Salve sono una ragazza di 20 anni ed è da quando ho memoria che desidero avere una figura di riferim
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Salve sono una ragazza di 20 anni ed è da quando ho memoria che desidero avere una figura di riferimento, qualcuno che mi dia attenzione, non mi giudichi o mi faccia sentire in imbarazzo per quello che dico o penso. Questa mia ricerca mi ha portata a trovare persone che mi hanno fatto del male e non vorrei entrare nei dettagli perché sono episodi troppo personali e dolorosi che non mi sento di voler condividere su internet. Sta di fatto che mi sono sempre ritrovata in situazioni in cui chi avevo davanti mi abbandonava (non è un'esagerazione), fino ad arrivare a un "punto di rottura", che però mi ha portata alla mia relazione attuale con un ragazzo che amo e che mi ama molto. Nonostante questo Il vuoto è rimasto e questo dolore è riemerso nell'ultimo percorso terapeutico, dove pensavo di aver trovato qualcuno che fosse disposto ad accogliermi, ad avere pazienza e a lasciarmi esprimere, in modo rispettoso, l'affetto e il bisogno che provavo, quindi parlarne in modo che potessi superarlo.
Mi sono resa conto che non è stato così: quest'argomento, quando emergeva, veniva deviato dal terapeuta in qualche modo, cambiando argomento o spostando l'attenzione sul suo imbarazzo o sul piacere che aveva provato per quel complimento, anche se io di complimenti non ne ho mai fatti, erano tutte cose portate in terapia per poterne parlare, mai per far piacere a lui. Ho sempre comunicato la mia forte paura di interrompere il trattamento, e lui mi ha sempre spiegato che era un processo normale, ma che comunque sarei stata io ad interromperlo se avessi voluto.
Il problema è sorto quando ho iniziato a prendere le medicine (che ora non prendo più) e dopo un episodio di ospedalizzazione che ha portato i miei genitori a decidere di interrompere il trattamento con lui. Io non avrei voluto concludere la terapia, ma lui non mi ha chiesto se avessi voluto interromperla: ha dato per buona la decisione dei miei genitori e ha interrotto il percorso. Mi sono trovata per due mesi a cercare di parlargli e spiegargli del mio dolore fortissimo, della mia sensazione di abbandono e del mio sentirmi sminuita da lui in alcune occasioni, ma lui ha sempre evitato di affrontare il discorso, liquidandomi con frasi del tipo "interpreti male i comportamenti degli altri" o "non sei in grado di capire".
Questa cosa mi riempie di dolore. Ho sempre avuto problemi a relazionarmi con gli altri e a studiare, ma in questi due mesi si sono estremamente amplificati e mi sento veramente intrappolata nel dolore e nel tentativo di calmarmi, che mi porta via tutte le energie. Pensavo di aver imparato a controllare le mie emozioni nel corso di questi anni, ma quest'episodio è come se mi avesse tolto ogni risorsa acquisita. Mi sento come se fossi esplosa in un modo che non mi era mai accaduto. Prima avevo una sorta di autocontrollo, un freno interno; ora è come se tutti i freni, tutti i tentativi di essere razionale fossero stati spazzati via, magari da anni di tentativi di repressione uniti a quest'evento.
Ora sono in cura da un'altra terapeuta. Mi sembra che lei in un certo senso sia dalla mia parte e non voglio smettere , ma mi chiedo se ho bisogno di qualche terapia specifica, se il mio desiderio di trovare un luogo o una persona sicura siano solamente una ferita oppure abbiano una valenza come intervento terapeutico. Mi sento davvero fragile in questo momento e vorrei capire se desiderare sicurezza e un altro tipo di approccio sia giusto.
Mi sono resa conto che non è stato così: quest'argomento, quando emergeva, veniva deviato dal terapeuta in qualche modo, cambiando argomento o spostando l'attenzione sul suo imbarazzo o sul piacere che aveva provato per quel complimento, anche se io di complimenti non ne ho mai fatti, erano tutte cose portate in terapia per poterne parlare, mai per far piacere a lui. Ho sempre comunicato la mia forte paura di interrompere il trattamento, e lui mi ha sempre spiegato che era un processo normale, ma che comunque sarei stata io ad interromperlo se avessi voluto.
Il problema è sorto quando ho iniziato a prendere le medicine (che ora non prendo più) e dopo un episodio di ospedalizzazione che ha portato i miei genitori a decidere di interrompere il trattamento con lui. Io non avrei voluto concludere la terapia, ma lui non mi ha chiesto se avessi voluto interromperla: ha dato per buona la decisione dei miei genitori e ha interrotto il percorso. Mi sono trovata per due mesi a cercare di parlargli e spiegargli del mio dolore fortissimo, della mia sensazione di abbandono e del mio sentirmi sminuita da lui in alcune occasioni, ma lui ha sempre evitato di affrontare il discorso, liquidandomi con frasi del tipo "interpreti male i comportamenti degli altri" o "non sei in grado di capire".
