Salve a tutti dottori, sono un ragazzo di 24 anni, e penso di soffrire di ansia sociale, ma non sol
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Salve a tutti dottori,
sono un ragazzo di 24 anni, e penso di soffrire di ansia sociale, ma non solo.
Dai miei 18 ai miei 24 anni ho avuto diverse ricadute mentali molto pensati, depressione, spaesatezza, depersonalizzazione, ma sopratutto distacco sociale.
Non riesco più a relazionarmi con nessuno, ho sempre problemi ha creare una conversazione fluida, impegnativa, o comunque dove si entri in empatia ambe due le parti.
Il 90% delle mie relazioni sociali si evolvono sempre in imbarazzo da parte di entrambi, ansia incontrollabile e una buona dose di silenzi infiniti.
Molte volte avrei davvero tante cose da dire, potrei fare monologhi interi, quando vado via mi vengono in mente miliardi di cose che potevo dire, e me ne faccio una colpa incredibile, per via della vocina autocritica nella mia testa che continua a farmi notare sempre quanto sia tutto sbagliato, ancor prima che qualcuno esterno possa davvero giudicare ciò che io abbia fatto in quella relazione, perché è come se fossi 2 volte sotto esame: Con gli altri, ma sopratutto con me stesso, il critico peggiore.
Ho provato diverse tecniche, dalla mindfullness alla meditazione, dal mental coaching al parlare con tante persone diverse in tanti contesti, dalle micro conversazioni alle macro conversazioni, e tutte le tecniche possibili ed immaginabili...ma sempre con lo stesso risultato.
Questa cosa mi attanaglia da troppo tempo, non sopporto più questo imbarazzo ad ogni relazione personale, non sopporto più il dover stare solo perché non riesco a comunicare, perché vado nel panico e perché mi sento sempre inadeguato.
Non sopporto più tutta questa angoscia, questa società che ci vuole perfetti, nonostante il concetto di perfezione sia lì per sé un concetto astratto e soggettivo, ma nel mio caso diventa oggettiva la mia imperfezione nel saper intraprendere una qualsiasi relazione sociale anche leggera.
Non ho più amici, e i pochi mi accontento e sopratutto non sono vere amicizie dove mi espongo, perché ho molta ansia anche del giudizio altrui, per via di tanti eventi passati che mi hanno segnato, che anche quando ho provato a superare, ho avuto sempre lo stesso responso per mia sfortuna.
Non parlo con nessuno delle mie cose personali per paura di appesantire, di dare ulteriore stress o di sembrare noioso e monotematico, ma sono sempre pronto ad ascoltare tutti nel mio piccolo, e dare tanto supporto anche quando sono a pezzi.
La verità è che ci sono troppo per gli altri e nessuno per me, e questa cosa mi spezza, perché mi fa sentire inadeguato.
Ma nonostante tutto non c'è un singolo istante in cui io mi sia fermato, ancora oggi combatto per risolvere questo mio problema, che anche avendo fatto diverse sedute psicologiche non sono ancora riuscito a risolvere, nonostante la anche troppa forza di volontà, tra diari per il controllo dei sentimenti, gestione ansia, e tutto ciò che ho già citato prima, oltre a tutti gli esercizi pratici che ho provato sempre a mettere in pratica, anche immediati se serviva.
Non riesco a capire cosa non vada in me, non riesco a capire perché sia così difficile una cosa che prima riusciva tranquillamente, una cosa che riesce a tutti bene...tranne a me.
Avrei tanto altro da dire, e penso di non aver esposto neanche il 10% dei problemi e delle autoriflessioni che faccio, però spero di aver dato una buona base per capire anche solo un pò il problema.
Grazie in anticipo a qualsiasi dottore presterà del tempo a questa mia storia, per me vale più di ogni altra cosa materiale lo stare bene con me stesso.
sono un ragazzo di 24 anni, e penso di soffrire di ansia sociale, ma non solo.
Dai miei 18 ai miei 24 anni ho avuto diverse ricadute mentali molto pensati, depressione, spaesatezza, depersonalizzazione, ma sopratutto distacco sociale.
Non riesco più a relazionarmi con nessuno, ho sempre problemi ha creare una conversazione fluida, impegnativa, o comunque dove si entri in empatia ambe due le parti.
Il 90% delle mie relazioni sociali si evolvono sempre in imbarazzo da parte di entrambi, ansia incontrollabile e una buona dose di silenzi infiniti.
Molte volte avrei davvero tante cose da dire, potrei fare monologhi interi, quando vado via mi vengono in mente miliardi di cose che potevo dire, e me ne faccio una colpa incredibile, per via della vocina autocritica nella mia testa che continua a farmi notare sempre quanto sia tutto sbagliato, ancor prima che qualcuno esterno possa davvero giudicare ciò che io abbia fatto in quella relazione, perché è come se fossi 2 volte sotto esame: Con gli altri, ma sopratutto con me stesso, il critico peggiore.
