Espongo questo mio problema: da circa dieci anni (sono una donna di 39 anni) ormai sono decisamente
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Espongo questo mio problema: da circa dieci anni (sono una donna di 39 anni) ormai sono decisamente in sovrappeso. All'inizio mi limitavo a mangiare di più a pranzo e a cena, poi ho preso l'abitudine di mangiare dolci (ho iniziato nel 2016 durante un ricovero per un grave disturbo ossessivo compulsivo) fuori pasto. Questa abitudine è continuata fino a che sono arrivata a pesare ben 93 kili (sono alta 1,67). Nel 2018 sono andata dal dietologo ma ho interrotto la dieta dopo qualche mese. Mi sono rivolta a un nutrizionista nel 2024 e ho perso dieci kili, ma per motivi legati a depressione e ansia negli ultimi due mesi li ho ripreso quasi
tutti. Il fatto è che io faccio quotidiane abbuffate di torte, biscotti, brioche e gelati. Non sono contenta della mia vita(una sola amica, non ho lavoro né ragazzo)e mi annoio molto. Per ora non vedo una soluzione, benché vada dallo psicologo e sia seguita da una psichiatra. Potete aiutarmi?
tutti. Il fatto è che io faccio quotidiane abbuffate di torte, biscotti, brioche e gelati. Non sono contenta della mia vita(una sola amica, non ho lavoro né ragazzo)e mi annoio molto. Per ora non vedo una soluzione, benché vada dallo psicologo e sia seguita da una psichiatra. Potete aiutarmi?
Salve, piacere di conoscerla,
Grazie per aver condiviso tutto questo con così tanta sincerità. È evidente che sta attraversando un periodo molto difficile, e il fatto che riesca comunque a cercare un aiuto concreto è già un passo molto importante e significativo.
Quello che descrive — il ricorso al cibo per colmare vuoti emotivi, l'aumento di peso dopo un percorso positivo, la noia, la solitudine, la mancanza di motivazione — è molto comune in chi vive situazioni di disagio psicologico come la depressione o l’ansia. Non è sola, anche se si sente così.
Prima cosa: non si colpevolizzi
Mangiare in modo compulsivo quando si sta male non è "una mancanza di forza di volontà" o "pigrizia". È una strategia di sopravvivenza, anche se disfunzionale. Il suo corpo e la tua mente stanno cercando sollievo da un dolore profondo. Non sei sbagliata. Sei una persona che sta cercando di gestire qualcosa di molto pesante. sono la dott.sa Oliva resto a sua disposizione.
Grazie per aver condiviso tutto questo con così tanta sincerità. È evidente che sta attraversando un periodo molto difficile, e il fatto che riesca comunque a cercare un aiuto concreto è già un passo molto importante e significativo.
Quello che descrive — il ricorso al cibo per colmare vuoti emotivi, l'aumento di peso dopo un percorso positivo, la noia, la solitudine, la mancanza di motivazione — è molto comune in chi vive situazioni di disagio psicologico come la depressione o l’ansia. Non è sola, anche se si sente così.
Prima cosa: non si colpevolizzi
Mangiare in modo compulsivo quando si sta male non è "una mancanza di forza di volontà" o "pigrizia". È una strategia di sopravvivenza, anche se disfunzionale. Il suo corpo e la tua mente stanno cercando sollievo da un dolore profondo. Non sei sbagliata. Sei una persona che sta cercando di gestire qualcosa di molto pesante. sono la dott.sa Oliva resto a sua disposizione.
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Gentile Utente, buona sera.
Dal suo messaggio posso cogliere chiaramente la fatica di cui parla, e ne sono dispiaciuta. Condivido in merito ai percorsi che sta seguendo in modo sincrono con psichiatra e psicologo.
Riguardo alle abbuffate, qualora siano in qualche modo connesse a vissuti disagevoli o comunque provanti, è importante che ci sia un lavoro di approfondimento ad essi dedicato e che la difficoltà di cui parla trovi lo spazio adeguato per essere ascoltata e accolta.
E' importante in tal caso cercare di comprendere (con serenità e dedicandoci il tempo necessario) il legame tra le abbuffate e le emozioni negative, indagando e cercando con il professionista quelle che possono rivelarsi strategie utili per lei per gestire il rapporto con il cibo.
Riguardo agli ultimi passi del suo messaggio, scrive "non vedo una soluzione per ora, benchè vada dallo psicologo e sia seguita da una psichiatra"....mi chiedo se ha provato a portare questo pensiero ai professionisti che la stanno seguendo. Essi la conoscono approfonditamente e dispongono di informazioni più dettagliate in merito al suo funzionamento e alle sue fatiche emotive. Una comunicazione aperta e distesa con loro le consentirebbe di ottenere delle risposte più specifiche relativamente alle sue perplessità. Non abbia timore di un confronto con loro, anzi, essi sapranno accogliere il suo sentire e darle spiegazioni e ascolto.
Resto a disposizione. Un caro saluto, Dott.ssa Letizia Turchetto
Dal suo messaggio posso cogliere chiaramente la fatica di cui parla, e ne sono dispiaciuta. Condivido in merito ai percorsi che sta seguendo in modo sincrono con psichiatra e psicologo.
Riguardo alle abbuffate, qualora siano in qualche modo connesse a vissuti disagevoli o comunque provanti, è importante che ci sia un lavoro di approfondimento ad essi dedicato e che la difficoltà di cui parla trovi lo spazio adeguato per essere ascoltata e accolta.
E' importante in tal caso cercare di comprendere (con serenità e dedicandoci il tempo necessario) il legame tra le abbuffate e le emozioni negative, indagando e cercando con il professionista quelle che possono rivelarsi strategie utili per lei per gestire il rapporto con il cibo.