Questa cosa mi riempie di dolore. Ho sempre avuto problemi a relazionarmi con gli altri e a studiare, ma in questi due mesi si sono estremamente amplificati e mi sento veramente intrappolata nel dolore e nel tentativo di calmarmi, che mi porta via tutte le energie. Pensavo di aver imparato a controllare le mie emozioni nel corso di questi anni, ma quest'episodio è come se mi avesse tolto ogni risorsa acquisita. Mi sento come se fossi esplosa in un modo che non mi era mai accaduto. Prima avevo una sorta di autocontrollo, un freno interno; ora è come se tutti i freni, tutti i tentativi di essere razionale fossero stati spazzati via, magari da anni di tentativi di repressione uniti a quest'evento.
Ora sono in cura da un'altra terapeuta. Mi sembra che lei in un certo senso sia dalla mia parte e non voglio smettere , ma mi chiedo se ho bisogno di qualche terapia specifica, se il mio desiderio di trovare un luogo o una persona sicura siano solamente una ferita oppure abbiano una valenza come intervento terapeutico. Mi sento davvero fragile in questo momento e vorrei capire se desiderare sicurezza e un altro tipo di approccio sia giusto.
Buongiorno. Credo che le problematiche da lei indicate possano trovare un primo chiarimento, attraverso il lavoro terapeutico, negli eventi e nelle relazioni con i genitori nel periodo della sua prima infanzia. Credo che sia solo uno dei punti da cui partire. Cordiali saluti.
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Gentile,
le sue parole trasmettono un dolore profondo e una grande lucidità. Il desiderio di trovare uno spazio sicuro, dove potersi esprimere senza timore di essere fraintesa o giudicata, non è solo comprensibile, ma rappresenta spesso una parte fondamentale del percorso terapeutico.
Non è “sbagliato” desiderare sicurezza: anzi, è un bisogno umano profondo, soprattutto quando si portano ferite relazionali significative. La sua fragilità non è debolezza, ma un segnale che c’è qualcosa che merita ascolto e cura.
Ha fatto bene a cercare aiuto e a non arrendersi. Se desidera, possiamo parlarne insieme in un colloquio: potremmo esplorare in un ambiente accogliente e protetto tutto ciò che sta vivendo e capire insieme quale direzione terapeutica sia più adatta per lei.
Resto a disposizione.
le sue parole trasmettono un dolore profondo e una grande lucidità. Il desiderio di trovare uno spazio sicuro, dove potersi esprimere senza timore di essere fraintesa o giudicata, non è solo comprensibile, ma rappresenta spesso una parte fondamentale del percorso terapeutico.
Non è “sbagliato” desiderare sicurezza: anzi, è un bisogno umano profondo, soprattutto quando si portano ferite relazionali significative. La sua fragilità non è debolezza, ma un segnale che c’è qualcosa che merita ascolto e cura.
Ha fatto bene a cercare aiuto e a non arrendersi. Se desidera, possiamo parlarne insieme in un colloquio: potremmo esplorare in un ambiente accogliente e protetto tutto ciò che sta vivendo e capire insieme quale direzione terapeutica sia più adatta per lei.
Resto a disposizione.
Buon pomeriggio. Che approccio seguiva il suo vecchio terapeuta e che approccio segue la terapeuta attuale?
Cara ragazza,
prima di tutto grazie per aver condiviso una parte così profonda e delicata della tua esperienza. Ciò che esprimi racconta un dolore autentico, una ricerca intensa e legittima di accoglienza, di ascolto e di un legame sicuro. Il tuo bisogno di avere una figura di riferimento stabile, che non giudichi, che accolga i tuoi pensieri e le tue emozioni senza imbarazzo, è qualcosa che ha radici profonde e merita attenzione e rispetto.
Non sei sbagliata nel desiderare tutto questo: desiderare sicurezza, continuità e comprensione non è segno di debolezza, ma espressione di un bisogno umano fondamentale, spesso legato alle prime esperienze di attaccamento e alla costruzione dell’identità. Il fatto che tu abbia vissuto esperienze di abbandono, di fraintendimenti e di dolore relazionale, anche all’interno del contesto terapeutico, rende comprensibile e naturale il senso di smarrimento e la fragilità che ora stai provando.
È importante sottolineare che non tutti i percorsi terapeutici sono uguali. La relazione terapeutica, per funzionare, deve essere basata su fiducia, accoglienza e un senso di sicurezza emotiva. Quando questo non avviene — soprattutto se ci si sente ignorati, invalidati o addirittura messi da parte — può avere un impatto molto forte, proprio come quello che stai descrivendo.
Il fatto che tu sia ora in cura da un'altra terapeuta e che tu percepisca che sia "dalla tua parte" è un ottimo segnale. Il tuo bisogno di sicurezza non è una “debolezza da correggere”, ma può rappresentare una chiave preziosa per il tuo percorso terapeutico. Esistono approcci psicologici specifici che tengono in grande considerazione il tema dell’attaccamento, del trauma relazionale e del bisogno di regolazione emotiva — tra questi, ad esempio, la terapia focalizzata sulla relazione, la Schema Therapy, l’EMDR, oppure approcci basati sulla mentalizzazione e la regolazione affettiva.
