Sera, dal punto di vista sociologico da cosa può dipendere che la gente, benché consapevole esprimen

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Sera, dal punto di vista sociologico da cosa può dipendere che la gente, benché consapevole esprimendolo anche verbalmente della malignità che una persona riserva a un'altra e che quest'ultima per loro stessa ammissione reputano una persona perbene, loro amica e che stimano a dismisura, a parità di eventi vissuti da entrambi tenda a essere di SUPPORTO della persona criticata e di non curanza della persona "stimata"? Porto degli esempi, intervento del marito di quella criticata, informano quella stimata che sarebbe il caso di farsi vivi. Intervento del marito della persona stimata, lo tengono per se senza informare quella criticata, nonostante si conoscessero. Altro esempio, si ritrovano a una cena, quella che loro dicono di stimare non viene invitata, quella criticata viene invitata e quando gli viene fatto notare la discrepanza ti dicono "se vuoi venire che ti posso dire, aggiungiamo un posto, però sappi ti pensiamo sempre". Quelle rare volte che sono usciti (entusiasti) con quella stimata si promettevano di non farlo sapere.. quando escono con quella maligna non hanno peli sulla lingua nel diffonderlo. Con la persona maligna non hanno coraggio di tenerla lontana o di darle possibilità di inquinare i loro rapporti con altre persone mentre con quella che stimano, una volta che si è stufata e ha cambiato aria, si permettono di darle della matta (solo perché non più disponibile nei loro confronti come li ha abituati). Se vedono la persona maligna fare un dispetto a quella stimata vanno da quest'ultima in privato con la pacca sulla spalla "ci dispiace per quello che ti sta capitando" , se quella stimata regala la sua totale indifferenza alla maligna, li vedi correre in soccorso di quest'ultima sussurrando a denti stretti a quella stimata "non ci si comporta così..". Essendo non una sola persona a comportarsi così, ma un gruppetto ampio, ergo non si tratta di carattere personale ma un discorso più ampio.. cosa induce questa gente a comportarsi in modo così ambiguo come se quella stimata non avesse diritto a essere riconosciuta mentre quella schifata viene rispettata? Potreste darmi qualche spunto comportamento per far si di invertire lo schema o quanto meno di spezzarlo? O l'unica cosa che si può fare è scappare lontano da costoro e crearsi nuove relazioni più appaganti, traendo dalla storia che nella vita per poter essere riconosciuto/rispettato è necessario solo essere infami e non gente per bene?
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
La dinamica che descrivi è molto complessa e, per quanto dolorosa e apparentemente assurda, non è purtroppo così rara nelle relazioni sociali.

Dal punto di vista sociologico e psicologico, diversi fattori possono contribuire a spiegare un comportamento così ambiguo e incoerente da parte del gruppo:

1. Conformismo sociale e paura del conflitto
Le persone spesso si adeguano al comportamento del gruppo dominante o di chi percepiscono come più forte o potenzialmente pericoloso. La persona "maligna", che genera conflitto o scontento, può indurre negli altri la paura di essere a loro volta bersagli di critiche o esclusioni. Quindi, anche se viene criticata a parole, nella pratica si preferisce "tenersela buona", mentre chi è più pacata o comprensiva viene inconsciamente data per scontata.

2. Il "capro espiatorio" e la dinamica della proiezione
In molti gruppi si crea una figura che funge da "capro espiatorio", su cui vengono proiettati malesseri, frustrazioni e disagi collettivi. Paradossalmente, più questa persona è equilibrata o sensibile, più viene scelta come bersaglio: perché rappresenta un "contenitore sicuro" su cui scaricare tensioni, sapendo che non reagirà in modo distruttivo.

3. Status impliciti e dinamiche di potere
Chi si impone con atteggiamenti dominanti, anche se tossici, viene spesso considerato inconsciamente "autorevole". Chi invece è gentile, empatico, disponibile, rischia di essere svalutato. È un meccanismo distorto ma radicato: la forza viene confusa con il valore, la disponibilità con la debolezza.

4. Mantenimento dello status quo
Intervenire per difendere chi è escluso o per prendere posizione contro chi crea disagi implica rompere l’equilibrio del gruppo. Molti preferiscono evitare il disagio di "esporsi", anche se questo significa agire in modo ingiusto o ipocrita.

Come spezzare queste dinamiche?
Non è semplice, ma ecco alcuni spunti:

Ridefinire i propri confini: essere chiari e coerenti nel far rispettare i propri limiti, anche a costo di deludere chi è abituato a una nostra "versione accomodante".

Non cercare più approvazione da chi non la merita: se qualcuno ci riconosce solo quando facciamo comodo, quel legame è probabilmente da ripensare.

Agire con dignità silenziosa: l’indifferenza consapevole e coerente spesso è l’unica risposta possibile in certi contesti, senza bisogno di giustificarsi o spiegarsi.

Coltivare nuovi ambienti: relazioni sane e autentiche non si costruiscono nella fretta, ma è fondamentale cercare contesti in cui ci si sente visti, rispettati, valorizzati.

Non diventare ciò che si disprezza: la tentazione di "giocare sporco" per essere rispettati è comprensibile, ma alimenterebbe il meccanismo invece di spezzarlo.