Riguardo agli ultimi passi del suo messaggio, scrive "non vedo una soluzione per ora, benchè vada dallo psicologo e sia seguita da una psichiatra"....mi chiedo se ha provato a portare questo pensiero ai professionisti che la stanno seguendo. Essi la conoscono approfonditamente e dispongono di informazioni più dettagliate in merito al suo funzionamento e alle sue fatiche emotive. Una comunicazione aperta e distesa con loro le consentirebbe di ottenere delle risposte più specifiche relativamente alle sue perplessità. Non abbia timore di un confronto con loro, anzi, essi sapranno accogliere il suo sentire e darle spiegazioni e ascolto.
Resto a disposizione. Un caro saluto, Dott.ssa Letizia Turchetto
Buon pomeriggio! Ciò che descrivi rappresenta un meccanismo comune in molte persone; il cibo (in particolar modo i dolci) può diventare un modo per provare a gestire emozioni difficili, noia e/o stress. Dunque il fatto che tu abbia già intrapreso un percorso con uno psicologo ed uno psichiatra è sicuramente una scelta importantissima e che ti esorto a perseguire, in sinergia con un nutrizionista. Tieni bene a mente che per riuscire a stare meglio avrai bisogno di tempo e pazienza; ci saranno alti e bassi (compresa qualche ricaduta!), ma tu persevera e soprattutto sii indulgente con te stessa. D'altronde in passato sei stata già capace di perdere peso, ora dovrai provare ad affrontare i tuoi problemi alla radice. Resto a disposizione, dott.ssa Valentina Costanza
Grazie per aver condiviso la sua esperienza.
Da un punto di vista legato al corpo e al funzionamento mente-corpo, può essere utile sapere/ricordare che un'alimentazione ricca di zuccheri e cibi ultraprocessati, protratta nel tempo, può alterare la flora intestinale (una condizione nota come disbiosi). Questo squilibrio intestinale può influenzare anche il funzionamento del cervello, peggiorando stati d’animo come ansia, tristezza, affaticamento mentale e rendendo più difficile regolare l'impulso alimentare.
In condizioni di stress cronico e alimentazione squilibrata, il corpo può sviluppare una sorta di “disconnessione protettiva”: il cervello cerca di proteggersi da uno stato infiammatorio e metabolico alterato, ma questo può manifestarsi come perdita di motivazione, confusione mentale o peggioramento dei sintomi emotivi.
Non si tratta di "colpa", ma di meccanismi complessi e interconnessi che vale la pena osservare con attenzione e gentilezza verso se stessi. Anche piccoli miglioramenti nella qualità dell’alimentazione, quando saranno possibili per lei, potrebbero avere effetti positivi anche sul tono dell’umore.
Adottare una mentalità di crescita significa credere che si possa migliorare un po’ alla volta, imparando anche dagli errori. In quest’ottica, anche piccoli cambiamenti quotidiani, come fare una scelta un po’ più sana o prendersi cura di sé per qualche minuto, possono davvero fare la differenza.
Anche un miglioramento dell’1% al giorno, se ripetuto nel tempo, porta a risultati concreti. Questi piccoli passi costanti nutrono la fiducia e aiutano a ritrovare la sensazione che il cambiamento sia possibile.
Continui pure a parlare con i professionisti che la seguono: integrare questi piccoli passi nel lavoro già in corso può offrire uno spazio concreto di crescita, senza pressione, ma con gentilezza e gradualità.
Un caro saluto.
Da un punto di vista legato al corpo e al funzionamento mente-corpo, può essere utile sapere/ricordare che un'alimentazione ricca di zuccheri e cibi ultraprocessati, protratta nel tempo, può alterare la flora intestinale (una condizione nota come disbiosi). Questo squilibrio intestinale può influenzare anche il funzionamento del cervello, peggiorando stati d’animo come ansia, tristezza, affaticamento mentale e rendendo più difficile regolare l'impulso alimentare.
In condizioni di stress cronico e alimentazione squilibrata, il corpo può sviluppare una sorta di “disconnessione protettiva”: il cervello cerca di proteggersi da uno stato infiammatorio e metabolico alterato, ma questo può manifestarsi come perdita di motivazione, confusione mentale o peggioramento dei sintomi emotivi.
Non si tratta di "colpa", ma di meccanismi complessi e interconnessi che vale la pena osservare con attenzione e gentilezza verso se stessi. Anche piccoli miglioramenti nella qualità dell’alimentazione, quando saranno possibili per lei, potrebbero avere effetti positivi anche sul tono dell’umore.
Adottare una mentalità di crescita significa credere che si possa migliorare un po’ alla volta, imparando anche dagli errori. In quest’ottica, anche piccoli cambiamenti quotidiani, come fare una scelta un po’ più sana o prendersi cura di sé per qualche minuto, possono davvero fare la differenza.
Anche un miglioramento dell’1% al giorno, se ripetuto nel tempo, porta a risultati concreti. Questi piccoli passi costanti nutrono la fiducia e aiutano a ritrovare la sensazione che il cambiamento sia possibile.
Continui pure a parlare con i professionisti che la seguono: integrare questi piccoli passi nel lavoro già in corso può offrire uno spazio concreto di crescita, senza pressione, ma con gentilezza e gradualità.
Un caro saluto.
Cara utente,
prima di tutto, grazie per aver condiviso con coraggio la tua esperienza così personale e delicata. Quello che descrivi è un disagio complesso e profondo, che coinvolge sia la sfera emotiva che quella comportamentale, e che merita attenzione, ascolto e rispetto.
Dalle tue parole emergono diversi aspetti importanti: la relazione con il cibo sembra essere diventata, nel tempo, una modalità per gestire emozioni difficili come la noia, la solitudine, l’ansia e la tristezza. Le abbuffate compulsive di dolci potrebbero rappresentare un tentativo di autoconsolazione, una sorta di "coperta calda" nei momenti in cui ti senti più vulnerabile o vuota. Questo è qualcosa che succede più spesso di quanto si pensi e non ha nulla a che fare con la mancanza di forza di volontà: è un segnale di un dolore più profondo che cerca uno spazio per esprimersi.
