Salve dottori molto spesso si parla del non giudicare se stessi e gli altri, io non ho mai avuto pau

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Salve dottori molto spesso si parla del non giudicare se stessi e gli altri, io non ho mai avuto paura del giudizio del gli altri ho sempre valutato ciò che avevano da dire gli altri ma senza paura con molto tranquillità e ho dato la mia valutazione , ma quando si tratta degli altri anche do le miei opinioni e valutazioni ma senza voler imporre a tutti i costi la mia visioni , seguo una pagina dove questa persona professionista dice appunto di non giudicare gli altri e di non aver paura del giudizio degli altri anche se mi accorgo che molte volte parla per esempio dei fatti del mondo e di come alcune persone compiono azioni sbagliati tipo criticava alcuni aspetti della guerra ma mi chiedevo questo non è anche questo giudizio? Quindi dice di non giudicare gli altri ma poi giudica anche lui anche se pure io avvenimenti sbagliati e ingiustizie che succedono nel mondo le giudico ma questo è un giudizio o una valutazione ? Grazie per un vostro chiarimento
Dott.ssa Sandra Petralli
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Pontedera
Salve, la sua riflessione tocca una distinzione importante tra giudizio e valutazione, spesso fraintesa anche nel linguaggio comune. Nel contesto psicologico, specialmente in approcci come la Mindfulness e la psicoterapia umanistica, “non giudicare” significa evitare etichette rigide, critiche distruttive o condanne impulsive verso se stessi e gli altri. Non si tratta però di rinunciare alla capacità di discernere o avere un’opinione, quanto piuttosto di farlo con consapevolezza, rispetto e apertura.Quando lei osserva un comportamento, lo analizza e lo considera sbagliato perché viola principi etici o valori umani, sta facendo una valutazione basata sulla sua coscienza morale e non un giudizio inteso come svalutazione della persona nel suo insieme. Allo stesso modo, anche il professionista che critica un evento di guerra può esprimere una valutazione etica, senza necessariamente cadere in un giudizio personale o moralistico. Il giudizio nasce spesso dalla reazione automatica, dalla rabbia o dal bisogno di sentirsi “dalla parte giusta”. La valutazione invece è più lucida, riflessiva, e lascia spazio al dubbio, alla complessità e alla possibilità di comprensione. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli

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Prof. Mario Meringolo
Psicoterapeuta, Psicologo, Professional counselor
Colleverde
Salve, grazie per la tua riflessione molto interessante e profonda. Quella che poni è una domanda che tocca il cuore di molte pratiche filosofiche e spirituali, come la mindfulness, il buddismo, ma anche l’etica in generale: qual è la differenza tra giudicare e valutare? E quando un giudizio diventa "sano" o "nocivo"?
Giudizio vs. Valutazione: due cose diverse

Partiamo da una distinzione fondamentale che viene spesso fatta (per esempio anche nella psicologia di Carl Rogers o nella comunicazione non violenta di Marshall Rosenberg):

Un esempio concreto:

Dire: "Questa persona ha compiuto un atto violento che ha causato sofferenza a molti" → Valutazione

Dire: "Questa persona è cattiva, è un mostro" → Giudizio

Entrambe riconoscono un fatto grave, ma la seconda etichetta l’intera persona in modo rigido e moraleggiante. La prima, invece, rimane sul piano dell’azione, dei fatti.

Quindi quando il professionista che segui “giudica” la guerra, sta giudicando?

Dipende come lo fa.

Se dice cose come:

"È inaccettabile che si bombardino civili" → sta valutando un fatto etico

"Quelli che fanno la guerra sono esseri inferiori, disumani, ignoranti" → questo diventa giudizio morale, e può essere incoerente con il messaggio “non giudicare”.

Il nodo centrale: intenzione e consapevolezza

Il problema non è “esprimere un’opinione”, ma:

Con quale atteggiamento lo faccio? (per capire o per condannare?)

Con quale intento? (per avvicinarmi alla verità o per sentirmi superiore?)

Con quale linguaggio? (osservativo o etichettante?)

