Io, sono un ragazzo di 26 anni, e sto conducendo una vita estremamente solitaria, non amici, non ho
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Io, sono un ragazzo di 26 anni, e sto conducendo una vita estremamente solitaria, non amici, non ho un lavoro e non ho una fidanzata, mai avuta, tutto questo perché vengo rifiutato, nonostante io mi sono fatto un mazzo così, sono stufo, di questa situazione come posso fare per emergere nella società? La solitudine è il peggiore dei mali. Addirittura mi è stato detto di accettare questa condizione di solitudine? Ma scherziamo?
Hai perfettamente ragione a dire che la solitudine è uno dei mali peggiori, soprattutto quando non è scelta, ma subita. E no, non è affatto scontato “accettarla”, come se fosse una condizione naturale e definitiva. Quando una persona sente il bisogno di contatto umano, di relazione, di riconoscimento… ha tutto il diritto di voler cambiare la propria situazione.
Hai 26 anni, e da quello che scrivi si sente tutta la fatica e la frustrazione di chi ci ha provato, si è impegnato, ha cercato di fare la sua parte. Eppure il rifiuto ti ha portato a una chiusura che non volevi. È una ferita vera, concreta, e quello che senti non è debolezza: è un segnale sano, che ti dice che hai bisogno degli altri.
Emergere non significa diventare qualcuno secondo i canoni degli altri, ma uscire da quel silenzio, da quel buio che ti sta schiacciando. E non esistono formule magiche, ma esiste una via: ricominciare dalle piccole esperienze di contatto reale, anche se oggi sembrano lontanissime. Un ambiente nuovo, un gruppo, un contesto dove non devi dimostrare nulla ma puoi semplicemente esserci. Anche con tutte le tue ferite.
La cosa importante è non restare solo con questo peso. Perché quando si è da soli troppo a lungo, si perde anche la misura di sé, si comincia a credere che si è sbagliati, o invisibili. E invece no. Non sei sbagliato. Stai solo portando addosso un peso troppo grande da troppo tempo.
Un percorso con qualcuno che possa aiutarti a ritrovare il filo, uno psicologo, un gruppo di supporto, uno spazio dove parlare davvero, può essere un primo passo. Non perché tu sia “da curare”, ma perché meriti di sentirti visto, ascoltato, riconosciuto.
Se ti va, posso aiutarti anche solo a fare un po’ di chiarezza sul primo passo da fare. Non devi fare tutto da solo.
Hai 26 anni, e da quello che scrivi si sente tutta la fatica e la frustrazione di chi ci ha provato, si è impegnato, ha cercato di fare la sua parte. Eppure il rifiuto ti ha portato a una chiusura che non volevi. È una ferita vera, concreta, e quello che senti non è debolezza: è un segnale sano, che ti dice che hai bisogno degli altri.
Emergere non significa diventare qualcuno secondo i canoni degli altri, ma uscire da quel silenzio, da quel buio che ti sta schiacciando. E non esistono formule magiche, ma esiste una via: ricominciare dalle piccole esperienze di contatto reale, anche se oggi sembrano lontanissime. Un ambiente nuovo, un gruppo, un contesto dove non devi dimostrare nulla ma puoi semplicemente esserci. Anche con tutte le tue ferite.
La cosa importante è non restare solo con questo peso. Perché quando si è da soli troppo a lungo, si perde anche la misura di sé, si comincia a credere che si è sbagliati, o invisibili. E invece no. Non sei sbagliato. Stai solo portando addosso un peso troppo grande da troppo tempo.
Un percorso con qualcuno che possa aiutarti a ritrovare il filo, uno psicologo, un gruppo di supporto, uno spazio dove parlare davvero, può essere un primo passo. Non perché tu sia “da curare”, ma perché meriti di sentirti visto, ascoltato, riconosciuto.
Se ti va, posso aiutarti anche solo a fare un po’ di chiarezza sul primo passo da fare. Non devi fare tutto da solo.
