle situazione in cui questo capita, dei pensieri correlati a queste situazioni. Quando pensieri rispetto a situazioni passate si ripresentano in maniera così forte e le danno fastidio, può provare a concentrarsi e a ricordarsi che quei pensieri appartengono al passato, invece lei vive il presente e anche se ripensa a quei momenti, quelli non accadranno di nuovo e non sono modificabili. Allo stesso tempo, ciò che succede non definisce la sua persona in modo definitivo quindi anche quando sente di avere sbagliato, si ricordi che la sua vita è fatta da un'insieme di eventi, accadimenti e sentimenti. Il suo valore e i suoi ideali non dipendono da ciò che gli altri pensano di lei, anche se è normale che possano avere un'influenza. Inoltre è un ragazzo giovane, che sta facendo esperienze, può essere più clemente con se stesso, confrontarsi con amici oltre che con i propri pensieri, gli altri possono dare letture e punti di vista diversi da quelli a cui siamo abituati noi nei confronti di noi stessi.
Buongiorno, quello che lei sta vivendo si può definire un percorso di ricerca interiore, un cercare di dare una forma a dubbi e pensieri che si affacciano nelle relazioni con gli altri. Il piacere di essere 'visti', il timore di non essere accettati, le riflessioni su sé stesso e il non sentirsi mai soddisfatti ed essere sempre alla ricerca di un punto di vista morale che la possa soddisfare. Tutto questo è molto positivo in quanto esprime la profondità del suo essere. Allo stesso tempo le procura sofferenza e la sensazione di non riuscire a trovare un equilibrio interno. Credo che potrebbe esserle utile un confronto e un percorso psicologico finalizzato a mettere a fuoco e a decifrare queste sue riflessioni, queste emozioni e questi stati d'animo.
Resto a disposizione anche online, cordialmente dott.ssa Gabriella Pringigallo
Resto a disposizione anche online, cordialmente dott.ssa Gabriella Pringigallo
La ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità il suo vissuto. Quello che descrive mostra una profonda sensibilità e un forte senso di responsabilità verso se stesso, che però sembra tradursi spesso in autocritica e fatica nel lasciar andare pensieri e sensazioni. Si tratta di dinamiche interiori comuni, ma che possono diventare molto pesanti da gestire da soli. Un percorso psicologico potrebbe aiutarla a comprendere meglio questi meccanismi, sviluppare uno sguardo più equilibrato su di sé e vivere con maggiore serenità. Se desidera, possiamo approfondire insieme questo lavoro in un contesto sicuro e non giudicante.
Caro ragazzo,
grazie per aver condiviso una parte così profonda e delicata della tua esperienza. Da ciò che racconti, emerge una sensibilità molto acuta e una forte componente autocritica che ti porta spesso a rivivere episodi del passato, anche minimi, con un’intensità che diventa fonte di disagio e malessere.
Avere aspettative morali elevate e una spiccata riflessività può essere una grande qualità, ma – come hai già intuito – se non ben gestita, può diventare un peso. Quando inizi a giudicare te stesso in modo rigido per pensieri che magari non rispecchiano ciò che sei realmente o per comportamenti che non avevano un’intenzione negativa, rischi di cadere in un circolo di rimuginio e senso di colpa che ti logora nel tempo.
Il fatto che tu tenda a voler “controllare” i tuoi pensieri e a cercare conferme esterne (come quando osservi se qualcuno ti guarda) può essere un modo inconscio per rafforzare la tua autostima, magari in risposta a situazioni in cui ti sei sentito sminuito, preso in giro o insicuro. Anche l’alcol, come hai notato, amplifica questo bisogno di controllo e conferma.
Questo atteggiamento ipercritico verso te stesso, il continuo rimuginare su episodi del passato, l’ansia morale e il giudizio interno molto severo possono essere segnali di un funzionamento mentale che merita attenzione. Non si tratta di “essere sbagliato”, ma di imparare a conoscerti meglio, a comprendere l’origine di questi meccanismi e a trovare modi più gentili ed equilibrati per rapportarti a te stesso.
Un lavoro psicologico in questo senso può aiutarti tantissimo. A volte c’è bisogno di uno spazio sicuro, neutro, in cui dare voce a tutto ciò che hai dentro senza sentirti giudicato, ma anzi, accolto e accompagnato nel comprenderti.
Per questo, sarebbe utile e consigliato per approfondire e affrontare meglio ciò che stai vivendo, rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
grazie per aver condiviso una parte così profonda e delicata della tua esperienza. Da ciò che racconti, emerge una sensibilità molto acuta e una forte componente autocritica che ti porta spesso a rivivere episodi del passato, anche minimi, con un’intensità che diventa fonte di disagio e malessere.
Avere aspettative morali elevate e una spiccata riflessività può essere una grande qualità, ma – come hai già intuito – se non ben gestita, può diventare un peso. Quando inizi a giudicare te stesso in modo rigido per pensieri che magari non rispecchiano ciò che sei realmente o per comportamenti che non avevano un’intenzione negativa, rischi di cadere in un circolo di rimuginio e senso di colpa che ti logora nel tempo.
