Salve, questo sito mi dà l'opportunità di chiedere ai Dottori un parere su una questione che mi ang
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Salve,
questo sito mi dà l'opportunità di chiedere ai Dottori un parere su una questione che mi angoscia terribilmente.
Ho da poco deciso di interrompere una terapia durata sette anni perché mi sentivo finalmente pronto a cavarmela con le mie forze. Tuttavia, il sentimento dominante che sento ora è che ho bisogno di ritornare in terapia per risolvere delle questioni che, fino a poco tempo fa, non mi sentivo pronto ad affrontare. Ora, improvvisamente, sento che se non le affronto, non sarò in grado di cavarmela da solo.
In effetti sono cose importanti, che riguardano la mia sessualità, però mi pongo una domanda che mi sono posta parecchie volte in tutti questi anni e che non ha mai ricevuto risposta.
Come mai ragazzi adolescenti (cioè appena piu' piccoli di me), riescono a risolvere "da soli" i dubbi che normalmente contraddistinguono questa età (sulla propria identità, sul proprio genere, sul proprio orientamento sessuale), mentre io ho bisogno della terapia perché altrimenti "non mi sento sicuro"?
Cioè, ad oggi, dopo anni di terapia, ancora non sono in grado di dirmi "chissenefrega se ho questa fisima", oppure "si, ho un dubbio ma lo risolverò magari con l'esperienza", o ancora "è inutile che mi attacco a questo", tutte frasi che ho sentito centinaia di volte da ragazzi della mia età e piu' piccoli. Invece, io mi sento "determinato" da questi dubbi, nel senso che se non li affronto, ci ripenso fino a sfinire la mente e fino a convincermi che non posso farcela ad andare avanti a meno che non ne parlo con qualcuno. Questo è gravissimo e mi fa sentire "diverso" da altri ragazzi della mia età (voglio dire, mica tutti i ragazzi del mondo se hanno un dubbio si rivolgono al terapista per risolverlo!) E per una volta vorrei sentirmi "uguale" a loro, dal momento che ho avuto un'adolescenza molto particolare dove ho solo studiato e fatto tutto quello che mi dicevano i miei genitori.
Scusate la lunghezza, spero almeno di essermi spiegato. Grazie a chi risponderà
questo sito mi dà l'opportunità di chiedere ai Dottori un parere su una questione che mi angoscia terribilmente.
Ho da poco deciso di interrompere una terapia durata sette anni perché mi sentivo finalmente pronto a cavarmela con le mie forze. Tuttavia, il sentimento dominante che sento ora è che ho bisogno di ritornare in terapia per risolvere delle questioni che, fino a poco tempo fa, non mi sentivo pronto ad affrontare. Ora, improvvisamente, sento che se non le affronto, non sarò in grado di cavarmela da solo.
In effetti sono cose importanti, che riguardano la mia sessualità, però mi pongo una domanda che mi sono posta parecchie volte in tutti questi anni e che non ha mai ricevuto risposta.
Come mai ragazzi adolescenti (cioè appena piu' piccoli di me), riescono a risolvere "da soli" i dubbi che normalmente contraddistinguono questa età (sulla propria identità, sul proprio genere, sul proprio orientamento sessuale), mentre io ho bisogno della terapia perché altrimenti "non mi sento sicuro"?
Cioè, ad oggi, dopo anni di terapia, ancora non sono in grado di dirmi "chissenefrega se ho questa fisima", oppure "si, ho un dubbio ma lo risolverò magari con l'esperienza", o ancora "è inutile che mi attacco a questo", tutte frasi che ho sentito centinaia di volte da ragazzi della mia età e piu' piccoli. Invece, io mi sento "determinato" da questi dubbi, nel senso che se non li affronto, ci ripenso fino a sfinire la mente e fino a convincermi che non posso farcela ad andare avanti a meno che non ne parlo con qualcuno. Questo è gravissimo e mi fa sentire "diverso" da altri ragazzi della mia età (voglio dire, mica tutti i ragazzi del mondo se hanno un dubbio si rivolgono al terapista per risolverlo!) E per una volta vorrei sentirmi "uguale" a loro, dal momento che ho avuto un'adolescenza molto particolare dove ho solo studiato e fatto tutto quello che mi dicevano i miei genitori.
