Salve...scrivo in merito alla mia selettività alimentare. Non riesco a mangiare la maggiorparte dei
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Salve...scrivo in merito alla mia selettività alimentare. Non riesco a mangiare la maggiorparte dei cibi per le caratteristiche sensoriali, non mangio verdure, frutta, legumi e a volte anche carne, dipende com'é e se ha fili di grasso. Provarci mi provoca riflesso del v*m*to e attacchi di panico perché ho paura di sentire la consistenza. Voglio mangiare tutti i giorni lo stesso cibo e deve avere la stessa consistenza/sapore. Lo psicologo pubblico in 20 minuti di discorso mi ha detto che é perché non sono stata svezzata bene e i miei genitori non mi hanno proposto i cibi in modo giusto e graduale e adesso per risolvere devo "svezzarmi da sola" piano piano e poi mangeró tutto. Il fatto che in 20 minuti abbia presupposto che io sia soltanto schizzinosa senza sapere del mio passato nemmeno mi ha ferita molto...perché tutti mi dicono che sono viziata e non mi aiutano...forse ho frainteso io il suo discorso
Buonasera, sicuramente il discorso del collega non voleva andare ad intendere che lei fosse viziata ma posso capire che ci sia rimasta male se lo ha interpretato così. Bisognerebbe sicuramente approfondire tante cose ed in particolare modo quando è cominciata questa sua selettività nei confronti del cibo
Non è un argomento semplice da affrontare e questa difficoltà immagino che la ostacoli quotidianamente.
Andando piano piano a desensibilizzarsi su alcune sensazioni si potrebbero ottenere dei risultati positivi, aumentando il numero di alimenti da apprezzare ma tutto questo senza fretta e senza pretese.
Anche in casi come questi bisogna darsi il tempo di conoscere i propri gusti e di comprendere meglio le reazioni che il nostro corpo ha, perché ognuna di esse vuole comunicarci tanto.
Non è un argomento semplice da affrontare e questa difficoltà immagino che la ostacoli quotidianamente.
Andando piano piano a desensibilizzarsi su alcune sensazioni si potrebbero ottenere dei risultati positivi, aumentando il numero di alimenti da apprezzare ma tutto questo senza fretta e senza pretese.
Anche in casi come questi bisogna darsi il tempo di conoscere i propri gusti e di comprendere meglio le reazioni che il nostro corpo ha, perché ognuna di esse vuole comunicarci tanto.
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Gentile utente,
grazie per aver condiviso la tua esperienza, comprendo quanto possa essere difficile e frustrante vivere una situazione come la tua, sia dal punto di vista pratico che emotivo.
Da ciò che descrivi, la tua difficoltà alimentare non sembra semplicemente una “schizzinosità”, ma potrebbe rientrare in un quadro più complesso, come ad esempio la ARFID (Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder), un disturbo caratterizzato proprio da evitamento o restrizione alimentare legati a fattori sensoriali, paura delle conseguenze (come il vomito) o mancanza di interesse verso il cibo, e che può incidere sulla salute fisica, nutrizionale e psicologica.
È comprensibile che la spiegazione ricevuta dallo psicologo ti abbia ferita: un disturbo alimentare non è colpa tua, né dei tuoi genitori. Le origini possono essere multifattoriali (sensibilità sensoriale, aspetti emotivi, tratti di personalità, vissuti traumatici o altre condizioni psicologiche) e ridurre tutto a una “cattiva educazione alimentare” rischia di banalizzare il tuo disagio.
“Svegliarsi da soli” può essere una parte del lavoro terapeutico, ma farlo senza una guida adeguata, soprattutto se il tentativo scatena panico o riflesso del vomito, può diventare troppo difficile e controproducente. In questi casi, è importante un percorso graduale e strutturato con professionisti esperti in disturbi alimentari, come psicologi o psicoterapeuti, spesso in collaborazione con nutrizionisti o dietisti specializzati.
Non sei “viziata”: hai un problema reale che merita ascolto, comprensione e un intervento su misura per te. Ti invito a non arrenderti per l’esperienza negativa avuta: cerca uno specialista che conosca questi disturbi e sappia aiutarti con approcci mirati (ad esempio la terapia cognitivo-comportamentale, la desensibilizzazione progressiva, tecniche per la gestione dell’ansia legata al cibo, ecc.).
Sarebbe utile e consigliato, per approfondire e ricevere un aiuto adeguato, rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
grazie per aver condiviso la tua esperienza, comprendo quanto possa essere difficile e frustrante vivere una situazione come la tua, sia dal punto di vista pratico che emotivo.
Da ciò che descrivi, la tua difficoltà alimentare non sembra semplicemente una “schizzinosità”, ma potrebbe rientrare in un quadro più complesso, come ad esempio la ARFID (Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder), un disturbo caratterizzato proprio da evitamento o restrizione alimentare legati a fattori sensoriali, paura delle conseguenze (come il vomito) o mancanza di interesse verso il cibo, e che può incidere sulla salute fisica, nutrizionale e psicologica.
È comprensibile che la spiegazione ricevuta dallo psicologo ti abbia ferita: un disturbo alimentare non è colpa tua, né dei tuoi genitori. Le origini possono essere multifattoriali (sensibilità sensoriale, aspetti emotivi, tratti di personalità, vissuti traumatici o altre condizioni psicologiche) e ridurre tutto a una “cattiva educazione alimentare” rischia di banalizzare il tuo disagio.