Il tuo desiderio di sentirti al sicuro, ascoltata e non giudicata non è soltanto una “ferita”, ma può diventare il punto di partenza per un percorso di cura autentico e trasformativo. È giusto che tu possa portare questo desiderio in terapia, con la possibilità di esplorarlo, comprenderlo e, gradualmente, costruire nuove modalità relazionali più sane e meno dolorose.
Ti incoraggio a continuare con la terapeuta attuale, condividendo con lei anche questi dubbi, perché possano essere accolti e compresi nel giusto modo. Potresti valutare, insieme a lei, se un approccio specifico possa aiutarti ad affrontare meglio la tua storia e le sue ferite.
Sarebbe utile e consigliato, per approfondire questi temi in modo protetto e costruttivo, rivolgersi a uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
prima di tutto grazie per aver condiviso una parte così profonda e delicata della tua esperienza. Ciò che esprimi racconta un dolore autentico, una ricerca intensa e legittima di accoglienza, di ascolto e di un legame sicuro. Il tuo bisogno di avere una figura di riferimento stabile, che non giudichi, che accolga i tuoi pensieri e le tue emozioni senza imbarazzo, è qualcosa che ha radici profonde e merita attenzione e rispetto.
Non sei sbagliata nel desiderare tutto questo: desiderare sicurezza, continuità e comprensione non è segno di debolezza, ma espressione di un bisogno umano fondamentale, spesso legato alle prime esperienze di attaccamento e alla costruzione dell’identità. Il fatto che tu abbia vissuto esperienze di abbandono, di fraintendimenti e di dolore relazionale, anche all’interno del contesto terapeutico, rende comprensibile e naturale il senso di smarrimento e la fragilità che ora stai provando.
È importante sottolineare che non tutti i percorsi terapeutici sono uguali. La relazione terapeutica, per funzionare, deve essere basata su fiducia, accoglienza e un senso di sicurezza emotiva. Quando questo non avviene — soprattutto se ci si sente ignorati, invalidati o addirittura messi da parte — può avere un impatto molto forte, proprio come quello che stai descrivendo.
Il fatto che tu sia ora in cura da un'altra terapeuta e che tu percepisca che sia "dalla tua parte" è un ottimo segnale. Il tuo bisogno di sicurezza non è una “debolezza da correggere”, ma può rappresentare una chiave preziosa per il tuo percorso terapeutico. Esistono approcci psicologici specifici che tengono in grande considerazione il tema dell’attaccamento, del trauma relazionale e del bisogno di regolazione emotiva — tra questi, ad esempio, la terapia focalizzata sulla relazione, la Schema Therapy, l’EMDR, oppure approcci basati sulla mentalizzazione e la regolazione affettiva.
Il tuo desiderio di sentirti al sicuro, ascoltata e non giudicata non è soltanto una “ferita”, ma può diventare il punto di partenza per un percorso di cura autentico e trasformativo. È giusto che tu possa portare questo desiderio in terapia, con la possibilità di esplorarlo, comprenderlo e, gradualmente, costruire nuove modalità relazionali più sane e meno dolorose.
Ti incoraggio a continuare con la terapeuta attuale, condividendo con lei anche questi dubbi, perché possano essere accolti e compresi nel giusto modo. Potresti valutare, insieme a lei, se un approccio specifico possa aiutarti ad affrontare meglio la tua storia e le sue ferite.
Sarebbe utile e consigliato, per approfondire questi temi in modo protetto e costruttivo, rivolgersi a uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Cara,
le tue parole raccontano con una lucidità e un coraggio straordinari un dolore che ha radici profonde, e che merita di essere ascoltato con tutto il rispetto, la delicatezza e la presenza che forse, finora, ti sono mancati proprio nei momenti più vulnerabili.
Il bisogno di trovare una figura affidabile, capace di accoglierti senza giudizio, è un bisogno umano fondamentale, non qualcosa da reprimere o da “correggere”. È il bisogno di avere uno spazio sicuro in cui esistere così come si è, senza il timore costante di essere fraintesi, ignorati o lasciati soli nel momento del bisogno.
Quello che hai vissuto nella relazione con il precedente terapeuta, e il modo in cui tutto si è interrotto, sembra aver toccato proprio quel punto fragile: la paura dell’abbandono, della svalutazione, del non essere compresa. E quando una relazione d’aiuto – che dovrebbe essere una base sicura – finisce in quel modo, può lasciare un senso di frattura ancora più profondo. È del tutto comprensibile che ti senta così smarrita, svuotata e confusa.
Ma quello che emerge fortemente dal tu scritto, è che tu sei ancora in grado di sentire, di riflettere, di cercare la verità nel tuo vissuto. Nonostante tutto, sei ancora capace di amare, di fidarti, di metterti in discussione. E questo è un segnale importantissimo, un segno di forza e di vitalità, non di debolezza.
La domanda che ti poni – se desiderare una relazione sicura sia “giusto” o se sia solo una ferita – è una domanda terapeutica potentissima. In realtà, le due cose possono convivere: il bisogno di sicurezza nasce da una ferita, sì, ma allo stesso tempo diventa anche la via attraverso cui quella ferita può essere finalmente vista, compresa e trasformata.