Tu, da come scrivi, sembri avere un buon equilibrio: valuti, ma non imponi, non giudichi per sentirti “migliore”, e non hai paura di sentire gli altri — e questo è segno di maturità e apertura mentale.
In sintesi:

Sì, criticare ingiustizie o azioni dannose può essere necessario e giusto.

Ma farlo senza etichettare le persone in modo assoluto è ciò che distingue una valutazione consapevole da un giudizio moralista.

“Non giudicare” non significa “non avere opinioni”, ma piuttosto non condannare le persone nel loro valore umano.

Spero di essere stato esaustivo

Un cordiale saluto
Dott.ssa Silvia Stevelli
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
Buongiorno,
Capisco bene il suo dubbio, ed è una riflessione molto importante quella che fa. Quando parliamo di giudizio, ci riferiamo di solito al non etichettare in modo rigido e svalutante una persona (frasi come sei sbagliato, sei cattivo, in senso assoluto). Questo tipo di giudizio tende a chiudere la possibilità di comprensione. Diverso è invece esprimere una valutazione, ad esempio osservare un comportamento o un fatto e dare una propria opinione, anche critica, mantenendo però apertura ed empatia. Per esempio, condannare la guerra come ingiusta non significa giudicare la persona nella sua interezza, ma valutare un’azione secondo la propria idea e scala valoriale. Lei sembra avere già una buona capacità di distinguere e di non imporre la propria visione. Se però sente il bisogno di chiarire meglio come si pone rispetto agli altri o di trovare un equilibrio più sereno, potrebbe essere utile un percorso di supporto, che l’accompagni a esplorare questi aspetti in un contesto protetto e senza giudizio.
Gentilissimo,
la differenza tra giudizio e valutazione sta soprattutto nel tono e nell’intenzione. Il giudizio tende a essere rigido e svalutante (“sei sbagliato”), mentre la valutazione ci aiuta a distinguere ciò che riteniamo giusto o sbagliato senza etichettare la persona nella sua interezza.

In questo senso, criticare un’azione o un evento (come una guerra) non significa necessariamente giudicare la persona, ma esprimere una valutazione rispetto a valori e principi.

Uno strumento utile è la self-compassion: imparare a rivolgerci a noi stessi e agli altri con rispetto e gentilezza, anche quando valutiamo o esprimiamo opinioni. Questo ci permette di restare lucidi e aperti, senza cadere nella trappola del giudizio che ferisce.

Un caro saluto,
Dott.ssa Melania Monaco
Dott.ssa Virginia Balocco
Psicologo, Psicologo clinico
Torino
Quella che lei solleva è una questione molto interessante che apre a diversi spunti di riflessione.
Spesso quando si parla di “non giudicare” si fa riferimento al non etichettare una persona, un comportamento, un fenomeno nella sua interezza (ad esempio: “quella persona è sbagliata”).
Il giudizio, nella sua accezione negativa, tende a chiudere e a fissare la visione dell’altro in una definizione rigida. Rimanda ad una polarizzazione (giusto/sbagliato, buono/cattivo, bello/brutto), non consentendoci di cogliere le diverse sfumature nel mezzo. L’“inganno” del giudizio è proprio questo: se da un lato sembra permetterci un’idea chiara e comprensibile di ciò che ci circonda, dall’altro ci porta ad assumere una posizione rapida e affrettata, precludendoci la possibilità di conoscere meglio, capire in profondità e osservare come la realtà sia quasi sempre più complessa di come possa apparire ad un primo sguardo.
Non va dimenticato poi che spesso giudichiamo negli altri aspetti che, più o meno consapevolmente, siamo soliti criticare aspramente anche in noi stessi.
Diverso può essere invece esprimere una valutazione su un comportamento, un fatto di cronaca o un’ingiustizia. La valutazione nasce dall’osservazione e dalla capacità critica: permette di distinguere secondo il nostro punto di vista e la nostra etica personale, significa guardare ciò che accade con attenzione, tenendo conto non solo dell’atto in sé, ma anche del contesto, delle possibili motivazioni e delle conseguenze.
In questo senso, valutare non equivale a ridurre una persona o un evento a un unico aspetto, ma provare a mantenere uno sguardo che tenga insieme la complessità: le contraddizioni, i fattori storici e sociali, i vissuti personali che possono aver contribuito a quell’azione o a quel fenomeno.
Dove il giudizio tende a bloccare e a chiudere (“sei sbagliato, punto”), la valutazione lascia aperto lo spazio della comprensione (“questo comportamento mi sembra problematico, ma la persona resta più ampia di quell’atto”). Consente di evitare la trappola della semplificazione: la realtà raramente si lascia ridurre a un unico punto di vista, e mantenere questa consapevolezza ci aiuta a essere più equi e, paradossalmente, anche più liberi.
La sua attenzione a cogliere questa sfumatura mostra già una grande sensibilità: distinguere tra giudicare e valutare significa aprirsi a uno sguardo più equilibrato, rispettoso e capace di accogliere la complessità.
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Psicologo, Psicologo clinico, Professional counselor
Forlì
Buonasera, questa è una riflessione molto importante, perché tocca un punto che spesso crea confusione: la differenza tra giudizio e valutazione.