Infine, va sottolineato che esperienze del genere possono lasciare segni profondi sull’autostima, sulla fiducia negli altri e sulla visione delle relazioni. Sarebbe utile e consigliato per approfondire queste dinamiche e ritrovare un senso di stabilità e valore personale, rivolgersi ad uno specialista.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa

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Dott. Giorgio De Giorgi
Psicologo, Psicologo clinico
Bologna
Gentile,

Premesso che non sono un sociologo, la situazione che descrive sembra riflettere un curioso gioco di "percezioni sociali" e "dinamiche relazionali". Mi viene da chiederle: cosa potrebbe esserci dietro questo bisogno di "salvare" chi è più "maligno", nonostante le evidenti difficoltà con le proprie azioni? Forse, a livello subconscio, il gruppo si sente più sicuro nell'orientarsi verso chi, nonostante tutto, rimane più prevedibile o comodo, anche a discapito della propria coerenza. Cosa accadrebbe, secondo lei, se queste persone iniziassero a mettere in discussione la loro visione di chi “merita” rispetto?

Un caro saluto,

Dr. Giorgio De Giorgi
Dott.ssa Lara De Feo
Psicologo, Psicologo clinico
Chieri
Ciao, grazie per aver condiviso tutto questo con tanta chiarezza, hai fatto un'analisi molto lucida di quello che hai osservato quindi immagino tu ci stia pensando da tempo...
Quello che descrivi succede più spesso di quanto si pensi, e in molti casi non si tratta tanto di una singola persona, ma di logiche di gruppo che si auto-alimentano.
Le persone tendono, a volte anche inconsapevolmente, ad avvicinarsi a chi percepiscono come “forte” o “scomodo” per evitare conflitti, mentre si aspettano che chi è più equilibrato o rispettoso riesca a gestirsi da solo. Questo però può creare situazioni in cui il rispetto non è equamente distribuito.
La tua frustrazione è comprensibile, non è semplice trovarsi nel ruolo di chi viene stimato ma non sostenuto, o addirittura giudicato quando decide di allontanarsi.
In merito a come affrontare la situazione, più che cambiare gli altri, spesso è utile spostare il focus su quali limiti vuoi mettere tu, e quali tipi di relazioni desideri coltivare. Non sempre serve “rompere” i legami, ma può essere utile ridefinirli, anche in modo silenzioso, mettendo distanza emotiva dove non c’è reciprocità. In casi così, più che “invertire lo schema”, quello che puoi fare è smettere di parteciparci, con calma ma con fermezza: mettere dei confini chiari, scegliere dove vale la pena investire il tuo tempo e il tuo affetto (un passo alla volta, anche solo iniziando a dire "no" dove prima dicevi "vediamo"). Non è una fuga: è protezione.

Inoltre se vorrai, possiamo ragionare insieme su piccoli passi concreti per rendere questi confini sempre più chiari e protettivi per te.
Ti auguro una buona serata, se dovessi aver bisogno non esitare a contattarmi!
Dott.ssa Lara De Feo.
Dott.ssa Aurora Quaranta
Psicologo, Psicologo clinico
Vimodrone
Buonasera a te. Quello che descrivi è un dinamica molto complessa, ma purtroppo non così rara. Dal punto di vista sociologico e psicologico ci sono diverse chiavi di lettura che possono aiutarti a capire perché accadano queste cose, anche se ovviamente ogni situazione è unica. Provo a darti alcuni spunti, sia per comprendere che per valutare come (e se) agire.

Perché accade? (Spunti sociologici e psicologici)
1. Paura del conflitto e della persona "maligna"
Spesso le persone "maligne", pur disapprovate a parole, vengono comunque tollerate o persino protette perché generano timore. Sono percepite come capaci di creare problemi, mettere zizzania, vendicarsi, o rendere le cose spiacevoli. Questo le rende potenti, in un certo senso, mentre la persona stimata e perbene viene considerata "resiliente", "forte", o peggio ancora "tanto non se la prende". In pratica: la gente protegge chi teme, non chi stima.

2. Convenienza sociale
La persona maligna può essere socialmente strategica. Magari è più presente, più attiva nei gruppi, più "brillante" nel modo di fare o più in grado di manipolare le situazioni a suo favore. Questo tipo di personalità riesce a mantenere una centralità nelle dinamiche sociali, e gli altri si adeguano per non perdere il giro.

3. Mimetismo morale
In gruppo, le persone tendono ad adattarsi alla norma del contesto. Se il gruppo tollera l’ingiustizia verso una persona stimata, chi ne fa parte tende ad allinearsi per non sentirsi escluso. È un meccanismo che si chiama conformismo sociale. Anche chi disapprova, preferisce tacere per non esporsi.

4. La "persona buona" come bersaglio comodo
Chi si comporta in modo coerente, dignitoso, leale, spesso mette in imbarazzo — anche inconsciamente — chi non riesce a fare lo stesso. Questo porta a una sorta di rigetto o svalutazione passivo-aggressiva: "sei troppo corretta, quindi sei rigida", "sei sempre disponibile, quindi ti do per scontata", "ti sei allontanata? Sei matta, ingrata, ingrata, ingrata".

Cosa puoi fare? (Spunti pratici e strategici)
1. Dare valore al silenzio selettivo
Invece di continuare a spiegare, giustificare, far notare le incoerenze (che ti esasperano), valuta se adottare una forma di distanza attiva: stai zitta, osservi, scegli dove e con chi investire energia. L’assenza ragionata è un messaggio fortissimo. Se ti allontani con eleganza, non in modo reattivo, smetti di nutrire la dinamica.

2. Spezzare il ruolo della “persona sempre disponibile”
Rinuncia consapevolmente alla parte di te che deve essere capita, amata, riconosciuta da queste persone. Non perché non lo meriti, ma perché non hanno gli strumenti per farlo. Una persona matura riconosce chi è sano, ma molti non sono maturi.

3. Coltivare legami qualitativi, non numerici
Meglio tre persone che vedono davvero chi sei, che venti che ti “stimano” a parole ma non ti includono nella loro realtà. Cerca situazioni dove l’integrità è una moneta di scambio vera, non una zavorra.

