Salve dottori e dottoresse, scrivo qui perché ho una situazione molto molto delicata e preoccupante
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Salve dottori e dottoresse,
scrivo qui perché ho una situazione molto molto delicata e preoccupante e che nella sostanze è oggettivamente senza via di uscita e soluzione. Sono stata in psicoterapia per molti anni, avevo una diagnosi complicata, tra cui un disturbo alimentare – risolto per quanto riguarda il cibo – e in seguito una dissociazione causata da letture meditative e di cui ne ho fatto un uso distorsivo ed egosintonico. Questo uso distorsivo continuo, accompagnato da resistenze – credo – e rifiuto a proseguire nel percorso mi ha causato un danno. Questo danno non sono mai riuscita a spiegarlo bene, tra me e me ci riesco, ma se devo descriverlo a un terapeuta non ci riesco, è come se la mia mente fosse piombata in un loop, in una dimensione assurda e paralella, mi sembra psicotica, e inintellegibile. Lo psichiaitra che mi consigliò un paio di gocce di antipsicotico, non in quanto soffro di un vero disturbo psicotico ma poiché secondo lui viene usato anche in casi di dissociazione, mi disse che se ne facevo un uso egosintonico ci sarebbe stato il rischio che elaborando male e non tronado a un uso normale della mente e della realtà sarei rimasta così. Mi sento come se avessi raggiunto delle consapevolezze ma senza attraversare gli stati emeotivi normali ma vivendoli come finti e distorti, e infatti sono rimasta così. Il punto attuale della situazione è che non ho esperienza lavorativa in settori più qualificati, anche se non sono mai stata super efficiente in nessun lavoro; quello che riuscivo a fare in modo appena sufficiente fino a qualche anno fa, ora non ci riesco, non riesco neppure più a studiare e ho lasciato la laurea in sospeso. Non sono giovanissima, ho 38 anni, vivo in casa con i miei ,anziani. Non ho risolto situazioni edipiche , quindi non riesco ad avere relazioni sentimentali o sentirmi attraente per un uomo, sono peggiorata nelle relazioni sociali e mi ritiro sempre di più a contatto con gli altri, anche sul lavoro mi sento alienata e sembro strana e desto sospetto, stranezza. Sono molto depressa, assumo farmaci che per ora mi mantengono a galla, a parte quando salto la dose e ho difficoltà ad alzarmi dal letto. Il mio sogno era andare via a vivere in una città, farmi una vita soddisfacente , ma in queste condizioni non è possibile. Sto valutando di entrare nelle categorie protette ma per come mi distacco mentalmente non so fino a che punto possa aiutarmi, forse mi serve un’invalidità al cento per cento. Mi distacco mentalmente, non riesco fare collegamenti logici, a volte ci riesco, ma se devo farli sul lavoro o mentre studio faccio danni, divento tabula rasa e non comprendo cose semplici. Il punto è, considerato che non posso fare nulla con la psicoterapia ma solo sopravvivere – in realtà valuto spesso un gesto estremo - secondo voi cosa e come dovrei fare per andare avanti? Sono utili le categorie protette? Mi sento male all’idea dell’invalidità ma allo stesso tempo pensando a come è andata la mia vita mi viene un senso di rabbia, odio, disprezzo per me stessa, e ritiro fino a voler rimanere così sperando che qualcosa mi scatti. Non voglio accettare che la psicoterapia sia andata male e che non riesco a descrive bene i miei stati mentali che io chiamo “ danno”, vorrei riuscire almeno a descrivere cosa ho combinato perché dargli un nome sarebbe un sollievo, sto così in questo stato di incomunicabilità da diversi anni. Ill problema è che io non mi sono dissociata in modo normale, ma dopo aver appreso una nuova realtà che ho fatto mia e non sono più riuscita a tornare e a scegliere di tornare nella dimensione normale.
scrivo qui perché ho una situazione molto molto delicata e preoccupante e che nella sostanze è oggettivamente senza via di uscita e soluzione. Sono stata in psicoterapia per molti anni, avevo una diagnosi complicata, tra cui un disturbo alimentare – risolto per quanto riguarda il cibo – e in seguito una dissociazione causata da letture meditative e di cui ne ho fatto un uso distorsivo ed egosintonico. Questo uso distorsivo continuo, accompagnato da resistenze – credo – e rifiuto a proseguire nel percorso mi ha causato un danno. Questo danno non sono mai riuscita a spiegarlo bene, tra me e me ci riesco, ma se devo descriverlo a un terapeuta non ci riesco, è come se la mia mente fosse piombata in un loop, in una dimensione assurda e paralella, mi sembra psicotica, e inintellegibile. Lo psichiaitra che mi consigliò un paio di gocce di antipsicotico, non in quanto soffro di un vero disturbo psicotico ma poiché secondo lui viene usato anche in casi di dissociazione, mi disse che se ne facevo un uso egosintonico ci sarebbe stato il rischio che elaborando male e non tronado a un uso normale della mente e della realtà sarei rimasta così. Mi sento come se avessi raggiunto delle consapevolezze ma senza attraversare gli stati emeotivi normali ma vivendoli come finti e distorti, e infatti sono rimasta così. Il punto attuale della situazione è che non ho esperienza lavorativa in settori più qualificati, anche se non sono mai stata super efficiente in nessun lavoro; quello che riuscivo a fare in modo appena sufficiente fino a qualche anno fa, ora non ci riesco, non riesco neppure più a studiare e ho lasciato la laurea in sospeso. Non sono giovanissima, ho 38 anni, vivo in casa con i miei ,anziani. Non ho risolto situazioni edipiche , quindi non riesco ad avere relazioni sentimentali o sentirmi attraente per un uomo, sono peggiorata nelle relazioni sociali e mi ritiro sempre di più a contatto con gli altri, anche sul lavoro mi sento alienata e sembro strana e desto sospetto, stranezza. Sono molto depressa, assumo farmaci che per ora mi mantengono a galla, a parte quando salto la dose e ho difficoltà ad alzarmi dal letto. Il mio sogno era andare via a vivere in una città, farmi una vita soddisfacente , ma in queste condizioni non è possibile. Sto valutando di entrare nelle categorie protette ma per come mi distacco mentalmente non so fino a che punto possa aiutarmi, forse mi serve un’invalidità al cento per cento. Mi distacco mentalmente, non riesco fare collegamenti logici, a volte ci riesco, ma se devo farli sul lavoro o mentre studio faccio danni, divento tabula rasa e non comprendo cose semplici. Il punto è, considerato che non posso fare nulla con la psicoterapia ma solo sopravvivere – in realtà valuto spesso un gesto estremo - secondo voi cosa e come dovrei fare per andare avanti? Sono utili le categorie protette? Mi sento male all’idea dell’invalidità ma allo stesso tempo pensando a come è andata la mia vita mi viene un senso di rabbia, odio, disprezzo per me stessa, e ritiro fino a voler rimanere così sperando che qualcosa mi scatti. Non voglio accettare che la psicoterapia sia andata male e che non riesco a descrive bene i miei stati mentali che io chiamo “ danno”, vorrei riuscire almeno a descrivere cosa ho combinato perché dargli un nome sarebbe un sollievo, sto così in questo stato di incomunicabilità da diversi anni. Ill problema è che io non mi sono dissociata in modo normale, ma dopo aver appreso una nuova realtà che ho fatto mia e non sono più riuscita a tornare e a scegliere di tornare nella dimensione normale.
Salve,
Capisco quanto la sua situazione possa essere difficile e fonte di grande sofferenza. Da quanto descrive, sembra che lei sta vivendo un profondo senso di disconnessione da sé stessa e dalla realtà, accompagnato da sentimenti di isolamento e frustrazione per non riuscire a spiegare ciò che sta vivendo. Questa condizione può certamente influenzare la sua capacità di affrontare la quotidianità, lo studio, il lavoro e le relazioni.
Il percorso psicoterapeutico può essere complesso, soprattutto quando ci si trova di fronte a difficoltà profonde e radicate. Non sempre il miglioramento è lineare, e in alcuni casi può essere necessario rivedere l'approccio terapeutico, esplorare nuovi strumenti o integrare diversi tipi di trattamento, anche farmacologico, sotto la guida di uno specialista.