Scusate la lunghezza, spero almeno di essermi spiegato. Grazie a chi risponderà
Salve, paragonarsi a quello che necessitano gli altri per procedere nell'esistenza non aiuta da nessun punto di vista. Ognuno di noi è assolutamente diverso. La sua richiesta di essere autonomo è perfettamente comprensibile ed è l'obbiettivo che dovrebbe raggiungere la psicoterapia. Non si focalizzi sull'essere già stato in terapia ma valuti da adesso in poi cosa vuole fare, ha già un indizio chiaro. Ci sono delle cose che non era pronto ad affrontare, adesso invece si. Dunque qualcosa è cambiato.
Rimango a disposizione, anche online.
Dott.ssa Camilla Ballerini
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Il problema sta proprio nel voler essere come qualcun'altro, questo atteggiamento comporta la negazione della sua singolarità. Affrontare un trattamento psicoterapeutico richiede una certa maturità ma non si deve fare l'errore di voler trovare spiegazioni razionali a tutto. A volte occorre tollerare di non avere una risposta soddisfacente al momento.
Le questioni che lei afferma di non aver affrontato in terapia mi sembrano alquanto rilevanti e mi sorprendo che in sette anni non siano state, al quanto pare, neanche sfiorate. Se sente il bisogno di continuare la psicoterapia per affrontare temi così importanti lo faccia pure o continuando con lo psicoterapeuta che l'ha seguita per 7 anni oppure rivolgendosi a un altro professionista che sia in grado di approfondire le sue dinamiche inconsce non ancora elaborate e, quindi, non ancora depotenziate nella loro nocività.
Buonasera. E' difficile rispondere in modo esauriente alla sua condivisione attraverso questo spazio. Se ho ben capito ha deciso di interrompere il suo percorso psicoterapeutico, che ipotizzo significhi che non l'ha completato/concluso.
Se così fosse potrebbe essere importante ricontattare il/la suo/a terapeuta per confrontarsi direttamente con lui/lei (o anche con un altro/a se per particolari ragioni crede non possa più esserle d'aiuto il/la suo/a precedente terapeuta) rispetto ai dubbi e ai sentimenti che sta vivendo in questo momento, valutando eventualmente la possibilità di riprendere il lavoro per concluderlo con l'obiettivo di ritrovare la propria personale sicurezza nel vivere le proprie esperienze e la propria vita, considerando pur sempre che, in ogni caso, anche dopo il completamento di un percorso terapeutico efficace, dubbi e problemi resteranno, ma sarà lei ad essere cambiato in modo sufficientemente costruttivo nella relazione con essi, oltre che con se stesso e con gli altri. Un saluto, Dott. Felice Schettini
Se così fosse potrebbe essere importante ricontattare il/la suo/a terapeuta per confrontarsi direttamente con lui/lei (o anche con un altro/a se per particolari ragioni crede non possa più esserle d'aiuto il/la suo/a precedente terapeuta) rispetto ai dubbi e ai sentimenti che sta vivendo in questo momento, valutando eventualmente la possibilità di riprendere il lavoro per concluderlo con l'obiettivo di ritrovare la propria personale sicurezza nel vivere le proprie esperienze e la propria vita, considerando pur sempre che, in ogni caso, anche dopo il completamento di un percorso terapeutico efficace, dubbi e problemi resteranno, ma sarà lei ad essere cambiato in modo sufficientemente costruttivo nella relazione con essi, oltre che con se stesso e con gli altri. Un saluto, Dott. Felice Schettini
Buongiorno, non conosco i motivi che le hanno provocato tale insicurezza che sembra essere dominante nella sua problematica.Credo che questa insicurezza determini una dipendenza da alcune figure di riferimento come la sua psicoterapeuta.Anche il confronto continuo con gli altri è determinato da questa sensazione continua di inferiorità.Forse può farcela da solo ?Un caro augurio Dottssa Luciana Harari
Salve, chiudere un percorso durato molti anni può farla sentire disorientato ma credo che si debba dare del tempo per comprendere meglio se può effettivamente elaborare da solo questi dubbi. Magari c'è un automatismo di fondo che la porta a voler ricreare la stanza di terapia ogni volta che deve decidere qualcosa di importante per sè, ma sicuramente nel tempo avrà portato con sè degli strumenti che la possono rendere autonomo. Si dia tempo e modo di sperimentare e se le cose persistono può sempre ricontattare il collega che l'ha seguita.