4. Imparare a giocare d’anticipo
Quando hai capito il meccanismo, puoi decidere tu in che ruolo entrare. Ad esempio, se sai che un evento è in mano a certe dinamiche, scegli consapevolmente se andarci, andarci con un tuo equilibrio, o proprio no. Non farti più sorprendere: guida tu le regole del gioco, anche se decidi di non giocare.

E se l’unica cosa fosse davvero “scappare”?
A volte la soluzione più sana è proprio questa: uscire con fierezza da contesti che non ci valorizzano. Non è una sconfitta, è un atto d'amore per se stessi. Non è vero che nella vita si viene rispettati solo se si è infami — è che chi ha veri valori spesso sta un passo avanti agli altri. E chi è un passo avanti, sì... può sentirsi molto solo. Ma è anche il primo ad aprire strade nuove.

Se vuoi, possiamo anche costruire insieme delle frasi da usare, dei comportamenti da provare per testare chi hai di fronte, o strategie per ricostruire nuovi legami da zero...
Salve sig. Anonimo
si, come ha già capito da solo sono argomenti di psicologia sociale e antropologica, pertanto coinvolgono più soggetti ma soprattutto definiti e in un contesto diverso da questo. La sua curiosità non può essere soddisfatta in una risposta, visto che è oggetto di studi approfonditi accademici. Non si chieda il perché gli altri si comportano in un certo modo ma si chieda perché a lei da fastidio o perché frequenta queste persone o perché si trova in queste situazioni.
Lavori su se stesso, dobbiamo partire sempre da noi.
A presto LM
Dott.ssa Giada Casumaro
Psicologo, Terapeuta, Professional counselor
Rovereto sulla Secchia
Salve, mi spiace ma la sua storia risulta alla lettura di difficile comprensione. Se vuole può riprovare ad esprimersi con termini concreti ed eventi specifici.
Spero di poterla rileggere,
a disposizione. Dott.ssa Casumaro Giada
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buonasera, quello che descrive è un dolore profondo e sottile, che ha a che fare con il senso di giustizia, con il bisogno legittimo di essere riconosciuti, e con la frustrazione che nasce quando, nonostante la propria autenticità e correttezza, si viene lasciati in secondo piano, come se il proprio valore non fosse abbastanza evidente o importante da ricevere rispetto e coerenza da parte degli altri. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, possiamo guardare a questa dinamica in diversi modi, ma il punto di partenza è sempre la validazione del vissuto emotivo: la sua sofferenza è comprensibile e fondata. Sentirsi messi da parte o trattati con ingiustizia, pur avendo agito con onestà e buone intenzioni, può far nascere pensieri automatici negativi come "non valgo abbastanza", "la bontà non paga", o "per essere visti bisogna essere scorretti". Questi pensieri sono il frutto naturale di esperienze relazionali incongrue, in cui l’impegno e la lealtà non sono stati riconosciuti o addirittura sono stati puniti, mentre chi ha agito in modo tossico o manipolativo sembra ricevere attenzione o addirittura sostegno. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti che possono aiutarci a comprendere meglio il comportamento del "gruppo" che descrive. In situazioni di dinamica sociale complessa, spesso emergono meccanismi di evitamento del conflitto, conformismo e paura del giudizio. La persona “maligna”, per quanto riconosciuta come tale, potrebbe generare timore o imbarazzo: molti preferiscono assecondarla piuttosto che affrontarla, per paura di essere oggetto delle sue stesse dinamiche distruttive. La persona "stimata", invece, proprio perché vista come equilibrata, razionale o forte, diventa paradossalmente quella a cui è più facile chiedere di comprendere, tollerare, fare un passo indietro. In pratica, le viene chiesto di “reggere” anche le contraddizioni altrui, come se fosse più resistente. È una dinamica ingiusta, certo, ma anche molto comune nei gruppi sociali in cui il bisogno di mantenere un’apparente armonia viene prima del coraggio di affrontare l’ingiustizia. Questa situazione può anche essere mantenuta da una sorta di bias sociale: si tende a proteggere la fonte del conflitto (la persona più imprevedibile o tossica), cercando di ridurre al minimo gli attriti, mentre si delega il peso dell’adattamento a chi viene ritenuto più stabile emotivamente. La persona "stimata" finisce per diventare la valvola di sfogo del gruppo, quella su cui è accettabile riversare delusione o aspettative irrealistiche, solo perché non reagisce con aggressività. La buona notizia è che, nonostante lei non possa controllare il comportamento degli altri, può agire sul modo in cui sceglie di rispondere a queste dinamiche. Da un punto di vista comportamentale, il primo passo per “spezzare lo schema” è proprio smettere di assecondare un ruolo che non le appartiene più. Questo non significa diventare "infami", ma imparare a stabilire confini chiari, assertivi, anche a costo di risultare meno accomodanti. È possibile imparare a dire "no", a smettere di giustificarsi, a non cercare più conferme da persone che, per quanto le stimino a parole, non le dimostrano coerenza nei fatti. In certi casi, proprio il prendere distanza, fisica ed emotiva, da queste relazioni ambigue, non è una fuga ma una scelta di cura. Circondarsi di persone che le riconoscano il suo valore in modo autentico è una possibilità concreta, anche se può richiedere tempo e fiducia. Non è vero che nella vita "vince chi è infame": vince chi trova la forza di scegliere il proprio benessere e di rispettarsi, anche quando questo implica lasciarsi alle spalle dinamiche ingiuste. Potrebbe essere utile anche lavorare, in un percorso terapeutico, proprio su quei pensieri negativi che questa esperienza ha generato in lei: per esempio l’idea di non essere vista, o che l’unico modo per emergere sia snaturarsi. Cambiare questi schemi di pensiero, attraverso un lavoro di ristrutturazione cognitiva, permette anche di modulare la risposta emotiva e comportamentale, restituendole un senso di controllo e direzione. Lei merita relazioni che la valorizzino, non perché “compensa” o “regge” il gruppo, ma semplicemente perché è una persona degna di rispetto, come chiunque. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott. Luca Mancusi
Psicologo
Sarno
Gentile utente,

grazie per aver condiviso con tanta precisione una situazione che, purtroppo, molte persone vivono e faticano a comprendere. La sua domanda è ricca e complessa, e merita attenzione.