Ho provato diverse tecniche, dalla mindfullness alla meditazione, dal mental coaching al parlare con tante persone diverse in tanti contesti, dalle micro conversazioni alle macro conversazioni, e tutte le tecniche possibili ed immaginabili...ma sempre con lo stesso risultato.
Questa cosa mi attanaglia da troppo tempo, non sopporto più questo imbarazzo ad ogni relazione personale, non sopporto più il dover stare solo perché non riesco a comunicare, perché vado nel panico e perché mi sento sempre inadeguato.
Non sopporto più tutta questa angoscia, questa società che ci vuole perfetti, nonostante il concetto di perfezione sia lì per sé un concetto astratto e soggettivo, ma nel mio caso diventa oggettiva la mia imperfezione nel saper intraprendere una qualsiasi relazione sociale anche leggera.
Non ho più amici, e i pochi mi accontento e sopratutto non sono vere amicizie dove mi espongo, perché ho molta ansia anche del giudizio altrui, per via di tanti eventi passati che mi hanno segnato, che anche quando ho provato a superare, ho avuto sempre lo stesso responso per mia sfortuna.
Non parlo con nessuno delle mie cose personali per paura di appesantire, di dare ulteriore stress o di sembrare noioso e monotematico, ma sono sempre pronto ad ascoltare tutti nel mio piccolo, e dare tanto supporto anche quando sono a pezzi.
La verità è che ci sono troppo per gli altri e nessuno per me, e questa cosa mi spezza, perché mi fa sentire inadeguato.
Ma nonostante tutto non c'è un singolo istante in cui io mi sia fermato, ancora oggi combatto per risolvere questo mio problema, che anche avendo fatto diverse sedute psicologiche non sono ancora riuscito a risolvere, nonostante la anche troppa forza di volontà, tra diari per il controllo dei sentimenti, gestione ansia, e tutto ciò che ho già citato prima, oltre a tutti gli esercizi pratici che ho provato sempre a mettere in pratica, anche immediati se serviva.
Non riesco a capire cosa non vada in me, non riesco a capire perché sia così difficile una cosa che prima riusciva tranquillamente, una cosa che riesce a tutti bene...tranne a me.
Avrei tanto altro da dire, e penso di non aver esposto neanche il 10% dei problemi e delle autoriflessioni che faccio, però spero di aver dato una buona base per capire anche solo un pò il problema.
Grazie in anticipo a qualsiasi dottore presterà del tempo a questa mia storia, per me vale più di ogni altra cosa materiale lo stare bene con me stesso.
Quello che descrivi non è semplicemente ‘timidezza’: è il peso di una ansia sociale che si intreccia a una forte autocritica interiore. Tu stesso racconti di vivere due esami continui: quello degli altri e quello – ancora più severo – dentro di te. Questa dinamica porta inevitabilmente a imbarazzo, isolamento e senso di inadeguatezza. È importante che tu sappia che non sei ‘rotto’, né privo di risorse: anzi, la lucidità con cui descrivi i tuoi pensieri e la tenacia con cui hai già sperimentato strategie mostrano una grande resilienza. Il punto non è ‘fare di più’, ma imparare a spostare lo sguardo: dal bisogno di performance sociale alla possibilità di accogliere i tuoi limiti, senza che diventino giudizi assoluti su di te. Un percorso psicoterapeutico mirato – ad esempio di tipo cognitivo-comportamentale – può aiutarti a lavorare sia sulla gestione dell’ansia sia sulla voce critica interiore. È lì che si nasconde la vera prigione: liberarsi da quella voce non significa eliminare l’ansia, ma imparare a non lasciarsi più governare da essa.
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Ciao, grazie per aver condiviso con tanta sincerità e profondità quello che stai vivendo. Dal tuo racconto emerge chiaramente quanto questa sofferenza ti accompagni da anni e quanto impegno tu abbia già messo nel cercare di affrontarla. È importante riconoscere il valore della forza che stai dimostrando nel non arrenderti e nel continuare a cercare una strada per stare meglio.
Quello che descrivi — ansia sociale, senso di inadeguatezza, autocritica molto forte, difficoltà nel sentirsi a proprio agio nelle relazioni, vissuti depressivi e depersonalizzazione — sono aspetti che spesso si intrecciano tra loro e possono alimentarsi a vicenda, creando un circolo difficile da spezzare da soli. La voce critica interiore che ti accompagna sembra avere un ruolo molto rilevante, e questo può rendere ogni interazione ancora più pesante e dolorosa.
