Dottori, ho una domanda per voi… L’altro giorno, parlando con una mamma che conosco molto bene, mi h

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Dottori, ho una domanda per voi… L’altro giorno, parlando con una mamma che conosco molto bene, mi ha raccontato che sua figlia da bambina (almeno 10 anni fa) aveva sviluppato dei comportamenti anomali (rifiuto di andare a scuola, si sentiva sempre male fuori casa e poi nella sua zona di comfort stava bene..). Hanno richiesto un consulto da un neuropsichiatra infantile, gli hanno raccontato tutto e la sua risposta mi ha lasciata senza parole!! Il dottore che dice ai genitori che hanno solo una figlia capricciosa e che loro due sono solo iperprotettivi. Quello che mi ha sconvolta ancora di più è che i genitori in questione gli hanno dato ragione!!! E me l’ha raccontato con una tranquillità unica…
Io ci ho visto quasi un ‘volersi mettere l’animo in pace’ per non confondersi troppo… Lungi da me giudicare ma questa cosa mi ha lasciata alquanto perplessa… Se non ci si vuole prendere cura dei propri figli allora perché si fanno?
Ora che questa ‘bambina’ ha più di 20 anni, purtroppo si vede come i suoi genitori abbiano trascurato i suoi segnali d’aiuto… vivendo in un paesino molto piccolo ci conosciamo bene o male tutti… se ne parla e in quella casa non fanno altro che litigare, non c’è una stabilità, la ragazza non studia, non lavora … insomma io lo trovo assurdo. I genitori brave persone ci mancherebbe, però il modo con cui la madre mi ha raccontato di quell’episodio dal neuropsichiatra mi ha quasi infastidita. Anche perché a volte usciamo a prendere un caffè insieme e mi parla sempre di come sua figlia continui ad essere capricciosa , irrispettosa, e che “aveva ragione quel dottore dieci anni fa” (cito testualmente. Conosco anche la ragazza e a parte tutto è sempre stata gentile, educata.. I suoi genitori la descrivono come il diavolo e a me invece fa tenerezza… Mi sembra molto incompresa e sola.
Io, avendo un figlio che va ancora alle elementari, mi sono un po’ immedesimata e da mamma non riuscirei mai a fare quello che ha fatto la mia amica.
Voi cosa ne pensate? Sono troppo esagerata e giudicante io??
Isabella
Dott. Giorgio De Giorgi
Psicologo, Psicologo clinico
Bologna
Gentile Isabella,

Le domande che solleva sono molto interessanti e stimolano una riflessione profonda su come ci costruiamo la realtà delle relazioni familiari e sulle interpretazioni che diamo ai comportamenti degli altri. È curioso pensare a come, a volte, una "diagnosi" o una risposta da un esperto possa influenzare il modo in cui vediamo i nostri cari e il loro vissuto. Che ruolo hanno, secondo lei, le percezioni e le convinzioni dei genitori nel modo in cui la giovane donna si è sentita accolta o compresa? E come potrebbe cambiare la situazione se il contesto di supporto fosse diverso?
Mi sembra che la sua riflessione meriti di essere esplorata con molta delicatezza e apertura.
Mi tengo a disposizione
Distinti saluti,