Dal punto di vista psicologico e sociologico, può accadere che un gruppo mantenga rapporti ambigui o addirittura favorisca chi si comporta in modo negativo (la persona “maligna”), mentre marginalizza chi invece si comporta in modo corretto e trasparente (la persona “stimata”). Questo fenomeno può avere diverse spiegazioni.

Uno dei motivi principali è che, paradossalmente, alcune persone sviluppano un atteggiamento accomodante verso chi è percepito come “pericoloso” o manipolatore, nel tentativo – spesso inconsapevole – di “tenerselo buono” e non diventare a loro volta bersaglio di maldicenze, esclusioni o conflitti. È una dinamica di adattamento sociale, a volte anche di codardia emotiva: “meglio avere vicino il lupo che rischiare di diventare la prossima preda”.

Al tempo stesso, chi si mostra autentico, leale, stabile e non minaccioso viene, a torto, dato per scontato. Non c'è bisogno di “gestirlo” o di averne paura, quindi lo si può anche trascurare… con il risultato, però, di ferire profondamente quella persona.

Questa dinamica si può anche osservare nei meccanismi di gruppo: per mantenere una certa coesione (o illusione di coesione), si può preferire non mettere in discussione l’elemento disturbante, ma piuttosto sacrificare chi mette in luce le contraddizioni del gruppo. È una forma di mantenimento dell'equilibrio... a discapito della giustizia.

Lei chiede se esiste un modo per spezzare questo schema. La risposta è: sì, ma non sempre è possibile farlo restando all’interno di quella rete relazionale. A volte serve prendere le distanze per proteggersi, altre volte si può provare a ridefinire i propri confini, mostrando con fermezza (ma senza rabbia) che certe dinamiche non sono più accettabili.

La sua lucidità è già un punto di forza importante. Non è "matta" chi si stufa di essere trattata come invisibile: è una persona che ha imparato ad ascoltare il proprio valore e i propri limiti.

Per un lavoro più approfondito su come gestire relazioni di questo tipo, e magari anche per trasformare la rabbia (più che comprensibile) in energia per creare nuovi legami più sani, le consiglio un confronto personale con uno psicologo. Le potrà essere di grande aiuto.