Il fatto che tu tenda a voler “controllare” i tuoi pensieri e a cercare conferme esterne (come quando osservi se qualcuno ti guarda) può essere un modo inconscio per rafforzare la tua autostima, magari in risposta a situazioni in cui ti sei sentito sminuito, preso in giro o insicuro. Anche l’alcol, come hai notato, amplifica questo bisogno di controllo e conferma.
Questo atteggiamento ipercritico verso te stesso, il continuo rimuginare su episodi del passato, l’ansia morale e il giudizio interno molto severo possono essere segnali di un funzionamento mentale che merita attenzione. Non si tratta di “essere sbagliato”, ma di imparare a conoscerti meglio, a comprendere l’origine di questi meccanismi e a trovare modi più gentili ed equilibrati per rapportarti a te stesso.
Un lavoro psicologico in questo senso può aiutarti tantissimo. A volte c’è bisogno di uno spazio sicuro, neutro, in cui dare voce a tutto ciò che hai dentro senza sentirti giudicato, ma anzi, accolto e accompagnato nel comprenderti.
Per questo, sarebbe utile e consigliato per approfondire e affrontare meglio ciò che stai vivendo, rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Buona sera, ti consiglio di consultare uno psicologo per comprendere meglio te stesso. Ciò potrebbe aiutarti, inoltre, ad evitare le "sofferenze" o i "problemi" derivanti ,come li definisci tu. Saluti
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Le sue parole raccontano con molta sincerità quanto lei sia capace di osservare se stesso in profondità, ma anche quanto questa riflessione costante possa diventare un peso. È evidente che lei abbia un forte senso morale e un ideale di sé molto alto, qualità preziose quando ci aiutano a dare valore a ciò che facciamo e a come ci comportiamo. Tuttavia, quando diventano rigide e inflessibili, possono trasformarsi in una gabbia che non lascia spazio all’imperfezione, che è invece una parte fondamentale dell’essere umano. Si percepisce chiaramente quanto la sua mente lavori senza sosta per analizzare e ricontrollare le situazioni, anche quelle più banali o insignificanti. Questo bisogno di ripensare, giudicare e ripercorrere i dettagli spesso nasce proprio dal desiderio di sentirsi una persona “a posto”, di sapere di non aver sbagliato, di non aver fatto nulla di scorretto o di moralmente discutibile. Ma più si prova a controllare questi pensieri, più essi ritornano e si radicano, alimentando sensi di colpa e dubbi. È importante sapere che questi meccanismi non definiscono chi lei è. Avere pensieri automatici, anche poco coerenti con i propri valori, capita a tutti. La differenza sta in come li trattiamo. Lei tende a considerarli come verità o come indicatori del suo valore morale. Ma un pensiero non è un’azione, né un segnale di chi siamo davvero. È solo un prodotto della mente, spesso casuale, amplificato da emozioni e circostanze come la stanchezza o l’alcol. Il fatto di tornare continuamente su quella sera in discoteca mostra quanto sia forte in lei il bisogno di essere coerente con i propri valori, di non aver nulla di cui vergognarsi o per cui sentirsi in difetto. Questo controllo rigido però la allontana dalla possibilità di accogliere una parte importante dell’essere umano: l’errore, l’imperfezione, l’autenticità. Un aspetto che può iniziare a mettere in pratica è provare a osservare questi pensieri senza giudicarli. In terapia cognitivo-comportamentale spesso si lavora proprio su questo: imparare a lasciare andare i pensieri intrusivi, trattandoli come nuvole che passano nel cielo della mente. Riconoscere che ci sono, ma non lasciarli definire chi siamo. Può provare a dirsi: “Sto avendo questo pensiero, ma non significa nulla su di me”. All’inizio non è facile, ma con un po’ di allenamento diventa una strategia potente. Può essere utile anche chiedersi: “Se un mio caro amico mi raccontasse la stessa situazione, lo giudicherei così duramente?”. Probabilmente no. Questo mostra come con se stessi spesso siamo i giudici più implacabili, mentre con gli altri siamo più comprensivi. Allenarsi a rivolgere a se stessi la stessa compassione che riserviamo agli altri è un passo fondamentale per alleggerire questo peso. Infine, consideri la possibilità di condividere questi pensieri con una persona di fiducia o, se ne avrà la possibilità, di iniziare un percorso con uno psicologo. Parlare di ciò che la tormenta aiuta a dare una forma diversa alle cose, a ridimensionarle e a costruire un dialogo interno più gentile. Si ricordi che non deve diventare perfetto per meritare stima o amore. È già una persona che merita valore, anche con le sue insicurezze e le sue parti contraddittorie. Accettare questo è un regalo che può fare a se stesso, un passo alla volta. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Buongiorno,
ci scrive che non riesce a lasciare andare certi pensieri, anche piccole cose che sul momento le sembrano leggere ma che poi innescano giudizi e sensi di colpa e comprensibilmente ciò è faticoso.
Esistono degli approcci che aiutano a tenere a bada questi pensieri, tuttavia come lei suppone i motivi della persistenza di questi pensieri e auto giudizi sono probabilmente legati a qualche aspetto della sua storia e vissuti radicati.