Riguardo alle categorie protette, potrebbero rappresentare un supporto utile, ma è importante valutare attentamente insieme a un professionista quali siano le opzioni più adatte alla sua situazione. Il primo passo potrebbe essere proprio quello di trovare uno spazio terapeutico in cui si sente compresa e supportata nel dare un senso e un nome alla sua esperienza.
Sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno specialista che possa accompagnarla nella comprensione del suo vissuto e nell'individuazione di strategie concrete per affrontare il suo percorso di vita.
Cordiali saluti,
DOTTORESSA SILVIA PARISI
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA SESSUOLOGA
Capisco quanto la sua situazione possa essere difficile e fonte di grande sofferenza. Da quanto descrive, sembra che lei sta vivendo un profondo senso di disconnessione da sé stessa e dalla realtà, accompagnato da sentimenti di isolamento e frustrazione per non riuscire a spiegare ciò che sta vivendo. Questa condizione può certamente influenzare la sua capacità di affrontare la quotidianità, lo studio, il lavoro e le relazioni.
Il percorso psicoterapeutico può essere complesso, soprattutto quando ci si trova di fronte a difficoltà profonde e radicate. Non sempre il miglioramento è lineare, e in alcuni casi può essere necessario rivedere l'approccio terapeutico, esplorare nuovi strumenti o integrare diversi tipi di trattamento, anche farmacologico, sotto la guida di uno specialista.
Riguardo alle categorie protette, potrebbero rappresentare un supporto utile, ma è importante valutare attentamente insieme a un professionista quali siano le opzioni più adatte alla sua situazione. Il primo passo potrebbe essere proprio quello di trovare uno spazio terapeutico in cui si sente compresa e supportata nel dare un senso e un nome alla sua esperienza.
Sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno specialista che possa accompagnarla nella comprensione del suo vissuto e nell'individuazione di strategie concrete per affrontare il suo percorso di vita.
Cordiali saluti,
DOTTORESSA SILVIA PARISI
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Mi dispiace molto per la sofferenza che stai vivendo e voglio innanzitutto dirti che quello che provi ha un senso, anche se può sembrarti difficile da spiegare o comunicare agli altri. Il fatto che tu abbia trovato le parole per descrivere qui il tuo vissuto è già un passo importante, perché significa che dentro di te esiste ancora il desiderio di essere compresa e di trovare una strada.
La tua esperienza di dissociazione e di vissuti alterati della realtà sembra averti portata in un luogo mentale che percepisci come isolante e senza via d'uscita. Questo può essere estremamente spaventoso e frustrante, ma voglio rassicurarti su un punto: non sei condannata a rimanere così per sempre. Anche se in passato hai vissuto la psicoterapia come inefficace o hai trovato difficile descrivere il tuo stato interiore, ciò non significa che non esistano strade per aiutarti. La mente è plastica, e anche se il tuo percorso è stato difficile, è possibile trovare strumenti che possano fare la differenza.
Alcuni punti chiave su cui potresti iniziare a riflettere in autonomia:
1. Il bisogno di una guida terapeutica diversa
Forse ciò che è mancato nei tuoi percorsi precedenti non è la possibilità di migliorare, ma il metodo giusto per te. Alcuni percorsi terapeutici si basano molto sul linguaggio e sulla capacità di verbalizzare i vissuti, ma ci sono approcci che lavorano anche con esperienze più corporee ed esperienziali (ad esempio, l'EMDR o la terapia sensomotoria). Anche l'ipnosi clinica, se condotta da un professionista esperto, potrebbe aiutarti a ricostruire un senso di continuità nella tua esperienza mentale.
2. Il concetto di "danno"
Hai usato più volte la parola “danno” per descrivere la tua esperienza. È comprensibile che la tua percezione sia questa, ma è importante sapere che la mente può anche rimodellarsi. Forse non sei “danneggiata”, ma bloccata in uno schema mentale che non ti permette di vedere le alternative. E trovare qualcuno che ti aiuti a dare un nome e una struttura a questa esperienza potrebbe alleggerirti.
3. Le categorie protette e l’invalidità
Iscriversi alle categorie protette può essere un’opzione utile per garantirti un inserimento lavorativo più protetto e adatto alle tue attuali difficoltà. Ma più che pensare a un’invalidità al 100%, potrebbe essere utile chiedere una valutazione per capire quale livello di supporto ti spetta e come può aiutarti. Questo potrebbe darti la possibilità di accedere a percorsi di reinserimento lavorativo pensati proprio per persone che si trovano in difficoltà.
4. Il senso di colpa e il ritiro sociale
Il senso di colpa e il disprezzo per te stessa sono emozioni che possono sembrare ineluttabili, ma sono il risultato di anni di lotta interiore e solitudine. Anche se ora ti senti persa, ogni piccolo passo che fai – anche solo scrivere questo messaggio – dimostra che dentro di te esiste ancora una parte che vuole vivere e trovare una via d'uscita.
Cosa potresti fare nel concreto?
- Trovare un professionista che lavori con dissociazione e trauma: se ti sei sentita incompresa in passato, prova a cercare qualcuno con esperienza specifica in questi ambiti.
- Non isolarti del tutto: anche se il contatto con gli altri ti sembra difficile, prova a mantenere almeno una piccola connessione (un familiare, un amico, un terapeuta).
- Considerare le categorie protette senza vergogna: non è una sconfitta, ma un mezzo per garantirti stabilità.
- Darti il permesso di riprovare: anche se senti di aver già tentato tutto, la tua mente non è bloccata per sempre.
Non sei sola, e il fatto che tu stia cercando risposte significa che dentro di te c’è ancora speranza. Ti meriti supporto e comprensione. Se senti che il peso è troppo grande, non esitare a cercare un aiuto immediato, anche solo per alleggerire il carico di questi pensieri.
La tua esperienza di dissociazione e di vissuti alterati della realtà sembra averti portata in un luogo mentale che percepisci come isolante e senza via d'uscita. Questo può essere estremamente spaventoso e frustrante, ma voglio rassicurarti su un punto: non sei condannata a rimanere così per sempre. Anche se in passato hai vissuto la psicoterapia come inefficace o hai trovato difficile descrivere il tuo stato interiore, ciò non significa che non esistano strade per aiutarti. La mente è plastica, e anche se il tuo percorso è stato difficile, è possibile trovare strumenti che possano fare la differenza.
Alcuni punti chiave su cui potresti iniziare a riflettere in autonomia:
1. Il bisogno di una guida terapeutica diversa
Forse ciò che è mancato nei tuoi percorsi precedenti non è la possibilità di migliorare, ma il metodo giusto per te. Alcuni percorsi terapeutici si basano molto sul linguaggio e sulla capacità di verbalizzare i vissuti, ma ci sono approcci che lavorano anche con esperienze più corporee ed esperienziali (ad esempio, l'EMDR o la terapia sensomotoria). Anche l'ipnosi clinica, se condotta da un professionista esperto, potrebbe aiutarti a ricostruire un senso di continuità nella tua esperienza mentale.
2. Il concetto di "danno"
Hai usato più volte la parola “danno” per descrivere la tua esperienza. È comprensibile che la tua percezione sia questa, ma è importante sapere che la mente può anche rimodellarsi. Forse non sei “danneggiata”, ma bloccata in uno schema mentale che non ti permette di vedere le alternative. E trovare qualcuno che ti aiuti a dare un nome e una struttura a questa esperienza potrebbe alleggerirti.
3. Le categorie protette e l’invalidità
Iscriversi alle categorie protette può essere un’opzione utile per garantirti un inserimento lavorativo più protetto e adatto alle tue attuali difficoltà. Ma più che pensare a un’invalidità al 100%, potrebbe essere utile chiedere una valutazione per capire quale livello di supporto ti spetta e come può aiutarti. Questo potrebbe darti la possibilità di accedere a percorsi di reinserimento lavorativo pensati proprio per persone che si trovano in difficoltà.
4. Il senso di colpa e il ritiro sociale
Il senso di colpa e il disprezzo per te stessa sono emozioni che possono sembrare ineluttabili, ma sono il risultato di anni di lotta interiore e solitudine. Anche se ora ti senti persa, ogni piccolo passo che fai – anche solo scrivere questo messaggio – dimostra che dentro di te esiste ancora una parte che vuole vivere e trovare una via d'uscita.
Cosa potresti fare nel concreto?