“Svegliarsi da soli” può essere una parte del lavoro terapeutico, ma farlo senza una guida adeguata, soprattutto se il tentativo scatena panico o riflesso del vomito, può diventare troppo difficile e controproducente. In questi casi, è importante un percorso graduale e strutturato con professionisti esperti in disturbi alimentari, come psicologi o psicoterapeuti, spesso in collaborazione con nutrizionisti o dietisti specializzati.
Non sei “viziata”: hai un problema reale che merita ascolto, comprensione e un intervento su misura per te. Ti invito a non arrenderti per l’esperienza negativa avuta: cerca uno specialista che conosca questi disturbi e sappia aiutarti con approcci mirati (ad esempio la terapia cognitivo-comportamentale, la desensibilizzazione progressiva, tecniche per la gestione dell’ansia legata al cibo, ecc.).
Sarebbe utile e consigliato, per approfondire e ricevere un aiuto adeguato, rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Ciao,
Naturalmente da un messaggio non si fa diagnosi, ma da quello che scrivi sembra un quadro di Disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo.
Non è vizio ne essere schizzinosi.
È una cosa che ti fa stare male, non la vuoi, infatti si chiama disturbo. Non devi affatto sentirti in colpa.
Le radici di questa situazione vanno cercate nell’eventuale storia di ansia o traumi relazionali legati al cibo. Possono essere segno di una marcata fobia da cercare (evidente dal panico) e l ’esigenza di ripetere lo stesso cibo, sempre uguale, può essere un modo per regolare l’ansia o trattarsi di una componente ossessiva.
Dovrei conoscerti per capire davvero che quadro sia, però non agitarti, è risolvibile.
Dovresti però affidarti a un professionista perchè da sola non è affatto facile.
Se ti va scrivimi,
Dottssa Serena Vitale
Naturalmente da un messaggio non si fa diagnosi, ma da quello che scrivi sembra un quadro di Disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo.
Non è vizio ne essere schizzinosi.
È una cosa che ti fa stare male, non la vuoi, infatti si chiama disturbo. Non devi affatto sentirti in colpa.
Le radici di questa situazione vanno cercate nell’eventuale storia di ansia o traumi relazionali legati al cibo. Possono essere segno di una marcata fobia da cercare (evidente dal panico) e l ’esigenza di ripetere lo stesso cibo, sempre uguale, può essere un modo per regolare l’ansia o trattarsi di una componente ossessiva.
Dovrei conoscerti per capire davvero che quadro sia, però non agitarti, è risolvibile.
Dovresti però affidarti a un professionista perchè da sola non è affatto facile.
Se ti va scrivimi,
Dottssa Serena Vitale
Buonasera, grazie per la sua condivisione.
Descrive una situazione molto complessa e sicuramente emotivamente faticosa. Mi rendo conto che 20 minuti sono molto pochi per cogliere la complessità di una situazione e mi dispiace che si sia sentita ferita.
Forse un percorso psicologico, strutturato e continuativo, potrebbe essere un'occasione per andare "oltre" quello che racconta e capire cosa c'è dietro questa sua selettività alimentari, capire di cosa parla e il perchè di questa modalità.
Resto a disposizione di chiarimenti,
cordialmente
Dottoressa Livia Sterza
Descrive una situazione molto complessa e sicuramente emotivamente faticosa. Mi rendo conto che 20 minuti sono molto pochi per cogliere la complessità di una situazione e mi dispiace che si sia sentita ferita.
Forse un percorso psicologico, strutturato e continuativo, potrebbe essere un'occasione per andare "oltre" quello che racconta e capire cosa c'è dietro questa sua selettività alimentari, capire di cosa parla e il perchè di questa modalità.
Resto a disposizione di chiarimenti,
cordialmente
Dottoressa Livia Sterza
Salve,
non deve essere stato semplice sentirsi etichettata come schizzinosa.
credo che il collega abbia voluto provare a proporle una lettura alternativa.
Non perda la speranza di trovare una strada e si rivolga, se possibile, a degli specialisti in ambito alimentare.
Un saluto
non deve essere stato semplice sentirsi etichettata come schizzinosa.
credo che il collega abbia voluto provare a proporle una lettura alternativa.
Non perda la speranza di trovare una strada e si rivolga, se possibile, a degli specialisti in ambito alimentare.
Un saluto
Grazie per aver condiviso qualcosa di così delicato. Parlare della propria difficoltà con il cibo, specialmente quando si è stati spesso fraintesi o giudicati, richiede davvero coraggio. E tu lo stai facendo.
Quello che descrivi non è semplice “schizzinosità” o un’abitudine da correggere. Non lo è affatto. Le reazioni che provi – il riflesso del vomito, l’ansia, gli attacchi di panico legati alla consistenza dei cibi – parlano di qualcosa di molto più profondo. E meriti che venga ascoltato con rispetto, senza superficialità.
Purtroppo, capita ancora troppo spesso che certe difficoltà vengano liquidate in fretta, magari con frasi che suonano come giudizi o spiegazioni sbrigative. È possibile che lo psicologo che hai incontrato volesse darti un’immagine semplificata per iniziare a orientarti, ma capisco perfettamente come questo possa averti fatto sentire incompresa. Quando ti dicono che sei “viziata” o che dipende da come sei stata cresciuta, è naturale sentirsi soli, e persino colpevoli. Ma non è questa la verità.
Quello che stai vivendo ha un nome e una dignità: potrebbe trattarsi di ARFID, un disturbo alimentare riconosciuto, che non dipende dalla volontà o dal carattere, ma da una serie complessa di fattori, tra cui l’ipersensibilità sensoriale, il bisogno di controllo e – a volte – esperienze che hanno lasciato un segno. Non è colpa tua. E soprattutto: non sei sola.