Quando si parla di “non giudicare”, soprattutto in contesti psicologici o spirituali, di solito non si intende smettere di avere opinioni o distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il termine “giudizio” in questi ambiti viene usato per indicare un atteggiamento rigido e svalutante verso le persone, cioè un’etichetta che definisce l’altro in modo definitivo e globale (“è un fallito”, “è cattiva”, “non vale niente”). Questo tipo di giudizio chiude la possibilità di comprensione e di dialogo.

La valutazione invece è diversa: significa osservare un comportamento, un fatto o una scelta e esprimere un’opinione, un’analisi o un dissenso. Dire, per esempio, che una guerra porta distruzione e sofferenza è una valutazione fondata su dati di realtà e su valori etici, non una condanna totale delle persone coinvolte. Si può criticare un’azione o un fenomeno sociale senza per questo ridurre chi vi partecipa a una definizione immutabile.

Nel tuo modo di descrivere le cose si coglie bene questa distinzione: tu esprimi opinioni ma non le imponi, non cerchi di ridurre gli altri a un’etichetta, lasci spazio al confronto. Questo è un approccio maturo, che non annulla la tua capacità critica ma ti evita di cadere in rigidità o ostilità.

Chi afferma “non giudicare” spesso intende dire: non vivere nell’ansia del giudizio altrui e non cadere nel giudicare le persone nella loro totalità. Ma avere un pensiero critico su fatti, azioni o scelte sociali non solo è inevitabile, è anche necessario per orientarsi nel mondo.

Ti propongo un piccolo esercizio di auto-osservazione: ogni volta che senti nascere in te un’opinione sugli altri o sugli eventi, chiediti “sto valutando un comportamento o sto etichettando una persona?”. Questa domanda ti aiuterà a mantenere chiara la distinzione e a rafforzare la tua capacità di restare critico senza diventare rigido.