- Trovare un professionista che lavori con dissociazione e trauma: se ti sei sentita incompresa in passato, prova a cercare qualcuno con esperienza specifica in questi ambiti.
- Non isolarti del tutto: anche se il contatto con gli altri ti sembra difficile, prova a mantenere almeno una piccola connessione (un familiare, un amico, un terapeuta).
- Considerare le categorie protette senza vergogna: non è una sconfitta, ma un mezzo per garantirti stabilità.
- Darti il permesso di riprovare: anche se senti di aver già tentato tutto, la tua mente non è bloccata per sempre.
Non sei sola, e il fatto che tu stia cercando risposte significa che dentro di te c’è ancora speranza. Ti meriti supporto e comprensione. Se senti che il peso è troppo grande, non esitare a cercare un aiuto immediato, anche solo per alleggerire il carico di questi pensieri.
Salve gentile Utente, dal suo scritto posso avvertire il dolore che sta attraversando. È chiaro che sta vivendo una sofferenza profonda e complessa, e il fatto che stia cercando aiuto è già un segnale importante di consapevolezza. Non è sola in questo, e il suo dolore merita di essere ascoltato e compreso. Mi sembra che la sua esperienza ruoti attorno a un senso di "danno" che percepisce, una sorta di barriera tra lei e la realtà, qualcosa che non riesce a descrivere chiaramente ma che le impedisce di vivere come vorrebbe. Forse la difficoltà nel comunicare questa sensazione la fa sentire ancora più sola e incompresa. Questo può generare frustrazione e un senso di impotenza, soprattutto se la terapia finora non le ha dato il sollievo sperato.
Riguardo alle categorie protette e all’invalidità, possono essere strumenti utili per ottenere un supporto concreto nel mondo del lavoro, ma la loro efficacia dipende molto dal contesto e dalle sue esigenze specifiche. Potrebbe valere la pena informarsi su cosa comportano nel suo caso, magari con l’aiuto di un assistente sociale o di un medico di riferimento e questo non rappresenta una resa, ma un modo per darsi la possibilità di trovare un equilibrio che le consenta di vivere con meno peso addosso.
Mi sembra che dentro di lei ci sia ancora una speranza, anche se soffocata dalla rabbia e dalla delusione. Il desiderio di dare un nome a ciò che le è successo e la voglia di "scattare" per tornare a una vita più piena sono segnali che il suo percorso, per quanto doloroso, non è bloccato del tutto. Forse il primo passo potrebbe essere provare a riformulare l’idea di "danno" non come qualcosa di irreversibile, ma come un’esperienza che può essere esplorata in modi nuovi, magari con un terapeuta che la aiuti a trovare le parole giuste senza il timore di non essere compresa.
Riguardo alle categorie protette e all’invalidità, possono essere strumenti utili per ottenere un supporto concreto nel mondo del lavoro, ma la loro efficacia dipende molto dal contesto e dalle sue esigenze specifiche. Potrebbe valere la pena informarsi su cosa comportano nel suo caso, magari con l’aiuto di un assistente sociale o di un medico di riferimento e questo non rappresenta una resa, ma un modo per darsi la possibilità di trovare un equilibrio che le consenta di vivere con meno peso addosso.
Mi sembra che dentro di lei ci sia ancora una speranza, anche se soffocata dalla rabbia e dalla delusione. Il desiderio di dare un nome a ciò che le è successo e la voglia di "scattare" per tornare a una vita più piena sono segnali che il suo percorso, per quanto doloroso, non è bloccato del tutto. Forse il primo passo potrebbe essere provare a riformulare l’idea di "danno" non come qualcosa di irreversibile, ma come un’esperienza che può essere esplorata in modi nuovi, magari con un terapeuta che la aiuti a trovare le parole giuste senza il timore di non essere compresa.
Mi colpisce molto il fatto che, pur vivendo questa esperienza di isolamento e di estraneità, lei continui a cercare risposte, soluzioni, modi per andare avanti. Questo significa che, anche nel suo dolore, c’è una parte di lei che vuole ancora capire, che cerca un appiglio per non rassegnarsi.
Il modo in cui descrive la sua dissociazione è molto particolare, quasi come se avesse sviluppato una struttura mentale alternativa che ora la imprigiona. Il problema non è solo il sintomo in sé, ma il fatto che si sente incapace di comunicarlo, di dargli un nome, come se fosse una condizione che sfugge a qualsiasi spiegazione razionale. Questo può essere molto frustrante, perché impedisce anche agli altri di aiutarla nel modo giusto.
Partiamo da un punto fondamentale: non è vero che non può fare nulla con la psicoterapia. Il fatto che in passato abbia avuto difficoltà a trovare un linguaggio per esprimere la sua esperienza non significa che sia impossibile. Forse non ha ancora trovato il contesto terapeutico adatto, oppure il percorso fatto non è stato costruito su strumenti che potessero aiutarla davvero.
Vale la pena provare a cercare un terapeuta esperto in disturbi dissociativi, qualcuno che possa aiutarla senza pretendere da lei spiegazioni perfette fin da subito.
Per quanto riguarda il lavoro e la possibilità di accedere alle categorie protette, può essere un’opzione utile per avere un supporto concreto e per ridurre il carico di aspettative che oggi la schiaccia. Se il lavoro “normale” la mette in difficoltà, avere un impiego con tutele maggiori potrebbe aiutarla a mantenere una certa stabilità senza sentirsi costantemente sotto pressione. Non significa arrendersi o etichettarsi come “incapace”, ma semplicemente riconoscere che in questo momento ha bisogno di condizioni che le permettano di funzionare meglio.
L’idea di richiedere un’invalidità al 100% sembra legata a una forte sfiducia nel futuro, come se si vedesse senza via d’uscita. Ma è davvero così?
Il fatto che valuti il gesto estremo è un segnale molto serio, e proprio per questo non deve rimanere sola con questi pensieri. Anche se oggi sente di non avere risorse, la verità è che il suo desiderio di dare un nome a ciò che sta vivendo è già una risorsa.
Forse la strada non è quella di “tornare” a una normalità che oggi le sembra irraggiungibile, ma di costruire un nuovo equilibrio, senza pretendere di forzare la mente in uno stato che non sente più suo. La psicoterapia può ancora aiutarla, magari con un approccio diverso. Intanto, anche cercare una rete di supporto, come gruppi di auto-aiuto per persone con esperienze dissociative, potrebbe darle la possibilità di sentirsi meno sola in tutto questo.
Non smetta di cercare aiuto. C’è ancora qualcosa da fare!
Il modo in cui descrive la sua dissociazione è molto particolare, quasi come se avesse sviluppato una struttura mentale alternativa che ora la imprigiona. Il problema non è solo il sintomo in sé, ma il fatto che si sente incapace di comunicarlo, di dargli un nome, come se fosse una condizione che sfugge a qualsiasi spiegazione razionale. Questo può essere molto frustrante, perché impedisce anche agli altri di aiutarla nel modo giusto.
Partiamo da un punto fondamentale: non è vero che non può fare nulla con la psicoterapia. Il fatto che in passato abbia avuto difficoltà a trovare un linguaggio per esprimere la sua esperienza non significa che sia impossibile. Forse non ha ancora trovato il contesto terapeutico adatto, oppure il percorso fatto non è stato costruito su strumenti che potessero aiutarla davvero.
Vale la pena provare a cercare un terapeuta esperto in disturbi dissociativi, qualcuno che possa aiutarla senza pretendere da lei spiegazioni perfette fin da subito.
Per quanto riguarda il lavoro e la possibilità di accedere alle categorie protette, può essere un’opzione utile per avere un supporto concreto e per ridurre il carico di aspettative che oggi la schiaccia. Se il lavoro “normale” la mette in difficoltà, avere un impiego con tutele maggiori potrebbe aiutarla a mantenere una certa stabilità senza sentirsi costantemente sotto pressione. Non significa arrendersi o etichettarsi come “incapace”, ma semplicemente riconoscere che in questo momento ha bisogno di condizioni che le permettano di funzionare meglio.
L’idea di richiedere un’invalidità al 100% sembra legata a una forte sfiducia nel futuro, come se si vedesse senza via d’uscita. Ma è davvero così?
Il fatto che valuti il gesto estremo è un segnale molto serio, e proprio per questo non deve rimanere sola con questi pensieri. Anche se oggi sente di non avere risorse, la verità è che il suo desiderio di dare un nome a ciò che sta vivendo è già una risorsa.