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Buonasera,
concordo che non lei quando afferma di essere stanco di questa situazione in cui riversa e di cui non ne è per niente contento.
le consiglio un percorso di psicoterapia per risalire alle cause della sua solitudine, al perchè non riesce o non vuole entrare in relazioni amicali o intime.
solo conoscendo le cause si possono cambiare i comportamenti che creano situazioni spiacevoli.
Le auguro di avere la forza per effettuare questo cambiamento e le ricordo che sono a disposizione per qualsiasi approfondimento.
cordiali saluti
Dott.ssa Laura Bova
concordo che non lei quando afferma di essere stanco di questa situazione in cui riversa e di cui non ne è per niente contento.
le consiglio un percorso di psicoterapia per risalire alle cause della sua solitudine, al perchè non riesce o non vuole entrare in relazioni amicali o intime.
solo conoscendo le cause si possono cambiare i comportamenti che creano situazioni spiacevoli.
Le auguro di avere la forza per effettuare questo cambiamento e le ricordo che sono a disposizione per qualsiasi approfondimento.
cordiali saluti
Dott.ssa Laura Bova
Buonasera, la ringrazio per aver condiviso, con sincerità e coraggio, una parte così profonda e dolorosa della sua esperienza. Il senso di solitudine che descrive, unito alla frustrazione per il mancato riconoscimento dei propri sforzi, rappresenta un vissuto umano intenso, che certamente merita attenzione e ascolto.
Spesso, quando ci si sente esclusi o “non visti” dall'altro, può emergere una narrazione di sé centrata sulla mancanza, sul fallimento, sull’assenza. Tuttavia, anche dentro questo racconto, si nasconde un potenziale generativo: la possibilità di ri-conoscersi, ossia di guardare a se stessi con uno sguardo nuovo, più autentico, non filtrato solo dalle aspettative esterne o dai confronti con gli altri.
Raccontare la propria storia, in uno spazio accogliente e protetto, può aprire a possibilità di trasformazione. Non si tratta di accettare passivamente una condizione di solitudine, quanto piuttosto di esplorarne il significato, cogliendone i messaggi, le ferite, ma anche le risorse latenti. A volte è proprio da lì, da quel luogo apparentemente privo di vie d’uscita, che può nascere un nuovo modo di essere nel mondo.
Resto a disposizione per qualsiasi ulteriore approfondimento.
Un cordiale saluto, Matteo Totaro.
Spesso, quando ci si sente esclusi o “non visti” dall'altro, può emergere una narrazione di sé centrata sulla mancanza, sul fallimento, sull’assenza. Tuttavia, anche dentro questo racconto, si nasconde un potenziale generativo: la possibilità di ri-conoscersi, ossia di guardare a se stessi con uno sguardo nuovo, più autentico, non filtrato solo dalle aspettative esterne o dai confronti con gli altri.
Raccontare la propria storia, in uno spazio accogliente e protetto, può aprire a possibilità di trasformazione. Non si tratta di accettare passivamente una condizione di solitudine, quanto piuttosto di esplorarne il significato, cogliendone i messaggi, le ferite, ma anche le risorse latenti. A volte è proprio da lì, da quel luogo apparentemente privo di vie d’uscita, che può nascere un nuovo modo di essere nel mondo.
Resto a disposizione per qualsiasi ulteriore approfondimento.
Un cordiale saluto, Matteo Totaro.
Ciao, comprendo profondamente il peso e la frustrazione che stai vivendo. Sentirsi soli e rifiutati può davvero far sembrare tutto più difficile, e la solitudine può ferire molto. Tuttavia, è importante ricordare che non sei solo in questa esperienza, anche se può sembrare così. Il primo passo per emergere nella società e migliorare la tua situazione è riconoscere le tue risorse e i piccoli passi che puoi iniziare a fare ogni giorno per costruire relazioni e trovare un senso di appartenenza.