Hai già provato diverse strategie (mindfulness, meditazione, esercizi pratici, diari, coaching, tentativi di esposizione sociale), ma da quello che scrivi sembra che queste tecniche non abbiano trovato ancora il giusto spazio per darti sollievo profondo e duraturo. Questo non significa che non ci sia soluzione, ma che probabilmente serve un percorso mirato e personalizzato, che possa affrontare non solo i sintomi ma anche le radici del tuo disagio e le esperienze che ti hanno segnato.
Il fatto che tu sia ancora alla ricerca e che non ti sia arreso è un segnale molto importante: significa che dentro di te c’è ancora motivazione e desiderio di cambiamento. Con un lavoro psicoterapeutico strutturato, che ti aiuti a comprendere meglio i tuoi schemi di pensiero e a lavorare sulle emozioni legate al giudizio, al rifiuto e all’autocritica, potresti trovare nuove modalità per vivere le relazioni senza sentirti continuamente sotto esame.
Per questo motivo, sarebbe utile e consigliato approfondire la tua situazione con l’aiuto di uno specialista, che possa guidarti in un percorso su misura per te e offrirti il sostegno di cui hai bisogno.
Un caro saluto,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Quello che descrivi — ansia sociale, senso di inadeguatezza, autocritica molto forte, difficoltà nel sentirsi a proprio agio nelle relazioni, vissuti depressivi e depersonalizzazione — sono aspetti che spesso si intrecciano tra loro e possono alimentarsi a vicenda, creando un circolo difficile da spezzare da soli. La voce critica interiore che ti accompagna sembra avere un ruolo molto rilevante, e questo può rendere ogni interazione ancora più pesante e dolorosa.
Hai già provato diverse strategie (mindfulness, meditazione, esercizi pratici, diari, coaching, tentativi di esposizione sociale), ma da quello che scrivi sembra che queste tecniche non abbiano trovato ancora il giusto spazio per darti sollievo profondo e duraturo. Questo non significa che non ci sia soluzione, ma che probabilmente serve un percorso mirato e personalizzato, che possa affrontare non solo i sintomi ma anche le radici del tuo disagio e le esperienze che ti hanno segnato.
Il fatto che tu sia ancora alla ricerca e che non ti sia arreso è un segnale molto importante: significa che dentro di te c’è ancora motivazione e desiderio di cambiamento. Con un lavoro psicoterapeutico strutturato, che ti aiuti a comprendere meglio i tuoi schemi di pensiero e a lavorare sulle emozioni legate al giudizio, al rifiuto e all’autocritica, potresti trovare nuove modalità per vivere le relazioni senza sentirti continuamente sotto esame.
Per questo motivo, sarebbe utile e consigliato approfondire la tua situazione con l’aiuto di uno specialista, che possa guidarti in un percorso su misura per te e offrirti il sostegno di cui hai bisogno.
Un caro saluto,
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Grazie per aver condiviso così tanto: il modo in cui ti racconti dimostra una profonda capacità di riflessione e una forza che, forse, non riesci ancora a vedere.
La voce critica che descrivi è spesso molto più “forte” di qualsiasi voce esterna. È come se una parte di te fosse costantemente in allerta, pronta a correggerti prima ancora di parlare.
Eppure, nonostante tutto, continui a esserci per gli altri, a cercare strategie, a porti domande: questo merita rispetto.
Hai mai pensato che non è “un tuo difetto” il fatto che non funzionino le tecniche, ma forse la tua mente è diventata un ambiente troppo severo per sentirsi al sicuro?
Ti propongo questa riflessione:
Se la tua mente fosse una casa, ci vivresti bene? E se no… come potresti arredarla in modo che tu ti senta più accolto?
Un percorso psicoterapico può aiutarti proprio a ricostruire quella casa, pezzo dopo pezzo, con più compassione.
La voce critica che descrivi è spesso molto più “forte” di qualsiasi voce esterna. È come se una parte di te fosse costantemente in allerta, pronta a correggerti prima ancora di parlare.
Eppure, nonostante tutto, continui a esserci per gli altri, a cercare strategie, a porti domande: questo merita rispetto.
Hai mai pensato che non è “un tuo difetto” il fatto che non funzionino le tecniche, ma forse la tua mente è diventata un ambiente troppo severo per sentirsi al sicuro?
Ti propongo questa riflessione:
Se la tua mente fosse una casa, ci vivresti bene? E se no… come potresti arredarla in modo che tu ti senta più accolto?
Un percorso psicoterapico può aiutarti proprio a ricostruire quella casa, pezzo dopo pezzo, con più compassione.