Forse la strada non è quella di “tornare” a una normalità che oggi le sembra irraggiungibile, ma di costruire un nuovo equilibrio, senza pretendere di forzare la mente in uno stato che non sente più suo. La psicoterapia può ancora aiutarla, magari con un approccio diverso. Intanto, anche cercare una rete di supporto, come gruppi di auto-aiuto per persone con esperienze dissociative, potrebbe darle la possibilità di sentirsi meno sola in tutto questo.
Non smetta di cercare aiuto. C’è ancora qualcosa da fare!
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Buongiorno, potrebbe essere utile un lavoro psico-corporeo e l'approccio psicoterapeutico fornito dall'analisi bioenergetica che la aiuti a riconnettersi con il corpo e con le memorie corporee ad esso associate. Resto a disposizione per eventuali altre specifiche anche online.
Buongiorno,
In casi come il suo la farmacoterapia e la psicoterapia devono camminare di pari passo. Non è chiaro il motivo per cui abbia interrotto la psicoterapia quando dice è andata male. Riprenda un percorso psicologico, la aiuterà a definire meglio le problematiche da cui è accompagnata, e a trovare strategie utili al miglioramento della qualità della vita.
Cordiali saluti
Dott. Diego Ferrara
In casi come il suo la farmacoterapia e la psicoterapia devono camminare di pari passo. Non è chiaro il motivo per cui abbia interrotto la psicoterapia quando dice è andata male. Riprenda un percorso psicologico, la aiuterà a definire meglio le problematiche da cui è accompagnata, e a trovare strategie utili al miglioramento della qualità della vita.
Cordiali saluti
Dott. Diego Ferrara
Buonasera, darsi come obiettivo, la categoria protetta che non vuole, rischia di farla sentire ancora di più senza via di uscita. Inoltre se non riesce a descrivere il suo stato interno a parole, non è un problema suo ma una difficoltà che deve assumersi chi la prende in carico. Occorrerebbe una valutazione psichiatrica e probabilmente un nuovo approccio terapeutico se con il precedente non ci sono margini di proseguire. Non conosco la sua problematica e i suoi vissuti ma penso che potrebbe esserle utile un approccio Emdr. Valuti insieme ad un professionista le vie possibili verso il benessere.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Salve,
quello che descrive è un vissuto molto intenso e profondo, che merita ascolto e attenzione. Anche se oggi può sembrare tutto bloccato e senza via d’uscita, non significa che non ci sia spazio per trovare sollievo o nuove direzioni. Il suo desiderio di dare un nome a ciò che vive è già un passo importante. Può essere utile cercare un* professionista con esperienza in stati dissociativi complessi, con cui lavorare con calma e senza pressioni, anche solo per ritrovare un linguaggio condiviso. Riguardo le categorie protette o l’invalidità, sono strumenti che possono offrire tutela e non definiscono il valore della persona. Lei sta già facendo uno sforzo enorme per capire e sopravvivere: merita supporto, non giudizio.
Un caro saluto.
quello che descrive è un vissuto molto intenso e profondo, che merita ascolto e attenzione. Anche se oggi può sembrare tutto bloccato e senza via d’uscita, non significa che non ci sia spazio per trovare sollievo o nuove direzioni. Il suo desiderio di dare un nome a ciò che vive è già un passo importante. Può essere utile cercare un* professionista con esperienza in stati dissociativi complessi, con cui lavorare con calma e senza pressioni, anche solo per ritrovare un linguaggio condiviso. Riguardo le categorie protette o l’invalidità, sono strumenti che possono offrire tutela e non definiscono il valore della persona. Lei sta già facendo uno sforzo enorme per capire e sopravvivere: merita supporto, non giudizio.
Un caro saluto.
Gentile utente,
mi dispiace molto per la sofferenza che sta vivendo e comprendo quanto possa essere frustrante sentirsi intrappolati in una condizione che sembra non avere via d'uscita. Il fatto che lei abbia cercato aiuto in passato dimostra una grande forza, e nonostante le difficoltà, sta ancora cercando soluzioni per il suo benessere.
La dissociazione, soprattutto quando si accompagna a una sensazione di irrealtà e di difficoltà nel comunicare il proprio vissuto, può essere estremamente destabilizzante. È comprensibile che il tentativo di dare un nome a ciò che sta vivendo possa rappresentare un sollievo, ma al di là dell’etichetta diagnostica, ciò che conta è trovare un percorso che le permetta di recuperare un senso di stabilità e di connessione con la realtà.
Dal suo racconto emergono molte aree della sua vita che le causano sofferenza: le relazioni, il lavoro, la mancanza di autonomia, il ritiro sociale. Affrontare tutto insieme può essere opprimente, per cui potrebbe essere utile provare a individuare piccoli passi concreti e sostenibili, uno alla volta.
Per quanto riguarda le categorie protette e l’invalidità, potrebbe essere una strada da esplorare, soprattutto se le difficoltà cognitive e dissociative le impediscono di lavorare con continuità. Questo non significa arrendersi o etichettarsi in modo negativo, ma riconoscere che in certi momenti della vita avere un supporto strutturato può fare la differenza. Potrebbe confrontarsi con un medico o un assistente sociale per valutare le possibilità più adatte alla sua situazione.
Infine, il pensiero ricorrente a un gesto estremo è un segnale che non dovrebbe affrontare da sola. Se sente di non riuscire a gestire questa sofferenza, le consiglio di contattare immediatamente un professionista della salute mentale o un servizio di emergenza. Esistono persone disposte ad aiutarla, anche nei momenti in cui tutto sembra insormontabile.
Non è sola in questo percorso, e anche se ora le sembra impossibile, ci sono ancora strade da percorrere.
Un caro saluto. Dott.ssa Maria Elena Rossler
mi dispiace molto per la sofferenza che sta vivendo e comprendo quanto possa essere frustrante sentirsi intrappolati in una condizione che sembra non avere via d'uscita. Il fatto che lei abbia cercato aiuto in passato dimostra una grande forza, e nonostante le difficoltà, sta ancora cercando soluzioni per il suo benessere.
La dissociazione, soprattutto quando si accompagna a una sensazione di irrealtà e di difficoltà nel comunicare il proprio vissuto, può essere estremamente destabilizzante. È comprensibile che il tentativo di dare un nome a ciò che sta vivendo possa rappresentare un sollievo, ma al di là dell’etichetta diagnostica, ciò che conta è trovare un percorso che le permetta di recuperare un senso di stabilità e di connessione con la realtà.
Dal suo racconto emergono molte aree della sua vita che le causano sofferenza: le relazioni, il lavoro, la mancanza di autonomia, il ritiro sociale. Affrontare tutto insieme può essere opprimente, per cui potrebbe essere utile provare a individuare piccoli passi concreti e sostenibili, uno alla volta.
Per quanto riguarda le categorie protette e l’invalidità, potrebbe essere una strada da esplorare, soprattutto se le difficoltà cognitive e dissociative le impediscono di lavorare con continuità. Questo non significa arrendersi o etichettarsi in modo negativo, ma riconoscere che in certi momenti della vita avere un supporto strutturato può fare la differenza. Potrebbe confrontarsi con un medico o un assistente sociale per valutare le possibilità più adatte alla sua situazione.
Infine, il pensiero ricorrente a un gesto estremo è un segnale che non dovrebbe affrontare da sola. Se sente di non riuscire a gestire questa sofferenza, le consiglio di contattare immediatamente un professionista della salute mentale o un servizio di emergenza. Esistono persone disposte ad aiutarla, anche nei momenti in cui tutto sembra insormontabile.
Non è sola in questo percorso, e anche se ora le sembra impossibile, ci sono ancora strade da percorrere.