Dr. Giorgio De Giorgi

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Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Cara Isabella, capisco bene la sua perplessità e il suo senso di disagio di fronte a questa situazione. È evidente che, per sensibilità personale e per il suo essere madre, si sia immedesimata nel vissuto di questa ragazza e abbia sentito il bisogno di riflettere su come i genitori possano interpretare i segnali di malessere dei figli. Dal punto di vista cognitivo-comportamentale, è importante analizzare come si strutturano certe dinamiche familiari e come il modo in cui i genitori interpretano il comportamento dei figli possa influenzare il loro sviluppo. Nel caso di questa ragazza, sembrerebbe che da bambina manifestasse segni di ansia legati probabilmente all’uscire dalla sua "zona di comfort". Comportamenti come il rifiuto scolastico, il sentirsi male fuori casa e il miglioramento una volta rientrata in un ambiente familiare potrebbero essere indicativi di un’ansia da separazione o di una fobia scolare, che andrebbero affrontate con il giusto supporto. Quando un professionista minimizza questi segnali etichettandoli come “capricci” e quando i genitori accettano questa spiegazione senza approfondire, si rischia di lasciare il bambino senza strumenti per affrontare le sue difficoltà. Con il tempo, queste difficoltà possono cristallizzarsi in problematiche più complesse, come la mancanza di autonomia, bassa autostima o difficoltà nelle relazioni sociali e lavorative. D’altra parte, i genitori stessi non sempre hanno gli strumenti per comprendere a fondo ciò che accade ai loro figli. Spesso si affidano ai professionisti sperando in risposte chiare, e quando ricevono una spiegazione rassicurante, anche se semplicistica, tendono ad accettarla per ridurre la loro ansia. Se il neuropsichiatra ha detto che si trattava di capricci e che loro erano iperprotettivi, può essere stato più facile per loro credere a questa versione piuttosto che affrontare il senso di colpa e la paura di non essere stati in grado di aiutare la figlia. La situazione che descrive oggi, con una giovane donna che sembra in difficoltà, potrebbe effettivamente essere la conseguenza di quel mancato riconoscimento del suo disagio passato. È probabile che si sia sentita poco compresa e che non abbia ricevuto il supporto necessario per sviluppare pienamente la sua autonomia e la fiducia in sé stessa. È triste, ma purtroppo non è raro. Non credo che lei sia troppo giudicante, piuttosto sta mostrando empatia per questa ragazza e una naturale riflessione su cosa significhi davvero prendersi cura di un figlio. È comprensibile che il racconto della sua amica l’abbia infastidita, perché si scontra con il suo modo di vedere la genitorialità, più attento e aperto ai bisogni emotivi di un bambino. Tuttavia, ciò che può fare in questa situazione è mantenere un atteggiamento di ascolto e, se possibile, offrire alla sua amica una prospettiva diversa, magari facendole notare che, al di là dei “capricci”, sua figlia potrebbe avere ancora bisogno di comprensione e sostegno. In ogni caso, è positivo che lei stia riflettendo su questi temi, perché questo le permetterà di affrontare con maggiore consapevolezza anche le sfide della crescita di suo figlio, riconoscendo i suoi bisogni emotivi e aiutandolo a sviluppare una sicurezza interiore solida. Le auguro il meglio. Dott. Andrea Boggero
Dott.ssa Cristina Sinno
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Ciao, capisco che ti senti molto confusa e ferita dalle esperienze che hai vissuto. È importante che tu sappia che non sei sola e che i tuoi sentimenti sono validi. L'infantilismo che hai descritto (ecolalia, ripetizione di nomi) potrebbe essere legato a diversi fattori, tra cui l'ansia, lo stress o anche la dislessia stessa.
È comprensibile che tu ti senta insicura per essere stata giudicata "immatura". Tuttavia, è importante ricordare che ognuno ha i propri tempi di sviluppo. È importante che tu non ti lasci definire dalle opinioni degli altri. Ognuno di noi è una persona unica e preziosa, con i suoi punti di forza e le sue debolezze. Penso che potresti beneficiare di un percorso di psicoterapia. La psicoterapia può aiutarti a gestire lo stress e a trovare strategie per affrontare le difficoltà. Se ti interessa, puoi contattarmi per qualsiasi informazione, sono disponibile anche per terapie online. Un caro saluto, dssa Cristina Sinno
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
È comprensibile che questa storia ti abbia colpito e fatta riflettere. Da quello che racconti, sembra che la bambina di allora manifestasse segnali di disagio che, forse, avrebbero meritato un approfondimento maggiore. Il rifiuto scolastico e il malessere fuori casa possono essere indicatori di difficoltà emotiva, ansia o altre problematiche psicologiche che sarebbe stato utile esplorare con maggiore attenzione.

La risposta del neuropsichiatra di allora, così come la reazione dei genitori, potrebbe essere influenzata da diversi fattori, tra cui una minore sensibilità all'epoca verso alcune tematiche psicologiche o il desiderio, da parte dei genitori, di trovare una spiegazione semplice e rassicurante alla situazione. Non è raro che, di fronte a segnali di sofferenza psicologica nei figli, alcuni genitori possano minimizzarli o interpretarli come semplici “capricci”, soprattutto se non hanno gli strumenti per affrontarli diversamente.