Nel mio lavoro come psicoanalista interpersonale, mi occupo proprio di questo: offrire uno spazio relazionale in cui le esperienze passate possano essere rilette con rispetto, in cui il legame tra terapeuta e paziente diventa esso stesso parte della cura, non solo un “contenitore neutro”. Il desiderio di sicurezza, quando è accolto senza giudizio, può diventare un punto di partenza per una trasformazione profonda.
Ti incoraggio, se lo sentirai, a continuare a dare voce a questo bisogno. Non è “troppo”, non è sbagliato, non è debole. È umano. E merita tutto l’ascolto possibile.
Se mai sentissi il desiderio di approfondire, di costruire uno spazio psicoterapeutico rispettoso e autentico, sono qui.
Con stima e vicinanza,
dr.ssa Guidi J
le tue parole raccontano con una lucidità e un coraggio straordinari un dolore che ha radici profonde, e che merita di essere ascoltato con tutto il rispetto, la delicatezza e la presenza che forse, finora, ti sono mancati proprio nei momenti più vulnerabili.
Il bisogno di trovare una figura affidabile, capace di accoglierti senza giudizio, è un bisogno umano fondamentale, non qualcosa da reprimere o da “correggere”. È il bisogno di avere uno spazio sicuro in cui esistere così come si è, senza il timore costante di essere fraintesi, ignorati o lasciati soli nel momento del bisogno.
Quello che hai vissuto nella relazione con il precedente terapeuta, e il modo in cui tutto si è interrotto, sembra aver toccato proprio quel punto fragile: la paura dell’abbandono, della svalutazione, del non essere compresa. E quando una relazione d’aiuto – che dovrebbe essere una base sicura – finisce in quel modo, può lasciare un senso di frattura ancora più profondo. È del tutto comprensibile che ti senta così smarrita, svuotata e confusa.
Ma quello che emerge fortemente dal tu scritto, è che tu sei ancora in grado di sentire, di riflettere, di cercare la verità nel tuo vissuto. Nonostante tutto, sei ancora capace di amare, di fidarti, di metterti in discussione. E questo è un segnale importantissimo, un segno di forza e di vitalità, non di debolezza.
La domanda che ti poni – se desiderare una relazione sicura sia “giusto” o se sia solo una ferita – è una domanda terapeutica potentissima. In realtà, le due cose possono convivere: il bisogno di sicurezza nasce da una ferita, sì, ma allo stesso tempo diventa anche la via attraverso cui quella ferita può essere finalmente vista, compresa e trasformata.
Nel mio lavoro come psicoanalista interpersonale, mi occupo proprio di questo: offrire uno spazio relazionale in cui le esperienze passate possano essere rilette con rispetto, in cui il legame tra terapeuta e paziente diventa esso stesso parte della cura, non solo un “contenitore neutro”. Il desiderio di sicurezza, quando è accolto senza giudizio, può diventare un punto di partenza per una trasformazione profonda.
Ti incoraggio, se lo sentirai, a continuare a dare voce a questo bisogno. Non è “troppo”, non è sbagliato, non è debole. È umano. E merita tutto l’ascolto possibile.
Se mai sentissi il desiderio di approfondire, di costruire uno spazio psicoterapeutico rispettoso e autentico, sono qui.
Con stima e vicinanza,
dr.ssa Guidi J
Gentilissima,
le sue parole custodiscono un dolore vivo, ma anche un desiderio profondo: essere vista senza dover temere l’abbandono. La sua richiesta di sicurezza non è una debolezza, ma una ferita che domanda cura. Come nel mito di Enea che porta Anchise sulle spalle, Lei cerca una figura che non fugga di fronte al peso della Sua storia, ma la sostenga con rispetto. Il bisogno di trovare uno spazio sicuro, dove l’affetto possa essere nominato senza vergogna né malintesi, non è solo legittimo, è terapeutico. La nuova terapeuta può essere, se lo vorrà, la custode di questo nuovo cammino, dove il trauma non sia smentito ma accolto. Lei non è “esplosa”, si è aperta. Ed è proprio da questa apertura che può nascere una cura più profonda.
Un caro saluto,
Dott. Fabio Di Guglielmo
le sue parole custodiscono un dolore vivo, ma anche un desiderio profondo: essere vista senza dover temere l’abbandono. La sua richiesta di sicurezza non è una debolezza, ma una ferita che domanda cura. Come nel mito di Enea che porta Anchise sulle spalle, Lei cerca una figura che non fugga di fronte al peso della Sua storia, ma la sostenga con rispetto. Il bisogno di trovare uno spazio sicuro, dove l’affetto possa essere nominato senza vergogna né malintesi, non è solo legittimo, è terapeutico. La nuova terapeuta può essere, se lo vorrà, la custode di questo nuovo cammino, dove il trauma non sia smentito ma accolto. Lei non è “esplosa”, si è aperta. Ed è proprio da questa apertura che può nascere una cura più profonda.