Esistono percorsi terapeutici pensati proprio per questo tipo di difficoltà. Nessuno ti chiederà di “sforzarti” o “mangiarti tutto”. Al contrario: si lavora in modo delicato, graduale, nel rispetto dei tuoi tempi, costruendo insieme un rapporto diverso con il cibo, basato sulla sicurezza, non sulla forzatura.
C’è possibilità di cambiamento, e c’è una strada. A piccoli passi. E tu hai già fatto il primo: hai chiesto aiuto, e lo stai cercando nel modo più onesto possibile.
Ti meriti di essere ascoltata e accompagnata con rispetto, non giudicata.
Dott.ssa Monica Cecconi
Quello che descrivi non è semplice “schizzinosità” o un’abitudine da correggere. Non lo è affatto. Le reazioni che provi – il riflesso del vomito, l’ansia, gli attacchi di panico legati alla consistenza dei cibi – parlano di qualcosa di molto più profondo. E meriti che venga ascoltato con rispetto, senza superficialità.
Purtroppo, capita ancora troppo spesso che certe difficoltà vengano liquidate in fretta, magari con frasi che suonano come giudizi o spiegazioni sbrigative. È possibile che lo psicologo che hai incontrato volesse darti un’immagine semplificata per iniziare a orientarti, ma capisco perfettamente come questo possa averti fatto sentire incompresa. Quando ti dicono che sei “viziata” o che dipende da come sei stata cresciuta, è naturale sentirsi soli, e persino colpevoli. Ma non è questa la verità.
Quello che stai vivendo ha un nome e una dignità: potrebbe trattarsi di ARFID, un disturbo alimentare riconosciuto, che non dipende dalla volontà o dal carattere, ma da una serie complessa di fattori, tra cui l’ipersensibilità sensoriale, il bisogno di controllo e – a volte – esperienze che hanno lasciato un segno. Non è colpa tua. E soprattutto: non sei sola.
Esistono percorsi terapeutici pensati proprio per questo tipo di difficoltà. Nessuno ti chiederà di “sforzarti” o “mangiarti tutto”. Al contrario: si lavora in modo delicato, graduale, nel rispetto dei tuoi tempi, costruendo insieme un rapporto diverso con il cibo, basato sulla sicurezza, non sulla forzatura.
C’è possibilità di cambiamento, e c’è una strada. A piccoli passi. E tu hai già fatto il primo: hai chiesto aiuto, e lo stai cercando nel modo più onesto possibile.
Ti meriti di essere ascoltata e accompagnata con rispetto, non giudicata.
Dott.ssa Monica Cecconi
Salve, molte volte ci si focalizza nel trovare la causa alle sintomatologie, aggrappandosi al dare la colpa a qualcosa o qualcuno in particolare, senza lavorare su cosa le ricorda questa situazione e in quali angoli della memoria si affaccia ogni volta che si ripropone questa esperienza. Le consiglio di iniziare un lavoro di terapia, così da entrare sempre più nei suoi vissuti passati, e inevitabilmente presenti. Resto a disposizione per eventuali approfondimenti, cordialmente.
Dott.ssa Elda Valente
Dott.ssa Elda Valente
Grazie per la condivisione, quello che descrivi non è qualcosa che ha a che fare con l'essere "viziata" o "schizzinosa". quello che provi ha delle motivazioni più profonde e può essere affrontato con gli strumenti giusti. Hai provato a vedere uno psicoterapeuta specializzato in disturbi del comportamento alimentare?
La ringrazio per aver condiviso una parte così personale e, immagino, difficile da raccontare senza sentirsi giudicata. La selettività alimentare, quando raggiunge questo livello di rigidità e di disagio, non è mai una semplice questione di “capriccio” o di “vizio”, come spesso purtroppo viene liquidata da chi non conosce la complessità di questi meccanismi. È importante dare valore a ciò che descrive: non si tratta solo di “gusti difficili”, ma di una reazione profonda, radicata, che coinvolge aspetti sensoriali, emotivi e cognitivi e che, come ha scritto, arriva a scatenare veri e propri attacchi di panico e riflessi di vomito. Chi soffre di una selettività alimentare marcata, come quella che racconta, spesso sperimenta una percezione alterata e avversa di certe consistenze, odori o sapori. Il suo corpo e la sua mente reagiscono come se certi alimenti fossero una minaccia da evitare a tutti i costi. Non è semplice “volontà” superare questa barriera, perché entra in gioco un vero circuito di ansia e di evitamento, alimentato dall’esperienza passata di fastidio e disgusto. Non si tratta di “svezzarsi da soli” in modo generico, ma di affrontare passo dopo passo queste paure attraverso un percorso strutturato, graduale e rispettoso dei suoi tempi e dei suoi limiti. Nell’approccio cognitivo-comportamentale esistono tecniche specifiche per lavorare sulla selettività alimentare. Si tratta di un lavoro che combina l’esposizione graduale agli alimenti temuti con strategie di gestione dell’ansia. È un percorso che richiede una guida attenta, un clima di fiducia e la possibilità di esplorare non solo il comportamento alimentare in sé, ma anche le emozioni e i pensieri associati a questo tema. L’obiettivo non è forzarla a mangiare tutto subito, ma ridurre progressivamente la paura di provare certe consistenze, lavorare sul riflesso di disgusto e imparare a tollerare piccoli cambiamenti senza sentirsi sopraffatta. Capisco bene quanto possa far male sentirsi liquidare in pochi minuti, come se fosse un problema di scarsa determinazione o di cattiva educazione alimentare. Non è così. Dietro ci sono fattori di apprendimento, esperienze precoci e schemi mentali che si consolidano nel tempo. Non ha senso colpevolizzare i suoi genitori o se stessa, perché oggi l’unica cosa utile è capire come, nel presente, può essere accompagnata a fare piccoli passi in avanti. Se il professionista con cui ha parlato non è stato in grado di accogliere la sua esperienza con la cura che meritava, non significa che non esista un aiuto adeguato. Magari può cercare uno specialista che conosca bene i Disturbi da Evitamento/Restrizione dell’Assunzione di Cibo, detti anche ARFID, un quadro clinico riconosciuto che descrive proprio situazioni come la sua. A volte serve un lavoro integrato tra psicologo e nutrizionista, per costruire un piano di esposizione graduale, senza forzature e senza sensi di colpa. Non è sola in questo percorso. Non si lasci scoraggiare da chi non comprende a fondo la complessità del problema. La sua sofferenza è reale e merita ascolto, non giudizio. Continui a cercare un aiuto che la faccia sentire compresa e sostenuta nei suoi tempi. Il primo passo, che ha già fatto, è riconoscere la difficoltà e volerla affrontare, e questo è molto più di quanto spesso si riesca a vedere da fuori. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Buongiorno, credo che la questione sia più complessa del "manuale per genitori sul come proporre in modo <giusto> (vai a sapere per chi o secondo chi) gli alimenti" o liquidare l'argomento "tutti mi dicono che sono viziata", lasciando dov'è il problema.