Se volesse comprendere meglio tali meccanismi il consiglio è di intraprendere un percorso personale con un professionista.
Un caro saluto
ci scrive che non riesce a lasciare andare certi pensieri, anche piccole cose che sul momento le sembrano leggere ma che poi innescano giudizi e sensi di colpa e comprensibilmente ciò è faticoso.
Esistono degli approcci che aiutano a tenere a bada questi pensieri, tuttavia come lei suppone i motivi della persistenza di questi pensieri e auto giudizi sono probabilmente legati a qualche aspetto della sua storia e vissuti radicati.
Se volesse comprendere meglio tali meccanismi il consiglio è di intraprendere un percorso personale con un professionista.
Un caro saluto
Gentile utente,
dal suo racconto emergono alcune dinamiche relazionali e interne che possono essere significative e possono guidare ad una maggiore comprensione di ciò che le accade. C’è una forte componente auto riflessiva in ciò che porta: analizza in profondità pensieri, comportamenti e situazioni passate, finendo spesso per giudicarsi con eccessiva severità. Questo atteggiamento potrebbe essere correlato a standard morali molto elevati che si impone, che spesso però le fanno provare forte ansia e senso di colpa e generano un lungo processo di ruminazione mentale.
Un’altro aspetto che emerge dal suo racconto è la marcata sensibilità al giudizio altrui (come nel caso del ragazzo "spavaldo" che portava) che spesso per lei si traduce in un bisogno di affermazione e maggiore sicurezza su di sé. Il fatto che tali episodi restino impressi per mesi e vengano ripensati con disagio potrebbe indicare un tentativo di tenere sotto controllo, pensandoli e analizzandoli più volte, gli stati emotivi difficili che prova in queste situazioni e che talvolta divengono per lei fonte di sofferenza relazionale ed emotiva.
Sarebbe utile domandarsi quali siano state le sue esperienze pregresse legate al giudizio, all’approvazione o all’autostima; tali esperienze possono infatti essere fortemente legate allo sviluppo di un modello interno molto rigido di autocontrollo. In termini di intervento, un lavoro psicoterapeutico su questi temi potrebbe aiutarla ad esplorare questi aspetti, a capirli per poi ridurre la pressione interna che sente, favorendo un rapporto più integrato e di maggiore benessere con i suoi pensieri e comportamenti.
Resto a disposizione per approfondire ulteriormente.
dott.ssa Paola Grasso
dal suo racconto emergono alcune dinamiche relazionali e interne che possono essere significative e possono guidare ad una maggiore comprensione di ciò che le accade. C’è una forte componente auto riflessiva in ciò che porta: analizza in profondità pensieri, comportamenti e situazioni passate, finendo spesso per giudicarsi con eccessiva severità. Questo atteggiamento potrebbe essere correlato a standard morali molto elevati che si impone, che spesso però le fanno provare forte ansia e senso di colpa e generano un lungo processo di ruminazione mentale.
Un’altro aspetto che emerge dal suo racconto è la marcata sensibilità al giudizio altrui (come nel caso del ragazzo "spavaldo" che portava) che spesso per lei si traduce in un bisogno di affermazione e maggiore sicurezza su di sé. Il fatto che tali episodi restino impressi per mesi e vengano ripensati con disagio potrebbe indicare un tentativo di tenere sotto controllo, pensandoli e analizzandoli più volte, gli stati emotivi difficili che prova in queste situazioni e che talvolta divengono per lei fonte di sofferenza relazionale ed emotiva.
Sarebbe utile domandarsi quali siano state le sue esperienze pregresse legate al giudizio, all’approvazione o all’autostima; tali esperienze possono infatti essere fortemente legate allo sviluppo di un modello interno molto rigido di autocontrollo. In termini di intervento, un lavoro psicoterapeutico su questi temi potrebbe aiutarla ad esplorare questi aspetti, a capirli per poi ridurre la pressione interna che sente, favorendo un rapporto più integrato e di maggiore benessere con i suoi pensieri e comportamenti.
Resto a disposizione per approfondire ulteriormente.
dott.ssa Paola Grasso
Buongiorno gentile Utente, grazie per aver condiviso con tanta sincerità una parte così intima e complessa di sé. La sua descrizione evidenzia una mente attenta, profonda, e anche molto esigente, specialmente verso se stessa. È evidente che lei ha un forte senso morale e una grande capacità di riflessione, qualità preziose, ma che (se non bilanciate) possono trasformarsi in fonte di disagio, specialmente quando portano a un’autovalutazione rigida e continua.
Il bisogno di analizzare ogni parola, ogni comportamento o pensiero, spesso nasce da un desiderio molto umano di “essere una persona giusta”, di non sbagliare mai. Ma questo idealismo può diventare una gabbia: quando il giudizio su di sé prende il sopravvento, anche gli episodi più piccoli (come quello che ha descritto) diventano il pretesto per punirsi interiormente. Ecco che, col tempo, ogni pensiero che non “coincide” con l’immagine ideale che ha di sé, viene vissuto come colpa, come se dimostrasse un tradimento della sua essenza più autentica. Ma noi non siamo solo quello che pensiamo o sentiamo in un dato momento. La mente genera continuamente contenuti, anche in contrasto tra loro, e farli passare non significa ignorarli, ma non identificarcisi troppo. Non tutto quello che pensa è reale o rappresenta chi è lei. Alcuni pensieri sono solo pensieri. Alcune azioni, a volte condizionate da contesti, emozioni o alcool, non definiscono il suo valore personale.