Un cordiale saluto
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Psicologa clinica - Voice Dialogue - Mindfulness - Dreamwork
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Salve, la sua riflessione è molto interessante perché tocca un tema che spesso genera confusione: la differenza tra giudizio e valutazione. Lei descrive bene come, nel suo modo di rapportarsi agli altri, non ci sia la paura del giudizio esterno e come riesca ad ascoltare con tranquillità le opinioni altrui, mantenendo però una sua capacità di analisi personale senza l’intento di imporla. Questo è già un atteggiamento equilibrato e rispettoso. Il punto che solleva riguarda un aspetto importante: quando parliamo di non giudicare, non significa smettere di avere opinioni o di valutare ciò che accade. Ogni volta che prendiamo posizione rispetto a un fatto, a un comportamento o a un evento, inevitabilmente esprimiamo una valutazione. Quello che può creare sofferenza o distanza nelle relazioni non è la valutazione in sé, ma il modo in cui viene espressa e il significato che le attribuiamo. Giudicare, in senso negativo, implica spesso etichettare la persona nella sua totalità, come se fosse riducibile solo a quell’azione o a quel comportamento, mentre valutare significa distinguere il fatto o l’atteggiamento dalla persona e considerarli in un contesto più ampio. Per esempio, criticare la guerra o certe ingiustizie nel mondo non è sinonimo di giudicare le persone come “sbagliate” nel loro valore umano, ma di valutare delle azioni e delle conseguenze che hanno un impatto reale e spesso doloroso. È una forma di discernimento, che è necessario per orientarsi nella vita, fare scelte e capire cosa è in linea o meno con i propri valori. Allo stesso modo, quando lei esprime una sua opinione sugli altri senza volerla imporre, non sta giudicando in senso stretto, ma sta condividendo una valutazione che nasce dalla sua esperienza e dal suo pensiero. La confusione nasce perché spesso nel linguaggio comune giudizio e valutazione vengono usati come sinonimi. In realtà, la differenza sostanziale sta nell’intenzione e nell’effetto: il giudizio tende a chiudere, a classificare e a creare distanza, la valutazione invece aiuta a comprendere e a orientarsi senza necessariamente svalutare l’altro. Riflettere su questo può aiutarla a mantenere quello spirito critico che già possiede, senza percepirlo come incoerente con l’idea di non giudicare. In definitiva, non si tratta di rinunciare ad avere opinioni o a esprimerle, ma di farlo con consapevolezza e rispetto, distinguendo sempre i fatti e le azioni dal valore delle persone. Questo le permetterà di continuare a coltivare un approccio equilibrato e autentico alle relazioni e agli eventi della vita. resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott.ssa Letizia Turchetto
Psicologo, Psicologo clinico
Ponte di Piave
Buongiorno gentile Utente. La ringrazio per aver portato qui questa sua riflessione, molto preziosa e interessante. La principale differenza tra opinione e giudizio, sta nella possibilità di aprirsi ad un confronto e al dialogo propria dell'opinione, cosa non ottemperata nel giudizio.
Il giudizio implica una valutazione di approvazione o di biasimo. Come si può apprendere, un'opinione e un giudizio rispondono a necessità diverse e perseguono obiettivi differenti, con relative conseguenze.
Consideriamo inoltre, che il giudizio consegue a schemi mentali soggettivi e dai vissuti personali che definiscono la prospettiva del giudice, non del giudicato.
Risalendo a monte, in merito a informazioni nuove da acquisire, l'uomo dispone della possibilità di catalogarle in un modo o nell'altro, e questa è una modalità per poterle organizzare e integrare nella propria conoscenza...tuttavia, la scelta di esprimerle come opinioni o giudizi è prettamente soggettiva.
Dal punto di vista psicologico, potrebbe tornarle utile cercare di approfondire le ragioni per cui percepisce questi temi come importanti per lei, e quali sono le emozioni che le attivano. Potrebbe essere un punto di partenza cercare di cogliere quali ricordi e quali vissuti la sua mente associa al tema del giudizio e all'espressione dell'opinione. Consideri l'opportunità di ricavarsi uno spazio in cui portare tranquillamente tali pensieri e riflessioni, nel clima di ascolto e accoglienza che è proprio del setting psicologico/psicoterapeutico.
Spero di averle fornito la risposta che cerca, resto comunque a disposizione per ulteriori approfondimenti. Un caro saluto, Dott.ssa Turchetto Letizia
Dott.ssa Cecilia Calamita
Psicologo clinico, Psicologo
Roma
Gentile utente,
punto di vista interessante. Forse potrebbe essere importante non astenersi dal giudicare, ma far sì che quel giudizio non ci impedisca di esplorare la complessità dei fenomeni e delle persone. In fondo, giudicare non significa altro che formulare un'opinione su qualcuno o su qualcosa, tramite il nostro personalissimo punto di vista. Se ciò ci preclude di andare oltre assume un'accezione negativa e ci limita nell'analizzare e comprendere ciò che ci circonda. Che ne pensa?
Dott.ssa Vania Marini
Psicologo, Psicologo clinico
San Giovanni in Persiceto
Salve.
La tua riflessione è molto interessante e tocca un tema comune: la differenza tra giudicare e valutare. In generale, “non giudicare” significa cercare di non mettere “etichette” negative sulle persone, evitando sentimenti di superiorità o di condanna. Tuttavia, nella vita quotidiana, è normale formarsi delle opinioni e valutare ciò che ci circonda, come fatti di attualità o comportamenti che riteniamo ingiusti.