Un caro saluto
Luca Mancusi
Dott.ssa Giulia Casole
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buonasera, cercherò di rispondere, nella speranza di aver capito bene il quadro piuttosto complesso. Sembra esserci una dinamica contorta in questo gruppo di persone, dove le logiche di supporto e di indifferenza appaiono stranamente invertite.
Dal punto di vista sociologico, un comportamento del genere potrebbe forse essere ricondotto a diverse dinamiche di gruppo. Potrebbe esserci una sorta di "capro espiatorio", dove la persona stimata, per qualche ragione non chiara, finisce per incarnare un ruolo marginale o persino negativo agli occhi del gruppo, nonostante le dichiarazioni di stima. Allo stesso tempo, la persona "maligna" potrebbe esercitare un certo potere o influenza sul gruppo, magari attraverso dinamiche di dipendenza affettiva, paura di ritorsioni o persino un tacito accordo per mantenere uno status quo.
Un'altra ipotesi potrebbe risiedere in dinamiche di invidia o gelosia latente nei confronti della persona stimata, che magari viene percepita come "troppo" in qualche modo (troppo buona, troppo disponibile, ecc.), innescando meccanismi di svalutazione inconsci. Al contrario, la persona "maligna", con i suoi comportamenti negativi, potrebbe paradossalmente rafforzare la coesione del gruppo "contro" di lei, creando un'alleanza implicita tra i membri che la supportano.
Per quanto riguarda il tentativo di "invertire lo schema", è un'impresa ardua. Spesso, dinamiche di gruppo così radicate sono difficili da scardinare dall'interno. Potrebbe essere utile, forse, cercare di portare alla luce queste dinamiche ambigue in modo non accusatorio, magari attraverso un dialogo aperto e sincero con alcuni membri del gruppo, focalizzandosi sui comportamenti specifici che lei percepisce come ingiusti. Tuttavia, non c'è garanzia di successo e potrebbe anche portare a un irrigidimento delle posizioni.
L'idea di allontanarsi e crearsi nuove relazioni più appaganti non è da scartare, soprattutto se questa situazione le causa sofferenza. A volte, riconoscere la tossicità di un ambiente e scegliere di uscirne è l'atto più sano e costruttivo. Non credo che nella vita sia necessario essere "infami" per essere rispettati, ma sicuramente ci sono contesti in cui dinamiche distorte premiano comportamenti manipolatori e penalizzano la lealtà e la genuinità.
Dott.ssa Caterina Falessi
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buongiorno, ovviamente per poter comprendere la situazione ci sarebbe bisogno di maggior approfondimento. In generale per poter migliorare i rapporti con le persone, si può solo lavorare su sé stessi a livello psicologico (psicoterapia) e questo poi ha un effetto sull'ambiente, la persona ha come strumenti la verbalizzazione (esplicitare a parole quello che sente e vede) oppure allontanarsi se percepisce di essere trattata male e non pensa che la situazione possa cambiare. In generale nei rapporti, anche quelli familiari, vi può essere molta aggressività non riconosciuta, generata per esempio da sentimenti di invidia, esclusione, paura, necessità di essere riconosciuti e sedurre etc. Un altro elemento da tener presente è che l'espressione dei propri veri pensieri si accompagna ad un rapporto di fiducia quindi l'esplicitazione di una critica ad una persona potrebbe mostrare una maggiore stima e vicinanza, che l'esplicitazione di una bugia positiva ad un'altra persona. In ogni caso come una persona si comporta spesso dice più di lei che della persona che riceve il comportamento. Spero di aver dato spunti di riflessione interessanti, per un maggior approfondimento resto a disposizione. Un caro saluto, dott.ssa Falessi
Dr. Cristian Sardelli
Psicologo, Psicoterapeuta
Firenze
Buongiorno gentile utente,
credo che crearsi nuove vere amicizie sia la soluzione più vantaggiosa, senza abbassarsi a livelli relazionali che non le si addicono, le persone spesso mentono, e i fatti lo dimostrano, l'incongruenza che rileva lo testimonia silenziosamente. Nessuno cambia nessuno, ma può fare cose che portino gli altri a riflettere sulla necessità di cambiare. Dichiari se crede come vive tali relazioni, stabilisca un tempo massimo d'attesa in cui osservare la rettifica degli atteggiamenti menzionati e poi scelga come comportarsi.
Cordiali saluti,
Dr. Cristian Sardelli
Dott.ssa Chiara Quinto
Psicologo clinico, Psicologo
Roma
Salve,
hai portato alla luce una dinamica sociale che, per quanto ingiusta e dolorosa, è purtroppo piuttosto comune. Dal punto di vista sociologico, quando un gruppo di persone tende a supportare chi si comporta in modo maligno o ambiguo, ignorando o addirittura svalutando chi invece è considerato una persona stimata e perbene, si attivano diversi meccanismi.
Il primo è il desiderio di evitare conflitti: molte persone preferiscono compiacere chi è più invadente, aggressivo o manipolatore pur di mantenere un’apparente armonia e non essere coinvolti in tensioni dirette. In questo senso, chi è più pacato e riservato viene dato per scontato, considerato “forte abbastanza da cavarsela da solo”, e finisce col diventare invisibile o, peggio, oggetto di giudizio se osa affermare dei limiti.
Un altro aspetto è la dinamica del capro espiatorio: il gruppo può inconsapevolmente usare la persona “buona” come contenitore di frustrazioni, preferendo sostenere chi disturba per non mettersi in discussione. Inoltre, c’è un elemento di conformismo: quando più persone normalizzano un comportamento ingiusto, gli altri finiscono per adattarsi, anche se internamente ne colgono la contraddizione. Questo produce un clima ambiguo, in cui il rispetto autentico viene sostituito da rapporti ipocriti e instabili, e dove chi si comporta in modo più etico viene paradossalmente isolato, perché rappresenta – inconsciamente – uno specchio scomodo delle mancanze altrui.
In questi casi, il bisogno di riconoscimento che tutti abbiamo viene ferito profondamente. Ma proprio in questo dolore può esserci un’opportunità: comprendere che non sempre chi ci circonda ha gli strumenti per darci il valore che meritiamo. E che la stima profonda e duratura raramente si trova nei contesti inquinati da dinamiche passive, opportunistiche o codarde.
Per spezzare questi schemi, la cosa più potente che puoi fare è non cercare più riconoscimento dove non sei vista con cuore pulito. Non è questione di “scappare”, ma di scegliere consapevolmente di non investire più le tue energie emotive in relazioni che non ti nutrono, che non ti valorizzano, che non sono in grado di vedere la tua autenticità.
Rimango a disposizione su Roma ed online!
Dott. Simone Festa
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Napoli
Buonasera, trovo sia una riflessione utile se orientata verso di sé, ovvero se aver compreso il funzionamento delle dinamiche da lei descritte serve a comprendere meglio sé stesso. Mentre se orientiamo questo pensiero verso gli altri, potremmo forse scontrarci con l'ineluttabile consapevolezza di non poter vedere gli altri proprio come vorremmo che fossero. Resto a disposizione per le sue necessità.

Dott. Simone Festa
Dott. Diego Ferrara
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Quarto
Buongiorno,

varrebbe la pena approfondire da dove nasce il suo interesse per le dinamiche sopra descritte. Molto probabilmente ha vissuto esperienze dolorose che l hanno portata a vedere il mondo attraverso tali dicotomie allontanandola da una idea della realtà invece come un qualcosa di più complesso.
Resto disponibile ad approfondire il suo discorso, qualora lo volesse, all'interno di alcune consulenze. Ricevo anche on-line.

Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Ciao,

ti ringrazio per aver condiviso con così tanta lucidità una dinamica che, purtroppo, molte persone sensibili e autentiche si trovano a vivere.
Quello che descrivi non è solo un disagio individuale, ma un fenomeno sociale e relazionale complesso, che ha radici profonde nella psicologia dei gruppi e nei meccanismi di esclusione/inclusione.