In più, mi sembra che lei stia descrivendo un meccanismo che ha a che fare anche con il bisogno di conferma, di sentirsi visto, magari anche come modo per “compensare” il senso di inferiorità o insicurezza che può emergere in presenza di persone che la mettono a disagio. Questo, unito a una forte autocritica e a un bisogno di controllo, può facilmente alimentare circoli viziosi interiori difficili da interrompere. Non è raro che persone molto sensibili, riflessive e con un alto senso etico sviluppino modalità simili, a volte con tratti ossessivi nel modo in cui si analizzano o si chiedono conto di ogni cosa. Il punto non è “smettere di pensare”, ma accettare di non dover essere perfetti per avere valore, e imparare a trattarsi con la stessa comprensione che offrirebbe a una persona a cui vuole bene.
Lei mi sembra una persona molto consapevole, ed è già un passo importante che abbia individuato in sé questi automatismi. Per vivere meglio tutto questo, un percorso psicoterapeutico (specialmente se orientato a integrare aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali) potrebbe esserle davvero utile. L’obiettivo non sarebbe cancellare queste parti di sé, ma imparare a conviverci con maggiore leggerezza e flessibilità.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Il bisogno di analizzare ogni parola, ogni comportamento o pensiero, spesso nasce da un desiderio molto umano di “essere una persona giusta”, di non sbagliare mai. Ma questo idealismo può diventare una gabbia: quando il giudizio su di sé prende il sopravvento, anche gli episodi più piccoli (come quello che ha descritto) diventano il pretesto per punirsi interiormente. Ecco che, col tempo, ogni pensiero che non “coincide” con l’immagine ideale che ha di sé, viene vissuto come colpa, come se dimostrasse un tradimento della sua essenza più autentica. Ma noi non siamo solo quello che pensiamo o sentiamo in un dato momento. La mente genera continuamente contenuti, anche in contrasto tra loro, e farli passare non significa ignorarli, ma non identificarcisi troppo. Non tutto quello che pensa è reale o rappresenta chi è lei. Alcuni pensieri sono solo pensieri. Alcune azioni, a volte condizionate da contesti, emozioni o alcool, non definiscono il suo valore personale.
In più, mi sembra che lei stia descrivendo un meccanismo che ha a che fare anche con il bisogno di conferma, di sentirsi visto, magari anche come modo per “compensare” il senso di inferiorità o insicurezza che può emergere in presenza di persone che la mettono a disagio. Questo, unito a una forte autocritica e a un bisogno di controllo, può facilmente alimentare circoli viziosi interiori difficili da interrompere. Non è raro che persone molto sensibili, riflessive e con un alto senso etico sviluppino modalità simili, a volte con tratti ossessivi nel modo in cui si analizzano o si chiedono conto di ogni cosa. Il punto non è “smettere di pensare”, ma accettare di non dover essere perfetti per avere valore, e imparare a trattarsi con la stessa comprensione che offrirebbe a una persona a cui vuole bene.
Lei mi sembra una persona molto consapevole, ed è già un passo importante che abbia individuato in sé questi automatismi. Per vivere meglio tutto questo, un percorso psicoterapeutico (specialmente se orientato a integrare aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali) potrebbe esserle davvero utile. L’obiettivo non sarebbe cancellare queste parti di sé, ma imparare a conviverci con maggiore leggerezza e flessibilità.
Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Buongiorno, la sua narrazione mette in luce un conflitto interno che si manifesta attraverso un’attenta modalità di vigilanza e di auto-giudizio. La sua tendenza a controllare e a osservare gli sguardi degli altri, in modo così costante e spesso anche compulsivo, può essere interpretata come un tentativo di gestire un senso di insicurezza che si radica nel suo modo di vedere se stesso. La dura critica che si muove verso di sé, anche per gesti apparentemente banali o momenti di leggerezza, rivela un bisogno di perfezione, un desiderio di affermazione del proprio valore in una logica di “giudizio” che si estende anche a sé. La seconda realtà di questa dinamica è il suo bisogno di essere riconosciuto dall’esterno, una sorta di conferma della propria presenza e del proprio valore, che si traduce nel sforzo di captare gli sguardi, di sapere se gli altri lo notano. Questa ricerca di approvazione e il continuo auto-valutarsi sono legati a una dimensione di desiderio che si insedia nella relazione tra il vulnerabile e il riconoscimento che si cerca di conquistare, spesso alimentando un circolo che si ripete e si amplifica con l’uso di alcool, come se la sostanza stessa facilitasse un distacco temporaneo da questa tensione. Nell’ambito del mio approccio, si esplorano proprio queste dinamiche inconsce: come i comportamenti di vigilanza, di controllo e di auto-critica sono strutture che cercano di mantenere un equilibrio e di rassicurare un’identità che si sente fragile.