Anche chi invita a “non giudicare” può esprimere opinioni critiche su certe situazioni: si tratta spesso di un modo per prendere posizione rispetto a valori e principi, non tanto di condannare le persone in modo definitivo. Valutare i fatti, discuterli e avere opinioni non è necessariamente negativo, soprattutto se fatto con apertura e rispetto, senza voler imporre la propria visione.
Quindi, è naturale chiedersi dove sia il confine: in fondo, costruirsi un’opinione e comunicare il proprio pensiero con rispetto è parte della vita che aiuta anche a crescere e a confrontarsi con gli altri. L’importante è rimanere aperti, evitando il giudizio rigido o la chiusura verso ciò che è diverso da noi.
Dott.ssa Francesca Casolari
Psicologo, Psicologo clinico
Modena
salve, dare valutazioni e opinioni è già un giudizio, invece usare la comunicazione assertiva invece no ed è forse quello che usa quella persona salve.
Dott.ssa Alessandra Motta
Psicologo clinico, Psicologo
Roma
Buongiorno,
spesso si fa confusione tra giudicare e valutare. Giudicare significa condannare una persona nella sua totalità; valutare invece è distinguere un comportamento, un fatto o una scelta senza mettere in discussione il valore dell’individuo. Criticare una guerra non equivale a giudicare le persone nel loro essere, ma a valutare azioni e conseguenze.
In altre parole: giudicare blocca, valutare orienta.

Un caro saluto,
Dott.ssa Alessandra Motta – Psicologa Strategica
Quando si parla di giudizio e valutazione spesso si fa confusione perché i due termini sembrano simili ma in realtà hanno significati diversi il giudizio è un’etichetta che mettiamo su una persona o su noi stessi e che tende a definire in modo totale e rigido come se un singolo comportamento bastasse a dire chi siamo davvero la valutazione invece riguarda l’osservazione di un comportamento o di un fatto senza ridurre la persona intera a quell’azione quando qualcuno dice di non giudicare l’invito è a non chiudere la possibilità di comprensione non è un invito a non avere opinioni o a non distinguere il giusto dallo sbagliato infatti possiamo valutare che una guerra o un’ingiustizia abbiano effetti negativi senza per questo dire che chi vi partecipa è totalmente cattivo come essere umano riconoscere le conseguenze di un’azione è fondamentale perché ci aiuta a orientarci nella vita e a difendere ciò che per noi ha valore il giudizio etichetta e congela la valutazione osserva e apre alla possibilità di cambiamento quando critichi qualcosa che accade nel mondo non stai giudicando la persona ma valutando l’azione e questo è sano e necessario per sviluppare una coscienza etica allo stesso tempo imparare a non temere il giudizio degli altri significa concedersi di vivere con maggiore libertà riconoscendo che ciò che pensano non definisce chi sei davvero comprendere questa differenza ti permette di esprimere le tue opinioni con più serenità e allo stesso tempo di ascoltare quelle altrui senza sentirti minacciato ogni persona ha diritto alla sua esperienza ma distinguere tra persona e comportamento aiuta a coltivare rispetto reciproco e maggiore consapevolezza così non rinunci a dire ciò che pensi ma eviti di cadere nella trappola di etichettare gli altri o te stesso in modo definitivo
Dott.ssa Debora Fiore
Psicologo, Psicologo clinico
Brescia
Buongiorno, possiamo dire che c’è una differenza importante tra giudicare e valutare. Giudicare significa spesso etichettare qualcuno in modo rigido, attribuendogli un valore assoluto, come se fosse “sbagliato” o “cattivo” nella sua interezza. Valutare, invece, vuol dire osservare e dare un’opinione critica su comportamenti o eventi, senza però ridurre la persona soltanto a ciò che ha fatto. Quando parliamo di ingiustizie o di fatti gravi, come una guerra, è naturale esprimere un giudizio negativo su quelle azioni. Questo non contraddice l’invito a “non giudicare gli altri”, perché l’attenzione resta sui comportamenti e non sull’identità della persona. In altre parole, possiamo non approvare certi atti e al tempo stesso mantenere uno sguardo più aperto e meno condannante sulle persone che li compiono. Spero di esserle stata d'auto nel chiarire il suo dubbio. Saluti
Quello che descrivi è un punto di consapevolezza molto interessante. Spesso si dice “non giudicare” intendendo non condannare, non etichettare in modo rigido e definitivo una persona o una situazione. Ma questo non significa che dobbiamo rinunciare a pensare, a farci un'opinione, o a prendere posizione su ciò che riteniamo giusto o sbagliato.
Giudicare, nel senso più distruttivo, è quando mettiamo un'etichetta totale su qualcuno o qualcosa, senza lasciare spazio alla complessità, al contesto o al cambiamento. Per esempio, dire: "quella persona è cattiva e basta", oppure "chi fa questo è stupido", è un giudizio rigido.
Valutare, invece, è un atto di consapevolezza. Significa osservare, comprendere, prendere posizione, anche con forza, ma senza perdere di vista l'umanità di chi abbiamo davanti. Dire: "questa azione è ingiusta", oppure "non condivido questo comportamento perché va contro certi valori", è un modo sano di stare nel mondo, di usare la propria coscienza critica senza cadere nel disprezzo.
Il professionista che segui, probabilmente, quando invita a "non giudicare", intende dire di non chiudersi in una posizione rigida, non credere di sapere tutto dell’altro, non costruire muri interiori che impediscono di ascoltare e comprendere. Ma questo non vuol dire che non si possa dire che qualcosa è sbagliato, disumano o pericoloso — specie in casi gravi, come quelli legati alla guerra o alle ingiustizie.
Quindi sì, anche lui — come ognuno di noi — valuta, prende posizione. La differenza sta nel tono interiore, nel modo in cui si fa: c’è una grande differenza tra dire “questo comportamento mi sembra ingiusto” e dire “chi fa così è un essere inutile, sbagliato, da scartare”. Il primo apre al dialogo, il secondo chiude e crea distanza.
Lei sembra già molto in contatto con questo tipo di atteggiamento: osserva, ascolta, si fa un’idea, ma non cerca di imporla. Questa è una forma di maturità emotiva, e non significa che sta “giudicando male”. Significa che sta pensando con la tua testa, senza perdere il rispetto per gli altri.
In fondo, il punto non è eliminare i giudizi (è impossibile), ma diventare consapevoli di quando giudichiamo, con che intenzione lo facciamo, e se quel giudizio ci avvicina agli altri o ci separa.
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Salve,