Accettare la solitudine non significa rassegnarsi, ma può voler dire imparare a convivere con questo stato senza lasciarsi sopraffare, per poi lavorare gradualmente sul cambiamento. A volte dietro il rifiuto e la difficoltà di inserirsi ci sono aspetti interiori che meritano di essere esplorati e compresi, come la gestione dell’autostima, la comunicazione, o anche eventuali blocchi emotivi.
Per questo, sarebbe davvero utile e consigliato rivolgersi a uno specialista, che possa accompagnarti in un percorso personalizzato per affrontare queste difficoltà e costruire nuove strategie di crescita e relazione.
Con stima,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Accettare la solitudine non significa rassegnarsi, ma può voler dire imparare a convivere con questo stato senza lasciarsi sopraffare, per poi lavorare gradualmente sul cambiamento. A volte dietro il rifiuto e la difficoltà di inserirsi ci sono aspetti interiori che meritano di essere esplorati e compresi, come la gestione dell’autostima, la comunicazione, o anche eventuali blocchi emotivi.
Per questo, sarebbe davvero utile e consigliato rivolgersi a uno specialista, che possa accompagnarti in un percorso personalizzato per affrontare queste difficoltà e costruire nuove strategie di crescita e relazione.
Con stima,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Buongiorno,
capisco il tuo disagio e la tua sofferenza per la tua solitudine, alla quale non ti vuoi giustamente arrendere, perché noi esseri umani siamo portati a vivere in relazione con altri, all'interno di una società, con relazioni più o meno strette. Ci sarebbe probabilmente da capire cosa ti porta a sentirti rifiutato o quali sono state le occasioni e le interazioni nelle quali sei stato respinto. Non tutti viviamo le situazioni allo stesso modo, ma le idee e le credenze che abbiamo ci portano a filtrare e interpretare gli eventi in maniera individuale, come se ognuno di noi avesse "occhiali" personali per interpretare a modo proprio la realtà. Non solo: ognuno di noi prova delle emozioni diverse per ogni situazione, magari c'è qualcosa a livello emotivo che ti blocca un po' nelle relazioni con gli altri. Ti suggerisco di intraprendere un percorso di psicoterapia per provare a prendere consapevolezza dei tuoi pensieri e convinzioni bloccanti, e magari trovare nuovi modi di relazionarti con gli altri. Saluti
capisco il tuo disagio e la tua sofferenza per la tua solitudine, alla quale non ti vuoi giustamente arrendere, perché noi esseri umani siamo portati a vivere in relazione con altri, all'interno di una società, con relazioni più o meno strette. Ci sarebbe probabilmente da capire cosa ti porta a sentirti rifiutato o quali sono state le occasioni e le interazioni nelle quali sei stato respinto. Non tutti viviamo le situazioni allo stesso modo, ma le idee e le credenze che abbiamo ci portano a filtrare e interpretare gli eventi in maniera individuale, come se ognuno di noi avesse "occhiali" personali per interpretare a modo proprio la realtà. Non solo: ognuno di noi prova delle emozioni diverse per ogni situazione, magari c'è qualcosa a livello emotivo che ti blocca un po' nelle relazioni con gli altri. Ti suggerisco di intraprendere un percorso di psicoterapia per provare a prendere consapevolezza dei tuoi pensieri e convinzioni bloccanti, e magari trovare nuovi modi di relazionarti con gli altri. Saluti
Caro ragazzo,
mi spiace molto della sofferenza che percepisco dalle sue parole rispetto alla sua condizione di solitudine.
Mi colpisce il suo desiderio di "emergere nella società"...credo che abbia bisogno di poter condividere con qualcuno quello che sta vivendo, qualcuno che possa accogliere il suo vissuto e cercare insieme a lei quali siano le ragioni di questa condizione di solitudine per cercare possibili alternative.