Se desidera, posso accompagnarla nel lavoro di ascolto di queste parti di sé che si muovono in questo circuito, con l’obiettivo di trovare un modo più lieve di abitare i propri pensieri e i propri sentimenti.
Sono qui per ascoltarla e supportarla.
Cordialmente, dottoressa Laura Lanocita.
Se desidera, posso accompagnarla nel lavoro di ascolto di queste parti di sé che si muovono in questo circuito, con l’obiettivo di trovare un modo più lieve di abitare i propri pensieri e i propri sentimenti.
Sono qui per ascoltarla e supportarla.
Cordialmente, dottoressa Laura Lanocita.
Buonasera, probabilmente il fatto di essere visto e guardato le da una sensazione di piacere, com'è giusto che sia, quello che bisognerebbe andare ad esplorare è tutta la cornice che c'è intorno. Cosa le impedisce di essere più gentile con sé stesso e di conseguenza di non riuscire a vivere serenamente con i suoi pensieri?
Buongiorno, le consiglio un percorso psicologico che l'aiuti nella gestione dei pensieri intrusivi.
Cordiali saluti.
Cordiali saluti.
Gentile utente, ciò che racconta descrive un vissuto molto più comune di quanto si pensi, soprattutto in persone giovani, riflessive e con un forte senso morale come lei. La tendenza a giudicarsi severamente, a ripensare a episodi anche banali, a sentirsi in colpa per pensieri che in realtà non riflettono chi si è davvero, è spesso legata a un meccanismo di controllo interiore molto rigido, che parte da una forte esigenza di essere “giusti” o “coerenti”, ma che finisce per diventare fonte di disagio. Anche il bisogno di monitorare l’impressione che si dà agli altri, o il desiderio di riscattarsi da chi la svaluta o la prende in giro, sono reazioni comprensibili, specie in contesti sociali dove l’autostima viene spesso messa alla prova. Il fatto che ci pensi ancora a distanza di mesi, e che quel ricordo le pesi, mostra quanto lei viva le sue azioni con un forte senso di responsabilità, ma anche con una durezza che rischia di diventare controproducente. Non è sbagliato essere autocritici, ma quando l’autocritica diventa punizione o ossessione, allora è importante fermarsi e chiedersi: perché mi tratto così? A cosa serve questo meccanismo? Spesso, dietro c’è una parte che vorrebbe proteggersi, evitare di sbagliare o essere rifiutata, ma finisce per diventare nemica di se stessa. Il consiglio che posso darle è di iniziare un percorso psicologico in cui possa esplorare queste dinamiche senza giudizio, imparando a riconoscere i pensieri per ciò che sono: pensieri, non verità assolute. Esistono tecniche molto efficaci per ridurre l’autocritica e aumentare l’auto-compassione, e la sua sensibilità è già un ottimo punto di partenza. Le faccio un caro augurio per il suo percorso.
Dott. Michele Scalese
Psicologo
Dott. Michele Scalese
Psicologo
Buongiorno, la ringrazio per aver condiviso con così tanta sincerità il suo vissuto.
Dalle sue parole emerge una sensibilità profonda, un forte senso morale e una tendenza marcata all’autovalutazione, che la porta spesso a giudicarsi con grande severità.
Questo tipo di funzionamento mentale, seppur guidato da intenzioni nobili (come il desiderio di “essere giusto”, corretto, coerente), può diventare molto faticoso quando lascia poco spazio alla comprensione di sé, all'auto accettazione e alla leggerezza che fa parte della vita.
Rimanere a lungo bloccati su pensieri, azioni passate o piccoli episodi è qualcosa che capita spesso a chi ha una mente molto riflessiva, ma quando questo genera malessere o senso di colpa duraturo, può essere utile approfondirne l’origine. Spesso queste dinamiche sono legate a una struttura di pensiero rigida, a un’autocritica interiorizzata o a insicurezze che si sono costruite nel tempo.
Un percorso psicologico potrebbe aiutarla a comprendere meglio questi meccanismi, ad alleggerirli e a trovare un modo più gentile e sereno di relazionarsi con se stesso. Non si tratta di cambiare chi è, ma di imparare a convivere con la propria profondità senza che diventi una trappola.
Se lo desidera, resto a disposizione per accompagnarla in questo percorso.
Un caro saluto,
Dott.ssa Ferraro Silvia – Psicologa
Dalle sue parole emerge una sensibilità profonda, un forte senso morale e una tendenza marcata all’autovalutazione, che la porta spesso a giudicarsi con grande severità.
Questo tipo di funzionamento mentale, seppur guidato da intenzioni nobili (come il desiderio di “essere giusto”, corretto, coerente), può diventare molto faticoso quando lascia poco spazio alla comprensione di sé, all'auto accettazione e alla leggerezza che fa parte della vita.
Rimanere a lungo bloccati su pensieri, azioni passate o piccoli episodi è qualcosa che capita spesso a chi ha una mente molto riflessiva, ma quando questo genera malessere o senso di colpa duraturo, può essere utile approfondirne l’origine. Spesso queste dinamiche sono legate a una struttura di pensiero rigida, a un’autocritica interiorizzata o a insicurezze che si sono costruite nel tempo.