quello che descrivi è molto interessante e tocca un punto sottile della psicologia e dell’etica: la differenza tra giudizio e valutazione.

Quando parliamo di “non giudicare gli altri” nel contesto di crescita personale o mindfulness, generalmente ci si riferisce all’evitare di etichettare le persone come “buone” o “cattive” in modo assoluto, o di farlo con rabbia, risentimento o superiorità. Il giudizio in questo senso è legato a un coinvolgimento emotivo che può generare conflitto, stress o pregiudizio.

Al contrario, una valutazione può essere un’osservazione lucida, distaccata, basata sui fatti, senza coinvolgere attacchi personali o etichette definitive. Ad esempio, riconoscere che certe azioni nel mondo sono ingiuste o dannose è una valutazione critica della realtà, non necessariamente un giudizio verso la persona come “cattiva”.

Quindi, quando la persona che segui commenta eventi o comportamenti negativi nel mondo, non si tratta necessariamente di giudizio verso le persone, ma di un’analisi o opinione su azioni o situazioni specifiche. È normale distinguere tra valutazione dei comportamenti e giudizio sulle persone: il primo può essere utile e costruttivo, il secondo può generare conflitto e stress emotivo.

Per chiarire meglio come distinguere tra giudizio e valutazione, e per capire come questo si applica alla tua esperienza personale nel rapportarti agli altri, sarebbe utile e consigliato rivolgersi a uno specialista.