Non so chi le abbia consigliato di accettare questa condizione di solitudine e in che senso, ma sicuramente sarebbe qualcosa da approfondire.
Le consiglio di contattare un professionista per una consulenza ed esplorare meglio il suo vissuto e farsi suggerire come procedere e quale percorso possa intraprendere.
Le auguro il meglio!
Dott. Domenico Samele
mi spiace molto della sofferenza che percepisco dalle sue parole rispetto alla sua condizione di solitudine.
Mi colpisce il suo desiderio di "emergere nella società"...credo che abbia bisogno di poter condividere con qualcuno quello che sta vivendo, qualcuno che possa accogliere il suo vissuto e cercare insieme a lei quali siano le ragioni di questa condizione di solitudine per cercare possibili alternative.
Non so chi le abbia consigliato di accettare questa condizione di solitudine e in che senso, ma sicuramente sarebbe qualcosa da approfondire.
Le consiglio di contattare un professionista per una consulenza ed esplorare meglio il suo vissuto e farsi suggerire come procedere e quale percorso possa intraprendere.
Le auguro il meglio!
Dott. Domenico Samele
Buonasera, io credo che un professionista possa aiutarti a capire il motivo di questo malessere che sta colpendo la tua realizzazione personale in più campi della tua vita. Il lavoro psicoterapeutico consiste proprio nel diventare consapevoli della propria difficoltà ed attivarsi per mettere in campo tutte le risorse per uscirne dal problema. Certo, comprendo pienamente che ti senti che "la solitudine è il peggiore dei mali" perchè ti sta bloccando nella vita, come hai scritto. Accettare questa condizione di solitudine non mi sembra la strada giusta, anche perchè tu dichiari totalmente di non star bene in questa situazione. Rimango a tua disposizione
Buonasera, forse è indispensabile che lei si prenda cura dei motivi alla base di questa solitudine, che mi sembra, le sta provocando sofferenza. Dal Mio punto di osservazione non posso che consigliarle di iniziare un percorso terapeutico, anche per capire le cause di questi rifiuti. Se vuole a disposizione. Saluti, buona serata
La solitudine persistente in giovane età non è solo un’esperienza dolorosa: può diventare un tunnel in cui tutto perde senso, anche l’impegno, anche la speranza. Quando dici “mi sono fatto un mazzo così” stai nominando qualcosa di profondo: la frustrazione di chi ha lottato, ma non è stato visto né scelto.
Spesso, chi suggerisce di “accettare la solitudine” lo fa per rimuovere il disagio, non per aiutarti a trasformarlo. Ma accettare non significa rassegnarsi. Significa partire da ciò che sei ora per costruire relazioni più autentiche, non per forza numerose, ma vere. E per farlo, serve prima ascoltare il significato che dai al rifiuto, alla fatica, al sentirti “fuori”.
Non c’è nulla di sbagliato in te. Ma ci può essere una narrazione interna che si è costruita nel tempo su esclusioni, delusioni e mancate appartenenze, e che oggi può essere rielaborata in uno spazio protetto come la psicoterapia individuale.
In terapia, non si insegna “a farsi accettare dalla società”, ma si impara a riconoscersi degni anche quando il mondo sembra cieco. E da lì, spesso, comincia una forma nuova di visibilità.
Spesso, chi suggerisce di “accettare la solitudine” lo fa per rimuovere il disagio, non per aiutarti a trasformarlo. Ma accettare non significa rassegnarsi. Significa partire da ciò che sei ora per costruire relazioni più autentiche, non per forza numerose, ma vere. E per farlo, serve prima ascoltare il significato che dai al rifiuto, alla fatica, al sentirti “fuori”.
Non c’è nulla di sbagliato in te. Ma ci può essere una narrazione interna che si è costruita nel tempo su esclusioni, delusioni e mancate appartenenze, e che oggi può essere rielaborata in uno spazio protetto come la psicoterapia individuale.