Un percorso psicologico potrebbe aiutarla a comprendere meglio questi meccanismi, ad alleggerirli e a trovare un modo più gentile e sereno di relazionarsi con se stesso. Non si tratta di cambiare chi è, ma di imparare a convivere con la propria profondità senza che diventi una trappola.
Se lo desidera, resto a disposizione per accompagnarla in questo percorso.
Un caro saluto,
Dott.ssa Ferraro Silvia – Psicologa
Gentile utente,
Spesso siamo abituati a pretendere molto da noi stessi, anche quando non dovremmo.
A mio parere ciò che lei ha descritto potrebbe riferirsi ad una semplice rimuginazione su eventi o pensieri del passato. Anche se passa del tempo, comunque continua a pensarci fino a sentirsi in colpa, ed è normale perché lei da queste poche righe sembra una persona riflessiva ed emotiva, e ciò fa sì che ripensa a cose passate e si giudica per questo.
Provi ad accettare questi pensieri ed a chiedersi cosa prova davvero in quella determinata situazione, come si sente nel momento in cui questo accade.
Se desidera parlarne ancora, sono a disposizione.
Dott.ssa Elena Brizi, psicologa
Spesso siamo abituati a pretendere molto da noi stessi, anche quando non dovremmo.
A mio parere ciò che lei ha descritto potrebbe riferirsi ad una semplice rimuginazione su eventi o pensieri del passato. Anche se passa del tempo, comunque continua a pensarci fino a sentirsi in colpa, ed è normale perché lei da queste poche righe sembra una persona riflessiva ed emotiva, e ciò fa sì che ripensa a cose passate e si giudica per questo.
Provi ad accettare questi pensieri ed a chiedersi cosa prova davvero in quella determinata situazione, come si sente nel momento in cui questo accade.
Se desidera parlarne ancora, sono a disposizione.
Dott.ssa Elena Brizi, psicologa
Gentile utente, ciò che descrive — il bisogno di analizzare ogni dettaglio, il ripensare episodi del passato, il giudizio severo su pensieri che non rispecchiano davvero ciò che sente — non è raro in personalità che mirano a un alto standard morale e relazionale, ma può diventare un peso se non si impara a dare il giusto spazio (e limite) a questi pensieri.
Il fatto che ogni piccolo episodio, anche avvenuto mesi fa, continui a tornare nella sua mente e a condizionare il suo benessere è un segnale importante: non di debolezza, ma del bisogno di imparare a convivere meglio con quella parte di sé che cerca sempre coerenza, controllo e “pulizia” mentale, anche quando non è necessaria.
È importante ricordare che non siamo i nostri pensieri automatici, e che avere una reazione mentale — anche un po’ vanitosa, impulsiva o influenzata dal contesto — non significa essere “sbagliati” o poco morali. Siamo tutti attraversati da pensieri contraddittori, ed è proprio la consapevolezza che Lei dimostra a rendere questi momenti solo episodi passeggeri, non definizioni del suo valore.
Se sente che questo meccanismo interno sta diventando troppo faticoso, può essere molto utile affrontarlo in un contesto guidato. Una consulenza — online o in studio — può aiutarla a liberare spazio mentale, alleggerire la pressione che esercita su di sé, e imparare a vivere con più leggerezza e fiducia.
Resto a disposizione,
Dott.ssa Alessandra Di Fenza
Il fatto che ogni piccolo episodio, anche avvenuto mesi fa, continui a tornare nella sua mente e a condizionare il suo benessere è un segnale importante: non di debolezza, ma del bisogno di imparare a convivere meglio con quella parte di sé che cerca sempre coerenza, controllo e “pulizia” mentale, anche quando non è necessaria.
È importante ricordare che non siamo i nostri pensieri automatici, e che avere una reazione mentale — anche un po’ vanitosa, impulsiva o influenzata dal contesto — non significa essere “sbagliati” o poco morali. Siamo tutti attraversati da pensieri contraddittori, ed è proprio la consapevolezza che Lei dimostra a rendere questi momenti solo episodi passeggeri, non definizioni del suo valore.
Se sente che questo meccanismo interno sta diventando troppo faticoso, può essere molto utile affrontarlo in un contesto guidato. Una consulenza — online o in studio — può aiutarla a liberare spazio mentale, alleggerire la pressione che esercita su di sé, e imparare a vivere con più leggerezza e fiducia.
Resto a disposizione,
Dott.ssa Alessandra Di Fenza
Caro ragazzo,si sente chiaramente che sei una persona molto sensibile, che si fa tante domande e che desidera vivere in modo coerente con i propri valori. E questo è un grande punto di forza. Ma quando questo bisogno di coerenza diventa eccessivo, può trasformarsi in una prigione mentale che ti fa sentire sempre “sbagliato” o “in colpa”.