Ora che questa ragazza è adulta, la situazione che descrivi fa pensare a un disagio persistente che potrebbe essere collegato a quel vissuto di allora. Essere etichettati come "capricciosi" o "difficili" fin dall'infanzia può influenzare profondamente l'autostima e il modo in cui si costruiscono le proprie relazioni e la propria identità.

La tua riflessione dimostra sensibilità e attenzione, e non credo che tu stia esagerando. È naturale, da genitore, chiedere se si possono evitare situazioni simili e come garantire ai propri figli un ascolto empatico e un sostegno adeguato.

Se questa ragazza sta ancora vivendo delle difficoltà, potrebbe essere utile per lei ricevere un supporto psicologico. Allo stesso modo, chiunque si trovi a vivere situazioni di questo tipo, sia come genitore che come persona vicina a qualcuno in difficoltà, potrebbe beneficiare di un confronto con uno specialista per comprendere meglio le dinamiche in gioco e trovare strategie di supporto più efficaci.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott.ssa Chiara Quinto
Psicologo clinico, Psicologo
Roma
Carissima Isabella, questa storia sembra aver toccato corde profonde dentro di lei, forse perché, come madre, ha sentito il peso di una domanda importante: "e se un giorno non riuscissi a capire mio figlio?"
È umano provare queste emozioni, così come è naturale sentirsi turbati di fronte a situazioni che sembrano così lontane dal proprio modo di amare e proteggere.
Mi ha colpito quando ha detto che vede questa ragazza "molto incompresa e sola" e che le parole della madre l'hanno infastidita. Forse ciò che l’ha colpita non è stato solo il racconto in sé, ma anche la percezione di una sofferenza silenziosa, non ascoltata. Mi viene da chiederle: quanto di ciò che ha provato nasce dal desiderio di non trascurare mai i segnali di chi ama?
Sarebbe interessante esplorare cosa l’ha scossa così tanto di questa storia: è la paura di non riuscire a "vedere" abbastanza suo figlio? O forse il bisogno di confermare a se stessa che il suo modo di essere madre è profondamente diverso?
Queste emozioni meritano attenzione, non perché siano sbagliate, ma perché parlano di lei, dei suoi valori, delle sue paure più intime.
Dott.ssa Elena Saporiti
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Milano
Gentile Isabella, capisco il suo stupore nel ascoltare l'etichetta di "capricciosa" che un medico possa aver attribuito ad una bambina, ma mi sento di "prendere con le pinze" questa affermazione. E' difficile sapere cosa abbia realmente detto il neuropsichiatra a questi genitori e cosa loro abbiano voluto capire, forse per loro è stato più semplice banalizzare il tutto con il fatto che la figlia fosse capricciosa piuttosto che mettersi in discussione e provare a comprenderla, ma questa è solo un ipotesi. Capisco il suo dispiacere per questa ragazza ma non credo che lei possa fare nulla per lei.
Cordiali Saluti
Dott.sa Elena Saporiti
Dott.ssa Eloisa Dasara
Psicologo, Sessuologo, Psicologo clinico
Posada
Buongiorno Isabella, mi sembra importante farle notare quanto il racconto di questa mamma l’abbia toccata, quante cose abbia suscitato in lei, tanto da scrivere qui. Si è immedesimata con quella bambina piccola e con questa giovane adulta oggi, forse riuscendo a vedere qualcosa che i genitori non sono riusciti a vedere né in quei tempi né ora… chissà. Magari questa sua empatia - che le ha consentito di interrogarsi su quelli che sono stati chiamati capricci, ma che erano probabilmente un modo per comunicare- aiuterà questa giovane donna a sentirsi "riconosciuta" e "guardata veramente" da qualcuno. D'altronde i capricci dei bambini non esistono davvero... Dott.ssa Eloisa Dasara
Salve Isabella, giudicare è umano. La cosa che differenzia il giudizio dal pregiudizio è che nel primo caso, ci si ferma a riflettere sul perché si pensa in un certo modo riguardo a una determinata situazione. Questo sicuramente da mamma sarà molto funzionale.
Dr. Gianmarco Capasso
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Bologna
Gentile utente,