Da un punto di vista sociologico e psicologico, ci sono alcuni fattori che possono spiegare questo schema (ovviamente non conosco a fondo la situazione, quindi parlo in generale):
- Conformismo e conservazione dello status quo: I gruppi tendono a mantenere un equilibrio interno, anche se disfunzionale. Chi è aggressivo o manipolatorio spesso viene tollerato o protetto per evitare conflitti espliciti, mentre chi è corretto ma mette in discussione il sistema (anche solo con la propria coerenza) viene “espulso” in modo sottile.
- Ruolo della capra espiatoria e della figura del “contenitore”
La persona che si comporta con dignità, che non chiede, che non fa scenate, finisce per diventare il contenitore silenzioso su cui gli altri scaricano ambivalenze, incoerenze, perfino colpe. Viene “pensata bene”, ma trattata male, perché non è pericolosa. È un meccanismo antico: il gruppo ha bisogno di un colpevole gestibile.
- Paura del confronto autentico
Tu probabilmente sei una persona che guarda negli occhi, che non si presta al gioco delle mezze verità, che fa da specchio — e questo può essere scomodo. Chi non vuole guardarsi dentro, evita chi ha il coraggio di farlo.
- Altro.

Non sempre si può “invertire lo schema” senza pagare un prezzo. Ma si può uscirne dignitosamente e riconquistare spazio per sé. Alcuni spunti:
1) Non farti più spiegare da chi non ti riconosce quanto vali. Chi ti vede, ti vede da subito. Il resto è teatrino.
2) Resta nella tua verità, ma non nel bisogno di essere capita. È legittimo desiderarlo, ma se diventa il centro, rischi di rimanere legata al sistema che ti ha ferita.
3) Costruisci nuovi contesti. Sì, creare nuove relazioni è possibile, e non è “scappare” — è rinascere.
4) Proteggi la tua autenticità. In un mondo che premia spesso chi è più rumoroso o ambiguo, essere sinceri è un atto rivoluzionario.

Infine, non sei sola. Esistono persone che riconoscerebbero in te una forza rara. E anche se ora può sembrarti difficile, potresti iniziare a parlarne in uno spazio in cui la tua voce non venga sminuita — ma ascoltata con attenzione vera.
Se ti va, ci sono anche io. Mi trovi su MioDottore.