Un caro saluto,
Dott. Fabio Di Guglielmo
Ciao, da quello che racconti hai avuto una serie di esperienze relazionali che potrebbero aver mantenuto o aggravato una tua sensibilità personale già presente. Senz'altro la psicoterapia può aiutarti a rafforzare alcune risorse che ti sono necessarie nella relazione con l'altro e ad analizzare l'immagine che hai di te stessa, con conseguenti bisogni emotivi che ti porti dietro. Quindi, per rispondere alle tue domande, no, la terapia non è solo parte di un bisogno di sicurezza che senti in questo momento, ma è anche parte di una necessità che provi per superare delle difficoltà più radicate. Se ora hai trovato una terapeuta che senti ti capisca, allora affronta tutti questi dubbi e necessità con lei. Raccontale anche del bisogno di chiedere aiuto in ogni modo, anche su questa piattaforma, cercando l'intervento migliore per te e lei saprà accogliere queste cose che le racconti e inserirle nel quadro che descrive te. So che può essere complicato affidarsi nuovamente a qualcuno, vista l'esperienza precedente, ma anche quella ti ha aiutato a capire delle cose di te e che puoi domandare al terapeuta del tuo nuovo percorso. Buona fortuna
Salve, la sua ricerca di una figura di riferimento e il desiderio di essere accolta senza giudizio sono completamente legittimi e, in effetti, fanno parte di un percorso di cura sano e fondamentale per chiunque. Il suo racconto mostra una profonda vulnerabilità, e comprendo quanto possa essere doloroso sentirsi sminuita e non compresa da chi dovrebbe invece sostenere la sua crescita emotiva. Il suo dolore di essere stata abbandonata, prima nelle relazioni personali e poi nel percorso terapeutico, è molto significativo, specialmente perché lei aveva scelto di aprirsi con la speranza di ricevere quella comprensione che ha sempre cercato. Non è affatto sbagliato desiderare un ambiente terapeutico che sia sicuro, accogliente e rispettoso. La sensazione di abbandono che ha vissuto, con l'interruzione improvvisa della terapia e il mancato ascolto del suo dolore, può sicuramente amplificare quel vuoto che ha provato in passato.
Il bisogno di sicurezza e di un approccio più empatico non è solo una ferita, ma anche un valido indicatore di cosa le serve per curarsi. Desiderare una relazione terapeutica che possa offrirle ascolto incondizionato e un vero contenimento delle sue emozioni è un aspetto fondamentale del processo terapeutico. Non è solo un bisogno “fragile”, ma un bisogno sano, che fa parte di un percorso di guarigione. Siamo esseri umani e, a volte, il dolore passato va affrontato con una guida che sappia stare al suo fianco, senza farla sentire isolata.
Ottimo che abbia trovato una nuova terapeuta che sembra essere più vicina alle sue necessità. Non si preoccupi troppo se ha bisogno di un tipo di terapia più specifico; ciò che conta è che si senta compresa e rispettata nel suo percorso. La cosa più importante ora è che continui a sentirsi al sicuro e che riesca a costruire, poco a poco, una base di fiducia che le permetta di affrontare il suo dolore senza sentirsi sopraffatta. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Il bisogno di sicurezza e di un approccio più empatico non è solo una ferita, ma anche un valido indicatore di cosa le serve per curarsi. Desiderare una relazione terapeutica che possa offrirle ascolto incondizionato e un vero contenimento delle sue emozioni è un aspetto fondamentale del processo terapeutico. Non è solo un bisogno “fragile”, ma un bisogno sano, che fa parte di un percorso di guarigione. Siamo esseri umani e, a volte, il dolore passato va affrontato con una guida che sappia stare al suo fianco, senza farla sentire isolata.
Ottimo che abbia trovato una nuova terapeuta che sembra essere più vicina alle sue necessità. Non si preoccupi troppo se ha bisogno di un tipo di terapia più specifico; ciò che conta è che si senta compresa e rispettata nel suo percorso. La cosa più importante ora è che continui a sentirsi al sicuro e che riesca a costruire, poco a poco, una base di fiducia che le permetta di affrontare il suo dolore senza sentirsi sopraffatta. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Salve dal suo racconto si evince che anche se ha fatto diversi trattamenti ci sono molti irrisolti che si manifestano attraverso il " bisogno di " dipendenza affettiva sia verso la terapia che nella ricerca di punti di riferimento
In questo nuovo percorso cerchi di fare un lavoro esplorativo profondo nel suo mondo interiore che a volte porta a rivedere le figure genitoriali e i bisogni infantili non espressi
Ci sono molte tecniche vedrai che il suo terapeuta la saprà guidare
Soprattutto scelga lei la persona con cui si trova bene a interagire
Nel nel Ns lavoro è importante
In bocca al lupo
Dott Maria Santa Lorenzini psicoterapeuta
In questo nuovo percorso cerchi di fare un lavoro esplorativo profondo nel suo mondo interiore che a volte porta a rivedere le figure genitoriali e i bisogni infantili non espressi
Ci sono molte tecniche vedrai che il suo terapeuta la saprà guidare
Soprattutto scelga lei la persona con cui si trova bene a interagire
Nel nel Ns lavoro è importante
In bocca al lupo
Dott Maria Santa Lorenzini psicoterapeuta
Salve,
continui pure il percorso iniziato e porti questi suoi dubbi all'interno delle prossime sedute, vedrà che potranno esser accolti ed orientati al pari di tutti gli altri. E' molto importante in questo momento che possa affidarsi completamente alla collega con cui ha cominciato un nuovo percorso evitando di chiedere ulteriori pareri, questo per evitare che il setting terapeutico possa inquinarsi.
Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
continui pure il percorso iniziato e porti questi suoi dubbi all'interno delle prossime sedute, vedrà che potranno esser accolti ed orientati al pari di tutti gli altri. E' molto importante in questo momento che possa affidarsi completamente alla collega con cui ha cominciato un nuovo percorso evitando di chiedere ulteriori pareri, questo per evitare che il setting terapeutico possa inquinarsi.
Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Buongiorno,
grazie per aver condiviso con tanta sincerità un’esperienza così intima e dolorosa. Dalle sue parole si percepisce bene quanto abbia bisogno non solo di un percorso terapeutico, ma anche di un luogo sicuro in cui sentirsi accolta senza timore di essere giudicata o fraintesa.
Il suo desiderio di avere una figura di riferimento che offra sicurezza, ascolto e stabilità non è un “capriccio” né un errore: è un bisogno umano fondamentale, soprattutto per chi ha vissuto esperienze di abbandono o svalutazione. Quando questo bisogno non viene riconosciuto o viene trattato con superficialità, la ferita si riapre e il dolore può diventare molto intenso, come sta sperimentando.
La sensazione di “perdita di autocontrollo” che descrive è comprensibile: spesso, dopo anni di sforzi per trattenere o razionalizzare le emozioni, un episodio vissuto come abbandono improvviso può far crollare le difese, facendo emergere la sofferenza accumulata. Non significa che abbia “perso” le sue risorse: significa che in questo momento la parte più fragile di lei ha bisogno di essere riconosciuta e contenuta.
È positivo che ora sia in cura con una nuova terapeuta e che percepisca che “sta dalla sua parte”: questa sensazione è un ingrediente fondamentale per un percorso efficace. Non deve sentirsi in colpa per cercare un approccio in cui si senta più al sicuro.
Quanto alla sua domanda:
sì, è giusto desiderare sicurezza e un legame affidabile in terapia. Non è solo una ferita, è anche parte del processo: la terapia funziona proprio perché offre una relazione diversa da quelle che hanno ferito in passato.
Esistono approcci che danno particolare importanza a questo aspetto, come le terapie basate sull’attaccamento, l’EMDR, o la terapia focalizzata sulle emozioni. Tutti questi modelli partono dal presupposto che il bisogno di sentirsi visti, accolti e protetti sia centrale e terapeutico di per sé.
La invito a portare apertamente queste riflessioni alla sua attuale terapeuta: condividere la paura di essere abbandonata o non accolta è un passo importante del percorso, e può diventare uno spazio di guarigione.
Lei non è “sbagliata” per desiderare sicurezza. Sta solo cercando ciò che le è mancato, ed è proprio questo bisogno a poterla guidare verso un percorso più autentico e trasformativo.
Un caro incoraggiamento.
grazie per aver condiviso con tanta sincerità un’esperienza così intima e dolorosa. Dalle sue parole si percepisce bene quanto abbia bisogno non solo di un percorso terapeutico, ma anche di un luogo sicuro in cui sentirsi accolta senza timore di essere giudicata o fraintesa.
Il suo desiderio di avere una figura di riferimento che offra sicurezza, ascolto e stabilità non è un “capriccio” né un errore: è un bisogno umano fondamentale, soprattutto per chi ha vissuto esperienze di abbandono o svalutazione. Quando questo bisogno non viene riconosciuto o viene trattato con superficialità, la ferita si riapre e il dolore può diventare molto intenso, come sta sperimentando.
La sensazione di “perdita di autocontrollo” che descrive è comprensibile: spesso, dopo anni di sforzi per trattenere o razionalizzare le emozioni, un episodio vissuto come abbandono improvviso può far crollare le difese, facendo emergere la sofferenza accumulata. Non significa che abbia “perso” le sue risorse: significa che in questo momento la parte più fragile di lei ha bisogno di essere riconosciuta e contenuta.
È positivo che ora sia in cura con una nuova terapeuta e che percepisca che “sta dalla sua parte”: questa sensazione è un ingrediente fondamentale per un percorso efficace. Non deve sentirsi in colpa per cercare un approccio in cui si senta più al sicuro.
Quanto alla sua domanda:
sì, è giusto desiderare sicurezza e un legame affidabile in terapia. Non è solo una ferita, è anche parte del processo: la terapia funziona proprio perché offre una relazione diversa da quelle che hanno ferito in passato.
Esistono approcci che danno particolare importanza a questo aspetto, come le terapie basate sull’attaccamento, l’EMDR, o la terapia focalizzata sulle emozioni. Tutti questi modelli partono dal presupposto che il bisogno di sentirsi visti, accolti e protetti sia centrale e terapeutico di per sé.
La invito a portare apertamente queste riflessioni alla sua attuale terapeuta: condividere la paura di essere abbandonata o non accolta è un passo importante del percorso, e può diventare uno spazio di guarigione.