Quello che racconti – il giudicarti per un pensiero, il ripensare a situazioni anche dopo mesi, l’essere molto severo con te stesso – non sei l’unico a provarlo. Anzi, succede spesso a chi ha un senso morale molto sviluppato e una mente molto attiva. Ma il punto è che non sei i tuoi pensieri. La mente genera continuamente immagini, riflessioni, anche cose che non ci rappresentano davvero… e questo è normale. Il problema non è il pensiero, ma il giudizio che ci metti sopra.
Anche l’episodio della discoteca che hai raccontato, per come lo descrivi, non è stato qualcosa di “grave” o che merita tanta autocondanna. È stato un pensiero istintivo, forse amplificato dal contesto e dall’alcol, ma nulla che definisca chi sei. Sei umano. E le reazioni umane sono spesso contraddittorie...
Il fatto che tu te ne sia preoccupato così tanto, invece, dice molto di più su quanto tu tenga ad essere una persona leale e rispettosa.
Un piccolo consiglio: quando ti giudichi, prova a chiederti:
"Se un mio amico mi raccontasse questa cosa, lo tratterei come sto trattando me stesso?"
Molto spesso, la risposta è no. E già solo accorgersene può aiutare a farti un po’ di spazio dentro.
Stai già facendo un grande passo semplicemente parlando di questo. Continua così, e cerca, quando puoi, di usare un tono più gentile verso te stesso. Te lo meriti.
Un caro saluto
Quello che racconti – il giudicarti per un pensiero, il ripensare a situazioni anche dopo mesi, l’essere molto severo con te stesso – non sei l’unico a provarlo. Anzi, succede spesso a chi ha un senso morale molto sviluppato e una mente molto attiva. Ma il punto è che non sei i tuoi pensieri. La mente genera continuamente immagini, riflessioni, anche cose che non ci rappresentano davvero… e questo è normale. Il problema non è il pensiero, ma il giudizio che ci metti sopra.
Anche l’episodio della discoteca che hai raccontato, per come lo descrivi, non è stato qualcosa di “grave” o che merita tanta autocondanna. È stato un pensiero istintivo, forse amplificato dal contesto e dall’alcol, ma nulla che definisca chi sei. Sei umano. E le reazioni umane sono spesso contraddittorie...
Il fatto che tu te ne sia preoccupato così tanto, invece, dice molto di più su quanto tu tenga ad essere una persona leale e rispettosa.
Un piccolo consiglio: quando ti giudichi, prova a chiederti:
"Se un mio amico mi raccontasse questa cosa, lo tratterei come sto trattando me stesso?"
Molto spesso, la risposta è no. E già solo accorgersene può aiutare a farti un po’ di spazio dentro.
Stai già facendo un grande passo semplicemente parlando di questo. Continua così, e cerca, quando puoi, di usare un tono più gentile verso te stesso. Te lo meriti.
Un caro saluto
Da quello che scrivi emerge con chiarezza un tratto molto forte della tua personalità: l’essere molto riflessivo e molto severo con te stesso. Questo ti porta a giudicarti continuamente, a rimuginare su pensieri o episodi anche banali e a non lasciarli andare, con la sensazione di portarti addosso colpe o “difetti morali” anche per cose che non hanno un reale peso.
Quello che vivi ha diverse componenti:
– Alte aspettative morali. Vuoi sempre essere impeccabile, e ogni volta che hai un pensiero o un comportamento che non rientra nei tuoi standard, scatta la colpa. Ma nessuno può vivere senza mai avere pensieri “automatici”, superficiali o poco edificanti: è umano.
– Tendenza al rimuginio. Torni e ritorni sugli episodi (anche dopo mesi) cercando di analizzarli, come se trovando “la spiegazione giusta” potessi finalmente liberartene. In realtà il continuo pensare li rafforza.
– Giudice interiore severo. È come se dentro di te ci fosse una voce che non ti lascia margine d’errore, che amplifica anche piccole cose (“ero brillo e mi voltavo a controllare se mi guardava”) trasformandole in “problemi morali”.
Il meccanismo che descrivi è tipico delle persone molto autocritiche e con tratti ossessivi: la mente aggancia un pensiero, lo giudica come “sbagliato” e poi lo rimugina senza sosta. Non è tanto l’episodio in sé a pesare, ma il giudizio implacabile che gli applichi.
Alcuni spunti per vivere meglio queste dinamiche:
– Ricorda che i pensieri non sono azioni. Avere un impulso, una fantasia, una curiosità non significa che tu sia “così”. È solo un contenuto mentale, che non definisce chi sei.
– Impara a riconoscere quando sei entrato nel rimuginio: “ok, sto ripensando a quella scena in discoteca… ma non cambierà nulla continuare a giudicarmi”. Nomina il meccanismo, non il contenuto.
– Lavora sull’autocompassione: prova a trattarti come tratteresti un amico che ti racconta la stessa cosa. Lo attaccheresti con durezza? O gli diresti che è umano, che non significa nulla sul suo valore?
– Concediti margini di imperfezione. Non è possibile controllare ogni pensiero o impulso. A volte si può sorridere di se stessi e andare oltre.
Quello che ti pesa non è tanto l’episodio in sé, ma il modo in cui lo tieni vivo dentro di te con i tuoi giudizi. Abbassare la severità interiore ti permetterà di vivere più leggero, di sbagliare, ridere e andare avanti senza trasformare ogni pensiero in una “questione morale”.