Un abbraccio autentico,
Janett Aruta
Psicologa
Dott.ssa Francesca Casolari
Psicologo, Psicologo clinico
Modena
salve, se le persone che le stanno accanto sono tossiche fa bene ad allontanarsi ma non per questo motivo del deve diventare maligna anzi facendo così lei diventerà una persona migliore grazie
Dott.ssa Antonella Bellanzon
Psicologo, Psicologo clinico
Massa
Buonasera, grazie per aver condiviso questa analisi così dettagliata e profonda. La dinamica che descrivi è senza dubbio complessa e può essere spiegata attraverso diversi aspetti sociologici e psicologici, legati sia al comportamento di gruppo sia alle dinamiche di potere e di relazioni interpersonali.
Ecco alcuni fattori che potrebbero spiegare questa ambiguità e contraddizione:
1. Dinamiche di Potere e Manipolazione
La persona "maligna" potrebbe esercitare una sorta di controllo o manipolazione emotiva sul gruppo. Persone con tratti manipolatori tendono a creare dinamiche in cui si pongono al centro dell'attenzione, spesso utilizzando il vittimismo o la capacità di generare sensi di colpa negli altri. Questo porta il gruppo a temere ripercussioni emotive o sociali, scegliendo di "assecondare" piuttosto che contrastare.
2. Timore del Conflitto
Molte persone preferiscono evitare il conflitto diretto, specialmente con individui percepiti come difficili o polemici. Questo potrebbe spingerli ad agire in modo più comprensivo o accomodante verso la persona "maligna", nonostante riconoscano le sue cattive azioni.
3. Comfort Psicologico
La persona "stimata", essendo percepita come più stabile o capace, viene trattata diversamente. Il gruppo potrebbe inconsciamente pensare che non abbia bisogno dello stesso livello di supporto o attenzione, portandoli a trascurare i suoi bisogni. È una distorsione che nasce dall'idea che "chi è forte ce la farà da solo".
4. Comportamento di Gregge
Nei gruppi, le dinamiche collettive spesso riflettono una tendenza a conformarsi per evitare esclusioni sociali. Se la maggioranza del gruppo asseconda la persona "maligna", gli altri potrebbero farlo per evitare di essere isolati o criticati, anche se personalmente non condividono quelle scelte.
5. Invidia o Senso di Superiorità Inconscio
È possibile che, nonostante le dichiarazioni di stima verso la persona "stimata", vi siano sentimenti nascosti come invidia o difficoltà ad accettare il suo valore. Questo può portare a comportamenti ambivalenti, dove la persona viene rispettata a parole ma ignorata nei fatti.
Stabilisci i tuoi confini: È importante non farti risucchiare da queste dinamiche ambigue. Metti in chiaro cosa tolleri e cosa no, e non avere paura di allontanarti da comportamenti tossici.
Decidi se vale la pena investire ancora in questo gruppo o se, invece, potrebbe essere più salutare focalizzarti su nuove relazioni più autentiche e rispettose.
Mantieni la tua autenticità: Essere una persona perbene non è mai un errore, anche se in certi contesti sembra non essere riconosciuto. La tua integrità avrà valore per le persone giuste
Cerca nuovi ambienti: Se la situazione non cambia, considera che a volte allontanarsi è la scelta migliore per preservare il tuo benessere. Stringere legami con persone che condividono i tuoi valori ti farà sentire più appagata.
Dott.ssa Antonella Bellanzon
Buonasera,
le sue parole trasmettono un forte senso di frustrazione, ma anche la capacità di osservare e riflettere su dinamiche relazionali complesse. È evidente quanto lei si sia sentita messa da parte, nonostante riconoscimenti verbali di stima e affetto. Sentirsi stimati a parole ma esclusi nei fatti può generare molta sofferenza, e far vacillare la fiducia non solo negli altri, ma anche nel proprio valore.
È comprensibile che venga da chiedersi: “Cosa porta le persone a sostenere chi è percepito come più ambiguo o dannoso, e a trascurare chi si comporta in modo rispettoso?”
Non esiste una risposta unica o universale, perché le relazioni non si muovono su meccanismi rigidi o predefiniti: si costruiscono nel tempo, sulla base delle esperienze di vita, delle caratteristiche individuali e dei bisogni più o meno consapevoli di chi è coinvolto.
A volte le persone si legano a figure che percepiscono come dominanti per paura del conflitto, per dinamiche di gruppo, o perché in qualche modo rispondono a loro bisogni. In altri casi, chi ha un atteggiamento più assertivo o prende distanza viene letto erroneamente come “freddo” o distante, proprio perché non aderisce più a un copione relazionale sbilanciato.
In ogni caso, ciò che davvero può aiutare a “spezzare lo schema” non è tanto cercare di capire perché gli altri si comportino così, ma cosa tutto questo le sta raccontando su di sé, sul suo modo di stare nelle relazioni e sul bisogno legittimo di essere riconosciuta in modo più profondo.
Un percorso con uno psicologo potrebbe offrirle uno spazio protetto in cui riflettere su queste dinamiche, non per attribuire colpe, ma per recuperare un senso di padronanza su ciò che desidera costruire nei rapporti con gli altri.
A volte cambiare aria è un passaggio da valutare, ma ancor prima può essere utile darsi il diritto di capire cosa davvero vuole per sé e che tipo di relazioni sente di meritare.
Essere persone corrette, rispettose o autentiche non è mai una debolezza: ma serve anche trovare il contesto e le persone giuste per esserlo senza doversi difendere.
Un caro saluto.
Salve, cominciamo con il dire che noi, e con noi intendo sia lei che noi professionisti, non possiamo cambiare le altre persone o gli "schemi" di queste ultime. Possiamo però dire che dietro ogni comportamento c'è una motivazione, ovvero qualcosa che spinge le persone a comportarsi in un determinato modo, dunque c'è una motivazione dietro il comportamento dei suoi amici così come c'è una motivazione che spinge lei a voler cercare di cambiare la situazione. Detto questo, se fossi in lei mi soffermerei a riflettere su quello che cerca all'interno di una relazione amicale e capire se è funzionale per lei continuare a perseverare o effettivamente cercare relazioni più funzionali e soddisfacenti senza costruirsi la credenza che per essere rispettati bisogna essere infami.
Dott.ssa Maria Francesca Cusmano
Psicologo, Psicologo clinico
Reggio Emilia
Cara utente,
ciò che descrivi sembra essere il risultato di più meccanismi sociorelazionali.
Alcune spiegazioni potrebbero essere:
- Nel gruppo, la persona "maligna" potrebbe essere inconsciamente percepita come una figura destabilizzante, che in passato ha causato attriti o disagi. Spesso, in questi casi, le persone evitano il conflitto diretto con chi percepiscono come pericoloso o manipolatorio, e adottano strategie accomodanti per non "attivare la bomba".
Al contrario, la persona “stimata”, considerata forte, razionale, indipendente, viene paradossalmente messa da parte o ignorata nei momenti difficili, perché “ce la può fare da sola” o perché mette a disagio con la sua coerenza.
- Chi si allinea con la persona “maligna” potrebbe farlo per paura di essere a loro volta esclusi, o per evitare di “essere i prossimi” ad essere attaccati. Si tratta di un comportamento che rientra in quella che in sociologia viene chiamata dinamica del capro espiatorio, dove il gruppo identifica un elemento da “sacrificare” per mantenere la coesione interna.
- La persona stimata, equilibrata, rispettosa, può anche mettere in ombra inconsciamente gli altri, generando invidia o un senso di inferiorità che viene poi “neutralizzato” attraverso piccoli atti di esclusione o svalutazione.
In altre parole: ti stimano, ma non riescono a reggere la tua coerenza, quindi ti marginalizzano per “riportare l’equilibrio”.