da ciò che racconta, emerge una situazione complessa, in cui probabilmente sono entrati in gioco diversi fattori: il temperamento della ragazza, il contesto familiare, e il modo in cui i genitori hanno interpretato e gestito i suoi segnali di disagio nel tempo.
Non è raro che, di fronte a difficoltà comportamentali o emotive dei figli, alcuni genitori tendano a minimizzare o ad accettare spiegazioni semplicistiche, forse perché non sanno come affrontare la situazione o perché riconoscere un problema più profondo potrebbe risultare doloroso. Dire a se stessi che si tratta solo di “capricci” e che “aveva ragione il medico” può essere un modo per ridurre il senso di colpa o la preoccupazione.
Dal suo racconto, sembra che questa ragazza, ora adulta, abbia vissuto un'infanzia in cui i suoi bisogni emotivi non sono stati del tutto compresi. La sua attuale situazione potrebbe essere il risultato di una lunga incomprensione e di un mancato sostegno nel momento giusto.
La sua riflessione, come madre, è del tutto naturale: l’empatia che prova nei confronti di questa ragazza è il segno della sua sensibilità. Tuttavia, ogni famiglia ha le sue dinamiche, e spesso dall’esterno è difficile cogliere tutte le sfumature. Il rischio di giudicare può esserci, ma è umano interrogarsi su ciò che si osserva, soprattutto quando tocca corde profonde come la genitorialità.
Se sente il desiderio di aiutare in qualche modo, potrebbe provare a mantenere un canale di ascolto con la ragazza, senza forzature ma offrendole, quando possibile, un punto di riferimento diverso da quello familiare. A volte, sapere di non essere completamente soli può fare la differenza.