In terapia, non si insegna “a farsi accettare dalla società”, ma si impara a riconoscersi degni anche quando il mondo sembra cieco. E da lì, spesso, comincia una forma nuova di visibilità.
Buongiorno, la ringrazio per la sua condivisione. Sono d'accordo con quello che dice: la solitudine non è qualcosa da accettare in modo passivo, ma da capire. C'è bisogno di capire come mai fa così fatica a legare e stringere relazioni, se è sempre stato così oppure c'è stato un momento in particolare in cui questa fatica è emersa, cosa significa per lei stringere relazioni, cosa significa il fatto che viene rifiutato, come e perchè. Credo che possa essere importante intraprendere un percorso che la aiuti a fare luce su questo tema con l'aiuto di un professionista di cui possa fidarsi, e a cui possa affidarsi. La solitudine non è certo una condizione a cui arrendersi, ma un sintomo in questo caso da comprendere e sciogliere alla luce della sua storia. Se avesse bisogno di ulteriore supporto mi trova a disposizione, anche online. Un caro saluto, dott.ssa Elena Gianotti
Ciao, grazie per il tuo messaggio sincero. La tua frustrazione è comprensibile e legittima: desiderare relazioni, riconoscimento e un posto nella società è umano, non un “capriccio”. La solitudine cronica può pesare tantissimo, soprattutto se hai fatto sforzi senza sentirne i frutti.
Alcuni spunti che potrebbero esserti utili:
1. No, non devi “accettare” la solitudine come unica realtà. Chi te lo ha detto forse voleva tranquillizzarti, ma il dolore va ascoltato, non minimizzato.
2. Rivaluta i canali di contatto: anche se è difficile, cerca ambienti nuovi (gruppi a tema, volontariato, corsi). I rapporti spesso nascono da interessi condivisi.
3. Lavoro e dignità: anche un impiego parziale o un tirocinio può essere un primo passo per sentirsi utili, costruire routine e incontrare persone.
4. Psicoterapia mirata: se senti che il rifiuto ti ha segnato, un percorso psicologico può aiutarti a lavorare sull’autostima e sull’autoefficacia. Non è debolezza, ma lucidità.
5. Non misurarti con gli altri: capisco che ti sembra di essere “indietro”, ma non c’è una linea temporale uguale per tutti. Il tuo tempo ha valore, anche se diverso.
Ricorda che non sei solo.
Alcuni spunti che potrebbero esserti utili:
1. No, non devi “accettare” la solitudine come unica realtà. Chi te lo ha detto forse voleva tranquillizzarti, ma il dolore va ascoltato, non minimizzato.
2. Rivaluta i canali di contatto: anche se è difficile, cerca ambienti nuovi (gruppi a tema, volontariato, corsi). I rapporti spesso nascono da interessi condivisi.
3. Lavoro e dignità: anche un impiego parziale o un tirocinio può essere un primo passo per sentirsi utili, costruire routine e incontrare persone.
4. Psicoterapia mirata: se senti che il rifiuto ti ha segnato, un percorso psicologico può aiutarti a lavorare sull’autostima e sull’autoefficacia. Non è debolezza, ma lucidità.
5. Non misurarti con gli altri: capisco che ti sembra di essere “indietro”, ma non c’è una linea temporale uguale per tutti. Il tuo tempo ha valore, anche se diverso.
Ricorda che non sei solo.
Buongiorno, credo che il solo fatto di sentire il bisogno di cambiare qualcosa nella sua vita e che si stia muovendo in questa direzione chiedendo aiuto, possa già essere considerato un passo importante per lei. Sarebbe importante capire cosa l'ha portata fino adesso a stare in questa condizione e che cosa si può fare per migliorarla. Se vuole sono la dott.ssa Laura Bini e sono disponibile ad aiutarla anche on line per migliorare la sua situazione.