Dott.ssa Antonella Abate
Dott.ssa Antonella Abate
Buonasera,
da come scrive si evince una giovane età: riferisce di essere poco più grande degli adolescenti coi quali si confronta. Sette anni di psicoterapia fanno quindi pensare che lei abbia iniziato molto giovane, sicuramente perché qualcosa la faceva star male, e che lei e il suo terapeuta avrete affrontato, benché qui non vi faccia riferimento. Dice anche di avere interrotto, e non concluso, la psicoterapia. Potrebbe forse allora prendere in considerazione l’idea di ricontattare chi l’ha seguita in questi anni e cercare di capire insieme il disagio che vive e che riferisce qui. SG
da come scrive si evince una giovane età: riferisce di essere poco più grande degli adolescenti coi quali si confronta. Sette anni di psicoterapia fanno quindi pensare che lei abbia iniziato molto giovane, sicuramente perché qualcosa la faceva star male, e che lei e il suo terapeuta avrete affrontato, benché qui non vi faccia riferimento. Dice anche di avere interrotto, e non concluso, la psicoterapia. Potrebbe forse allora prendere in considerazione l’idea di ricontattare chi l’ha seguita in questi anni e cercare di capire insieme il disagio che vive e che riferisce qui. SG
Buonasera, uno degli obiettivi della psicoterapia è proprio quello di fornire gli strumenti per affrontare le difficoltà che inevitabilmente si incontrano nella vita senza dover riprendere ogni volta il percorso. Lei ha fatto un gran lavoro per anni e oggi è comprensibile il suo bisogno di farcela da solo, per poterlo fare è indispensabile che accetti tutte le sue parti anche quelle che le piacciono di meno, come la sua insicurezza e la sua paura di mostrarsi agli altri e a se stesso così come è e saper di andare bene.
Gentile utente di mio dottore,
tornare in terapia indipendentemente dalla motivazione non può esser visto come un fallimento o un handicap. Solitamente chi fa percorsi di questo in genere è perché non si accontenta semplicemente della propria vita per quella che è ma cerca sempre uno stimolo nel volersi migliorare, migliorare il proprio benessere emotivo, e la propria condizione esistenziale in relazione al mondo che lo circonda. Ci sono persone che nella propria vita hanno affrontato più percorsi proprio per poter guardare alle cose da più punti di vista. Non tutti si accontentano nel dirsi questa cosa è cosi e basta. Per tanto si interroghi più su ciò che effettivamente la farebbe star bene anziché su cosa gli altri farebbero e su quanto sia errato assumere una posizione diversa rispetto alla massa.
Si concentri su questo, vedrà che con il tempo raggiungerà la serenità che cerca!!
Cordiali Saluti
Dottor Diego Ferrara
tornare in terapia indipendentemente dalla motivazione non può esser visto come un fallimento o un handicap. Solitamente chi fa percorsi di questo in genere è perché non si accontenta semplicemente della propria vita per quella che è ma cerca sempre uno stimolo nel volersi migliorare, migliorare il proprio benessere emotivo, e la propria condizione esistenziale in relazione al mondo che lo circonda. Ci sono persone che nella propria vita hanno affrontato più percorsi proprio per poter guardare alle cose da più punti di vista. Non tutti si accontentano nel dirsi questa cosa è cosi e basta. Per tanto si interroghi più su ciò che effettivamente la farebbe star bene anziché su cosa gli altri farebbero e su quanto sia errato assumere una posizione diversa rispetto alla massa.
Si concentri su questo, vedrà che con il tempo raggiungerà la serenità che cerca!!
Cordiali Saluti
Dottor Diego Ferrara
Buonasera, avere bisogno di ridefinire i propri problemi, bisogni o dubbi con uno psicoterapeuta secondo me non è sinonimo di debolezza rispetto agli altri ma, al contrario, vuol dire riuscire a prendersi cura di se in modo adeguato. Non conosco la sua storia e andrebbe approfondita. Tuttavia mi sento di dirle che tutto il suo lavoro e impegno, saranno un ottimo bagaglio per il suo futuro. Piuttosto, le domando: perché attribuisce così tanta importanza al pensiero degli altri? Lei sta spendendo soldi e tempo per una crescita personale che la aiuterà tanti nella vita…
Un abbraccio
Dott. ssa Viola Barucci
Un abbraccio
Dott. ssa Viola Barucci
Caro utente,
Innanzitutto le sono molto vicino perchè questa sensazione di essere "diversi" dagli altri deve essere molto dolorosa. Mi sento di dirle che la terapia non ha funzione di supporto ma ha la funzione di rielaborare quei traumi piccoli e grandi del passato e costruire quelle risorse per poi agire in libertà verso la direzione che ognuno preferisce. La terapia non ha funzione di stampella e infatti dopo un po' ha termine perchè semplicemente non è più necessaria. La incoraggio quindi a riprendere una terapia qualora senta di non aver ottenuto i risultati sperati, anche cambiando terapeuta o approccio terapeutico. Un caro saluto
Dott. Alessandro Gasperi
Innanzitutto le sono molto vicino perchè questa sensazione di essere "diversi" dagli altri deve essere molto dolorosa. Mi sento di dirle che la terapia non ha funzione di supporto ma ha la funzione di rielaborare quei traumi piccoli e grandi del passato e costruire quelle risorse per poi agire in libertà verso la direzione che ognuno preferisce. La terapia non ha funzione di stampella e infatti dopo un po' ha termine perchè semplicemente non è più necessaria. La incoraggio quindi a riprendere una terapia qualora senta di non aver ottenuto i risultati sperati, anche cambiando terapeuta o approccio terapeutico. Un caro saluto
Dott. Alessandro Gasperi
Buongiorno,
paragonarsi agli altri ha senso fino ad un certo punto.