Lei parla di sensi, poi di consistenza, ben si legano ad immagini e simbolismi, come le accennavo mi sembra un discorso tutt'altro che semplice
Comprendo la sensazione che ha provato dopo quei venti minuti, però si mette anche in dubbio ("forse ho frainteso")e questo serve per essere più "morbidi" nei pensieri che ci facciamo sugli altri.
Lei parla di sensi, poi di consistenza, ben si legano ad immagini e simbolismi, come le accennavo mi sembra un discorso tutt'altro che semplice
Comprendo la sensazione che ha provato dopo quei venti minuti, però si mette anche in dubbio ("forse ho frainteso")e questo serve per essere più "morbidi" nei pensieri che ci facciamo sugli altri.
Lei racconta qualcosa che sembra andare ben oltre la semplice questione del cibo. Il suo corpo reagisce con forza a certi alimenti, come se qualcosa in lei rifiutasse non tanto il gusto ma l’invasione, l’imprevisto, il cambiamento. Il bisogno che tutto resti uguale, ogni giorno, con la stessa consistenza e lo stesso sapore, pare dire qualcosa di più profondo, forse legato a un equilibrio interiore che non può essere messo a rischio. Sentirsi liquidata come "viziata" può fare molto male, soprattutto quando si cerca ascolto e ci si scontra invece con risposte rapide, che sembrano ignorare il suo vissuto. Forse non si tratta tanto di “svezzarsi da sola”, quanto piuttosto di capire cosa si mette in gioco per lei nel momento in cui qualcosa di diverso si avvicina. Cosa teme possa accadere se cambia? E che posto ha questo rifiuto nella sua storia, nel suo modo di proteggersi? Iniziare a raccontare queste cose, in modo tale da potersi interrogare, potrebbe già essere un primo passo per costruire uno spazio in cui lei possa essere ascoltata nella sua complessità, senza sentirsi ridotta a una formula o a un’etichetta.
Buongiorno,
Le consiglio di intraprendere un percorso psicoterapeutico e di poter approfondire il suo passato, data l'importanza che emerge dalle sue parole. Un solo incontro con lo psicologo è davvero poco per conoscerla: si dia la possibilità del giusto tempo e spazio per condividere la difficoltà che sta riportando, che va approfondita con la giusta delicatezza e cura. Le consiglio un percorso bioenergetico, legato ad esperienze corporee dove può sperimentare e sperimentarsi nel significato profondo di "sentire il sapore e la consistenza" delle cose della vita, del piacere legato ai sapori del cibo e della vita. La selettività alimentare può nascondere molto di più di ciò che può apparire.
Dott.ssa Virginia Mancini
Le consiglio di intraprendere un percorso psicoterapeutico e di poter approfondire il suo passato, data l'importanza che emerge dalle sue parole. Un solo incontro con lo psicologo è davvero poco per conoscerla: si dia la possibilità del giusto tempo e spazio per condividere la difficoltà che sta riportando, che va approfondita con la giusta delicatezza e cura. Le consiglio un percorso bioenergetico, legato ad esperienze corporee dove può sperimentare e sperimentarsi nel significato profondo di "sentire il sapore e la consistenza" delle cose della vita, del piacere legato ai sapori del cibo e della vita. La selettività alimentare può nascondere molto di più di ciò che può apparire.
Dott.ssa Virginia Mancini
Ciao "Anonima",
ti ringrazio per aver condiviso con così tanta apertura ciò che stai vivendo. Quello che descrivi non è affatto un semplice capriccio o una forma di “schizzinosità” – come purtroppo viene spesso etichettata – ma una difficoltà reale, che può avere radici molto più complesse.
La selettività alimentare, soprattutto quando coinvolge una forte sensibilità sensoriale e provoca reazioni come nausea, ansia o attacchi di panico, può essere legata a diversi fattori: esperienze precoci, ansie associate al cibo, meccanismi di difesa, rigidità sensoriali o anche a vissuti emotivi più profondi. È per questo che è importante affrontarla con attenzione, delicatezza e con il giusto supporto psicologico.