Cordiali saluti,
Dottoressa Silvia Parisi, Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott. Antonio Di Mauro
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Milano
Gentilissimo, l'essere umano come tale giudica. Ogni proposizione che formuliamo, purché contenga un soggetto e un predicato, è un giudizio (questo pane è nero, questo bambino è vivace, ecc.). Ma, come lei stesso accenna sul finire della sua domanda, una cosa è il giudizio (inevitabile ogni qualvolta pensiamo, scriviamo e parliamo) e un'altra cosa la valutazione, che invece presuppone un apprezzamento oppure un rifiuto della cosa giudicata. In questo secondo caso, il rischio dell'arbitrio soggettivo, come tale opinabile, è inevitabilmente più alto, come quando quando dico: questa canzone è bella, oppure questa pietanza è insipida, e simili. Mi sembra tuttavia che questa differenza fra giudizio e valutazione, cui lei allude, sia per lei soprattutto un modo per tentare di cogliere in contraddizione la professionista in questione, la quale - lei sostiene - dice di attenersi alla formulazione di meri giudizi mentre in realtà manifesta valutazioni personali. E occorre domandarsi allora, dietro la distinzione puramente razionale fra giudizio e valutazione, cos'altro vi sia per lei, ossia quale sia il movente (di natura emozionale, non puramente intellettiva) che la spinge a cogliere in fallo questa professionista... Perchè sente il bisogno di evidenziare i limiti del discorso di questa persona, al punto di chiedere rassicurazioni ai professionisti di Miodottore? Chi è, e cosa rappresenta per lei questa persona e la pagina che ella tiene sul web? A partire da queste domande, se ne avvertirà l'esigenza, potrà fare luce, con l'aiuto di un professionista, su motivazioni, bisogni e desideri per il momento ancora in lei inconsci... Distinti saluti, Antonio Di Mauro - psicologo e psicoterapeuta a Milano e online
Dott.ssa Francesca Messina
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buongiorno, comprendo la sua domanda. Credo sia importante crearsi una propria idea. I professionisti, sebbene spesso si presentino in un certo modo, sono persone e come tali non possono astenersi completamente dal giudicare gli altri. Al netto di ciò, credo sia importante distinguere la svalutazione degli altri e il giudizio. Non possiamo eliminare dalla nostra mente i giudizi.
Dott.ssa Lucrezia Farese
Psicologo, Psicologo clinico
Fragneto Monforte
Salve, è utile distinguere tra giudizio e valutazione. Il giudizio, in senso psicologico, implica spesso una chiusura: si etichetta la persona, non solo il comportamento. Valutare, invece, significa esprimere un’opinione critica mantenendo apertura e rispetto. Anche i professionisti possono valutare fatti o comportamenti, purché lo facciano con consapevolezza e senza scivolare in generalizzazioni o moralismi.
Dott.ssa Farese Lucrezia
Salve, se vogliamo fare chiarezza su i due termini usando l'esempio della guerra. Se una persona criticare la guerra allora si può dire che si fa una valutazione etica di un evento. Al contrario, se usassimo espressioni come “i popoli che fanno la guerra sono malvagi e sempre lo saranno”, in questo caso si dà un giudizio rigido dell'evento. Spero di esserle stata d'aiuto.
Un saluto,
Dott.ssa Giorgia Rizzo
Dott.ssa Veronica De Iuliis
Psicologo, Psicologo clinico
Cogliate
Buongiorno,
il suo dubbio è molto interessante e tocca una distinzione sottile ma importante. Quando parliamo di non giudicare, in psicologia si fa riferimento soprattutto all’atteggiamento interiore: non etichettare sé stessi o gli altri in modo rigido e svalutante (“sei sbagliato”, “non vali”), perché questo genera sofferenza e chiusura.

Esprimere un’opinione o riconoscere che un comportamento è ingiusto o dannoso, invece, è diverso: significa fare una valutazione critica della realtà, che è necessaria per orientarsi, prendere posizione e agire. Giudizio e valutazione quindi non coincidono: il primo tende a bloccare e incasellare, la seconda apre alla possibilità di comprensione e cambiamento.