Resto a disposizione
Cari saluti
Resto a disposizione
Cari saluti
Ciao, innanzitutto sarebbe importante comprendere cosa significa per te 'emergere', a mio avviso. Quello che arriva da questo tuo scritto è che ci sia tanta rabbia ma anche tanta sofferenza in te. Tutto però sembra molto rapportato in funzione dell'esterno, con conseguenza il fatto che tu sia solo e senza risultati. Partirei da questo genere di condivisione per cercare di indagare, in te e per te in primis, che significato c'è dietro a tutto questo e sopratutto cosa più di tutto ti faccia sentire solo.
Buongiorno gentile utente, la ringrazio per la sua condivisione. Comprendo quanto possa essere dolorosa una condizione di solitudine. Si può modificare questa situazione comprendendo quali sono le ragioni che l'hanno portata a questa condizione: solitamente ci sono difficoltà relazionali legate ad esperienze passate negative, o a paure, o a giudizi su di sé, o a volte anche ci può essere una difficoltà a comprendere come comportarsi nei contesti relazionali. Un altro lavoro importante da fare su di sé è scoprire le proprie qualità, se non si è consapevoli di questo, e portarle alla luce in modo che siano condivisibili con gli altri. A volte capita di non accorgersi di tutte le qualità e di tutte le capacità che possediamo poiché le diamo per scontate. Le consiglio di rivolgersi ad uno psicoterapeuta per approfondire tutte queste tematiche e trovare la sua strada di uscita dalla solitudine. Rimango a disposizione per domande o chiarimenti. Cordialmente, dott.ssa Chiara Tumminello.
Gentile utente, grazie per aver condiviso apertamente ciò che sta vivendo. La solitudine è un dolore reale, profondo e spesso invisibile. Non è semplice, soprattutto quando ci si sente soli, non ascoltati e giudicati. Quello che prova è reale, ha un peso e un senso.
Le suggerisco di intraprendere un percorso psicologico, così da esplorare più a fondo la situazione e affrontare i pensieri e le emozioni legati ad essa, con l’obiettivo di trovare maggiore serenità.
Resto a disposizione per consulenze online.
Un caro saluto,
Dott.ssa Valentina De chiara
Brescia
Le suggerisco di intraprendere un percorso psicologico, così da esplorare più a fondo la situazione e affrontare i pensieri e le emozioni legati ad essa, con l’obiettivo di trovare maggiore serenità.
Resto a disposizione per consulenze online.
Un caro saluto,
Dott.ssa Valentina De chiara
Brescia
Carissimo
traspare molta sofferenza e rassegnazione dalle tue parole e mi spiace moltissimo per questa tua "solitudine" che ti ha sempre accompagnato da quanto racconti.
Se vuoi resto a disposizione per una consulenza per capire questa tua "tristezza e rassegnazione" e provare a strutturare con te un piano d'azione per provare ad "emergere" a partire da chi sei.
A presto. Dott. Sebastiano Pegorer
traspare molta sofferenza e rassegnazione dalle tue parole e mi spiace moltissimo per questa tua "solitudine" che ti ha sempre accompagnato da quanto racconti.
Se vuoi resto a disposizione per una consulenza per capire questa tua "tristezza e rassegnazione" e provare a strutturare con te un piano d'azione per provare ad "emergere" a partire da chi sei.
A presto. Dott. Sebastiano Pegorer
Salve,
quello che esprime è un dolore profondo, carico di frustrazione e di stanchezza. Le sue parole raccontano un percorso faticoso, in cui si è speso molto – con impegno, determinazione, fatica – e in cui tuttavia non ha ricevuto ciò che desiderava o si aspettava: relazioni significative, riconoscimento, appartenenza.
La solitudine, quando non è scelta ma subita, può essere devastante. E ha ragione a dire che non è una condizione da “accettare” come se fosse naturale o inevitabile.