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Buongiorno, leggendo le sue righe traspare tutto il suo impegno per cercare di superare il suo problema e stare meglio. La sensazione che mi arriva, con il beneficio del dubbio è che il suo impegno si sia profuso più sul versante dell'immediato e della difficoltà immediata. Può essere intressante affrontare le difficoltà attraverso un percorso terapeutico più approfondito e paziente che le permetta di arrivare a contatto con la sua storia personale e con le caratteristiche del suo percorso di vità che l'hanno portata a sviluppare questi blocchi che descrive. Se ritiene ne possiamo parlare, anche online. Saluti. Dario Martelli
Gentile utente,
grazie per aver condiviso con tanta sincerità la tua esperienza. Da quanto scrivi (mi permetto di darti del tu!), emerge quanto possa essere faticoso per te entrare in relazione con gli altri, soprattutto quando si attiva quella vocina interna critica che ti giudica ogni passo, generando imbarazzo e silenzi. Hai già sperimentato strumenti come la mindfulness, la scrittura ed un percorso terapeutico: questo dimostra la tua volontà a gestire il malessere. Allo stesso tempo capisco quanto possa essere frustrante sentire che certe difficoltà si ripresentino o non si risolvono del tutto. Tutto ciò che hai già utilizzato sono ottimi strumenti ma a volte non sufficienti da soli, soprattutto quando la sofferenza si radica su livelli più profondi legati all'autostima, alla regolazione emotiva e alla sicurezza relazionale.. In questo caso è consigliabile un lavoro che coniughi approcci centrati sul corpo e sulla consapevolezza emotiva (come il SOMATIC EXPERIENCING) con un percorso psicoterapeutico strutturato che ti aiuti a costruire gradualmente risorse interne e nuove modalità relazionali con te stessa e con glia ltri. In questo caso sono molto utili gli approcci come il lavoro sulle parti del sè (INTER FAMILY SYSTEM) e E.M.D.R ( lavoro sulla desensibilizzazione eventi con movimenti oculari).
Se desideri approfondire, non esitare a contattarmi, sarò felice di darti ulteriori informazioni e spiegazioni. Un caro saluto.
Michela Zancaner (Milano-Monza e lavoro online)
grazie per aver condiviso con tanta sincerità la tua esperienza. Da quanto scrivi (mi permetto di darti del tu!), emerge quanto possa essere faticoso per te entrare in relazione con gli altri, soprattutto quando si attiva quella vocina interna critica che ti giudica ogni passo, generando imbarazzo e silenzi. Hai già sperimentato strumenti come la mindfulness, la scrittura ed un percorso terapeutico: questo dimostra la tua volontà a gestire il malessere. Allo stesso tempo capisco quanto possa essere frustrante sentire che certe difficoltà si ripresentino o non si risolvono del tutto. Tutto ciò che hai già utilizzato sono ottimi strumenti ma a volte non sufficienti da soli, soprattutto quando la sofferenza si radica su livelli più profondi legati all'autostima, alla regolazione emotiva e alla sicurezza relazionale.. In questo caso è consigliabile un lavoro che coniughi approcci centrati sul corpo e sulla consapevolezza emotiva (come il SOMATIC EXPERIENCING) con un percorso psicoterapeutico strutturato che ti aiuti a costruire gradualmente risorse interne e nuove modalità relazionali con te stessa e con glia ltri. In questo caso sono molto utili gli approcci come il lavoro sulle parti del sè (INTER FAMILY SYSTEM) e E.M.D.R ( lavoro sulla desensibilizzazione eventi con movimenti oculari).
Se desideri approfondire, non esitare a contattarmi, sarò felice di darti ulteriori informazioni e spiegazioni. Un caro saluto.
Michela Zancaner (Milano-Monza e lavoro online)
Dici di esserti rivolto a diverse categorie di specialisti ed aver provato diverse tecniche, dici di aver tanto da dire...hai provato la psicanalisi? Per poter star bene con te stesso devi arrivare al nocciolo delle tue questioni, non sempre le vie brevi aiutano a trovare una soluzione, spesso bisogna andare all'origine del problema. Questo è quello che offre la psicanalisi, trovare l'origine. Non è di certo un percorso breve ma è un sostegno per trovare la giusta strada per capire.
Buongiorno, dal suo racconto mi sembra che sia stato seguito in maniera professionale e attenta. E' probabile che serva una diversa forma di terapia, che vada più a fondo nella ricerca della situazione o delle situazioni critiche che hanno causato questa sua evidente timidezza sociale. Le consiglierei, quindi, una terapia del profondo (psicanalisi) tenendo presente che richiederà del tempo per avere risultati, sicuramente il tempo è in relazione all'impegno che lei infonderà nel percorso. Le consiglierei anche di mantenere attivi gli esercizi che ha avuto modo di imparare nel tempo, come coadiuvanti nel proseguo della terapia. Cordiali saluti.