Un caro saluto. Dott.ssa Maria Elena Rossler
Buongiorno, mi sembra di capire che Lei abbia bisogno di strumenti interni che Le permettano di "arrangiare/riallineare" il Suo modo di sentire, pensare e fare nelle situazioni ed esperienze della Sua vita. Con i pazienti che soffrono delle Sue difficoltà lavoriamo insieme con percorsi settimanali seguendo un processo che attraverso il terapeuta ( nel mio caso me) dà gli strumenti alle persone per farlo. Partendo dalla letteratura scientifica e dall'esperienza clinica ho pubblicato un libro che credo possa esserLe utile e per questo mi permetto di suggerirglielo: "Mi aggiorno o mi adatto? Essere felici è un gioco, basta conoscere le regole. Richard Eugen Unterrichter" lo trova facilmente su Amazon anche facendo copia/incolla. Spero di esserLe stato utile : )
Mi dispiace sentire della profondità del tuo dolore e delle difficoltà che stai vivendo. La tua situazione sembra essere davvero complessa e carica di sofferenza. Cercherò di rispondere in modo delicato, tenendo conto della difficoltà di ciò che stai descrivendo e cercando di dare alcune riflessioni che possano aiutarti a orientarti in questo momento di grande incertezza.
1. Riconoscimento della tua sofferenza e della tua esperienza
Prima di tutto, è fondamentale riconoscere che ciò che stai vivendo è doloroso e che la tua esperienza non è facile da spiegare o da comprendere pienamente, anche per chi ti circonda. L'esperienza di dissociazione che hai vissuto, con l'uso di pratiche meditative in modo distorto, sembra averti portato a una condizione in cui la percezione della realtà e la connessione con te stessa sono compromesse. Questo crea una sensazione di alienazione, di "non essere nel mondo", e può essere estenuante e confusa, come hai descritto.
L'importante è che tu riconosca il dolore che provi. La confusione che senti è reale e valida, e non è qualcosa che puoi semplicemente "superare" o "nascondere". È legittimo sentirsi persa, disconnessa, e sopraffatta da esperienze che sembrano impossibili da descrivere. Non devi né sentirti obbligata a trovare una soluzione immediata né a forzarti a comprendere tutto in questo momento. A volte, il primo passo è semplicemente accettare il dolore e la confusione senza giudicarli, permettendo a te stessa di sentirli.
2. Il percorso terapeutico: risorse e difficoltà
Capisco la tua frustrazione nei confronti della psicoterapia. Quando una terapia non sembra dare i frutti sperati o quando il terapeuta non riesce a comprendere appieno quello che stai vivendo, la sensazione di impotenza aumenta. La difficoltà a descrivere il tuo stato mentale e a renderlo comprensibile è una lotta comune per molte persone che vivono esperienze psicologiche complesse, in particolare quando si tratta di dissociazione o di esperienze distorte della realtà. Potresti trovare utile lavorare con un terapeuta che abbia esperienza specifica in disturbi dissociativi o che adotti un approccio integrato e flessibile, che ti aiuti a esplorare queste esperienze senza doverle "risolvere" immediatamente. Il fatto che non riesci a descrivere completamente il tuo stato mentale non significa che non sia possibile affrontarlo, ma solo che il processo terapeutico deve essere adattato alle tue esigenze.
3. La questione dell'invalidità e delle categorie protette
Capisco che l'idea di chiedere un’invalidità ti faccia sentire ambivalente: da un lato può sembrare una forma di accettazione della tua condizione, ma dall'altro porta con sé sentimenti di rabbia e di disprezzo per te stessa. È una lotta complessa. Da un punto di vista pratico, le categorie protette potrebbero darti la possibilità di accedere a un supporto economico e lavorativo, ma non risolverebbero il problema del tuo disagio psicologico. Quello che potrebbe offrirti un'opportunità di stabilità, come un reddito fisso o un lavoro in un ambiente che riconosce le tue difficoltà, non affronta direttamente la sofferenza interiore che provi.
La psicoterapia potrebbe ancora essere utile, anche se la situazione sembra difficile. Forse, piuttosto che concentrarti sulla diagnosi, potresti focalizzarti sul "come" ti senti nel qui e ora. Potrebbe essere utile chiedere aiuto per ricostruire una connessione più sana con la realtà, magari a partire dalle piccole cose che puoi ancora fare, senza la pressione di avere risposte definitive.
4. Il suicidio come pensiero ricorrente
Parlare di pensieri suicidari è molto importante. Se in questo momento ti senti sopraffatta da questi pensieri, è fondamentale cercare un supporto immediato. Parlare con qualcuno che ti ascolti senza giudizio, come un professionista o una persona di fiducia, può essere un passo importante per sentirti meno sola in questo processo. In questi momenti, il pensiero di voler uscire dal dolore è comprensibile, ma la tua vita ha valore e ci sono risorse per affrontare la sofferenza anche quando sembra impossibile.
5. Affrontare il distacco mentale
Il distacco mentale che descrivi, l’incapacità di fare collegamenti logici, la sensazione di non riuscire a comprendere nemmeno cose semplici, sono segni di un disagio psicologico profondo. In questi momenti, cercare di forzare te stessa a "funzionare" come prima potrebbe peggiorare la situazione. È importante darti il permesso di essere in questo stato senza dover trovare subito soluzioni. Prendersi cura di sé a livello pratico, anche nei piccoli passi quotidiani, come mantenere una routine di sonno regolare, cercare attività che ti rilassino o ti diano piacere anche se minime, potrebbe essere più utile che cercare di "curare" tutto a livello razionale.
6. Un passo alla volta
A volte, quando ci sentiamo totalmente persi, il miglior approccio è concentrarsi sul presente. Non cercare di "guarire" tutto subito, ma prendersi cura di sé in piccoli modi. Piccole cose che ti danno conforto o che ti connettono alla realtà, anche se momentaneamente. Potresti cercare di rimanere connessa a te stessa attraverso attività semplici, come leggere qualcosa che ti piace o fare una passeggiata, non pensando al "lavoro" che devi fare sulla tua psiche, ma piuttosto cercando di tornare alla vita, lentamente.
7. Possibili soluzioni future
Esplorare nuove forme di supporto, come l'approccio psicoanalitico per il trattamento della dissociazione, la mindfulness o altre forme di meditazione guidata che ti riportano gradualmente alla realtà, potrebbero essere utili. In ogni caso, l'importante è non rimanere isolata, anche se ti sembra difficile connetterti con gli altri.
Il cammino è difficile, ma c'è ancora la possibilità di trovare soluzioni per la tua sofferenza. La tua vita ha valore, e ci sono molte persone e risorse che possono aiutarti a percorrere questo difficile cammino.
1. Riconoscimento della tua sofferenza e della tua esperienza
Prima di tutto, è fondamentale riconoscere che ciò che stai vivendo è doloroso e che la tua esperienza non è facile da spiegare o da comprendere pienamente, anche per chi ti circonda. L'esperienza di dissociazione che hai vissuto, con l'uso di pratiche meditative in modo distorto, sembra averti portato a una condizione in cui la percezione della realtà e la connessione con te stessa sono compromesse. Questo crea una sensazione di alienazione, di "non essere nel mondo", e può essere estenuante e confusa, come hai descritto.
L'importante è che tu riconosca il dolore che provi. La confusione che senti è reale e valida, e non è qualcosa che puoi semplicemente "superare" o "nascondere". È legittimo sentirsi persa, disconnessa, e sopraffatta da esperienze che sembrano impossibili da descrivere. Non devi né sentirti obbligata a trovare una soluzione immediata né a forzarti a comprendere tutto in questo momento. A volte, il primo passo è semplicemente accettare il dolore e la confusione senza giudicarli, permettendo a te stessa di sentirli.
2. Il percorso terapeutico: risorse e difficoltà
Capisco la tua frustrazione nei confronti della psicoterapia. Quando una terapia non sembra dare i frutti sperati o quando il terapeuta non riesce a comprendere appieno quello che stai vivendo, la sensazione di impotenza aumenta. La difficoltà a descrivere il tuo stato mentale e a renderlo comprensibile è una lotta comune per molte persone che vivono esperienze psicologiche complesse, in particolare quando si tratta di dissociazione o di esperienze distorte della realtà. Potresti trovare utile lavorare con un terapeuta che abbia esperienza specifica in disturbi dissociativi o che adotti un approccio integrato e flessibile, che ti aiuti a esplorare queste esperienze senza doverle "risolvere" immediatamente. Il fatto che non riesci a descrivere completamente il tuo stato mentale non significa che non sia possibile affrontarlo, ma solo che il processo terapeutico deve essere adattato alle tue esigenze.