Quando si sperimenta ripetutamente il rifiuto – reale o percepito – si può interiorizzare un messaggio tossico: “non valgo”, “non merito”, “nessuno mi vedrà mai davvero”. Queste credenze possono diventare invisibili ma potenti, e influenzare il modo in cui ci si relaziona agli altri e a sé stessi.
La sua domanda – “come posso fare per emergere?” – è importante. Ma forse la vera questione non è “emergere” in senso competitivo, quanto essere visto, riconosciuto, sentire che si ha un posto nel mondo. La società oggi sembra valorizzare solo chi è performante, estroverso, realizzato. Ma ogni essere umano ha diritto a una vita dignitosa, relazioni significative, uno spazio dove esprimersi.
Non esiste una ricetta unica, ma esistono strade possibili, graduali e concrete:
Ripartire da contesti reali dove poter stare con altri senza pressioni sociali, come laboratori, gruppi, volontariato, corsi pratici.
Intraprendere un percorso psicoterapeutico, se non lo ha già fatto, per dare spazio alla sua storia, alle sue emozioni, e rimettere insieme i pezzi in un modo che le appartenga davvero.
Un saluto.
Flavia Lanni
quello che esprime è un dolore profondo, carico di frustrazione e di stanchezza. Le sue parole raccontano un percorso faticoso, in cui si è speso molto – con impegno, determinazione, fatica – e in cui tuttavia non ha ricevuto ciò che desiderava o si aspettava: relazioni significative, riconoscimento, appartenenza.
La solitudine, quando non è scelta ma subita, può essere devastante. E ha ragione a dire che non è una condizione da “accettare” come se fosse naturale o inevitabile.
Quando si sperimenta ripetutamente il rifiuto – reale o percepito – si può interiorizzare un messaggio tossico: “non valgo”, “non merito”, “nessuno mi vedrà mai davvero”. Queste credenze possono diventare invisibili ma potenti, e influenzare il modo in cui ci si relaziona agli altri e a sé stessi.
La sua domanda – “come posso fare per emergere?” – è importante. Ma forse la vera questione non è “emergere” in senso competitivo, quanto essere visto, riconosciuto, sentire che si ha un posto nel mondo. La società oggi sembra valorizzare solo chi è performante, estroverso, realizzato. Ma ogni essere umano ha diritto a una vita dignitosa, relazioni significative, uno spazio dove esprimersi.
Non esiste una ricetta unica, ma esistono strade possibili, graduali e concrete:
Ripartire da contesti reali dove poter stare con altri senza pressioni sociali, come laboratori, gruppi, volontariato, corsi pratici.
Intraprendere un percorso psicoterapeutico, se non lo ha già fatto, per dare spazio alla sua storia, alle sue emozioni, e rimettere insieme i pezzi in un modo che le appartenga davvero.
Un saluto.
Flavia Lanni
Salve Gentile Utente, capisco perfettamente la frustrazione e la sofferenza che sta provando. La condizione che descrive, fatta di isolamento sociale, mancanza di relazioni affettive e professionali, unita al senso di sforzo continuo non ricompensato, può generare un senso di stanchezza e di fatica esistenziale molto forte. Ciò non è affatto banale né facilmente tollerabile, ed è comprensibile che lei si senta stanco, arrabbiato, deluso.
La solitudine, soprattutto quando è imposta e non scelta, può davvero diventare un peso enorme, non solo emotivo ma anche identitario. Il bisogno di riconoscimento, di contatto, di appartenertenenza, è fondamentale per l’essere umano. Quando viene sistematicamente negato, la persona può iniziare a percepire sé stessa come invisibile, fuori dalla “vita degli altri”, come se esistesse in una bolla che nessuno vede.
A chi si trova in questa condizione, spesso viene detto di "accettarla", ma quando questo invito arriva senza empatia e senza offrire strumenti "psicologici" reali per cambiare le cose, può suonare come una presa in giro, o peggio ancora come una condanna.