Ho letto quanto lei scrive e ritengo utile suggerirle di proseguire con la psicoterapia cercando di focalizzarsi e comprendere più in profondità i temi problematici irrisolti che verosimilmente rimandano alla sua storia personale e familiare e che si manifestano con i suoi sentimenti di inadeguatezza e la sua angoscia oltre che impegnarsi in specifici esercizi per gestire le sue difficoltà personali e relazionali.
Caro ragazzo, capisco profondamente la sua ansia relazionale che la attanaglia da molti anni e altrettanto sono felice di sentire che non si sta arrendendo ma sta ancora cercando modi e maniera per trovare la sua strada. Se alcuni tentativi che ha già sperimentato non sono stati così efficaci a mio avviso è perchè bisognerebbe entrare più nel profondo e comprendere il perchè di questa sua difficoltà, da dove nasce, quali sono le credenze nell'affrontare l'altro e cosa potrebbe accadere e da dove tutto questo nasce. Penso pertanto che dovrebbe iniziare un percorso di psicoterapia del profondo che non miri quindi a togliere il sintomo ma che vada a far emergere da cosa nasce e come si è strutturato poi in età adulta. Se desidera io sono disponibile per una psicoterapia in presenza oppure online. Un caro saluto. Dott.ssa Alessandra Domigno
Buongiorno gentile utente, la ringrazio per la sua condivisione. Da ciò che scrive emerge che lei ha già una buona base di autoconoscenza e di capacità di introspezione, e questi sono aspetti importanti che la aiuteranno nel lavoro su di sé. C'è un aspetto di autocritica e di valutazione di sé che sembra molto forte, e forse questo la può bloccare nelle situazioni sociali impedendole di relazionarsi in maniera più spontanea. Un buon punto di partenza potrebbe essere proprio iniziare a conoscere questo lato critico di sé, comprendere come è nato e da cosa dipenda, da giudizi personali o ricevuti in ambito familiare, amicale, ecc.. Un altro aspetto importante potrebbe essere scoprire e valorizzare le sue risorse, poiché spesso non ci accorgiamo di avere molte capacità e qualità e quindi non le sfruttiamo appieno. Le suggerisco di intraprendere un percorso di psicoterapia che la aiuti a capire in profondità l'origine di questi aspetti autocritici e di questa sofferenza, in modo da poterla superare. Rimango a disposizione per domande o chiarimenti. Cordialmente, dott.ssa Chiara Tumminello.
Gentile utente, ha mai intrapreso una psicoterapia psicoanalitica? le potrebbe essere utile trovare uno spazio e del tempo per contenere tutti i suoi pensieri ed essere aiutato a trovarne il "filo", dando significato a quanto prova. Le auguro di non perdere il desiderio di trovare se stesso fra tutta quasto groviglio intrecciato di nodi e di vuoti. Rimango disponibile. Buona vita. E. Bazzana
Buongiorno,
la ringrazio per aver condiviso con tanta chiarezza e profondità la sua esperienza. Si percepisce bene quanto ci abbia riflettuto e quanta forza di volontà abbia già messo nel tentare di affrontare le difficoltà. Questo è un segnale importante: nonostante la sofferenza, lei non si è mai arreso e continua a cercare una strada.
Quello che descrive – l’ansia nelle relazioni sociali, la sensazione di essere sempre sotto esame, l’autocritica costante, i silenzi che diventano imbarazzanti – rientra molto bene nel quadro dell’ansia sociale. In più, il “critico interiore” che continua a giudicarla amplifica la difficoltà, perché è come se dovesse affrontare due interlocutori nello stesso momento: la persona che ha davanti e la voce interna che non la lascia in pace.
Il fatto che con la mente avrebbe molto da dire, ma poi in situazione si blocchi, è un meccanismo comune: l’ansia inibisce la spontaneità e, a posteriori, la mente recupera tutto ciò che non è riuscita a esprimere, trasformandolo in rimprovero verso di sé. Non significa che non sia capace di relazionarsi, ma che l’ansia prende il sopravvento sulla sua naturale capacità comunicativa.
Va sottolineato che lei non è “sbagliato”: il problema non è la sua persona, ma il circolo vizioso che si è creato tra ansia, autocritica e paura del giudizio.
Cosa può aiutarla?
Un percorso psicoterapeutico mirato, ad esempio di tipo cognitivo-comportamentale, che lavora in modo specifico su ansia sociale e autocritica.
Tecniche di esposizione graduale, guidate da un terapeuta, che permettono di sperimentare situazioni sociali senza restare bloccati dall’ansia.
Lavoro sul dialogo interiore: imparare a riconoscere e ridimensionare la voce autocritica che la giudica continuamente.
In alcuni casi, un supporto farmacologico temporaneo, valutato con uno psichiatra, può aiutare a ridurre l’ansia abbastanza da permettere di lavorare meglio sugli aspetti psicologici.