Capisco bene quanto possa essere frustrante e doloroso sentirsi giudicati o non ascoltati, soprattutto quando si cerca aiuto. Ma ti invito davvero a non arrenderti. Riprovare con una consulenza psicologica, in un contesto accogliente e privo di giudizio, potrebbe fare una grande differenza per comprendere meglio ciò che stai vivendo e trovare insieme un percorso personalizzato per affrontarlo.
Se vuoi, ricevo in studio a Roma ogni mercoledì e venerdì, ma anche online dal lunedì al venerdì. Seguo persone sia della mia città che da altre parti d’Italia. La prima consulenza è sempre gratuita e senza alcun impegno successivo.
Se vuoi, sono a tua completa disposizione per rispondere a qualsiasi domanda o, se ti fa piacere, per fissare un primo colloquio conoscitivo che possa aiutarti a fare chiarezza e sentirti finalmente ascoltata.
Un caro saluto,
ti ringrazio per aver condiviso con così tanta apertura ciò che stai vivendo. Quello che descrivi non è affatto un semplice capriccio o una forma di “schizzinosità” – come purtroppo viene spesso etichettata – ma una difficoltà reale, che può avere radici molto più complesse.
La selettività alimentare, soprattutto quando coinvolge una forte sensibilità sensoriale e provoca reazioni come nausea, ansia o attacchi di panico, può essere legata a diversi fattori: esperienze precoci, ansie associate al cibo, meccanismi di difesa, rigidità sensoriali o anche a vissuti emotivi più profondi. È per questo che è importante affrontarla con attenzione, delicatezza e con il giusto supporto psicologico.
Capisco bene quanto possa essere frustrante e doloroso sentirsi giudicati o non ascoltati, soprattutto quando si cerca aiuto. Ma ti invito davvero a non arrenderti. Riprovare con una consulenza psicologica, in un contesto accogliente e privo di giudizio, potrebbe fare una grande differenza per comprendere meglio ciò che stai vivendo e trovare insieme un percorso personalizzato per affrontarlo.
Se vuoi, ricevo in studio a Roma ogni mercoledì e venerdì, ma anche online dal lunedì al venerdì. Seguo persone sia della mia città che da altre parti d’Italia. La prima consulenza è sempre gratuita e senza alcun impegno successivo.
Se vuoi, sono a tua completa disposizione per rispondere a qualsiasi domanda o, se ti fa piacere, per fissare un primo colloquio conoscitivo che possa aiutarti a fare chiarezza e sentirti finalmente ascoltata.
Un caro saluto,
Buongiorno,
spesso uno stesso sintomo può avere alle spalle cause diverse in relazione alla storia specifica di ognuno, perché al netto dei cluster o delle diagnosi ogni caso è a sé.
Premesso che non conoscendo la situazione, come sia arrivata e con che motivazioni dallo psicologo cui fa riferimento, dunque potendo avere solo un'opinione parziale, se non si è sentita compresa o sente che ci sarebbero più cose da dire circa la sua condizione certamente il consiglio è di rivolgersi ad un altro specialista che possa ascoltarla e eventualmente approfondire certi aspetti della sua sintomatologia e della sua storia personale.
Un caro saluto
spesso uno stesso sintomo può avere alle spalle cause diverse in relazione alla storia specifica di ognuno, perché al netto dei cluster o delle diagnosi ogni caso è a sé.
Premesso che non conoscendo la situazione, come sia arrivata e con che motivazioni dallo psicologo cui fa riferimento, dunque potendo avere solo un'opinione parziale, se non si è sentita compresa o sente che ci sarebbero più cose da dire circa la sua condizione certamente il consiglio è di rivolgersi ad un altro specialista che possa ascoltarla e eventualmente approfondire certi aspetti della sua sintomatologia e della sua storia personale.
Un caro saluto
Salve, grazie per aver scritto qui e non aver perso fiducia nelle persone che potrebbero aiutarti, nonostante l'incontro non proprio positivo che hai avuto.
Molto probabilmente il tuo rifiuto per la maggior parte del cibo è legato a uno o più aspetti profondi della tua vita, ed immagino quanto possa essere frustrante per te esser definita solo viziata.
Percepisco nelle tue parole un malessere per questa tua situazione, come se tu volessi cambiare ma non ci riesci da sola.
Ti suggerisco di intraprendere un percorso psicologico e trovare qualcuno che possa dar spazio e voce al tuo disagio, per far si che tu possa comprendere le cause della tua selettività.
Resto a disposizione, anche online.
Dott.ssa Barbara Piscitelli
Molto probabilmente il tuo rifiuto per la maggior parte del cibo è legato a uno o più aspetti profondi della tua vita, ed immagino quanto possa essere frustrante per te esser definita solo viziata.
Percepisco nelle tue parole un malessere per questa tua situazione, come se tu volessi cambiare ma non ci riesci da sola.
Ti suggerisco di intraprendere un percorso psicologico e trovare qualcuno che possa dar spazio e voce al tuo disagio, per far si che tu possa comprendere le cause della tua selettività.
Resto a disposizione, anche online.
Dott.ssa Barbara Piscitelli
Salve, e grazie per aver condiviso qualcosa di così intimo e delicato. Capisco quanto possa essere difficile vivere con una selettività alimentare così marcata, e quanto possa far male sentirsi giudicati, ridicolizzati o "liquidati" in pochi minuti, come se tutto fosse solo una questione di "capriccio" o di mancanza di volontà.