Ognuno affronta situazioni simili in modo diverso, reagisce in modo diverso, ha una storia diversa. Ogni persona è un universo a sé stante e legge il contesto che lo circonda a modo suo.
Da quello che ci racconta, sembrerebbe che la terapia non sia pienamente conclusa. E' lodevole il fatto di provare a farcela da soli. Proprio per questo un confronto con il suo terapista rispetto a quello che prova e che ci ha così bene esposto, potrebbe aiutarla.
Cordialmente, EP
paragonarsi agli altri ha senso fino ad un certo punto.
Ognuno affronta situazioni simili in modo diverso, reagisce in modo diverso, ha una storia diversa. Ogni persona è un universo a sé stante e legge il contesto che lo circonda a modo suo.
Da quello che ci racconta, sembrerebbe che la terapia non sia pienamente conclusa. E' lodevole il fatto di provare a farcela da soli. Proprio per questo un confronto con il suo terapista rispetto a quello che prova e che ci ha così bene esposto, potrebbe aiutarla.
Cordialmente, EP
Salve, le premetto che non credo nelle terapie così lunghe. Anni e anni di terapia non sono lo strumento ideale per risolvere dei disagi. Fatta la dovuta premessa, non si paragoni agli altri perché non spesso ciò che ci raccontano corrisponde esattamente alla realtà delle cose. Si concentri su se stesso e si dia il tempo e le risposte necessarie, tenendo presente che sono tutte già dentro di lei. Deve solo trovarle oppure affidarsi a uno psicologo che l'aiuti a scoprirle senza perdere anni e anni di terapia. Saluti. Professor Antonio Popolizio
Buongiorno,
La consapevolezza del bisogno di autonomia é assolutamente comprensibile e fondamentale, questo assieme all’essersi reso conto di una difficoltà latente, ma che ora si è disposti a prendere in considerazione, denota la crescita personale raggiunta anche grazie alla terapia.
La nostra evoluzione però non termina con la fine della psicoterapia, ma continua fino all’ultimo giorno della nostra vita per raggiungere una piena realizzazione di sé.
Questo percorso oscilla tra alti e bassi, non è paragonabile a quello di nessun altro individuo, proprio in virtù della nostra unicità.
Ognuno ha i suoi tempi e i suoi modi, è normale così, sta a noi, seppur con fatica, accettare questo andamento, che non sempre rispecchia i nostri desideri, ma che indica comunque la nostra natura.
Non c’è bisogno di forzare, ma accogliere con gentilezza quello che c’è.
Spero di essere stata di aiuto e aver fornito qualche spunto di riflessione.
Un caro saluto
Dr.ssa Micol Loppo
Psicologa psicoterapeuta
La consapevolezza del bisogno di autonomia é assolutamente comprensibile e fondamentale, questo assieme all’essersi reso conto di una difficoltà latente, ma che ora si è disposti a prendere in considerazione, denota la crescita personale raggiunta anche grazie alla terapia.
La nostra evoluzione però non termina con la fine della psicoterapia, ma continua fino all’ultimo giorno della nostra vita per raggiungere una piena realizzazione di sé.
Questo percorso oscilla tra alti e bassi, non è paragonabile a quello di nessun altro individuo, proprio in virtù della nostra unicità.
Ognuno ha i suoi tempi e i suoi modi, è normale così, sta a noi, seppur con fatica, accettare questo andamento, che non sempre rispecchia i nostri desideri, ma che indica comunque la nostra natura.
Non c’è bisogno di forzare, ma accogliere con gentilezza quello che c’è.