Il fatto che lei abbia già provato molte tecniche da solo dimostra determinazione, ma spesso il cambiamento più profondo avviene non nel “fare di più” da soli, ma nell’essere accompagnati da qualcuno che aiuti a ristrutturare davvero il modo in cui si guarda a sé stesso e agli altri.
Lei non è incapace di relazioni: sta solo combattendo con un disturbo che ha “messo un filtro” sulla sua naturale capacità di comunicare e creare legami. Con l’aiuto giusto, questo filtro può essere ridotto fino a lasciarla tornare a vivere le relazioni in modo più libero e autentico.
Un caro incoraggiamento: il fatto che scriva e chieda aiuto è già un segno di grande coraggio e di speranza.
la ringrazio per aver condiviso con tanta chiarezza e profondità la sua esperienza. Si percepisce bene quanto ci abbia riflettuto e quanta forza di volontà abbia già messo nel tentare di affrontare le difficoltà. Questo è un segnale importante: nonostante la sofferenza, lei non si è mai arreso e continua a cercare una strada.
Quello che descrive – l’ansia nelle relazioni sociali, la sensazione di essere sempre sotto esame, l’autocritica costante, i silenzi che diventano imbarazzanti – rientra molto bene nel quadro dell’ansia sociale. In più, il “critico interiore” che continua a giudicarla amplifica la difficoltà, perché è come se dovesse affrontare due interlocutori nello stesso momento: la persona che ha davanti e la voce interna che non la lascia in pace.
Il fatto che con la mente avrebbe molto da dire, ma poi in situazione si blocchi, è un meccanismo comune: l’ansia inibisce la spontaneità e, a posteriori, la mente recupera tutto ciò che non è riuscita a esprimere, trasformandolo in rimprovero verso di sé. Non significa che non sia capace di relazionarsi, ma che l’ansia prende il sopravvento sulla sua naturale capacità comunicativa.
Va sottolineato che lei non è “sbagliato”: il problema non è la sua persona, ma il circolo vizioso che si è creato tra ansia, autocritica e paura del giudizio.
Cosa può aiutarla?
Un percorso psicoterapeutico mirato, ad esempio di tipo cognitivo-comportamentale, che lavora in modo specifico su ansia sociale e autocritica.
Tecniche di esposizione graduale, guidate da un terapeuta, che permettono di sperimentare situazioni sociali senza restare bloccati dall’ansia.
Lavoro sul dialogo interiore: imparare a riconoscere e ridimensionare la voce autocritica che la giudica continuamente.
In alcuni casi, un supporto farmacologico temporaneo, valutato con uno psichiatra, può aiutare a ridurre l’ansia abbastanza da permettere di lavorare meglio sugli aspetti psicologici.
Il fatto che lei abbia già provato molte tecniche da solo dimostra determinazione, ma spesso il cambiamento più profondo avviene non nel “fare di più” da soli, ma nell’essere accompagnati da qualcuno che aiuti a ristrutturare davvero il modo in cui si guarda a sé stesso e agli altri.
Lei non è incapace di relazioni: sta solo combattendo con un disturbo che ha “messo un filtro” sulla sua naturale capacità di comunicare e creare legami. Con l’aiuto giusto, questo filtro può essere ridotto fino a lasciarla tornare a vivere le relazioni in modo più libero e autentico.
Un caro incoraggiamento: il fatto che scriva e chieda aiuto è già un segno di grande coraggio e di speranza.