In altre parole: non giudicare non significa sospendere ogni forma di pensiero critico, ma imparare a distinguere tra condannare la persona e riflettere sui suoi comportamenti.
Gentile utente, quello che descrive tocca una distinzione importante: spesso la frase “non giudicare” si riferisce al giudizio sugli altri come persone, cioè attribuire loro un valore morale globale (“è una persona cattiva/degna”) basandosi su singoli comportamenti o pregiudizi. Questo tipo di giudizio può creare conflitto e ostacolare empatia e comprensione.

Esprimere invece opinioni o valutazioni su eventi, azioni o comportamenti specifici – ad esempio criticare ingiustizie, guerre o comportamenti dannosi – non rientra nello stesso tipo di giudizio. Qui si tratta di osservazioni critiche o etiche, basate su fatti, valori o principi, e non sulla persona in quanto tale.

In sintesi: possiamo “valutare” azioni o eventi senza giudicare la persona nella sua interezza. Questa distinzione consente di mantenere uno sguardo critico e consapevole senza cadere nella condanna globale dell’altro.
Buongiorno,
la sua osservazione è molto interessante perché mette in luce una distinzione importante.
Quando parliamo di giudizio in senso negativo, intendiamo un’etichetta rigida e svalutante, che riduce una persona o una situazione a qualcosa di “giusto” o “sbagliato” in modo assoluto, senza sfumature. Questo tipo di giudizio tende a chiudere il dialogo ed è spesso accompagnato da un atteggiamento aggressivo o impositivo.
Diverso è esprimere una valutazione o un’opinione personale: in questo caso non stiamo condannando l’altro nella sua essenza, ma stiamo comunicando il nostro punto di vista rispetto a un comportamento o a un evento, lasciando spazio al confronto. Questo rientra nell’ambito dell’assertività, cioè la capacità di dire ciò che pensiamo in modo chiaro e rispettoso, senza imporci ma nemmeno rinunciare a noi stessi.

Anche quando parliamo di avvenimenti complessi come una guerra o un’ingiustizia, non si tratta tanto di “giudicare le persone” quanto di riconoscere che alcune azioni hanno conseguenze dannose. Questo non è un giudizio distruttivo, ma una posizione critica che nasce dai propri valori.
Un suggerimento può essere quello di chiedersi, ogni volta che esprime un pensiero: “Sto parlando per condividere un punto di vista o per etichettare l’altro?”. Questa semplice domanda aiuta a restare nell’assertività, distinguendo tra la forza di un’opinione e il peso di un giudizio.
Un caro saluto,
Dott.ssa Elena Frosini.
Dott.ssa Sara Petroni
Psicologo clinico, Psicologo
Tarquinia
Gentile utente,

la sua riflessione è molto interessante e tocca un punto spesso frainteso: la differenza tra giudicare e valutare.

“Non giudicare” non significa rinunciare a farsi un’opinione o a riconoscere ciò che è giusto o sbagliato; significa piuttosto evitare di attribuire un valore assoluto alla persona, come se un suo comportamento definisse interamente chi è. In altre parole, il giudizio è qualcosa che chiude (“questa persona è sbagliata”), mentre la valutazione è qualcosa che comprende (“questo comportamento mi sembra sbagliato”).

Quando lei dice di osservare, valutare e confrontarsi con tranquillità, senza imporre la sua visione, sta già esercitando una forma sana di discernimento, non un giudizio.
Anche quando un professionista o un divulgatore parla di temi etici o sociali, può esprimere una posizione critica — ad esempio condannare la violenza o l’ingiustizia — ma se lo fa partendo dai fatti e non da un’etichetta sulle persone, non si tratta di “giudicare”, bensì di riflettere e prendere posizione.

Il giudizio nasce dal bisogno di superiorità o di controllo (“io sono migliore di chi sbaglia”), mentre la valutazione nasce dalla consapevolezza e dal senso di responsabilità (“quell’azione ha conseguenze negative, e provo disaccordo o dolore nel vederla”).

In sintesi, quindi:

Giudicare significa chiudere e classificare;

Valutare significa comprendere e scegliere.

Lei mostra già un approccio maturo e consapevole: saper pensare criticamente senza cadere nel moralismo è proprio ciò che consente di restare liberi interiormente, anche in un mondo dove le opinioni si esprimono spesso in modo rigido o assoluto.

Dott.ssa Sara Petroni

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