Da ciò che racconta, la sua relazione con il cibo non è una semplice "schizzinosità". Non parliamo di qualche preferenza alimentare o di gusti, ma di un'esperienza profonda e radicata che coinvolge il corpo, la mente e le emozioni. Il fatto che l'esposizione a certi alimenti le provochi riflessi di vomito, ansia, attacchi di panico e che abbia bisogno di ripetere gli stessi cibi ogni giorno, con la stessa consistenza e sapore, è qualcosa che va molto oltre lo svezzamento o l'educazione alimentare.
Mi dispiace abbia dovuto vivere una situazione in cui si è sentita svalutata e non vista dal collega, che erroneamente non ha accolto la sua difficoltà appieno e non ha considerato la complessità del suo vissuto, il carico emotivo e la sofferenza concreta che sta descrivendo.
Il suo desiderio di capire e migliorare è già una risorsa preziosa. Lei non è viziata. Sta vivendo una difficoltà vera, concreta, con un impatto importante sulla sua qualità di vita e sul suo benessere psicofisico. Non si tratta di colpa, né di mancanza di impegno. E “svezzarsi da soli” non è una frase che aiuta: non si guarisce da soli da qualcosa che è così carico di ansia, di paura e di storia personale.
La sua voce merita di essere ascoltata con rispetto e profondità. E c'è un percorso possibile, ma ha bisogno di partire da un punto fondamentale: che nessuno la faccia sentire sbagliata per ciò che prova.
Sono qui se vuole parlarne, o se ha bisogno di supporto specifico e di iniziare un percorso per affrontare e gestire questa difficoltà. Non è sola.
Resto a disposizione,
Aurora
Da ciò che racconta, la sua relazione con il cibo non è una semplice "schizzinosità". Non parliamo di qualche preferenza alimentare o di gusti, ma di un'esperienza profonda e radicata che coinvolge il corpo, la mente e le emozioni. Il fatto che l'esposizione a certi alimenti le provochi riflessi di vomito, ansia, attacchi di panico e che abbia bisogno di ripetere gli stessi cibi ogni giorno, con la stessa consistenza e sapore, è qualcosa che va molto oltre lo svezzamento o l'educazione alimentare.
Mi dispiace abbia dovuto vivere una situazione in cui si è sentita svalutata e non vista dal collega, che erroneamente non ha accolto la sua difficoltà appieno e non ha considerato la complessità del suo vissuto, il carico emotivo e la sofferenza concreta che sta descrivendo.
Il suo desiderio di capire e migliorare è già una risorsa preziosa. Lei non è viziata. Sta vivendo una difficoltà vera, concreta, con un impatto importante sulla sua qualità di vita e sul suo benessere psicofisico. Non si tratta di colpa, né di mancanza di impegno. E “svezzarsi da soli” non è una frase che aiuta: non si guarisce da soli da qualcosa che è così carico di ansia, di paura e di storia personale.
La sua voce merita di essere ascoltata con rispetto e profondità. E c'è un percorso possibile, ma ha bisogno di partire da un punto fondamentale: che nessuno la faccia sentire sbagliata per ciò che prova.
Sono qui se vuole parlarne, o se ha bisogno di supporto specifico e di iniziare un percorso per affrontare e gestire questa difficoltà. Non è sola.
Resto a disposizione,
Aurora
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Buongiorno, la ringrazio per la sua condivisione.
Quello che descrive non è semplicemente “essere schizzinosi” o “viziati”. La selettività alimentare, soprattutto quando associata a una forte reattività sensoriale e a risposte ansiose (come il riflesso del vomito o gli attacchi di panico), può rientrare in quadri clinici come, ad esempio, il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID). Non si tratta di un problema di volontà, ma di una condizione con radici neuropsicologiche, sensoriali ed emotive, che merita attenzione e rispetto. Il fatto che lei abbia un rapporto rigido con consistenze e sapori, che mangi solo alcuni alimenti “sicuri” e che l’idea di variare l’alimentazione le provochi panico, non è qualcosa che possa essere superato semplicemente con uno sforzo. Il percorso terapeutico consiste nel costruire gradualmente sicurezza, fiducia nel proprio corpo e nella relazione con il cibo, partendo sempre da ciò che per lei è tollerabile. Questo processo può essere affrontato in modo più efficace attraverso un approccio multidisciplinare, che coinvolga uno psicoterapeuta e un nutrizionista con esperienza in questo ambito. Il suo bisogno di essere compresa è assolutamente legittimo.
Resto a disposizione, qualora desiderasse approfondire insieme questa tematica.
Cordialmente,
Dott.ssa Luciana Bastianini
Quello che descrive non è semplicemente “essere schizzinosi” o “viziati”. La selettività alimentare, soprattutto quando associata a una forte reattività sensoriale e a risposte ansiose (come il riflesso del vomito o gli attacchi di panico), può rientrare in quadri clinici come, ad esempio, il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID). Non si tratta di un problema di volontà, ma di una condizione con radici neuropsicologiche, sensoriali ed emotive, che merita attenzione e rispetto. Il fatto che lei abbia un rapporto rigido con consistenze e sapori, che mangi solo alcuni alimenti “sicuri” e che l’idea di variare l’alimentazione le provochi panico, non è qualcosa che possa essere superato semplicemente con uno sforzo. Il percorso terapeutico consiste nel costruire gradualmente sicurezza, fiducia nel proprio corpo e nella relazione con il cibo, partendo sempre da ciò che per lei è tollerabile. Questo processo può essere affrontato in modo più efficace attraverso un approccio multidisciplinare, che coinvolga uno psicoterapeuta e un nutrizionista con esperienza in questo ambito. Il suo bisogno di essere compresa è assolutamente legittimo.