Buongiorno! Nel leggerla ho sentito tristezza, rabbia, solitudine. Poiché non mi è chiaro se sia seguito da un/una collega e considerato i limiti dello strumento, mi limiterò ad offrire un piccolo contributo di pensiero. Ho avuto l’impressione che nel suo mondo interno imperversi, forse da sempre, una battaglia su chi desidera o dovrebbe essere. Come se la paura più grande fosse quella di non essere all’altezza, non essere desiderabile, non essere degno di amore. Qualunque cosa faccia o dica non sarà abbastanza; qualunque cosa faccia o dica riceverà un giudizio severo e svalutante. Forse, questo potrebbe aiutare a dare senso a quei sentimenti di vergogna, inferiorità e inadeguatezza di cui parla. Mantenere una certa distanza dall’altro può attenuare le penose sensazioni che prova, fino a quando il conflitto non cambia terreno e si sposta da “fuori” a “dentro”. Questa soluzione di compromesso non va demonizzata, ma compresa e valorizzata. Le ha permesso di crescere, come poteva e meglio che poteva. Pensavo anche ai “diari per il controllo dei sentimenti… alle tecniche di gestione dell’ansia… a tutti gli esercizi…”. Mi sono chiesto se questa scelta non celasse il profondo (inconscio) bisogno di distanza anche dal/dalla terapeuta. L’ho immaginata da solo, mentre si arrovella nella “pratica” della sicurezza, del controllo, della gestione di vissuti ed emozioni potenti, dolorose, incomprensibili. Accettare una dipendenza (buona) dal/dalla terapeuta, può scatenare il timore profondo di un coinvolgimento, di un vincolo con l’altro; può produrre la sensazione di perdere il controllo e la sensazione di essere finiti in una trappola dalla quale non si riuscirà più a liberarsi. Nel rispetto del/della collega e della relazione terapeutica, non mi sento di andare oltre. Lei è giovane e merita di vivere una vita piena e serena. In bocca al lupo per tutto
Salve, lei sta lottando con un senso di solitudine interiore che pesa come un macigno, nonostante gli sforzi continui che sta facendo. E questo merita riconoscimento, non giudizio. L’ansia sociale, unita a quella voce interiore ipercritica, può diventare paralizzante. Il fatto che dopo anni di tentativi, tecniche, meditazione, Mindfulness e percorsi vari lei continui a sentirsi “bloccato” non significa che ci sia qualcosa di sbagliato in lei, ma che probabilmente il dolore che porta è più profondo e ha bisogno di essere elaborato in modo diverso. Percorsi come l’EMDR possono aiutarla a lavorare sulle esperienze passate che oggi si riattivano in ogni interazione, come se il suo cervello restasse in “allarme sociale” costante, anche in assenza di un pericolo reale. Allo stesso tempo, la psicoterapia umanistica può accompagnarla a ritrovare il contatto con sé stesso, con la sua parte autentica, non condizionata dalle aspettative esterne o da un ideale di perfezione. Quel giudice interiore così severo non è nato dal nulla: spesso nasce da vissuti dove si è dovuto essere “bravi” o invisibili per sentirsi accettati. Ma nessuno merita di vivere sotto esame costante, nemmeno da parte propria.
Lei non è inadeguato, è solo stanco. E non è solo: ci sono psicologi psicoterapeuti in grado di offrirle un aiuto che non si basi solo sulla forza di volontà, ma su un lavoro profondo e compassionevole. Ora è tempo di farsi aiutare, davvero. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Lei non è inadeguato, è solo stanco. E non è solo: ci sono psicologi psicoterapeuti in grado di offrirle un aiuto che non si basi solo sulla forza di volontà, ma su un lavoro profondo e compassionevole. Ora è tempo di farsi aiutare, davvero. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Hai raccontato con molta chiarezza la tua condizione. A 24 anni vivi un peso enorme: ansia sociale, ricadute depressive, depersonalizzazione, solitudine, incapacità a comunicare come vorresti. Dentro di te c’è una voce critica spietata che ti giudica due volte: ti senti esaminato dagli altri e allo stesso tempo da te stesso. Hai già provato tante tecniche, dal coaching alla cosiddetta “mindfulness”, ma senza risultati duraturi. E ti chiedi cosa non vada in te.
1) Clinica alla luce di Freud
Questa voce interna che ti massacra è ciò che Freud chiamava Super-Io: un giudice interiore severo, che non si limita a correggere, ma punisce e umilia. L’ansia che provi è un segnale di conflitto: un io fragile che tenta di difendersi da spinte interne e da aspettative esterne che sente insostenibili. Non è “colpa tua”, è una dinamica psichica profonda.
2) Peso del giudizio altrui e proprio
Il tuo dolore nasce dal vivere sotto doppio esame. Da un lato c’è l’Altro che immagini pronto a giudicare, dall’altro il tuo stesso sguardo che ti giudica peggio di chiunque altro. Non è la situazione sociale in sé a schiacciarti, ma questo tribunale interiore che trasforma ogni esitazione in una condanna.
3) Depersonalizzazione come difesa
Il sentirti “irreale” o “spaesato” non è follia. È un meccanismo di difesa: la mente preferisce allontanarti da te stesso piuttosto che lasciarti sentire schiacciato da un mondo percepito come troppo giudicante. È una protezione estrema, non un difetto incurabile.
4) Sentirsi “non OK”
Alla base c’è una convinzione profonda: “sono insufficiente, non vado mai bene”. È un messaggio che probabilmente nasce dall’ambiente familiare, e che ora filtra tutto ciò che vivi. Anche quando potresti parlare liberamente, la voce interiore ti blocca con l’idea che “non è abbastanza”.
5) Meditazione: oltre la “zuppa mindfulness”
Hai provato la mindfulness, ma non ha funzionato. È comprensibile: oggi questa parola viene usata come ricetta universale, spesso svuotata di senso. In realtà esistono **centinaia di vie meditative**, diverse per ogni individuo e livello di esperienza. Quando le si mescola male, diventano una “zuppa” di tecniche incompatibili, che confonde più che aiutare. A te non serve un protocollo generico, ma pratiche calibrate, cucite addosso alla tua esperienza e al tuo modo di essere.