Dott.ssa De Pretto
Quello che vivi ha diverse componenti:
– Alte aspettative morali. Vuoi sempre essere impeccabile, e ogni volta che hai un pensiero o un comportamento che non rientra nei tuoi standard, scatta la colpa. Ma nessuno può vivere senza mai avere pensieri “automatici”, superficiali o poco edificanti: è umano.
– Tendenza al rimuginio. Torni e ritorni sugli episodi (anche dopo mesi) cercando di analizzarli, come se trovando “la spiegazione giusta” potessi finalmente liberartene. In realtà il continuo pensare li rafforza.
– Giudice interiore severo. È come se dentro di te ci fosse una voce che non ti lascia margine d’errore, che amplifica anche piccole cose (“ero brillo e mi voltavo a controllare se mi guardava”) trasformandole in “problemi morali”.
Il meccanismo che descrivi è tipico delle persone molto autocritiche e con tratti ossessivi: la mente aggancia un pensiero, lo giudica come “sbagliato” e poi lo rimugina senza sosta. Non è tanto l’episodio in sé a pesare, ma il giudizio implacabile che gli applichi.
Alcuni spunti per vivere meglio queste dinamiche:
– Ricorda che i pensieri non sono azioni. Avere un impulso, una fantasia, una curiosità non significa che tu sia “così”. È solo un contenuto mentale, che non definisce chi sei.
– Impara a riconoscere quando sei entrato nel rimuginio: “ok, sto ripensando a quella scena in discoteca… ma non cambierà nulla continuare a giudicarmi”. Nomina il meccanismo, non il contenuto.
– Lavora sull’autocompassione: prova a trattarti come tratteresti un amico che ti racconta la stessa cosa. Lo attaccheresti con durezza? O gli diresti che è umano, che non significa nulla sul suo valore?
– Concediti margini di imperfezione. Non è possibile controllare ogni pensiero o impulso. A volte si può sorridere di se stessi e andare oltre.
Quello che ti pesa non è tanto l’episodio in sé, ma il modo in cui lo tieni vivo dentro di te con i tuoi giudizi. Abbassare la severità interiore ti permetterà di vivere più leggero, di sbagliare, ridere e andare avanti senza trasformare ogni pensiero in una “questione morale”.
Dott.ssa De Pretto
Gentile utente, lei chiede qualche consiglio per poter vivere meglio il fatto di essere "il peggior giudice di se stesso", ma più che cercare di combattere direttamente questa parte critica, penso che possa essere più utile provare a spostare lo sguardo e riflettere sulla funzione che svolge questa parte tanto intransigente e severa con sè.
Spesso queste parti di sè così giudicanti hanno una storia e un senso che meritano di essere esplorati con attenzione. In quest'ottica, valutare l'inizio di un percorso psicologico potrebbe offrirle l'opportunità di entrare in contatto con alcuni meccanismi - come il rimuginio che descrive - che oggi le appaiono poco chiari.
Rimango a disposizione,
Dott.ssa Giulia Saso
Spesso queste parti di sè così giudicanti hanno una storia e un senso che meritano di essere esplorati con attenzione. In quest'ottica, valutare l'inizio di un percorso psicologico potrebbe offrirle l'opportunità di entrare in contatto con alcuni meccanismi - come il rimuginio che descrive - che oggi le appaiono poco chiari.
Rimango a disposizione,
Dott.ssa Giulia Saso
Mi sembra che lei viva un forte conflitto tra ciò che sente e ciò che pensa di dover essere, come se ogni pensiero o gesto venisse subito giudicato da una parte di sé che non perdona nulla. Questa severità, più che spingerla a migliorarsi, sembra farla stare in una costante tensione, come se non potesse mai permettersi di sbagliare o semplicemente di essere come è. Anche l’episodio che racconta, legato allo sguardo, fa pensare a un bisogno di sentirsi riconosciuto. Non è tanto la ragazza in sé a contare, quanto ciò che rappresenta nel gioco di sguardi e di conferme. Poi arriva la colpa, come se quel desiderio di affermarsi fosse qualcosa di proibito. Forse potrebbe domandarsi perché si giudica con tanta durezza e cosa teme davvero di perdere se smettesse di farlo. Spesso la possibilità di stare meglio nasce proprio quando si riesce ad ascoltare quella parte di sé che fino a quel momento si è tentato di zittire.
Gentile,
ringrazio per aver condiviso qualcosa di così personale.
Essere molto esigenti con se stessi e non riuscire a lasciar andare pensieri o sensi di colpa è qualcosa che può pesare tanto.
Con il giusto percorso, è possibile comprendere meglio questi meccanismi e ritrovare un senso di equilibrio e serenità interiore.
ringrazio per aver condiviso qualcosa di così personale.
Essere molto esigenti con se stessi e non riuscire a lasciar andare pensieri o sensi di colpa è qualcosa che può pesare tanto.
Con il giusto percorso, è possibile comprendere meglio questi meccanismi e ritrovare un senso di equilibrio e serenità interiore.
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