È molto significativo che tu stia già affrontando un percorso psicologico e psichiatrico: questo è un passo fondamentale. Tuttavia, se le abbuffate sono ricorrenti e associate a un forte disagio emotivo, potrebbe trattarsi di un Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED – Binge Eating Disorder), che merita un trattamento specifico e integrato.
Nel tuo caso, sarebbe utile un approccio multidisciplinare, che coinvolga:
Una psicoterapia mirata, preferibilmente cognitivo-comportamentale, per lavorare sulle cause emotive profonde del comportamento alimentare, sui pensieri disfunzionali e sull’autostima;
Un supporto nutrizionale non punitivo, con un professionista che ti aiuti a ritrovare un rapporto più equilibrato e meno ansiogeno con il cibo;
Un lavoro sul senso di vuoto e di solitudine, magari attraverso attività nuove, gruppi di supporto o esperienze che possano farti sentire parte di qualcosa e riscoprire il piacere di vivere.
Il tuo malessere non è una colpa, ma un messaggio: ascoltarlo con cura e senza giudizio è il primo passo per costruire un cambiamento reale e duraturo. La strada può sembrare lunga, ma non sei sola. Chiedere aiuto, come hai fatto scrivendo questo messaggio, è già un gesto potente di speranza.
Per approfondire questa situazione in modo personalizzato e trovare insieme un percorso efficace, è utile e consigliato rivolgersi a uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
prima di tutto, grazie per aver condiviso con coraggio la tua esperienza così personale e delicata. Quello che descrivi è un disagio complesso e profondo, che coinvolge sia la sfera emotiva che quella comportamentale, e che merita attenzione, ascolto e rispetto.
Dalle tue parole emergono diversi aspetti importanti: la relazione con il cibo sembra essere diventata, nel tempo, una modalità per gestire emozioni difficili come la noia, la solitudine, l’ansia e la tristezza. Le abbuffate compulsive di dolci potrebbero rappresentare un tentativo di autoconsolazione, una sorta di "coperta calda" nei momenti in cui ti senti più vulnerabile o vuota. Questo è qualcosa che succede più spesso di quanto si pensi e non ha nulla a che fare con la mancanza di forza di volontà: è un segnale di un dolore più profondo che cerca uno spazio per esprimersi.
È molto significativo che tu stia già affrontando un percorso psicologico e psichiatrico: questo è un passo fondamentale. Tuttavia, se le abbuffate sono ricorrenti e associate a un forte disagio emotivo, potrebbe trattarsi di un Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED – Binge Eating Disorder), che merita un trattamento specifico e integrato.
Nel tuo caso, sarebbe utile un approccio multidisciplinare, che coinvolga:
Una psicoterapia mirata, preferibilmente cognitivo-comportamentale, per lavorare sulle cause emotive profonde del comportamento alimentare, sui pensieri disfunzionali e sull’autostima;
Un supporto nutrizionale non punitivo, con un professionista che ti aiuti a ritrovare un rapporto più equilibrato e meno ansiogeno con il cibo;
Un lavoro sul senso di vuoto e di solitudine, magari attraverso attività nuove, gruppi di supporto o esperienze che possano farti sentire parte di qualcosa e riscoprire il piacere di vivere.
Il tuo malessere non è una colpa, ma un messaggio: ascoltarlo con cura e senza giudizio è il primo passo per costruire un cambiamento reale e duraturo. La strada può sembrare lunga, ma non sei sola. Chiedere aiuto, come hai fatto scrivendo questo messaggio, è già un gesto potente di speranza.
Per approfondire questa situazione in modo personalizzato e trovare insieme un percorso efficace, è utile e consigliato rivolgersi a uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Salve, mi dispiace tanto per la situazione che sta vivendo. Da quanto è seguita dallo psicologo e dal psichiatra? Se è da molto che è in terapia, provi a parlare di questo con il suo attuale psicologo. Può essere magari che l'approccio non sia quello adatto a lei in questo momento e per questo non riesce a vedere una soluzione. Ci pensi, spero di esserle stata d'aiuto.
Un caro saluto,
Dott.ssa Giorgia Rizzo
Un caro saluto,
Dott.ssa Giorgia Rizzo
Buonasera, mi sento di consigliarle di perseverare con i colloqui psicologici e con la psichiatra provando a comprendere quali vuoti cerca di colmare con le sue abbuffate compulsive.
Salve, grazie per la condivisione della sua storia.
Da quanto tempo è seguita dallo psicologo?
Quello che le consiglio è di rivolgersi ad un centro specializzato nella sua zona in cui si occupano del problema a 360 gradi. Potrebbe essere piu utile un approccio integrato dove un gruppo di specialisti diversi collaborano insieme e fanno equipe.
In questo modo è meno complesso gestire le ricadute, gli specialisti collaborano tra loro e hanno già un sistema di collaborazione tra diverse figure professionali consolidato.
Le auguro il meglio!
Da quanto tempo è seguita dallo psicologo?
Quello che le consiglio è di rivolgersi ad un centro specializzato nella sua zona in cui si occupano del problema a 360 gradi. Potrebbe essere piu utile un approccio integrato dove un gruppo di specialisti diversi collaborano insieme e fanno equipe.
In questo modo è meno complesso gestire le ricadute, gli specialisti collaborano tra loro e hanno già un sistema di collaborazione tra diverse figure professionali consolidato.
Le auguro il meglio!
Buongiorno, sicuramente non è un processo immediato la perdita di peso ma la cosa più importante da perseguire sarebbe il suo benessere in tutte le sfere della sua vita, prima ancora di modificare il suo aspetto esteriore.
Essendo già seguita è già un passo in avanti ma ricordi che per raggiungere i suoi obiettivi dovrà riuscire a cooperare insieme ai professionisti che la accompagnano in questo percorso di rinascita.
Lei è agente attivo del suo cambiamento.
Essendo già seguita è già un passo in avanti ma ricordi che per raggiungere i suoi obiettivi dovrà riuscire a cooperare insieme ai professionisti che la accompagnano in questo percorso di rinascita.