Cordiali saluti.
Dott.ssa Anna Sammarco
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Cara Isabella, di frequente le dinamiche della relazione che intercorre tra genitori e figli è complessa. L’idea che si può avere, da persone esterne, di questa relazione, anche se molto verosimile, difficilmente equivale alla realtà. Possiamo ipotizzare che in questa famiglia ci siano dei conflitti, difficile cogliere il motivo dei litigi. In generale, possiamo notare che durante la loro crescita, i ragazzi vivono molti cambiamenti, fisici e psicologici e non sempre i genitori sono pronti ad affrontarli. In alcune circostanze l’affetto verso i propri figli può essere difficile da esprimere. Sarebbe molto utile, dunque, per questa famiglia comunicare di più, magari anche con l’aiuto di un professionista esperto. Imparare a comunicare è bene per qualsiasi membro della famiglia che ne potrà trovare giovamento, fermarsi a comprendere le emozioni dell’altro, darà la possibilità di recuperare una certa serenità interiore e così anche dentro casa.
Isabella, certamente non è sano che una donna di circa vent'anni stia a casa dei suoi genitori senza fare nulla, senza avere interessi. In questi casi io non consiglio di andare a cercare le cause al di fuori delle sue decisioni, scelte, atteggiamento nei confronti della vita e aspettative deluse. Consigliale un percorso teso alla sua rinascita in modo da poter vivere pienamente la sua preziosa vita. A presto L. Muto
Dott.ssa Lisa Cerri
Psicologo clinico, Psicologo
Soiano del Lago
Gentile Isabella, probabilmente nel racconto di questa amica ha proiettato alcuni suoi valori personali che le fanno percepire tutta questa situazione come assurda e irreale e sicuramente molto lontana da come lei sta crescendo suo figlio. Purtroppo dobbiamo anche sempre prendere in considerazione il fatto che le parole dei medici vengono talvolta mal interpretate e di conseguenza è difficile sapere con certezza come sia andata realmente con questo neuropsichiatra del passato e quali siano le parole da lui utilizzato. Sicuramente il fatto di dipingere una figlia come "il diavolo può non essere costruttivo e funzionale, ma purtroppo è molto difficile comprendere se sia questa mamma ad esagerare o se sia il suo vissuto a farle percepire questa stessa esagerazione. Come dico sempre anche ai miei pazienti, non è possibile aiutare chi non vuole essere aiutato o indirizzare "chi si tappa le orecchie". Il consiglio è di stare vicino a questa ragazza se sente che può farlo, altrimenti credo che sia meglio "sganciarsi" da questa situazione per evitare di diventare troppo invadenti o peggio che questo si riversi emotivamente su di lei, che ha la sensibilità per vedere oltre. Le auguro un buon proseguimento!
Dott. Michele Mulè
Psicologo, Psicologo clinico, Professional counselor
Palermo
Gentile Isabella, Perché si preoccupa tanto della figlia dei suoi vicini o amici? Considerando che anche lei è una mamma dal suo racconto in termini strettamente analitici si evidenzia come una forma di proiezione da parte sua di determinate paure conscie o incoscie (questo dovrebbe dirlo lei quanto sente sue queste paure), che in qualche modo si riflettono sottoforma di giudizio nei confronti del comportamento dei genitori della ragazza. Credo inoltre che il suo interesse nel voler trovare una chiave di lettura alla vicenda che lei stessa narra in questa piattaforma, sia piuttosto un modo per ricevere una conferma rispetto alla sua capacità di essere una madre più o meno giusta e forse questo l'interrogativo che la infastidisce in modo ego-distonico? La invito a riflettere ed eventualmente consultare uno specialista per approfondire meglio la questione Cordialità Dott. M.M.
Dott.ssa Patrizia Buscaino
Psicologo clinico, Psicologo
Nubia
Salve Isabella
io penso che sia molto difficile già comprendere le nostre dinamiche familiari figuriamoci quelle di altre persone. Intanto perchè a mio parere hanno provato a darle una aiuto e poi come ripeto sono cose abbastanza private quelle che hanno a che fare con l'educazione la pedagogia e insomma lo stile con cui i genitori si esercitano" a stare ed educare i propri figli.
spero di avere colto l'analisi della sua domanda.
grazie e continui sempre a rivolgersi a Miodottore
Dott.ssa Floriana Ricciardi
Psicologo, Psicologo clinico
Venegono Inferiore
Gentile Isabella, la domanda è perché l'abbia così tanto infastidita? Cosa rivede di sé o della sua storia nella confidenza che le è stata fatta? Se arriva a scriverlo su questa piattaforma, allora vale la pena per lei approfondire ciò che sta succedendo.
Cordialmente.
dott.ssa Floriana Ricciardi
Dott.ssa Alessia D'Angelo
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Milano
Gentile utente, da fuori cediamo cose o sentiamo cose diverse da chi vive dentro alcune dinamiche. La persona di cui parla ha fatto una scelta genitoriale, giusta o sbagliata che sia. Lei non si sente rappresentata da quella scelta. Le scelto degli altri spesso vanno accettate se pur non condivise. Lei agirà da madre come meglio crede per sé. A cosa le serve giudicare la sua scelta? Non cambierà la condizione della ragazza e della famiglia. Lei però può fare le sue scelte in base a ciò che vede e che non le piace. Cordialmente Dott.ssa Alessia D'Angelo
Dott.ssa Sabrina Rodogno
Psicologo clinico, Psicologo
Pomezia
Salve,
io credo che ogni famiglia abbia delle proprie dinamiche e modi di gestirle del tutto personali. Non sappiamo nulla e non dovremmo occuparcene, tranne se non veniamo a conoscenza di veri e propri atti di violenza e non credo sia questo il caso.
Capisco la sua empatia, ma a volte bisogna avere un "sano egoismo" e lasciare agli altri le proprie vite.
Un abbraccio
Dott.ssa Sabrina Rodogno
Dott. Luca Vocino
Psicologo clinico, Psicologo
Trezzano Rosa
Buongiorno gentile Isabella, la situazione che descrive è indubbiamente complessa e delicata, e capisco la sua preoccupazione nel vedere come questa famiglia abbia affrontato le difficoltà della figlia. L’esperienza della madre che racconta della visita dal neuropsichiatra infantile e la risposta del professionista, a suo avviso non adeguata, rivela quanto sia difficile orientarsi tra i vari segnali di disagio che un figlio può manifestare, specialmente quando si tratta di una fase delicata come l’infanzia o l’adolescenza.