1) Clinica alla luce di Freud
Questa voce interna che ti massacra è ciò che Freud chiamava Super-Io: un giudice interiore severo, che non si limita a correggere, ma punisce e umilia. L’ansia che provi è un segnale di conflitto: un io fragile che tenta di difendersi da spinte interne e da aspettative esterne che sente insostenibili. Non è “colpa tua”, è una dinamica psichica profonda.
2) Peso del giudizio altrui e proprio
Il tuo dolore nasce dal vivere sotto doppio esame. Da un lato c’è l’Altro che immagini pronto a giudicare, dall’altro il tuo stesso sguardo che ti giudica peggio di chiunque altro. Non è la situazione sociale in sé a schiacciarti, ma questo tribunale interiore che trasforma ogni esitazione in una condanna.
3) Depersonalizzazione come difesa
Il sentirti “irreale” o “spaesato” non è follia. È un meccanismo di difesa: la mente preferisce allontanarti da te stesso piuttosto che lasciarti sentire schiacciato da un mondo percepito come troppo giudicante. È una protezione estrema, non un difetto incurabile.
4) Sentirsi “non OK”
Alla base c’è una convinzione profonda: “sono insufficiente, non vado mai bene”. È un messaggio che probabilmente nasce dall’ambiente familiare, e che ora filtra tutto ciò che vivi. Anche quando potresti parlare liberamente, la voce interiore ti blocca con l’idea che “non è abbastanza”.
5) Meditazione: oltre la “zuppa mindfulness”
Hai provato la mindfulness, ma non ha funzionato. È comprensibile: oggi questa parola viene usata come ricetta universale, spesso svuotata di senso. In realtà esistono **centinaia di vie meditative**, diverse per ogni individuo e livello di esperienza. Quando le si mescola male, diventano una “zuppa” di tecniche incompatibili, che confonde più che aiutare. A te non serve un protocollo generico, ma pratiche calibrate, cucite addosso alla tua esperienza e al tuo modo di essere.
Ciao, essere giudici severi ed inflessibili di se stessi è una cosa molto pesante. il punto è secondo me che è in primis su questo che dovresti lavorare. non ci sono tecniche per far sì che tutto questo tuo disagio passi , semplicemente aderendo ad un protocollo. una buona psicoterapia che ti aiuti a capire perchè sei cosi inflessibile con te stesso e con quello che fai e dici , cercando di capire quali sono le tue paure connesse a tutto questo e tanto altro , può essere un buon punto da dove cominciare.
Grazie per la tua condivisione sincera, mi permetto di darti del tu per la tua giovane età. Hai ragione: stare bene con se stessi vale molto di più di qualsiasi cosa materiale, e credo che quello che condividi qui sia il segnale che è arrivato il momento di provare a cambiare qualcosa. Non so quante sedute tu abbia fatto, ma io credo che nel tuo caso un percorso di psicoterapia continuativo, svolto con costanza, possa davvero aiutarti a trasformare la tua sofferenza e la tua fatica in qualcosa di diverso: purtroppo ci vuole impegno, pazienza e costanza, non bastano poche sedute, il cambiamento si realizza dentro una relazione solida che richiede tempo per essere costruita. Credo che ne valga assolutamente la pena, e che la terapia abbia un grandissimo potenziale trasformativo. Se avessi altre domande o volessi approfondire meglio la cosa mi trovi a disposizione, anche online. Un caro saluto, dott.ssa Elena Gianotti
Salve vista la situazione le consiglio di trovare uno spazio di confronto con un terapeuta che la sappia guidare verso il mondo interiore e comprendere i motivi profondi che la portano ad isolarsi e creano ansia e disagio
Coraggio
In bocca al lupo
Dott.ssaLorenzini Maria santa psicoterapeuta
Coraggio
In bocca al lupo
Dott.ssaLorenzini Maria santa psicoterapeuta
Buongiorno gentile cliente,
da quanto scrivi hai bisogno innanzitutto di esprimerti e raccontarti, ciò serve essenzialmente a te per ascoltarti e capirti e poi hai bisogno di qualcuno che ti guidi e riconosca per dar continuità alla tua storia, tornare a sentirti protagonista con maggior serentià e fiducia nel futuro.
Un saluto cordiale
dott.ssa Marzia Sellini
da quanto scrivi hai bisogno innanzitutto di esprimerti e raccontarti, ciò serve essenzialmente a te per ascoltarti e capirti e poi hai bisogno di qualcuno che ti guidi e riconosca per dar continuità alla tua storia, tornare a sentirti protagonista con maggior serentià e fiducia nel futuro.
Un saluto cordiale
dott.ssa Marzia Sellini
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