Resto a disposizione, qualora desiderasse approfondire insieme questa tematica.
Cordialmente,
Dott.ssa Luciana Bastianini
La ringrazio per aver condiviso la sua esperienza, che tocca due livelli di sofferenza: quello, molto concreto, legato al cibo, e quello, forse ancora più doloroso, del non sentirsi compresa e ascoltata.
Vorrei partire proprio da qui, dalla ferita che ha provato durante il colloquio con lo psicologo pubblico. La reazione che ha avuto è la risposta legittima e comprensibile di una persona che sente la propria storia personale ridotta a una spiegazione sbrigativa e preconfezionata. Sentirsi dire, in 20 minuti, che il problema è una questione di "cattivo svezzamento" senza che nessuno abbia chiesto nulla del suo passato, è un'esperienza che, comprensibilmente, svaluta e invalida.
Dal mio punto di vista professionale, un rapporto così complesso e radicato con il cibo, specialmente quando scatena reazioni fisiche così intense come il riflesso del vomito e gli attacchi di panico, è molto raramente una questione di "vizi" o di essere "schizzinosi".
Per questo motivo, la soluzione non può essere un semplice "svezzarsi da soli", che rischia di trasformarsi in una lotta contro sé stessi, colpevolizzandosi per ogni fallimento. Il percorso necessario, come lei ha giustamente intuito, deve essere molto più profondo. Si tratta di imbastire un percorso che le permetta di esplorare, in un ambiente sicuro e non giudicante, le origini di questa difficoltà.
Il primo passo per stare meglio è trovare un professionista che sia disposto a percorrere questa strada insieme a lei, non a indicarle una meta senza aver prima capito da dove parte.
Un caro saluto!
Vorrei partire proprio da qui, dalla ferita che ha provato durante il colloquio con lo psicologo pubblico. La reazione che ha avuto è la risposta legittima e comprensibile di una persona che sente la propria storia personale ridotta a una spiegazione sbrigativa e preconfezionata. Sentirsi dire, in 20 minuti, che il problema è una questione di "cattivo svezzamento" senza che nessuno abbia chiesto nulla del suo passato, è un'esperienza che, comprensibilmente, svaluta e invalida.
Dal mio punto di vista professionale, un rapporto così complesso e radicato con il cibo, specialmente quando scatena reazioni fisiche così intense come il riflesso del vomito e gli attacchi di panico, è molto raramente una questione di "vizi" o di essere "schizzinosi".
Per questo motivo, la soluzione non può essere un semplice "svezzarsi da soli", che rischia di trasformarsi in una lotta contro sé stessi, colpevolizzandosi per ogni fallimento. Il percorso necessario, come lei ha giustamente intuito, deve essere molto più profondo. Si tratta di imbastire un percorso che le permetta di esplorare, in un ambiente sicuro e non giudicante, le origini di questa difficoltà.
Il primo passo per stare meglio è trovare un professionista che sia disposto a percorrere questa strada insieme a lei, non a indicarle una meta senza aver prima capito da dove parte.
Un caro saluto!
Buon pomeriggio, innanzi tutto La ringrazio per questa condivisione così personale.
Da quello che racconta risulta presente una certa restrittività alimentare, basata proprio sulla consistenza dei cibi, la quale spesso correla con una serie di problematiche corporee (magrezza, nausea e malessere), ma anche con una scarsa adattabilità alle situazioni sociali (mangiare fuori, in pubblico o con altre persone può essere fastidioso), oltre che col tentativo di "mantenere il controllo" su ciò che si ha intorno (mangiare sempre le stesse cose, che hanno stessa consistenza e sapore, è un modo per proteggersi dalla possibilità di sperimentare cose nuove - le quali ci si aspetta possano essere spaventose o, appunto, sgradevoli)...
Dunque, da un lato possono essere presenti degli aspetti che risalgono all'allattamento/svezzamento, ma dall'altro ci saranno anche delle motivazioni psicologiche più profonde, che dovrebbero essere affrontate ed ascoltate seriamente.
Nel suo racconto fa molto dispiacere leggere che si è sentita ferita dall'approccio del collega, il quale forse non ha compreso a pieno la Sua sofferenza e/o non si è spiegato nel migliore dei modi.
Come Le dicevo, tutto ciò che riguarda l'alimentazione e le eventuali difficoltà che ruotano intorno ad essa hanno sempre un'origine multifattoriale e complessa: non si può arrivare a conclusioni affrettate nell'arco di un solo colloquio... tanto meno di soli venti minuti.
Se vorrà, potremmo approfondire meglio la Sua storia e la sua sofferenza, al fine di dare una cornice a questi sintomi (comprenderne il significato, i nessi) e valutare insieme come poter venire incontro ai suoi bisogni ed alle sue necessità, in uno spazio più sicuro ed accogliente... Rimango a sua disposizione!
Chiara Visalli - Psicologa Clinico Dinamica
Da quello che racconta risulta presente una certa restrittività alimentare, basata proprio sulla consistenza dei cibi, la quale spesso correla con una serie di problematiche corporee (magrezza, nausea e malessere), ma anche con una scarsa adattabilità alle situazioni sociali (mangiare fuori, in pubblico o con altre persone può essere fastidioso), oltre che col tentativo di "mantenere il controllo" su ciò che si ha intorno (mangiare sempre le stesse cose, che hanno stessa consistenza e sapore, è un modo per proteggersi dalla possibilità di sperimentare cose nuove - le quali ci si aspetta possano essere spaventose o, appunto, sgradevoli)...