Le reazioni dei genitori, come quella di considerare la figlia "capricciosa" o di non voler approfondire la questione, possono derivare da una varietà di fattori. Talvolta, può esserci una difficoltà a riconoscere il disagio dei propri figli, forse perché non si sa come affrontarlo o per paura di ammettere che ci potrebbero essere problemi più gravi. L'iperprotezione, che lei menziona, può anche derivare da un amore sincero, ma a volte finisce per diventare un ostacolo nel favorire l’autonomia del bambino e nel permettere a quest'ultimo di affrontare le difficoltà in modo adeguato. Se un bambino cresce in un ambiente dove le sue difficoltà vengono minimizzate o non riconosciute, questo può creare confusione, disagio e senso di inadeguatezza anche in età adulta, come sembra accadere con questa giovane donna che, ora adulta, manifesta segni di insoddisfazione e difficoltà.

Il fatto che lei si senta perplessa e preoccupata per la situazione non la rende giudicante. È naturale che un genitore, soprattutto se impegnato nel supporto al proprio figlio, possa essere sensibile a queste dinamiche e desiderare un intervento più attento e professionale. La sua empatia per la ragazza e la sua percezione che lei sia "incompresa e sola" è legittima, ed è segno di un'attenzione genuina verso il benessere degli altri. In situazioni come questa, il punto cruciale è che spesso il sostegno che il giovane potrebbe ricevere da parte della famiglia dipende dalla capacità di questi ultimi di riconoscere il proprio ruolo nel processo di aiuto, e talvolta ciò implica fare i conti con proprie insicurezze o difficoltà.

La sua domanda, se sia troppo esagerata o giudicante, non ha una risposta semplice, ma direi che la sua sensibilità e il suo desiderio di vedere la ragazza aiutata sono molto validi. Non si tratta di giudicare i genitori, ma di riconoscere che certe dinamiche familiari e relazionali possono influire profondamente sullo sviluppo di un individuo, e spesso chi si trova all’esterno può vedere cose che i diretti interessati non riescono a percepire.

Infine, se le sue preoccupazioni continuano, potrebbe essere utile suggerire in maniera delicata alla madre della ragazza di considerare un altro consulto, magari con un altro professionista che possa offrire una visione diversa, senza che questo venga percepito come un giudizio. La possibilità di un supporto psicologico per la giovane donna, sebbene non immediatamente visibile nella sua famiglia, potrebbe fare una grande differenza.

Rimango a disposizione per approfondire ulteriormente questi aspetti.