Con la speranza di aver risposto alla tua domanda, rimango a disposizione.
Un caro saluto
Dott.ssa Maria Francesca Cusmano
Dott.ssa Veronica Gandolfi
Psicologo, Psicologo clinico
Carpi
Buonasera,
leggendo il suo racconto mi sembra di capire che la persona stimata abbia già iniziato a prendere distanze dall'intero gruppo, a "cambiare aria". Forse le domande che pone hanno già una loro risposta e lei cerca una conferma dalle risposte che io e i miei colleghi le daremo. Quando nei gruppi vi è qualcuno che va nella direzione opposta alla corrente, e lo fa in maniera esplicita, non è detto che questo porti gli altri a virare pian piano nella stessa direzione. La scelta di andare in una direzione o nell'altra non è necessariamente sbagliata, è semplicemente una scelta: c'è chi sceglie di rimanere e chi sceglie di andare, chi sceglie di restare in una situazione facendo buon viso a cattivo gioco e chi no. A quel punto, si tratta piuttosto di capire che scelte si sono già fatte e se queste scelte, nonostante le loro varie conseguenze, ci fanno stare meglio con noi stessi. Se la persona stimata ha già iniziato a "cambiare aria" forse è perchè si sta muovendo nella direzione che è giusta per lei e va bene così, non per forza gli altri del gruppo devono essere d'accordo o accordarsi a lei. Nella vita succede che le persone con cui ci trovavamo bene una volta, ora non siano più compatibili con il nostro modo di essere attuale e non è necessario che gli altri ci rispettino e ci riconoscano per quello, l'importante è che ci riconosciamo e ci rispettiamo noi stessi per quello che siamo.
Dott.ssa Laura Raco
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
Buongiorno, devo ammettere che ho fatto un po’ fatica a comprendere il messaggio, che soprattutto nella prima parte appare molto contorto. Quello che vorrei trasmetterle è che probabilmente lei ricostruisca a suo modo le vicende, supponendo che la tal persona sia stimata e la talaltra sia criticata o maligna, ma non credo sia possibile captare i reali pensieri e opinioni delle persone e quindi capire se davvero nutrano quella stima o quel disprezzo. Ci sono infatti tante contraddizioni: ad esempio la persona che lei descrive come “stimata” non sembra così “stimata” visto i loro comportamenti verso di lei/lui. Le pongo questa domanda: qual è il suo bisogno di comprendere i meccanismi mentali di queste persone, visto che da come ne parla, lei è estern* a queste dinamiche? (Non è una domanda retorica, mi interessa la sua risposta). Questi ovviamente possono essere solo spunti di riflessione, dal momento che alla sua domanda non è possibile rispondere se non dicendo che le ragioni che guidano i comportamenti delle persone possono essere molteplici: i desideri, le paure, la storia e gli schemi relazionali, per dirne alcuni. Riporto qui la sua ultima domanda: “…l'unica cosa che si può fare è scappare lontano da costoro e crearsi nuove relazioni più appaganti…” mi verrebbe da rispondere senza alcun dubbio affermativamente, se queste relazioni non la “appagano”. E continua dicendo “…traendo dalla storia che nella vita per poter essere riconosciuto/rispettato è necessario solo essere infami e non gente per bene?”. Questa conclusione che trae deriva da una fallacia nel suo ragionamento: le faccio notare che una persona viene rispettata/riconosciuta non in quando “infame”, ma in quanto capace di farsi rispettare/riconoscere. Non so se queste mie parole le saranno utili, spero però di aver portato almeno uno spunto di riflessione. Dr.ssa Laura Raco
Dott.ssa Laura Lanocita
Psicologo, Psicologo clinico
Milano
Buonasera, la sua narrazione rivela una complessità emozionale che attraversa sia stati di piacere profondo, sia momenti di grande confusione e incertezza. È evidente che il suo cuore e il suo desiderio di stabilità abbiano una forza molto grande, anche se la sua mente dura e critica si sforza di interpretare e controllare tutto ciò che riguarda il suo modo di sentire e relazionarsi. La presenza di pensieri distorti, divenuti accusatori e destabilizzanti, sembra riflettere un bisogno di mettere ordine nel suo mondo interno, di trovare una coerenza tra ciò che desidera e ciò che pensa di dover essere. La paura di non essere abbastanza, o di essere tradito dall’orientamento o dalle emozioni, si inserisce in questo labirinto di desideri e di valori. La sua volontà di tendere verso una vita più serena, anche se ancora condizionata dall’ansia e dal ricorso al medicinale, mostra un desiderio di ricollegarsi a parti di sé più autentiche nel rispetto delle proprie emozioni. Mantenere vivo questo desiderio è già un passo importante, e lo spazio di ascolto senza giudizio può crearlo un luogo di elaborazione di queste tensioni. La mente cerca di trovare un equilibrio tra il bisogno di proteggersi e il desiderio di amare, e questa tensione si rivela nel modo in cui si relaziona a se stesso e agli altri.
Se desidera, possiamo esplorare insieme i percorsi attraverso i quali il desiderio si organizza e si esprime, mantenendo sempre un atteggiamento di ascolto attento e compassionevole. Sono qui per supportarla nel ritrovare quella serenità che oggi sembra ancora lontana ma che può diventare una possibilità reale.
Cordialmente, dottoressa Laura Lanocita.
Dott.ssa Sara Petroni
Psicologo clinico, Psicologo
Tarquinia
Gentile utente,
la dinamica che descrive è purtroppo frequente nei gruppi sociali e non dipende dal valore morale delle persone coinvolte, ma da meccanismi psicologici e relazionali molto specifici. In molti contesti, chi assume comportamenti più aggressivi, critici o manipolatori finisce per ottenere una forma di “rispetto” non perché stimato, ma perché temuto: le persone preferiscono non contrariarlo, evitare conflitti o mantenere la pace apparente del gruppo.

Al contrario, chi viene percepito come equilibrato, disponibile o “perbene” diventa, inconsapevolmente, la figura su cui scaricare la responsabilità della calma e della comprensione. È un meccanismo che porta il gruppo a dare meno attenzione a chi non crea problemi, pur stimandolo, e più spazio a chi rischia di generare tensioni. Non è ingiustizia consapevole, ma un errore collettivo di gestione delle relazioni.

Questo può portare a comportamenti incoerenti: proteggere chi crea conflitto, trascurare chi meriterebbe riconoscimento e svalutare chi, a un certo punto, decide di mettere un limite. La Sua percezione di ambiguità tra ciò che dicono e ciò che fanno è completamente comprensibile.

Non è semplice invertire questo schema dall’interno. Ciò che può fare è definire confini più chiari, ridurre la disponibilità quando percepisce mancanza di rispetto e orientarsi verso relazioni più paritarie, in cui il valore che Lei offre è riconosciuto in modo coerente. Spesso, proteggere il proprio equilibrio significa anche allontanarsi gradualmente da dinamiche che si ripetono senza possibilità di cambiamento reale.

Dott.ssa Sara Petroni

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