Accettare non significa rassegnarsi, significa solo riconoscere dove si è, per poter iniziare a muoversi da lì, ma per muoversi davvero serve qualcosa di più. A questo fine potrebbe essere utile percorso psicologico che aiuti a dare significato a questa fatica, che consenta di vedere con lucidità le dinamiche che si sono costruite nel tempo e che forse, in modo involontario, possono talvolta contribuire ad alimentare il senso di esclusione.
Emergere nella società non è solo una questione di sforzo, ma anche di connessioni umane, di possibilità, di occasioni emotive, di fiducia in sé e negli altri. A volte, la solitudine può diventare cronica perché ci si è abituati a difendersi, ad aspettarsi il rifiuto, e senza volerlo si possono mettere in atto modalità di chiusura che rafforzano il distacco. È una difesa comprensibile, ma che può diventare una prigione.
Un percorso psicoterapeutico serio e ben strutturato può aiutarla a cambiare prospettiva, a sciogliere i nodi interiori che possono farle da ostacolo, e ad aiutarla a costruire relazioni autentiche, che non siano basate sul dover dimostrare il proprio valore, ma sul sentirsi riconosciuto e accettato per ciò che è.
Qualora avesse ulteriori dubbi o domande, non esiti a contattarmi.
Un caro saluto.
La solitudine, soprattutto quando è imposta e non scelta, può davvero diventare un peso enorme, non solo emotivo ma anche identitario. Il bisogno di riconoscimento, di contatto, di appartenertenenza, è fondamentale per l’essere umano. Quando viene sistematicamente negato, la persona può iniziare a percepire sé stessa come invisibile, fuori dalla “vita degli altri”, come se esistesse in una bolla che nessuno vede.
A chi si trova in questa condizione, spesso viene detto di "accettarla", ma quando questo invito arriva senza empatia e senza offrire strumenti "psicologici" reali per cambiare le cose, può suonare come una presa in giro, o peggio ancora come una condanna.
Accettare non significa rassegnarsi, significa solo riconoscere dove si è, per poter iniziare a muoversi da lì, ma per muoversi davvero serve qualcosa di più. A questo fine potrebbe essere utile percorso psicologico che aiuti a dare significato a questa fatica, che consenta di vedere con lucidità le dinamiche che si sono costruite nel tempo e che forse, in modo involontario, possono talvolta contribuire ad alimentare il senso di esclusione.
Emergere nella società non è solo una questione di sforzo, ma anche di connessioni umane, di possibilità, di occasioni emotive, di fiducia in sé e negli altri. A volte, la solitudine può diventare cronica perché ci si è abituati a difendersi, ad aspettarsi il rifiuto, e senza volerlo si possono mettere in atto modalità di chiusura che rafforzano il distacco. È una difesa comprensibile, ma che può diventare una prigione.
Un percorso psicoterapeutico serio e ben strutturato può aiutarla a cambiare prospettiva, a sciogliere i nodi interiori che possono farle da ostacolo, e ad aiutarla a costruire relazioni autentiche, che non siano basate sul dover dimostrare il proprio valore, ma sul sentirsi riconosciuto e accettato per ciò che è.
Qualora avesse ulteriori dubbi o domande, non esiti a contattarmi.
Un caro saluto.
buonasera, credo che già il fatto che ne abbia consapevolezza del suo personale ritiro sociale, di svolgere una vita in solitudine e di non avere relazioni private, potrebbe giovarle intraprendere una psicoterapia individuale, per trovare le strategie migliori per affrontare il cambiamento del ciclo vitale. Saluti
Salve, accettare la condizione di solitudine non significa rassegnarsi ad essa, ma prenderne coscienza circa le cause e valutare come si può soddisfare il proprio bisogno di relazione. La invito a considerare un percorso in cui esplorare nel profondo questa sua condizione che, immagino, non sia piacevole al fine di aprirsi a nuove prospettive per stare meglio. In bocca al lupo!
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