Dott. Luca Vocino
Ciao Isabella, ti ringrazio per aver condiviso questa riflessione e per aver sollevato un tema davvero importante.
Prima di tutto, capisco perfettamente il tuo sentimento di perplessità riguardo alla risposta che la madre ha ricevuto dal neuropsichiatra infantile. Spesso, nel campo della salute mentale, ci sono situazioni in cui le diagnosi o i consigli che vengono dati possono sembrare superficiali o riduttivi, e ciò può portare i genitori a minimizzare i segnali di disagio dei figli. Tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che ogni bambino o adolescente ha una sua unicità e che la manifestazione dei disagi psicologici può essere molto diversa da persona a persona.
Nel caso specifico che hai descritto, sembra che la ragazza avesse dei segnali chiari di disagio, come il rifiuto di andare a scuola e il sentirsi male fuori casa, che sono comportamenti che non vanno ignorati, soprattutto a quell'età. Il fatto che il neuropsichiatra abbia ridotto la situazione a una questione di “capricci” e “iperprotezione” può essere stato un errore di valutazione, anche se è possibile che il professionista non abbia avuto tutte le informazioni necessarie per una diagnosi accurata.
Quando i genitori minimizzano o non riconoscono i segnali di un possibile disagio psicologico, come sembra essere successo in questo caso, può esserci una combinazione di fattori. Forse i genitori, come hai accennato, volevano rassicurarsi e cercare una risposta che li liberasse da un senso di colpa o di preoccupazione. Spesso, quando i genitori si trovano di fronte a comportamenti che non comprendono, la reazione più comune è quella di cercare di giustificarli, magari perché non hanno gli strumenti per affrontare il problema in modo più profondo. In questo caso, la madre potrebbe aver bisogno di riconoscere che la figlia aveva bisogno di un supporto maggiore, che non era solo "capricciosa", ma che quei comportamenti avevano un significato più profondo, che poteva essere legato a stress, ansia o altre difficoltà emotive.
Purtroppo, quando queste situazioni non vengono affrontate in modo adeguato durante l'infanzia o l'adolescenza, possono avere delle ripercussioni più avanti nella vita, come nel caso della ragazza che descrivi, che sembra avere delle difficoltà anche da adulta. A volte, quando le problematiche psicologiche non vengono trattate, possono evolversi in disagio cronico, isolamento o difficoltà a costruire una vita soddisfacente, come sembra accadere nella situazione di questa ragazza.
Detto ciò, non credo che tu stia giudicando in modo eccessivo. La tua preoccupazione è legittima, e anche il tuo desiderio di proteggere e comprendere la ragazza dimostra un’empatia e una consapevolezza che è importante avere, soprattutto quando si tratta di bambini o giovani adulti che potrebbero non avere il supporto adeguato. È difficile essere genitori, e non è facile fare sempre le scelte giuste. Tuttavia, il tuo sentimento di disagio rispetto al fatto che i genitori non abbiano riconosciuto i segnali della figlia mi sembra molto umano, soprattutto se consideri che, come mamma, hai una visione molto empatica e desideri il meglio per tuo figlio.
Un consiglio che potresti dare alla madre potrebbe essere quello di riflettere sulle difficoltà della figlia con maggiore apertura e senza minimizzare i segnali che, anche se a volte sembrano piccoli o difficili da interpretare, potrebbero essere sintomi di problemi più grandi. Potresti suggerire di cercare un altro parere o di considerare un percorso psicoterapeutico, che potrebbe aiutare la ragazza a superare le sue difficoltà emotive e a risolvere i conflitti con se stessa e con gli altri.
La cosa più importante è che anche la madre prenda consapevolezza che, sebbene possa sentirsi in pace con la decisione presa dieci anni fa, il problema potrebbe non essere stato risolto, e potrebbe esserci ancora bisogno di supporto per la figlia, non solo da parte sua, ma anche da professionisti che possano offrire uno spazio sicuro dove la ragazza possa esplorare e comprendere le sue emozioni.
Quindi, no, non sei esagerata o giudicante. Piuttosto, sembri una persona empatica e consapevole del bisogno di prendersi cura degli altri, e questo è qualcosa di molto positivo e necessario per creare un ambiente sano e di supporto per tutti, soprattutto per chi sta attraversando momenti difficili.
Salve, premesso che non si può con pochi elementi giudicare il comportamento del neuropsichiatra. Certo è che forse avrei indagato di più la situazione, proponendo incontri con la ragazza. Bisognerebbe sapere se la ragazza prima di provare rifiuto per la scuola, andava contenta, studiava socializzava. Molte volte dietro questo ritiro sociale, ci sono problemi di bullismo, di violenze di profonde delusioni , anche da parte dei professori. Forse il neuropsichiatra le avrà avute queste informazioni , chissà. Solo se la ragazza dovesse decidere di farsi aiutare , potrebbe sbloccare la situazione. Per qualsiasi chiarimento rimango a disposizione. Dott.ssa Gabriella Cascinelli
Dott.ssa Francesca Casolari
Psicologo, Psicologo clinico
Modena
salve, lei sta dicendo solo il suo parere, non possiamo sapere se aveva ragione o meno il dottore, come l'iperprotezione porta anche a questo. grazie
Dott.ssa Rossella Carrara
Psicologo, Psicologo clinico
Bergamo
Buonasera, ammenoché non abbia una laurea in Neuropsichiatria anche lei, si, ritengo che sia giudicante, senza avere le competenze per poterlo fare. Cordiali saluti.
Dott.ssa Fiammetta Gioia
Psicologo, Psicologo clinico
Mirano
Cara Isabella,

la sua riflessione è sincera, accorata, e si sente che nasce da un punto di vista molto partecipe e attento, soprattutto in quanto madre. È naturale che, ascoltando una storia come quella che ha raccontato, si attivino emozioni forti, soprattutto quando si percepisce che i bisogni di un bambino – o oggi di una giovane donna – possano essere stati trascurati o fraintesi.