Lei è agente attivo del suo cambiamento.
Buongiorno, la ringrazio per aver condiviso la sua esperienza in modo così sincero e aperto. Posso solo immaginare quanto non sia semplice raccontare queste difficoltà, che toccano la sfera più intima del rapporto con se stessa e con la sua vita quotidiana. Ciò che descrive racconta molto bene quanto il cibo, in certi momenti della sua storia, sia diventato per lei un rifugio, una forma di sollievo, uno spazio in cui trovare un conforto immediato quando le emozioni si fanno troppo pesanti da reggere. Non è raro che l’alimentazione diventi una modalità per gestire emozioni difficili, come la noia, la solitudine o un senso di vuoto. La sua storia fa capire che dietro queste abbuffate non c’è solo fame fisica, ma soprattutto un bisogno di riempire uno spazio dentro che oggi appare vuoto di stimoli, di relazioni, di passioni che possano nutrirla in modo più profondo. È importante vedere che lei ha già fatto molto: si è rivolta a specialisti, ha chiesto aiuto, ha provato a seguire un percorso nutrizionale. Anche se può sembrarle di essere tornata al punto di partenza, non è così: ogni tentativo che ha fatto, anche se non ha portato al risultato sperato, ha comunque seminato esperienze e consapevolezze che possono aiutarla a ripartire. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, può essere utile osservare questi momenti di abbuffata non tanto come un fallimento di volontà, ma come un segnale. Cosa sta cercando in quei dolci? Che emozione vuole calmare o evitare? Quale bisogno più profondo sta cercando di soddisfare in quel momento? A volte, quando si inizia a dare un nome a queste emozioni, diventa possibile trovare alternative più sane per affrontarle. Non sempre è immediato, ma poco a poco, con pazienza e un lavoro con uno psicologo, può imparare a riconoscere quei pensieri automatici che la spingono a rifugiarsi nel cibo e a costruire piccole strategie per interrompere il circolo. Un altro aspetto importante riguarda la sua quotidianità. Ha descritto bene quanto si senta sola, quanto la noia pesi nelle sue giornate. Il cibo, in questi casi, diventa una delle poche fonti di gratificazione immediata. Un obiettivo che potrebbe aiutarla è cercare di costruire, passo dopo passo, piccole abitudini che le portino un minimo di piacere, di curiosità o di contatto con gli altri. Non serve qualcosa di grande: anche un hobby semplice, un gruppo di interesse, un’attività che la porti fuori di casa può diventare una prima crepa in quel senso di vuoto. Lo so che può sembrare banale o lontano dalla sua realtà di adesso, ma spesso è proprio dalle azioni piccole e concrete che si ricomincia a dare un senso diverso alle proprie giornate. Continui a parlare di queste difficoltà anche con lo psicologo che la segue: può essere utile lavorare insieme per costruire un piano pratico, che unisca il lavoro sugli schemi di pensiero con piccoli obiettivi realistici. E non esiti a coinvolgere anche lo psichiatra, perché se ci sono momenti di depressione o ansia forte è importante che ci sia un supporto farmacologico adeguato, se necessario. Non è sola, anche se adesso può sembrarle di sì. Il fatto che scriva qui e chieda aiuto dimostra che dentro di lei c’è una parte che non si è arresa e che sta cercando una via per stare meglio. Cerchi di dare voce a quella parte ogni volta che può, anche solo con piccoli passi. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Cara utente, grazie per aver condiviso la tua storia. Capisco la fatica... Essere seguita dan uno psicologo e uno psichiatra è la cosa migliore. Può essere che tu non veda grandi miglioramenti, ma datti tempo!
Buongiorno, da ciò che racconta, è chiaro che il rapporto con il cibo ha assunto nel tempo un significato che va ben oltre il nutrirsi. Le abbuffate di dolci sembrano rispondere a un bisogno emotivo, un tentativo di riempire un vuoto, di trovare conforto o calmare ansia, noia, tristezza. Non è raro che, in situazioni di solitudine, insoddisfazione personale o mancanza di gratificazioni nella vita quotidiana, il cibo diventi un rifugio o un anestetico momentaneo.
È positivo che lei sia già in carico sia da uno psicologo che da una psichiatra: questo è un punto di forza, non una sconfitta.
Consideri inoltre, che il sintomo alimentare non può essere separato dal contesto di vita: lei racconta una condizione di solitudine, noia, mancanza di stimoli e relazioni significative. In questo senso, è fondamentale non concentrarsi solo sulla “dieta” o sul numero sulla bilancia, ma lavorare sul rafforzamento dell’autostima, sulla costruzione di relazioni più soddisfacenti, e sul dare un senso più pieno alla propria quotidianità. Il cambiamento profondo non parte dalla rinuncia ai dolci, ma dal coltivare nuove motivazioni, desideri, connessioni e spazi di piacere autentico.
Infine, vorrei dirle una cosa importante: quello che sta affrontando non definisce il suo valore come persona. Il suo disagio non è un fallimento, ma una manifestazione di un dolore più profondo che chiede ascolto, non giudizio. E il fatto che lei chieda aiuto dimostra forza e desiderio di riprendere in mano la sua vita.
Continui a chiedere, a farsi affiancare, e si conceda il tempo di guarire: non si tratta solo di perdere peso, ma di ritrovare il senso di sé, e un modo nuovo e più amorevole di prendersi cura di se stessa. Dr. Giuseppe Mirabella
È positivo che lei sia già in carico sia da uno psicologo che da una psichiatra: questo è un punto di forza, non una sconfitta.
Consideri inoltre, che il sintomo alimentare non può essere separato dal contesto di vita: lei racconta una condizione di solitudine, noia, mancanza di stimoli e relazioni significative. In questo senso, è fondamentale non concentrarsi solo sulla “dieta” o sul numero sulla bilancia, ma lavorare sul rafforzamento dell’autostima, sulla costruzione di relazioni più soddisfacenti, e sul dare un senso più pieno alla propria quotidianità. Il cambiamento profondo non parte dalla rinuncia ai dolci, ma dal coltivare nuove motivazioni, desideri, connessioni e spazi di piacere autentico.