3. La questione dell'invalidità e delle categorie protette
Capisco che l'idea di chiedere un’invalidità ti faccia sentire ambivalente: da un lato può sembrare una forma di accettazione della tua condizione, ma dall'altro porta con sé sentimenti di rabbia e di disprezzo per te stessa. È una lotta complessa. Da un punto di vista pratico, le categorie protette potrebbero darti la possibilità di accedere a un supporto economico e lavorativo, ma non risolverebbero il problema del tuo disagio psicologico. Quello che potrebbe offrirti un'opportunità di stabilità, come un reddito fisso o un lavoro in un ambiente che riconosce le tue difficoltà, non affronta direttamente la sofferenza interiore che provi.
La psicoterapia potrebbe ancora essere utile, anche se la situazione sembra difficile. Forse, piuttosto che concentrarti sulla diagnosi, potresti focalizzarti sul "come" ti senti nel qui e ora. Potrebbe essere utile chiedere aiuto per ricostruire una connessione più sana con la realtà, magari a partire dalle piccole cose che puoi ancora fare, senza la pressione di avere risposte definitive.
4. Il suicidio come pensiero ricorrente
Parlare di pensieri suicidari è molto importante. Se in questo momento ti senti sopraffatta da questi pensieri, è fondamentale cercare un supporto immediato. Parlare con qualcuno che ti ascolti senza giudizio, come un professionista o una persona di fiducia, può essere un passo importante per sentirti meno sola in questo processo. In questi momenti, il pensiero di voler uscire dal dolore è comprensibile, ma la tua vita ha valore e ci sono risorse per affrontare la sofferenza anche quando sembra impossibile.
5. Affrontare il distacco mentale
Il distacco mentale che descrivi, l’incapacità di fare collegamenti logici, la sensazione di non riuscire a comprendere nemmeno cose semplici, sono segni di un disagio psicologico profondo. In questi momenti, cercare di forzare te stessa a "funzionare" come prima potrebbe peggiorare la situazione. È importante darti il permesso di essere in questo stato senza dover trovare subito soluzioni. Prendersi cura di sé a livello pratico, anche nei piccoli passi quotidiani, come mantenere una routine di sonno regolare, cercare attività che ti rilassino o ti diano piacere anche se minime, potrebbe essere più utile che cercare di "curare" tutto a livello razionale.
6. Un passo alla volta
A volte, quando ci sentiamo totalmente persi, il miglior approccio è concentrarsi sul presente. Non cercare di "guarire" tutto subito, ma prendersi cura di sé in piccoli modi. Piccole cose che ti danno conforto o che ti connettono alla realtà, anche se momentaneamente. Potresti cercare di rimanere connessa a te stessa attraverso attività semplici, come leggere qualcosa che ti piace o fare una passeggiata, non pensando al "lavoro" che devi fare sulla tua psiche, ma piuttosto cercando di tornare alla vita, lentamente.
7. Possibili soluzioni future
Esplorare nuove forme di supporto, come l'approccio psicoanalitico per il trattamento della dissociazione, la mindfulness o altre forme di meditazione guidata che ti riportano gradualmente alla realtà, potrebbero essere utili. In ogni caso, l'importante è non rimanere isolata, anche se ti sembra difficile connetterti con gli altri.
Il cammino è difficile, ma c'è ancora la possibilità di trovare soluzioni per la tua sofferenza. La tua vita ha valore, e ci sono molte persone e risorse che possono aiutarti a percorrere questo difficile cammino.
Mi dispiace molto sentire che stai attraversando questo periodo così difficile. Le tue esperienze di dissociazione, la difficoltà a esprimere il danno subito e l’isolamento sono comprensibili, ma è importante sapere che c'è ancora speranza e opzioni da esplorare.
Per quanto riguarda la psicoterapia, potrebbe essere utile cercare un terapeuta che si specializza in dissociazione o disturbi legati a esperienze traumatiche. A volte la psicoterapia tradizionale non basta, e approcci come la terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) o la terapia del trauma possono aiutare a rielaborare le esperienze difficili. Parla con il tuo psichiatra o cerca un altro professionista che possa supportarti meglio nella comprensione e nel trattamento della dissociazione.
Per quanto riguarda il lavoro e la vita quotidiana, le categorie protette possono essere un’opzione, ma è importante che tu senta di poter affrontare e trovare un equilibrio in questa condizione. Non devi affrontare tutto da sola, e ottenere il giusto supporto psicologico e sociale può fare una grande differenza.
La sensazione di “danno” che descrivi merita attenzione. L’importante è continuare a cercare il giusto aiuto e non arrendersi, anche se i progressi possono sembrare lenti. Se i pensieri di gesti estremi persistono, è fondamentale parlarne con un professionista. La tua salute mentale è importante, e ci sono modi per affrontare questa fase difficile.
Per quanto riguarda la psicoterapia, potrebbe essere utile cercare un terapeuta che si specializza in dissociazione o disturbi legati a esperienze traumatiche. A volte la psicoterapia tradizionale non basta, e approcci come la terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) o la terapia del trauma possono aiutare a rielaborare le esperienze difficili. Parla con il tuo psichiatra o cerca un altro professionista che possa supportarti meglio nella comprensione e nel trattamento della dissociazione.
Per quanto riguarda il lavoro e la vita quotidiana, le categorie protette possono essere un’opzione, ma è importante che tu senta di poter affrontare e trovare un equilibrio in questa condizione. Non devi affrontare tutto da sola, e ottenere il giusto supporto psicologico e sociale può fare una grande differenza.
La sensazione di “danno” che descrivi merita attenzione. L’importante è continuare a cercare il giusto aiuto e non arrendersi, anche se i progressi possono sembrare lenti. Se i pensieri di gesti estremi persistono, è fondamentale parlarne con un professionista. La tua salute mentale è importante, e ci sono modi per affrontare questa fase difficile.
Buongiorno,
crdo che prima di tutto sia necessario una vlutazione più centrata del disturbo di dissociazione. Non capisco perche non sia possibile un percorso psicoterapeutico per il disturbo dissociativo ( se di quello si tratta, non è corretto fare diagnosi con queste informazioni). Le consiglio di rivolgersi a un professionissta competente che possa aiutarla a comprendere il suo funzionamento e a districarsi nelle celte, ffrnt5ando gli stati emotivi che la investono. Riguardo alla richiesta di invcalidità ocorre valutare sia l'efficacia pratia di questa soluzione (c'è un bisogno economico, di tutela supporto?) sia l'impatto emotivo sogggettivo che questa scelta implica.
crdo che prima di tutto sia necessario una vlutazione più centrata del disturbo di dissociazione. Non capisco perche non sia possibile un percorso psicoterapeutico per il disturbo dissociativo ( se di quello si tratta, non è corretto fare diagnosi con queste informazioni). Le consiglio di rivolgersi a un professionissta competente che possa aiutarla a comprendere il suo funzionamento e a districarsi nelle celte, ffrnt5ando gli stati emotivi che la investono. Riguardo alla richiesta di invcalidità ocorre valutare sia l'efficacia pratia di questa soluzione (c'è un bisogno economico, di tutela supporto?) sia l'impatto emotivo sogggettivo che questa scelta implica.
Buongiorno, grazie della condivisione, non deve essere facile. Da quello che racconta mi sembra che lei si trova a vivere delle sensazioni e una visione del mondo che fa fatica a descrivere e comprendere. Quello che mi sento di consigliarla è di contattare un professionista che possa aiutarla in questo percorso. Non si preoccupi di queste difficoltà e della poca chiarezza, si ricordi che è nostra responsabilità - in quanto psicoterapeuti - aiutare il paziente a identificare, definire e raccontare quello che sta vivendo e le sue percezioni. Spesso è proprio quello il percorso da fare e il sintomo stesso riportato. Sarebbe come dire, altrimenti, a un malato con la febbre di non avere la febbre.
Potrebbe essere importante che lei possa anche ridefinire e comprendere quanto successo nella precedente terapia.
Altrimenti, un'altra possibile soluzione da valutare è quella che lei dice di accettare quanto successo ed essere aiutata ad avere dei sostegni e dei supporti non solo emotivi, ma proprio pratici, ad esempio economici tramite una pensione di invalidità o altro. Anche in questo caso è comunque responsabilità dello psichiatra o dello psicoterapeuta gestire la situazione e aiutarla in tal senso. Consideri che questi interventi possono essere implementati anche tutti insieme, non si escludono.