Lei non è “sbagliata” per desiderare sicurezza. Sta solo cercando ciò che le è mancato, ed è proprio questo bisogno a poterla guidare verso un percorso più autentico e trasformativo.
Un caro incoraggiamento.
Salve, mi dispiace per le esperienze che ha vissuto. é grave il fatto che il suo vecchio terapeuta abbia continuamente veicolato l'attenzione verso temi per lei non rilevanti, specie se legati ad eventi traumatici che comunque con la dovuta accortezza e sensibilità vanno affrontati. Ha quindi fatto bene a rivolgersi ad un altra persona, spero possa ritrovare la serenità perduta.
Cordiali saluti
Cordiali saluti
Buongiorno,
dal suo racconto traspare chiaramente quanto la ricerca di una figura affidabile sia stata per lei sia una bussola, sia una fonte di ferite profonde. È come se tra il bisogno di sentirsi accolta e il timore di essere nuovamente delusa vivesse una continua altalena. Mi chiedo: ciò che oggi la fa più soffrire è la mancanza di una figura stabile, o il timore che anche trovandola non riuscirebbe comunque a fidarsi fino in fondo?
E ancora: desiderare sicurezza è per lei un segno di fragilità o potrebbe essere, al contrario, il punto di partenza per costruire finalmente basi più solide?
Forse la vera domanda non è se sia “giusto” cercare protezione, ma quanto è disposta a riconoscere che questo bisogno può diventare una risorsa invece che una catena.
Rimango a disposizione per ulteriori dubbi o chiarimenti.
Dott.ssa Francesca Gottofredi
dal suo racconto traspare chiaramente quanto la ricerca di una figura affidabile sia stata per lei sia una bussola, sia una fonte di ferite profonde. È come se tra il bisogno di sentirsi accolta e il timore di essere nuovamente delusa vivesse una continua altalena. Mi chiedo: ciò che oggi la fa più soffrire è la mancanza di una figura stabile, o il timore che anche trovandola non riuscirebbe comunque a fidarsi fino in fondo?
E ancora: desiderare sicurezza è per lei un segno di fragilità o potrebbe essere, al contrario, il punto di partenza per costruire finalmente basi più solide?
Forse la vera domanda non è se sia “giusto” cercare protezione, ma quanto è disposta a riconoscere che questo bisogno può diventare una risorsa invece che una catena.
Rimango a disposizione per ulteriori dubbi o chiarimenti.
Dott.ssa Francesca Gottofredi
Ciao, grazie per aver condiviso la tua esperienza così profondamente. Il desiderio di avere una figura sicura e accogliente non è “sbagliato”: è un bisogno umano, legato al sentirsi riconosciuti e visti. Quello che descrivi sembra essere una ferita che si riattiva facilmente nelle relazioni, anche in contesti terapeutici, e capisco quanto possa essere doloroso.
Un piccolo spunto pratico: quando senti il “vuoto” riaffiorare, prova a fermarti e portare attenzione al corpo, magari con tre respiri lenti focalizzati sulla sensazione di contatto dei piedi a terra. È un modo per ricordarti che, anche se l’altro non c’è, tu sei presente a te stessa.
Ti chiedo: come sarebbe per te immaginare che questo bisogno non sia un difetto da correggere, ma una bussola che ti indica cosa cerchi e cosa può curarti in un percorso terapeutico?
Un piccolo spunto pratico: quando senti il “vuoto” riaffiorare, prova a fermarti e portare attenzione al corpo, magari con tre respiri lenti focalizzati sulla sensazione di contatto dei piedi a terra. È un modo per ricordarti che, anche se l’altro non c’è, tu sei presente a te stessa.
Ti chiedo: come sarebbe per te immaginare che questo bisogno non sia un difetto da correggere, ma una bussola che ti indica cosa cerchi e cosa può curarti in un percorso terapeutico?
Buongiorno, grazie per la tua condivisione, mi permetto di darti del tu per la tua giovane età. Penso che tu abbia fatto molto bene a cominciare una nuova terapia per rimarginare e curare la ferita procurata dalla terapia precedente, ma forse fatico a comprendere la tua domanda e ti chiedo un aiuto: come mai ti senti fragile anche in questa terapia? che cosa non funziona? in che cosa senti di avere bisogno di più sicurezza e più accoglienza, c'è qualcosa che senti che manca nella tua nuova terapia? Più che l'approccio, a fare la terapia è la relazione tra paziente e terapeuta, è quella che permette di guarire, curare e rimarginare le ferite, quindi mi chiedo se c'è qualcosa che non funziona nella nuova relazione terapeutica. Credo che nel caso il punto di partenza sarebbe quello di parlarne esplicitamente con la tua terapeuta, per capire il suo punto di vista e che cosa potete fare insieme per farti sentire più sicura, più forte, più accolta e meno fragile. Se in qualche modo anche questa terapia non dovesse essere adatta a te il mio invito è a non perderti d'animo: trovare il terapeuta giusto può non essere facile, ma è assolutamente possibile, ed è importante che tu possa trovare qualcuno da cui sentirti completamente accolta, ascoltata e non giudicata. Se avessi bisogno di approfondire mi trovi a disposizione, anche online. Un caro saluto, dott.ssa Elena Gianotti
Quello che porti qui è la traccia di una domanda che ti abita da sempre: trovare un luogo, o qualcuno, che non ti abbandoni e che ti accolga senza giudizio. Non si tratta semplicemente di un “bisogno di sicurezza”, ma di un punto centrale del tuo desiderio.