Infine, vorrei dirle una cosa importante: quello che sta affrontando non definisce il suo valore come persona. Il suo disagio non è un fallimento, ma una manifestazione di un dolore più profondo che chiede ascolto, non giudizio. E il fatto che lei chieda aiuto dimostra forza e desiderio di riprendere in mano la sua vita.
Continui a chiedere, a farsi affiancare, e si conceda il tempo di guarire: non si tratta solo di perdere peso, ma di ritrovare il senso di sé, e un modo nuovo e più amorevole di prendersi cura di se stessa. Dr. Giuseppe Mirabella
Salve, la ringrazio per la sua condivisione così sincera. Quello che sta vivendo è molto complesso e tocca profondamente non solo il rapporto con il cibo, ma anche la sua sfera emotiva, relazionale e personale. Cominciamo a mettere un po’ d’ordine.
Leo non è sola e non è “sbagliata”. Quello che descrive — le abbuffate, la noia, la tristezza, la solitudine, la difficoltà a seguire una dieta — è più comune di quanto si pensi. Non è solo “mancanza di volontà”. È una sofferenza reale che merita ascolto, non giudizio.
Le abbuffate, specialmente se legate a dolci e carboidrati, sono spesso una risposta del cervello a:
* un vuoto emotivo
* ansia e depressione
* carenze nella “ricompensa” affettiva o relazionale
Cibo come compensazione: quando si vive una vita dove ci si sente spesso svuotate, isolate, annoiate o inadeguate, il cibo diventa una delle poche cose che “regala” una gratificazione immediata. In più, dolci e carboidrati agiscono chimicamente sul cervello aumentando temporaneamente serotonina e dopamina.
Ma poi… arriva il senso di colpa, la frustrazione, il circolo vizioso.
Lei sta già facendo molto
- Va da uno psicologo
- E' seguita da una psichiatra
- Ha cercato aiuto da nutrizionisti
- Ha avuto periodi di calo di peso
- E' in grado di parlare con onestà di se stessa
Questi sono segni di forza. Ha le basi per iniziare davvero un percorso, ma serve una strategia più integrata.
Cosa può fare adesso (concretamente)?
1. Passare da “dieta” a “cura integrata”. Ha bisogno di un approccio che non si limiti al “mangia meno”, ma che tenga insieme: la cura emotiva, il sostegno motivazionale quotidiano, la strutturazione delle giornate, il lavoro sul senso di sé e il rapporto con il corpo.
Un suggerimento che mi sento di darle è: valuti se esiste nella sua città un Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) pubblico o privato, anche convenzionato. Questi centri spesso hanno équipe multidisciplinari: psicologo, dietista, psichiatra, educatori.
2. Costruire una mini-routine quotidiana (anche se è a casa).
Uno dei problemi è l’inerzia delle giornate. L’assenza di lavoro o di relazioni può farci perdere la struttura temporale. In questi casi:
Esempio di routine base (adattabile):
* Ore 8.30: sveglia + colazione seduta
* Ore 9.00: passeggiata o 10 minuti di stretching/yoga YouTube
* Ore 10.00–12.00: “tempo attivo” (studio, lettura, corso online, hobby)
* Ore 13.00: pranzo (meglio se preparato da lei)
* Ore 14.00–15.30: riposo/libri/serie TV
* Ore 16.00: attività breve (cucini, cammini, scriva)
* Ore 18.00: diario/psicoterapia, se disponibile
* Ore 20.00: cena leggera
* Ore 22.00: routine per il sonno
Anche solo 5 giorni su 7 possono cambiare molto.
3. Un esercizio: il “Diario della fame emotiva”. Ogni volta che si abbuffa, non si colpevolizzi. Invece, dopo o il giorno dopo, provi a scrivere:
* Che ora era?
* Dove era?
*Come si sentiva (emozioni)?
* Cos'ha mangiato?
* Che cosa cercava dal cibo?
* Cosa le serviva davvero?
Questo serve a conoscere il meccanismo, non a “punirsi”.
4. Si aiuti a trovare senso e connessioni.
Senza legami, senza interessi, senza scopi, è comprensibile sentirsi vuote, ma anche un piccolo corso online, un gruppo di lettura, un’associazione locale, può aiutarla a ricostruire un’identità diversa da “quella che ha un problema col cibo”*.
5. **Farmaci e supporto psichiatrico**
Se sta già assumendo farmaci, ne parli col suo psichiatra: alcuni antidepressivi possono aumentare l’appetito, mentre altri possono aiutare con le abbuffate compulsive.
Se desidera approfondire l'argomento, mi rendo disponibile.
Un caro saluto.
Dott.ssa Gaia Evangelisti, Psicologa.
Leo non è sola e non è “sbagliata”. Quello che descrive — le abbuffate, la noia, la tristezza, la solitudine, la difficoltà a seguire una dieta — è più comune di quanto si pensi. Non è solo “mancanza di volontà”. È una sofferenza reale che merita ascolto, non giudizio.
Le abbuffate, specialmente se legate a dolci e carboidrati, sono spesso una risposta del cervello a:
* un vuoto emotivo
* ansia e depressione
* carenze nella “ricompensa” affettiva o relazionale
Cibo come compensazione: quando si vive una vita dove ci si sente spesso svuotate, isolate, annoiate o inadeguate, il cibo diventa una delle poche cose che “regala” una gratificazione immediata. In più, dolci e carboidrati agiscono chimicamente sul cervello aumentando temporaneamente serotonina e dopamina.
Ma poi… arriva il senso di colpa, la frustrazione, il circolo vizioso.
Lei sta già facendo molto
- Va da uno psicologo
- E' seguita da una psichiatra
- Ha cercato aiuto da nutrizionisti
- Ha avuto periodi di calo di peso
- E' in grado di parlare con onestà di se stessa
Questi sono segni di forza. Ha le basi per iniziare davvero un percorso, ma serve una strategia più integrata.