Spero di essere stata di aiuto e aver fornito qualche spunto di riflessione.
Un caro saluto
Dr.ssa Micol Loppo
Psicologa psicoterapeuta
In realtà la risposta ce l'ha già quando afferma che ora è pronto ad affrontare temi importanti per lei. Ogni vita poi è unica e ciascuno fa il suo percorso. :)
Buonasera, non è detto che i suoi coetanei riescano a risolvere i loro dubbi, questo non può saperlo. I confronti fra l'altro lasciano il tempo che trovano perché ognuno ha la sua storia e spesso problematiche non risolte vengono fuori nel tempo sotto altre vesti. Probabilmente lei ha ancora necessità di rinforzare, metaforicamente, le sue"gambe" visto che nella sua vita, come lei scrive, è sempre stato "condotto". Continui con la terapia, una vita felice si basa su chiarezze solide.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Buongiorno, capisco il conflitto che sta vivendo tra la voglia di affrontare autonomamente le sue difficoltà e la sensazione di dover continuare un percorso terapeutico. La terapia breve strategica potrebbe essere utile per aiutarla a risolvere questi dubbi in tempi relativamente brevi, affrontando in modo concreto le paure che le impediscono di "lasciar correre" certi pensieri. Il suo senso di inadeguatezza rispetto ad altri ragazzi può essere legato a un'esperienza adolescenziale diversa, ma non significa che non possa imparare a gestire in modo più pratico i suoi dubbi. L'approccio breve e mirato della terapia strategica potrebbe aiutarla a interrompere il circolo vizioso di pensieri che la blocca, facendola sentire più serena e capace di affrontare i temi legati alla sessualità senza la sensazione di non poter andare avanti senza un intervento esterno.
Buongiorno gentile utente,
capisco la sua sensazione di smarrimento, soprattutto perché è comune, che al termine di una terapia, si faccia fatica a gestire il distacco da un percorso che ha costituito una parte importante della nostra vita. Spesso per evitare ciò si lavora, qualora si sia concordato insieme al terapeuta un momento di conclusione, proprio su come gestire il distacco e su che significato avrà la fine della terapia.
In merito ai confronti che le capita di fare sui suoi coetanei provi a riflettere sul fatto che ognuno sta vivendo le proprie difficoltà più intime e non possiamo esser certi di quale modalità abbiano deciso di adottare per cercare di superare queste ultime. Inoltre non esistono tempi universali per affrontare determinati temi; ciò che conta è la sua volontà di confrontarsi con i propri dubbi in un modo che possa portarle una maggiore serenità.
Resto a disposizione per ulteriori confronti.
Dott. Casciano Emanuel, psicoterapeuta
capisco la sua sensazione di smarrimento, soprattutto perché è comune, che al termine di una terapia, si faccia fatica a gestire il distacco da un percorso che ha costituito una parte importante della nostra vita. Spesso per evitare ciò si lavora, qualora si sia concordato insieme al terapeuta un momento di conclusione, proprio su come gestire il distacco e su che significato avrà la fine della terapia.
In merito ai confronti che le capita di fare sui suoi coetanei provi a riflettere sul fatto che ognuno sta vivendo le proprie difficoltà più intime e non possiamo esser certi di quale modalità abbiano deciso di adottare per cercare di superare queste ultime. Inoltre non esistono tempi universali per affrontare determinati temi; ciò che conta è la sua volontà di confrontarsi con i propri dubbi in un modo che possa portarle una maggiore serenità.
Resto a disposizione per ulteriori confronti.
Dott. Casciano Emanuel, psicoterapeuta
Gentile utente,
la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità ciò che sta vivendo.
Desidero innanzitutto dirle che non c’è nulla di “grave” nel sentire il bisogno di affrontare determinati dubbi con l’aiuto di qualcuno. Anzi, questa è una dimostrazione di consapevolezza e di cura nei suoi confronti. Il fatto che desideri comprendere e risolvere ciò che la angoscia non è affatto un segno di debolezza, ma di forza.
So che confrontarsi con gli altri, soprattutto quando sembra che gli altri riescano a "farcela da soli", possa farla sentire diverso, ma la realtà è che ogni persona affronta i propri dubbi e incertezze in modo unico. Ciò che magari agli occhi degli altri appare come sicurezza potrebbe non esserlo affatto: spesso è semplicemente un modo per evitare di esplorare certi aspetti più profondi di sé.