Il fatto che questa domanda ti abbia condotta, a volte, verso incontri dolorosi, e che tu senta ancora oggi la ferita dell’interruzione con il tuo precedente terapeuta, ci dice che lì c’è qualcosa di molto vivo, che ti riguarda nel profondo. L’esperienza dell’abbandono si è ripetuta, e tu oggi ne senti il peso come se fosse esplosa ogni difesa che avevi costruito negli anni.
In psicoanalisi non si tratta di eliminare questo desiderio, né di giudicarlo, ma di ascoltarlo: cosa racconta della tua storia? Cosa ti dice del tuo rapporto con l’Altro, con chi per te dovrebbe essere un punto d’appoggio?
Il transfert ,cioè il legame che si crea con chi ti ascolta in analisi non è un “incidente di percorso”, è parte integrante del lavoro. Se con il tuo vecchio terapeuta ti sei sentita rifiutata o sminuita, questo ha avuto effetti reali su di te, e ha riattivato la ferita originaria. Non va minimizzato.
Ora tu dici che con la nuova terapeuta senti che “è dalla tua parte”. Questo è importante: è la condizione che ti permette di parlare e di affidarti. Il tuo desiderio di trovare un posto sicuro non è solo una ferita da curare, ma anche il motore stesso del lavoro analitico. La questione non è se “hai bisogno della terapia giusta” o se sia “giusto desiderare sicurezza”: la tua verità passa da lì.
E sarà, nel tempo, proprio parlando di questo bisogno, di questo vuoto e della sua insistenza, che potrai trovare la tua strada soggettiva.
Il fatto che questa domanda ti abbia condotta, a volte, verso incontri dolorosi, e che tu senta ancora oggi la ferita dell’interruzione con il tuo precedente terapeuta, ci dice che lì c’è qualcosa di molto vivo, che ti riguarda nel profondo. L’esperienza dell’abbandono si è ripetuta, e tu oggi ne senti il peso come se fosse esplosa ogni difesa che avevi costruito negli anni.
In psicoanalisi non si tratta di eliminare questo desiderio, né di giudicarlo, ma di ascoltarlo: cosa racconta della tua storia? Cosa ti dice del tuo rapporto con l’Altro, con chi per te dovrebbe essere un punto d’appoggio?
Il transfert ,cioè il legame che si crea con chi ti ascolta in analisi non è un “incidente di percorso”, è parte integrante del lavoro. Se con il tuo vecchio terapeuta ti sei sentita rifiutata o sminuita, questo ha avuto effetti reali su di te, e ha riattivato la ferita originaria. Non va minimizzato.
Ora tu dici che con la nuova terapeuta senti che “è dalla tua parte”. Questo è importante: è la condizione che ti permette di parlare e di affidarti. Il tuo desiderio di trovare un posto sicuro non è solo una ferita da curare, ma anche il motore stesso del lavoro analitico. La questione non è se “hai bisogno della terapia giusta” o se sia “giusto desiderare sicurezza”: la tua verità passa da lì.
E sarà, nel tempo, proprio parlando di questo bisogno, di questo vuoto e della sua insistenza, che potrai trovare la tua strada soggettiva.
Salve, grazie per aver scritto, credo che sia un tuo preciso diritto di rapportarti con un/a terapeuta con cui sei a tuo agio nel raccontare le tue cose, fare un piano terapeutico e lavorare insieme. Capisco che ci possono essere differenze metodologiche fra i vari approcci psicoterapeutici ma in linea generale è così. Buon percorso!
Capisco quanto ti senta fragile e quanto dolore ti abbia causato quell’esperienza. Il desiderio di avere un luogo sicuro e di sentirti accolta è assolutamente legittimo. Parla apertamente di questi sentimenti al prossimo incontro con la tua terapeuta, così potrete insieme trovare modi concreti per ritrovare sicurezza e benessere.
Un caro saluto
CC
Un caro saluto
CC
Gent.ma, riferisce una importante condizione di sofferenza e, purtroppo, la sensazione di incomprensione accompagnata da equivoci: è importante riporti i timori, i pensieri e questi sentimenti dall’interno del rapporto psicoterapeutico che ha nuovamente instaurato. Tenga presente, però, che una psicoterapia può richiedere anche un consistente periodo di tempo perché sia possibile venire a capo di qualche aspetto insoddisfacente di sé. SG
Buongiorno, mi dispiace molto leggere le sue parole. Mi sembra che agli eventi di vita passata si sia aggiunta la ferita di una interruzione terapeutica che ha aggiunto un carico di abbandono pesante da gestire. Se ha intrapreso un nuovo percorso, se si trova bene con questa nuova figura professionale, il mio suggerimento è di continuare, sapendo che la sua tendenza a cercare altro potrebbe essere dettata da tutto ciò che le è accaduto. Parli apertamente con la sua psicoterapeuta, fa parte del lavoro.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
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