Cosa può fare adesso (concretamente)?
1. Passare da “dieta” a “cura integrata”. Ha bisogno di un approccio che non si limiti al “mangia meno”, ma che tenga insieme: la cura emotiva, il sostegno motivazionale quotidiano, la strutturazione delle giornate, il lavoro sul senso di sé e il rapporto con il corpo.
Un suggerimento che mi sento di darle è: valuti se esiste nella sua città un Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) pubblico o privato, anche convenzionato. Questi centri spesso hanno équipe multidisciplinari: psicologo, dietista, psichiatra, educatori.
2. Costruire una mini-routine quotidiana (anche se è a casa).
Uno dei problemi è l’inerzia delle giornate. L’assenza di lavoro o di relazioni può farci perdere la struttura temporale. In questi casi:
Esempio di routine base (adattabile):
* Ore 8.30: sveglia + colazione seduta
* Ore 9.00: passeggiata o 10 minuti di stretching/yoga YouTube
* Ore 10.00–12.00: “tempo attivo” (studio, lettura, corso online, hobby)
* Ore 13.00: pranzo (meglio se preparato da lei)
* Ore 14.00–15.30: riposo/libri/serie TV
* Ore 16.00: attività breve (cucini, cammini, scriva)
* Ore 18.00: diario/psicoterapia, se disponibile
* Ore 20.00: cena leggera
* Ore 22.00: routine per il sonno
Anche solo 5 giorni su 7 possono cambiare molto.
3. Un esercizio: il “Diario della fame emotiva”. Ogni volta che si abbuffa, non si colpevolizzi. Invece, dopo o il giorno dopo, provi a scrivere:
* Che ora era?
* Dove era?
*Come si sentiva (emozioni)?
* Cos'ha mangiato?
* Che cosa cercava dal cibo?
* Cosa le serviva davvero?
Questo serve a conoscere il meccanismo, non a “punirsi”.
4. Si aiuti a trovare senso e connessioni.
Senza legami, senza interessi, senza scopi, è comprensibile sentirsi vuote, ma anche un piccolo corso online, un gruppo di lettura, un’associazione locale, può aiutarla a ricostruire un’identità diversa da “quella che ha un problema col cibo”*.
5. **Farmaci e supporto psichiatrico**
Se sta già assumendo farmaci, ne parli col suo psichiatra: alcuni antidepressivi possono aumentare l’appetito, mentre altri possono aiutare con le abbuffate compulsive.
Se desidera approfondire l'argomento, mi rendo disponibile.
Un caro saluto.
Dott.ssa Gaia Evangelisti, Psicologa.
Gentilissima, buon pomeriggio.
Leggendo quanto ha scritto, credo che lei viva il cibo, in particolare i dolci, come se fossero un rifugio dalla solitudine che sente dentro di sé.. cosa le manca davvero nel momento in cui cerca qualcosa di dolce da mangiare?
So che non è facile rinunciare, ma soltanto il fatto di voler cambiare e prendere in mano la situazione è un grande passo per lei.
Nel caso volesse intraprendere un percorso insieme e senza rinunce estreme, non è sola.
Per qualsiasi cosa, sono a disposizione.
Dott.ssa Elena Brizi
Leggendo quanto ha scritto, credo che lei viva il cibo, in particolare i dolci, come se fossero un rifugio dalla solitudine che sente dentro di sé.. cosa le manca davvero nel momento in cui cerca qualcosa di dolce da mangiare?
So che non è facile rinunciare, ma soltanto il fatto di voler cambiare e prendere in mano la situazione è un grande passo per lei.
Nel caso volesse intraprendere un percorso insieme e senza rinunce estreme, non è sola.
Per qualsiasi cosa, sono a disposizione.
Dott.ssa Elena Brizi
Salve, quello che descrivi non è solo un problema di alimentazione, ma un'esperienza di solitudine, vuoto e disagio emotivo che si esprime anche attraverso il cibo. Le abbuffate non sono una mancanza di volontà, ma una strategia,spesso inconscia,per gestire dolore, noia, mancanza di senso.
È importante che tu stia già seguendo un percorso con psicologo e psichiatra: continua a parlarne con loro, ma potrebbe essere utile valutare un lavoro specifico con un’équipe integrata (psicologo, nutrizionista, terapeuta specializzato in TCA), perché il cibo, in questi casi, diventa una forma di regolazione emotiva. E soprattutto sarà importante riflettere sul tuo senso di vuoto che ti porta a "riempirti" così. Un cordiale saluto
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
È importante che tu stia già seguendo un percorso con psicologo e psichiatra: continua a parlarne con loro, ma potrebbe essere utile valutare un lavoro specifico con un’équipe integrata (psicologo, nutrizionista, terapeuta specializzato in TCA), perché il cibo, in questi casi, diventa una forma di regolazione emotiva. E soprattutto sarà importante riflettere sul tuo senso di vuoto che ti porta a "riempirti" così. Un cordiale saluto
Dott.ssa Marzia Mazzavillani
Gentile Utente, innanzitutto la ringrazio della sua condivisione.
Quello che mi sento di dirle è che il percorso che ha intrapreso con lo psicologo e lo psichiatra è già un passo importante, ed io la esorto a continuarlo, magari abbinando un percorso con un nutrizionista.
Capisco la frustrazione, la voglia di risolvere tutto in modo veloce, ma tenga a mente che questo percorso richiede pazienza e perseveranza, e può prevedere molti alti e bassi.
Il cibo può essere diventato il suo modo di elaborare emozioni o colmare dei vuoti; il cibo molto spesso ci parla di relazioni, quindi è importante esplorare questi aspetti in terapia. Le auguro il meglio.
Quello che mi sento di dirle è che il percorso che ha intrapreso con lo psicologo e lo psichiatra è già un passo importante, ed io la esorto a continuarlo, magari abbinando un percorso con un nutrizionista.