Inoltre, il suo desiderio di risolvere questi pensieri per poter "andare avanti" potrebbe essere legato alla sua storia personale, alla particolare adolescenza che ha vissuto, e al fatto che, forse, ha imparato a dare molta importanza all’approvazione e alla ricerca di risposte “giuste” piuttosto che alla possibilità di esplorare le incertezze.
Il suo bisogno di parlare di questi dubbi non la rende “meno” degli altri, ma la mostra piuttosto come una persona che desidera conoscersi meglio. E forse proprio questa voglia di comprensione, che l’ha portata a fare anni di terapia, è uno dei suoi punti di forza, anche se al momento potrebbe sembrare un peso.
Le suggerisco anche di riflettere su un altro punto: forse quella “sicurezza” che cerca non consiste nell’eliminare ogni dubbio, ma nell’accettare che le incertezze facciano parte della vita. Imparare a convivere con esse, senza che prevalgano, è una conquista che si può raggiungere anche attraverso il lavoro su di sé.
Se lo desidera, possiamo esplorare insieme alcune strategie per gestire l’ansia legata a questi pensieri e capire come offrirle il sostegno di cui ha bisogno senza sentirsi obbligato a fare tutto da solo.
Cordiali saluti, Dott.ssa Maria Elena Rossler
la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità ciò che sta vivendo.
Desidero innanzitutto dirle che non c’è nulla di “grave” nel sentire il bisogno di affrontare determinati dubbi con l’aiuto di qualcuno. Anzi, questa è una dimostrazione di consapevolezza e di cura nei suoi confronti. Il fatto che desideri comprendere e risolvere ciò che la angoscia non è affatto un segno di debolezza, ma di forza.
So che confrontarsi con gli altri, soprattutto quando sembra che gli altri riescano a "farcela da soli", possa farla sentire diverso, ma la realtà è che ogni persona affronta i propri dubbi e incertezze in modo unico. Ciò che magari agli occhi degli altri appare come sicurezza potrebbe non esserlo affatto: spesso è semplicemente un modo per evitare di esplorare certi aspetti più profondi di sé.
Inoltre, il suo desiderio di risolvere questi pensieri per poter "andare avanti" potrebbe essere legato alla sua storia personale, alla particolare adolescenza che ha vissuto, e al fatto che, forse, ha imparato a dare molta importanza all’approvazione e alla ricerca di risposte “giuste” piuttosto che alla possibilità di esplorare le incertezze.
Il suo bisogno di parlare di questi dubbi non la rende “meno” degli altri, ma la mostra piuttosto come una persona che desidera conoscersi meglio. E forse proprio questa voglia di comprensione, che l’ha portata a fare anni di terapia, è uno dei suoi punti di forza, anche se al momento potrebbe sembrare un peso.
Le suggerisco anche di riflettere su un altro punto: forse quella “sicurezza” che cerca non consiste nell’eliminare ogni dubbio, ma nell’accettare che le incertezze facciano parte della vita. Imparare a convivere con esse, senza che prevalgano, è una conquista che si può raggiungere anche attraverso il lavoro su di sé.
Se lo desidera, possiamo esplorare insieme alcune strategie per gestire l’ansia legata a questi pensieri e capire come offrirle il sostegno di cui ha bisogno senza sentirsi obbligato a fare tutto da solo.
Cordiali saluti, Dott.ssa Maria Elena Rossler
Salve, non tutti i percorsi di crescita sono uguali, e il fatto di sentire ancora il bisogno della psicoterapia non significa essere “più deboli” o “diversi”, ma semplicemente avere una struttura emotiva che elabora in modo più complesso ciò che riguarda l’identità e la sicurezza personale. Ciò che alcuni riescono a integrare da soli, altri lo affrontano in modo più consapevole e profondo attraverso la relazione terapeutica, che diventa uno spazio protetto dove esplorare temi come la sessualità, l’autonomia e il senso di sé. Il bisogno di confronto non è un segno di dipendenza, ma spesso il segnale di un processo di crescita che desidera consolidarsi. In approcci come la psicoterapia umanistica o l’analisi bioenergetica, si lavora proprio sul rafforzamento del sé autentico, sul corpo e sulle emozioni, per arrivare a sentire dentro di sé quella sicurezza che oggi le sembra mancare. Non c’è nulla di sbagliato nel voler tornare in terapia, anzi, questo desiderio indica che sente di avere nuovi strumenti per affrontare aspetti più profondi. La forza non sta nel cavarsela sempre da soli, ma nel riconoscere quando è utile lasciarsi accompagnare ancora un po’ nel proprio cammino. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
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