Tuttavia, per prendere queste decisioni è importante che lei possa contattare dei professionisti per valutare il da farsi - è complesso farla da sola - e pensare a un progetto terapeutico tarato su di lei. Le consiglierei in tal senso di fare una consultazione (3-4 incontri) con un professionista che possa aiutarla ad orientarsi, anche nel pubblico (nella sua asl di competenza). Spero di essere stato di aiuto
Potrebbe essere importante che lei possa anche ridefinire e comprendere quanto successo nella precedente terapia.
Altrimenti, un'altra possibile soluzione da valutare è quella che lei dice di accettare quanto successo ed essere aiutata ad avere dei sostegni e dei supporti non solo emotivi, ma proprio pratici, ad esempio economici tramite una pensione di invalidità o altro. Anche in questo caso è comunque responsabilità dello psichiatra o dello psicoterapeuta gestire la situazione e aiutarla in tal senso. Consideri che questi interventi possono essere implementati anche tutti insieme, non si escludono.
Tuttavia, per prendere queste decisioni è importante che lei possa contattare dei professionisti per valutare il da farsi - è complesso farla da sola - e pensare a un progetto terapeutico tarato su di lei. Le consiglierei in tal senso di fare una consultazione (3-4 incontri) con un professionista che possa aiutarla ad orientarsi, anche nel pubblico (nella sua asl di competenza). Spero di essere stato di aiuto
Gentilissima,
quello che Lei racconta è un vissuto di straordinaria complessità e profondità che merita rispetto e ascolto. Lei descrive un “danno” che pare avere la forma di una soglia non oltrepassata, un varco aperto che non si è più richiuso, lasciandola in bilico tra mondi. Non è sola in questa incomunicabilità; il dolore che non trova le parole è tra le esperienze più comuni e più profonde nella psiche umana. Forse non è la psicoterapia a essere fallita, ma è stato il linguaggio usato finora a non riuscire ad accoglierla nel suo vissuto più radicale. Accedere alle categorie protette non è una resa: è chiedere al mondo uno spazio meno giudicante, più accessibile. Un caro saluto,
Dott. Fabio di Guglielmo
quello che Lei racconta è un vissuto di straordinaria complessità e profondità che merita rispetto e ascolto. Lei descrive un “danno” che pare avere la forma di una soglia non oltrepassata, un varco aperto che non si è più richiuso, lasciandola in bilico tra mondi. Non è sola in questa incomunicabilità; il dolore che non trova le parole è tra le esperienze più comuni e più profonde nella psiche umana. Forse non è la psicoterapia a essere fallita, ma è stato il linguaggio usato finora a non riuscire ad accoglierla nel suo vissuto più radicale. Accedere alle categorie protette non è una resa: è chiedere al mondo uno spazio meno giudicante, più accessibile. Un caro saluto,
Dott. Fabio di Guglielmo
Quanto dolore traspare dalla sua descrizione. Difficile dare una risposta da lontano ma senz’altro metterei da parte la incredibile idea di chiedere una invalidità. La sento ancora giovane e con la mente veloce. Forse troppo. Io lavoro online e forse questo tipo di psicoterapia offre una giusta distanza a persone così ricche di interiorità,pensieri,desideri e paure. Mi contatti pure quando vuole. Buona serata
Buonasera, credo che la situazione che lei sta vivendo si sia complicata col tempo e col perdurare della sua condizione di frustrazione. E' difficile districarsi da soli quando si finisce in un groviglio a più strati: un aiuto esterno mi sembra indispensabile. Potrebbe cercare l'aiuto di una/un terapeuta che sia sensibile alle tematiche che lei ha contattato nelle sue esperienze di meditazione o altro. Qualcuno di cui lei possa fidarsi e col quale avere un confronto vero e libero da pregiudizi.
Nonostante la sua situazione sia delicata, credo che lei possa trovare una via d'uscita e una soluzione lavorando all'interno di una relazione terapeutica per lei soddisfacente.
Le auguro di stare meglio presto.
Un caro saluto
D.ssa Orietta Savelli
Nonostante la sua situazione sia delicata, credo che lei possa trovare una via d'uscita e una soluzione lavorando all'interno di una relazione terapeutica per lei soddisfacente.
Le auguro di stare meglio presto.
Un caro saluto
D.ssa Orietta Savelli
Comprendo la complessità – e la fatica – del quadro che descrive. Quando una pratica meditativa viene interiorizzata in modo “distorto” e diventa egosintonica, può produrre processi dissociativi rigidi: la mente si rifugia in una realtà parallela non perché sia “impazzita”, ma perché quel rifugio è apparso più tollerabile delle emozioni reali. Nel tempo, però, questo assetto si cronicizza e riduce le funzioni cognitive, l’efficacia lavorativa e la capacità di relazione.
1 | Inquadramento clinico
1. Dissociazione complessa
La condizione che descrive non ha i tratti di una psicosi vera e propria, ma di una dissociazione strutturale prolungata: parte della coscienza rimane ancorata a insights “spirituali” che non sono stati integrati emotivamente. Ne consegue la sensazione di “danno” irreversibile e di loop mentale.
Intervento mirato: approcci bottom-up (somatic experiencing, sensorimotor psychotherapy) e tecniche ipnotiche di reintegrazione possono lavorare senza richiedere descrizioni verbali dettagliate, partendo da immagini, sensazioni corporee e micro-movimenti.
2. Depressione resistente
Gli psicofarmaci che sta assumendo tamponano la caduta dell’umore, ma se salta la dose il sistema nervoso va in rimbalzo. Serve un review psichiatrico per calibrare stabilizzatore dell’umore + antipertensivo di supporto, in modo da ridurre al minimo i “crash” che la bloccano a letto.
3. Funzionamento cognitivo ridotto
Il vuoto mentale sul lavoro o nello studio deriva da iper-arousal limbico: quando il cervello percepisce minaccia interna (emozioni non integrate) riduce le funzioni frontali (logica, pianificazione). L’ipnosi terapeutica insegna a spostare il setpoint di sicurezza, facendo ricomparire l’accesso alle capacità intellettive in stato di calma.
2 | Prospettive lavorative e “categorie protette”
• Legge 68/1999 – collocamento mirato
Con invalidità civile ≥ 46 % può iscriversi alle liste delle categorie protette e ottenere percorsi di orientamento, formazione e incentivi all’assunzione dedicati a persone con disabilità psichiche o fisiche .
• Assegno mensile di assistenza
Se la commissione medica riconosce una riduzione della capacità lavorativa ≥ 74 % è previsto un sostegno economico INPS .
• Percentuale “100 %”
Non è indispensabile. Un’invalidità fra il 50 e il 79 % permette comunque il collocamento mirato; superare il 74 % aggiunge il beneficio economico.
Perché valutare le categorie protette?
1. Le consentono di accedere a datori di lavoro obbligati a riservare posti e a prevedere mansioni compatibili col profilo cognitivo-emotivo.
2. Riducono la pressione prestazionale: il contratto di inserimento prevede tutoraggio e monitoraggio dello stress lavoro-correlato.
3. Offrono tempo: un reddito, anche minimo, crea margine per la riabilitazione psicologica senza il panico della sopravvivenza immediata.
3 | Passi operativi immediati
1. Richieda l’accertamento di invalidità civile attraverso il suo medico di base; in parallelo prenda contatto con un patronato che la segue nelle pratiche INPS.
2. Mantenga la terapia farmacologica senza interruzioni improvvise. Ogni variazione va concordata: il “vuoto” che avverte è aggravato da fluttuazioni neurochimiche.
3. Diario non verbale
Se spiegare a parole è impossibile, usi disegni, mappe mentali o registrazioni audio di flusso di coscienza: materiale grezzo che in seduta può tradursi in contenuto elaborabile.
4. Micro-routine corporee
Al risveglio: tre minuti di stretching e tre respiri lenti (inspiro 4 s, espiro 6 s) per segnalare al sistema nervoso che è in sicurezza; chiude la giornata con lo stesso rituale.
4 | Perché la psicoterapia non è “finita male”
Una psicoterapia può fallire quando la tecnica non si adatta al tipo di trauma o quando il paziente non ha strumenti per verbalizzare. Cambiare approccio non equivale a “aver sbagliato”, significa trovare la chiave giusta per la fase di vita attuale. Tecniche ipnotiche, EMDR o IFS lavorano anche con stati non verbalizzati: non è obbligatorio “spiegare bene” prima di cominciare.