Capisco la frustrazione, la voglia di risolvere tutto in modo veloce, ma tenga a mente che questo percorso richiede pazienza e perseveranza, e può prevedere molti alti e bassi.
Il cibo può essere diventato il suo modo di elaborare emozioni o colmare dei vuoti; il cibo molto spesso ci parla di relazioni, quindi è importante esplorare questi aspetti in terapia. Le auguro il meglio.
Gentile utente,
grazie per aver condiviso la sua storia con tanta sincerità. Le difficoltà che racconta sono profondamente intrecciate tra loro e meritano uno sguardo attento, rispettoso e senza giudizio.
Spesso, quando il cibo assume una funzione consolatoria o regolativa delle emozioni, è necessario comprendere insieme quali bisogni più profondi si stanno esprimendo attraverso il sintomo, e in che modo la relazione con il cibo si è costruita nel tempo come strategia di sopravvivenza emotiva.
Il fatto che sia già in carico presso uno psicologo e uno psichiatra è una buona cosa. Ma se sente che, nonostante questo, alcuni nodi rimangono irrisolti, resto a disposizione per approfondire la sua questione.
Un caro saluto,
dott.ssa Silvia Ferraro
grazie per aver condiviso la sua storia con tanta sincerità. Le difficoltà che racconta sono profondamente intrecciate tra loro e meritano uno sguardo attento, rispettoso e senza giudizio.
Spesso, quando il cibo assume una funzione consolatoria o regolativa delle emozioni, è necessario comprendere insieme quali bisogni più profondi si stanno esprimendo attraverso il sintomo, e in che modo la relazione con il cibo si è costruita nel tempo come strategia di sopravvivenza emotiva.
Il fatto che sia già in carico presso uno psicologo e uno psichiatra è una buona cosa. Ma se sente che, nonostante questo, alcuni nodi rimangono irrisolti, resto a disposizione per approfondire la sua questione.
Un caro saluto,
dott.ssa Silvia Ferraro
Gentile Paziente,
la sofferenza che descrive merita attenzione e comprensione. Le abbuffate non sono semplicemente una questione di volontà, ma spesso rappresentano una risposta a vissuti di vuoto, solitudine o difficoltà emotive. È importante che lei stia già affrontando questo percorso con il supporto di uno psicologo e di uno psichiatra: la strada intrapresa è quella giusta. In questi casi, un approccio integrato che affronti non solo il comportamento alimentare, ma anche i bisogni emotivi sottostanti e il senso di insoddisfazione personale, può fare la differenza. Non si scoraggi per le ricadute: sono parte del percorso. Con costanza e un sostegno adeguato, è possibile trovare un equilibrio più stabile e soddisfacente. Un caro saluto.
la sofferenza che descrive merita attenzione e comprensione. Le abbuffate non sono semplicemente una questione di volontà, ma spesso rappresentano una risposta a vissuti di vuoto, solitudine o difficoltà emotive. È importante che lei stia già affrontando questo percorso con il supporto di uno psicologo e di uno psichiatra: la strada intrapresa è quella giusta. In questi casi, un approccio integrato che affronti non solo il comportamento alimentare, ma anche i bisogni emotivi sottostanti e il senso di insoddisfazione personale, può fare la differenza. Non si scoraggi per le ricadute: sono parte del percorso. Con costanza e un sostegno adeguato, è possibile trovare un equilibrio più stabile e soddisfacente. Un caro saluto.
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
salve, da quanto leggo è seguita sia da un supporto psichiatrico che psicologico, ma riferisce comunque di non notare miglioramenti per la problematica da lei esposta. Dunque, mi sento di consigliarle in primis di far presente a loro di quanto ha notato e che non riesce a vedere miglioramenti, in modo che anche loro possano adeguare la terapia (farmacologica e psicologica).
Un saluto
Un saluto
Buon pomeriggio,
Immagino la sua sofferenza e la difficoltà nel rompere un ciclo che unisce alimentazione, emozioni e momenti di vuoto, soprattutto alla luce degli antecedenti che descrive.
Continui assolutamente il percorso con i curanti di riferimento riportando loro questi elementi che ha descritto qui, anche relativi ad un’eventuale insoddisfazione rispetto al trattamento ricevuto fino ad ora: può essere un fondamentale tassello da integrare nel percorso terapeutico in atto e da cui ripartire/continuare. L’adesione ad una dieta, da intendersi non come schema rigido e restrittivo, ma come costruzione di uno stile di vita equilibrato e sostenibile nel lungo periodo, è un obiettivo raggiungibile a patto che si ragioni in un’ottica integrata, esplorando dunque non solo l’aspetto alimentare, ma potenziando anche il funzionamento sociale (riscopra il gruppo, la comunità, trovi uno scopo attivo, un’occupazione o, se non fosse possibile, una valida alternativa che le permetta di esprimersi ed esplorare il mondo come anche il volontariato, se ne ha modo)
Intervendo con uno sguardo più ampio, sarà possibile progredire poi nei singoli ambiti di funzionamento della sua persona.
Un caro saluto,
Dottssa Laura Montanari
Immagino la sua sofferenza e la difficoltà nel rompere un ciclo che unisce alimentazione, emozioni e momenti di vuoto, soprattutto alla luce degli antecedenti che descrive.
Continui assolutamente il percorso con i curanti di riferimento riportando loro questi elementi che ha descritto qui, anche relativi ad un’eventuale insoddisfazione rispetto al trattamento ricevuto fino ad ora: può essere un fondamentale tassello da integrare nel percorso terapeutico in atto e da cui ripartire/continuare. L’adesione ad una dieta, da intendersi non come schema rigido e restrittivo, ma come costruzione di uno stile di vita equilibrato e sostenibile nel lungo periodo, è un obiettivo raggiungibile a patto che si ragioni in un’ottica integrata, esplorando dunque non solo l’aspetto alimentare, ma potenziando anche il funzionamento sociale (riscopra il gruppo, la comunità, trovi uno scopo attivo, un’occupazione o, se non fosse possibile, una valida alternativa che le permetta di esprimersi ed esplorare il mondo come anche il volontariato, se ne ha modo)
Intervendo con uno sguardo più ampio, sarà possibile progredire poi nei singoli ambiti di funzionamento della sua persona.