Detto ciò, mi permetto di sottolineare con delicatezza che, pur nella sua impressione personale e nei racconti ricevuti, non è possibile conoscere davvero le dinamiche familiari interne, la loro storia emotiva, le risorse disponibili in quel momento e le fragilità di ognuno. A volte, ciò che all’esterno può sembrare incomprensibile o “sbagliato” è in realtà il risultato di tentativi, limiti, paure o semplicemente di un contesto poco favorevole al riconoscimento del disagio.

La risposta ricevuta allora dal neuropsichiatra – per come viene riportata – sembra oggettivamente poco accogliente, forse sbrigativa, e purtroppo può aver contribuito a chiudere la possibilità di approfondire ciò che la bambina stava esprimendo. Ma anche questo andrebbe compreso alla luce di un contesto che non conosciamo pienamente. È possibile che quei genitori, nel tempo, abbiano fatto il meglio che potevano, secondo le loro capacità e convinzioni. Non per questo significa che la situazione non meriti oggi una nuova lettura, anzi.

Se lei sente che questa ragazza è in difficoltà, che si porta dietro un senso di incomprensione o una certa solitudine, è molto bello e importante che riesca a vederlo e a non etichettarla. Ma più che giudicare le scelte passate dei suoi genitori – che magari oggi portano avanti lo stesso schema senza rendersene conto – forse ciò che si può fare, anche con discrezione, è suggerire un nuovo punto di vista: ricordare che non è mai troppo tardi per chiedere supporto. Né per un genitore, né per una figlia ormai adulta.

A volte, bastano piccole parole dette con rispetto, come “Hai mai pensato che forse potreste parlarne con qualcuno di esterno?”, per riaprire uno spiraglio. Se invece non dovesse esserci disponibilità, può comunque sapere che il semplice fatto di vedere quella ragazza per ciò che è – al di là dell’etichetta che si porta dietro – è già, per lei, un’esperienza diversa, un piccolo sollievo.

Le sue riflessioni non sono esagerate. Sono la testimonianza di una madre attenta, che si interroga su cosa significhi davvero ascoltare un figlio. E questo è sempre un gesto di grande cura.

Un caro saluto.
Dott.ssa Sara Petroni
Psicologo clinico, Psicologo
Tarquinia
Gentile utente,
la preoccupazione che esprime non riguarda solo la situazione che descrive, ma anche ciò che questa storia attiva dentro di Lei. Quando osserviamo il modo in cui altri genitori gestiscono i propri figli, spesso emergono parti sensibili della nostra esperienza: aspettative, paure, valori educativi o timori di “fare diversamente” con i nostri.

È importante, quindi, chiedersi non tanto cosa sia accaduto davvero in quella famiglia (su cui, dall’esterno, non possiamo trarre conclusioni complete), ma cosa significa per Lei che la madre abbia accolto così la situazione e perché questo episodio l’ha colpita così profondamente.

La Sua reazione sembra parlare del suo modo attento e coinvolto di vivere il ruolo materno e del desiderio di riconoscere i segnali dei bambini per non farli sentire soli o fraintesi. Questa sensibilità è una risorsa, non un eccesso di giudizio: indica quanto sia per Lei importante comprendere, ascoltare e cogliere ciò che suo figlio prova.

Su ciò che è accaduto in quella famiglia, possiamo solo sospendere il giudizio: ogni storia ha dinamiche interne che dall’esterno non vediamo completamente. Ma possiamo dire qualcosa sul suo vissuto: questo episodio sembra averle mostrato quanto Lei tenga alla possibilità di comprendere i bisogni emotivi di un figlio e quanto desideri agire in modo consapevole nel suo ruolo di madre.

Dott.ssa Sara Petroni

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