Invito concreto
Le propongo di programmare una seduta privata con me tramite la piattaforma MioDottore. In quel primo incontro:
1. Fisseremo obiettivi misurabili (ridurre il punteggio di dissociazione, aumentare l’autonomia funzionale).
2. Inizieremo una mappa sensoriale del suo “danno” per trasformarlo da entità nebulosa a fenomeno descrivibile.
3. Valuteremo insieme la documentazione necessaria per l’invalidità civile e l’iscrizione alle categorie protette, coordinandoci – se lo desidera – con il suo medico di base e con un patronato di fiducia.
Prenotare l’appuntamento è il passo che trasforma la speranza in un percorso strutturato di recupero e di reinserimento, con strumenti clinici avanzati e una supervisione costante. La accompagno, professionalmente, in ogni fase.
1 | Inquadramento clinico
1. Dissociazione complessa
La condizione che descrive non ha i tratti di una psicosi vera e propria, ma di una dissociazione strutturale prolungata: parte della coscienza rimane ancorata a insights “spirituali” che non sono stati integrati emotivamente. Ne consegue la sensazione di “danno” irreversibile e di loop mentale.
Intervento mirato: approcci bottom-up (somatic experiencing, sensorimotor psychotherapy) e tecniche ipnotiche di reintegrazione possono lavorare senza richiedere descrizioni verbali dettagliate, partendo da immagini, sensazioni corporee e micro-movimenti.
2. Depressione resistente
Gli psicofarmaci che sta assumendo tamponano la caduta dell’umore, ma se salta la dose il sistema nervoso va in rimbalzo. Serve un review psichiatrico per calibrare stabilizzatore dell’umore + antipertensivo di supporto, in modo da ridurre al minimo i “crash” che la bloccano a letto.
3. Funzionamento cognitivo ridotto
Il vuoto mentale sul lavoro o nello studio deriva da iper-arousal limbico: quando il cervello percepisce minaccia interna (emozioni non integrate) riduce le funzioni frontali (logica, pianificazione). L’ipnosi terapeutica insegna a spostare il setpoint di sicurezza, facendo ricomparire l’accesso alle capacità intellettive in stato di calma.
2 | Prospettive lavorative e “categorie protette”
• Legge 68/1999 – collocamento mirato
Con invalidità civile ≥ 46 % può iscriversi alle liste delle categorie protette e ottenere percorsi di orientamento, formazione e incentivi all’assunzione dedicati a persone con disabilità psichiche o fisiche .
• Assegno mensile di assistenza
Se la commissione medica riconosce una riduzione della capacità lavorativa ≥ 74 % è previsto un sostegno economico INPS .
• Percentuale “100 %”
Non è indispensabile. Un’invalidità fra il 50 e il 79 % permette comunque il collocamento mirato; superare il 74 % aggiunge il beneficio economico.
Perché valutare le categorie protette?
1. Le consentono di accedere a datori di lavoro obbligati a riservare posti e a prevedere mansioni compatibili col profilo cognitivo-emotivo.
2. Riducono la pressione prestazionale: il contratto di inserimento prevede tutoraggio e monitoraggio dello stress lavoro-correlato.
3. Offrono tempo: un reddito, anche minimo, crea margine per la riabilitazione psicologica senza il panico della sopravvivenza immediata.
3 | Passi operativi immediati
1. Richieda l’accertamento di invalidità civile attraverso il suo medico di base; in parallelo prenda contatto con un patronato che la segue nelle pratiche INPS.
2. Mantenga la terapia farmacologica senza interruzioni improvvise. Ogni variazione va concordata: il “vuoto” che avverte è aggravato da fluttuazioni neurochimiche.
3. Diario non verbale
Se spiegare a parole è impossibile, usi disegni, mappe mentali o registrazioni audio di flusso di coscienza: materiale grezzo che in seduta può tradursi in contenuto elaborabile.
4. Micro-routine corporee
Al risveglio: tre minuti di stretching e tre respiri lenti (inspiro 4 s, espiro 6 s) per segnalare al sistema nervoso che è in sicurezza; chiude la giornata con lo stesso rituale.
4 | Perché la psicoterapia non è “finita male”
Una psicoterapia può fallire quando la tecnica non si adatta al tipo di trauma o quando il paziente non ha strumenti per verbalizzare. Cambiare approccio non equivale a “aver sbagliato”, significa trovare la chiave giusta per la fase di vita attuale. Tecniche ipnotiche, EMDR o IFS lavorano anche con stati non verbalizzati: non è obbligatorio “spiegare bene” prima di cominciare.
Invito concreto
Le propongo di programmare una seduta privata con me tramite la piattaforma MioDottore. In quel primo incontro:
1. Fisseremo obiettivi misurabili (ridurre il punteggio di dissociazione, aumentare l’autonomia funzionale).
2. Inizieremo una mappa sensoriale del suo “danno” per trasformarlo da entità nebulosa a fenomeno descrivibile.
3. Valuteremo insieme la documentazione necessaria per l’invalidità civile e l’iscrizione alle categorie protette, coordinandoci – se lo desidera – con il suo medico di base e con un patronato di fiducia.
Prenotare l’appuntamento è il passo che trasforma la speranza in un percorso strutturato di recupero e di reinserimento, con strumenti clinici avanzati e una supervisione costante. La accompagno, professionalmente, in ogni fase.
Salve, la a sensazione di essere bloccata in una dimensione mentale “altra”, distorta ma egosintonica, è spesso legata a meccanismi dissociativi che, come nel suo caso, possono diventare fonte di grande dolore e isolamento.
Il fatto che abbia già affrontato un percorso terapeutico, pur sentendolo incompleto o fallimentare, non significa che non esista una via nuova, più adatta alla sua sensibilità attuale. Le suggerisco di valutare un approccio di psicoterapia umanistica, che pone al centro la persona nella sua totalità, senza etichette rigide, con un’attenzione profonda alla sua esperienza soggettiva, al bisogno di autenticità e contatto reale. Lavorare in un setting accogliente, centrato sull'empatia e sull'accettazione incondizionata, può aiutarla a dare finalmente un nome a ciò che definisce “danno” e a ricostruire un senso di coerenza interna.
Per quanto riguarda il riconoscimento dell’invalidità o l’inserimento nelle categorie protette, potrebbe essere un sostegno temporaneo utile, ma non deve sentirsi definita da questo. È comprensibile la sua rabbia e il senso di fallimento, ma sono emozioni che meritano spazio per essere accolte e comprese, non soffocate.
La invito, se i pensieri autolesivi dovessero intensificarsi, a rivolgersi immediatamente al suo psichiatra o a un servizio d’urgenza. La sua vita ha valore, anche se in questo momento può sembrare altrimenti. C'è ancora spazio per un cambiamento, anche lento, anche imperfetto. La psicoterapia non è andata male: forse ha solo bisogno di un nuovo linguaggio per poterla realmente aiutare Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Il fatto che abbia già affrontato un percorso terapeutico, pur sentendolo incompleto o fallimentare, non significa che non esista una via nuova, più adatta alla sua sensibilità attuale. Le suggerisco di valutare un approccio di psicoterapia umanistica, che pone al centro la persona nella sua totalità, senza etichette rigide, con un’attenzione profonda alla sua esperienza soggettiva, al bisogno di autenticità e contatto reale. Lavorare in un setting accogliente, centrato sull'empatia e sull'accettazione incondizionata, può aiutarla a dare finalmente un nome a ciò che definisce “danno” e a ricostruire un senso di coerenza interna.
Per quanto riguarda il riconoscimento dell’invalidità o l’inserimento nelle categorie protette, potrebbe essere un sostegno temporaneo utile, ma non deve sentirsi definita da questo. È comprensibile la sua rabbia e il senso di fallimento, ma sono emozioni che meritano spazio per essere accolte e comprese, non soffocate.
La invito, se i pensieri autolesivi dovessero intensificarsi, a rivolgersi immediatamente al suo psichiatra o a un servizio d’urgenza. La sua vita ha valore, anche se in questo momento può sembrare altrimenti. C'è ancora spazio per un cambiamento, anche lento, anche imperfetto. La psicoterapia non è andata male: forse ha solo bisogno di un nuovo linguaggio per poterla realmente aiutare Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
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