Un caro saluto,
Dottssa Laura Montanari
Quello che racconti mostra bene come il cibo, e in particolare i dolci, non siano solo “alimentazione”, ma abbiano assunto un ruolo emotivo: un rifugio contro la noia, la tristezza, la mancanza di soddisfazione nella tua vita. Le abbuffate che descrivi hanno la funzione di dare sollievo immediato, ma poi ti fanno sentire peggio, sia sul piano fisico che psicologico. Questo circolo vizioso – ansia o vuoto → abbuffata → colpa/tristezza → altra abbuffata – è molto comune.
Il fatto che tu sia già seguita da una psichiatra e da uno psicologo è un punto di forza: significa che non sei sola e che stai già affrontando il problema. Quello che manca ora è trovare una strategia mirata per il rapporto col cibo. Da come lo descrivi, i tuoi comportamenti sono molto simili a un disturbo da alimentazione incontrollata (BED, binge eating disorder), in cui non è tanto la fame a guidare, quanto l’impulso e il bisogno di calmare emozioni negative.
Alcuni punti chiave da tenere a mente:
• Non è questione di forza di volontà: se fosse così semplice, avresti già smesso. È un comportamento radicato che ha bisogno di strumenti specifici.
• Lavorare solo sulla dieta, senza affrontare la parte emotiva, non basta: ecco perché hai visto miglioramenti e poi ricadute.
• La noia, la solitudine e la mancanza di gratificazioni sono fattori che alimentano le abbuffate: finché non trovi fonti alternative di piacere e senso, il cibo resta l’unico “compagno”.
L’aiuto possibile passa da due direzioni:
– Psicoterapia mirata ai disturbi alimentari, in particolare approcci come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) o la DBT, che lavorano sul riconoscere i trigger delle abbuffate, imparare a gestire le emozioni senza ricorrere al cibo, e spezzare i pensieri di colpa.
– Supporto nutrizionale graduale, non fatto di diete rigide, ma di rieducazione alimentare dolce e sostenibile, che non ti faccia sentire in privazione e riduca le occasioni di abbuffata.
La buona notizia è che i disturbi alimentari si possono trattare con buoni risultati. Non sei condannata a restare intrappolata in questo schema: servono strumenti adatti e un lavoro costante.
Non sei “sbagliata” perché cerchi conforto nel cibo: è stato il modo che hai trovato per sopravvivere a momenti difficili. Ora, con l’aiuto giusto, puoi imparare altri modi per affrontare le stesse emozioni, senza punirti con le abbuffate.
Dott.ssa De Pretto
Il fatto che tu sia già seguita da una psichiatra e da uno psicologo è un punto di forza: significa che non sei sola e che stai già affrontando il problema. Quello che manca ora è trovare una strategia mirata per il rapporto col cibo. Da come lo descrivi, i tuoi comportamenti sono molto simili a un disturbo da alimentazione incontrollata (BED, binge eating disorder), in cui non è tanto la fame a guidare, quanto l’impulso e il bisogno di calmare emozioni negative.
Alcuni punti chiave da tenere a mente:
• Non è questione di forza di volontà: se fosse così semplice, avresti già smesso. È un comportamento radicato che ha bisogno di strumenti specifici.
• Lavorare solo sulla dieta, senza affrontare la parte emotiva, non basta: ecco perché hai visto miglioramenti e poi ricadute.
• La noia, la solitudine e la mancanza di gratificazioni sono fattori che alimentano le abbuffate: finché non trovi fonti alternative di piacere e senso, il cibo resta l’unico “compagno”.
L’aiuto possibile passa da due direzioni:
– Psicoterapia mirata ai disturbi alimentari, in particolare approcci come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) o la DBT, che lavorano sul riconoscere i trigger delle abbuffate, imparare a gestire le emozioni senza ricorrere al cibo, e spezzare i pensieri di colpa.
– Supporto nutrizionale graduale, non fatto di diete rigide, ma di rieducazione alimentare dolce e sostenibile, che non ti faccia sentire in privazione e riduca le occasioni di abbuffata.
La buona notizia è che i disturbi alimentari si possono trattare con buoni risultati. Non sei condannata a restare intrappolata in questo schema: servono strumenti adatti e un lavoro costante.
Non sei “sbagliata” perché cerchi conforto nel cibo: è stato il modo che hai trovato per sopravvivere a momenti difficili. Ora, con l’aiuto giusto, puoi imparare altri modi per affrontare le stesse emozioni, senza punirti con le abbuffate.
Dott.ssa De Pretto
Gentilissima utente, se è seguita ed i problema persiste, forse non state andando nella direzione giusta! Provi a parlare apertamente con il suo psicologo, siate più curiosi su cosa per lei significhi mangiare, quali vuoti va a riempire e perché non riesce a riempirli diversamente. Soprattutto lei non guardi alla sintomatologia come una nemica, è qualcosa che sta con lei perché vuole dirle qualcosa, solo che ancora non si è trovata la domanda giusta e l'adeguata risposta. Non si arrenda e si prenda cura di se.
Buongiorno.
Da quanto leggo si tratta di una situazione complessa e posso immaginare la frustrazione. Mi pare però fondamentale capire che sono difficoltà che necessitano di pazienza e perseveranza per essere affrontate.
Può parlare anche con i professionisti che la seguono di questa sua fatica e della facilità alla noia. Sapranno come sostenerla.
Da quanto leggo si tratta di una situazione complessa e posso immaginare la frustrazione. Mi pare però fondamentale capire che sono difficoltà che necessitano di pazienza e perseveranza per essere affrontate.
Può parlare anche con i professionisti che la seguono di questa sua fatica e della facilità alla noia. Sapranno come sostenerla.
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