Dunque, da un lato possono essere presenti degli aspetti che risalgono all'allattamento/svezzamento, ma dall'altro ci saranno anche delle motivazioni psicologiche più profonde, che dovrebbero essere affrontate ed ascoltate seriamente.
Nel suo racconto fa molto dispiacere leggere che si è sentita ferita dall'approccio del collega, il quale forse non ha compreso a pieno la Sua sofferenza e/o non si è spiegato nel migliore dei modi.
Come Le dicevo, tutto ciò che riguarda l'alimentazione e le eventuali difficoltà che ruotano intorno ad essa hanno sempre un'origine multifattoriale e complessa: non si può arrivare a conclusioni affrettate nell'arco di un solo colloquio... tanto meno di soli venti minuti.
Se vorrà, potremmo approfondire meglio la Sua storia e la sua sofferenza, al fine di dare una cornice a questi sintomi (comprenderne il significato, i nessi) e valutare insieme come poter venire incontro ai suoi bisogni ed alle sue necessità, in uno spazio più sicuro ed accogliente... Rimango a sua disposizione!
Chiara Visalli - Psicologa Clinico Dinamica
Buonasera signora,
Esiste un disturbo alimentare caratterizzato da questi sintomi, meno comune di quelli socialmente riconosciuti, si chiama disturbo di evitamento/restrizione dell'introito alimentare (ARFID). Tuttavia, prima di saltare a tali conclusioni sarebbe necessario approfondire la sua problematica prima di fare diagnosi.
Se lo ritiene necessario resto a disposizione.
Esiste un disturbo alimentare caratterizzato da questi sintomi, meno comune di quelli socialmente riconosciuti, si chiama disturbo di evitamento/restrizione dell'introito alimentare (ARFID). Tuttavia, prima di saltare a tali conclusioni sarebbe necessario approfondire la sua problematica prima di fare diagnosi.
Se lo ritiene necessario resto a disposizione.
Gentile utente,
grazie per aver condiviso con così tanta sincerità la sua esperienza. Ciò che descrive non ha a che fare con l’essere “viziata” o “schizzinosa”, ma merita ascolto attento e rispetto.
La selettività alimentare può avere radici complesse, e non è riducibile a una semplice mancanza di “forza di volontà”.
Se vuole, sono a disposizione per approfondire la sua questione.
Un caro saluto,
dott.ssa Silvia Ferraro
grazie per aver condiviso con così tanta sincerità la sua esperienza. Ciò che descrive non ha a che fare con l’essere “viziata” o “schizzinosa”, ma merita ascolto attento e rispetto.
La selettività alimentare può avere radici complesse, e non è riducibile a una semplice mancanza di “forza di volontà”.
Se vuole, sono a disposizione per approfondire la sua questione.
Un caro saluto,
dott.ssa Silvia Ferraro
Gent.ma, comprendo che il non sentirsi compresa possa averla fatta sentire ferita.
Indubbiamente, tutto quanto legato alla nutrizione e all'alimentazione ha una valenza psicologica, emotiva e simbolica, di importanza fondamentale e, certamente, il disagio che lei condivide le impedisce di vivere serenamente, non solo il momento del pasto, ma tutto quel che concerne la sfera alimentare e dunque merita di essere attenzionato.
Sarebbe opportuno per lei rivolgersi ad uno psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico (Junghiano, Freudiuano) che le permetta di esplorare e comprendere le cause del suo disagio e potere; infine, vivere più serenamente la sua relazione col cibo ed anche con il corpo. In alternativa, potrei suggerirle di tentare un percorso cognitivo comportamentale con il mindful eating, che le permetta, innanzitutto, di entrare in contatto in maniera protetta con le sensazioni somatiche sgradevoli che descrive e, infine, di ristrutturare la sua relazione col cibo per poter vivere con maggiore libertà questo aspetto della sua vita.
Sperando di esserle stata utile, le auguro tutto il meglio.
Cordialmente,
Dott.ssa Lucia Nobis
Indubbiamente, tutto quanto legato alla nutrizione e all'alimentazione ha una valenza psicologica, emotiva e simbolica, di importanza fondamentale e, certamente, il disagio che lei condivide le impedisce di vivere serenamente, non solo il momento del pasto, ma tutto quel che concerne la sfera alimentare e dunque merita di essere attenzionato.
Sarebbe opportuno per lei rivolgersi ad uno psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico (Junghiano, Freudiuano) che le permetta di esplorare e comprendere le cause del suo disagio e potere; infine, vivere più serenamente la sua relazione col cibo ed anche con il corpo. In alternativa, potrei suggerirle di tentare un percorso cognitivo comportamentale con il mindful eating, che le permetta, innanzitutto, di entrare in contatto in maniera protetta con le sensazioni somatiche sgradevoli che descrive e, infine, di ristrutturare la sua relazione col cibo per poter vivere con maggiore libertà questo aspetto della sua vita.
Sperando di esserle stata utile, le auguro tutto il meglio.
Cordialmente,
Dott.ssa Lucia Nobis
Buonasera, ha mai fatto una valutazione per il disturbo dello spettro autistico? questa difficoltà si accompagna con altre? ha interessi ristretti? le suggerisco di indagare questi aspetti. buona serata
dott.ssa paola marinelli
dott.ssa paola marinelli
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