Salve dottori, ho 37 anni e per quasi 4 anni ho avuto una relazione abbastanza burrascosa con quello
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Salve dottori, ho 37 anni e per quasi 4 anni ho avuto una relazione abbastanza burrascosa con quello che ora è il mio ex ragazzo. Premetto di fare da poco tempo sedute psicologiche presso csm della mia zona, in quanto nonostante non siamo più insieme da 8 mesi non riesco a distaccarmi emotivamente da lui.
Recentemente ci siamo rivisti, avevo la speranza che alcuni suoi comportamenti ( difficoltà nel gestire lo stress e la rabbia, i conflitti con me e l' impulsività) fossero migliorati , anche sperando che fosse maturato di più.
Purtroppo ha sempre avuto la tendenza a gestire e manovrare un po' tutto nella nostra relazione ed io essendo una persona reattiva di natura dopo essere stata succube per molto tempo d' un tratto ho tirato fuori il mio carattere e quel che avevo messo a tacere per ben due anni con lui. Dopodiché cominciando a distaccarmi e a riprendere la mia vita in mano , lui ha travisato , pensando che fossi meno coinvolta e che volevo sopraffarlo, come se nella nostra storia si fosse creato( da parte sua ) un rapporto quasi di potere e controllo su di me e che col tempo ha fatto precipitare tutto. In questi 8 mesi di distacco ci siamo sentiti a intermittenza, entrambi non riuscivamo a chiudere definitivamente ma lui diceva di aver acquistato più autonomia e tranquillità senza di me. Io no. Mi sentivo un pochino meglio ma comunque dovevo sentirlo e sapere come stava.
Non è mai riuscito a capire che la fonte della sua rabbia e dei suoi problemi non ero e nn sono io, ma le modalità errate di gestione delle sue emozioni e dei conflitti.
Purtroppo ha sempre dato la colpa a me, innescandomi un forte senso di colpa che tutt ora mi crea ansia ed angoscia.
Inoltre, abbiamo sempre faticato ad avere una comunicazione efficace e a trovare compromessi, questo perché i suoi erano monologhi e quasi sempre aveva ragione lui . Non si è mai focalizzato sulle cose positive e su tutto quel che ho dato per lui, andando anche spesso contro i miei genitori che non accettavano di buon grado la nostra storia.
Da ieri c è stata una discussione e avendo io stessa cambiato programmi per il primo maggio che dovevo passare con lui è andato su tutte le furie. Le mie sono motivazioni valide e dovendo stare dietro a sbalzi di umore e a capricci ho deciso di non passarlo con lui, ma sola e a casa.
Questo ha fatto si che si innescasse in lui un grande pentimento per avermi rivista ultimamente, facendomi passare per la causa del suo nervoso attuale.
Io capisco che ci sia rimasto male ma quello che non condivido sono i suoi modi di farmelo capire , e anziché trovare un compromesso chiude tutto drasticamente. Servirebbe anche a lui uno psicologo ma proprio non vuole saperne.
Non so come uscire da questa spirale, mi sento sempre in colpa e non riesco a farlo ragionare...non c è verso per farmi spiegare e se ci provo non vuole sentire ragioni perché è molto convinto di quello che pensa. Mi sento molto stanca mentalmente.
Grazie ....
Recentemente ci siamo rivisti, avevo la speranza che alcuni suoi comportamenti ( difficoltà nel gestire lo stress e la rabbia, i conflitti con me e l' impulsività) fossero migliorati , anche sperando che fosse maturato di più.
Purtroppo ha sempre avuto la tendenza a gestire e manovrare un po' tutto nella nostra relazione ed io essendo una persona reattiva di natura dopo essere stata succube per molto tempo d' un tratto ho tirato fuori il mio carattere e quel che avevo messo a tacere per ben due anni con lui. Dopodiché cominciando a distaccarmi e a riprendere la mia vita in mano , lui ha travisato , pensando che fossi meno coinvolta e che volevo sopraffarlo, come se nella nostra storia si fosse creato( da parte sua ) un rapporto quasi di potere e controllo su di me e che col tempo ha fatto precipitare tutto. In questi 8 mesi di distacco ci siamo sentiti a intermittenza, entrambi non riuscivamo a chiudere definitivamente ma lui diceva di aver acquistato più autonomia e tranquillità senza di me. Io no. Mi sentivo un pochino meglio ma comunque dovevo sentirlo e sapere come stava.
Non è mai riuscito a capire che la fonte della sua rabbia e dei suoi problemi non ero e nn sono io, ma le modalità errate di gestione delle sue emozioni e dei conflitti.
Purtroppo ha sempre dato la colpa a me, innescandomi un forte senso di colpa che tutt ora mi crea ansia ed angoscia.
Inoltre, abbiamo sempre faticato ad avere una comunicazione efficace e a trovare compromessi, questo perché i suoi erano monologhi e quasi sempre aveva ragione lui . Non si è mai focalizzato sulle cose positive e su tutto quel che ho dato per lui, andando anche spesso contro i miei genitori che non accettavano di buon grado la nostra storia.
Da ieri c è stata una discussione e avendo io stessa cambiato programmi per il primo maggio che dovevo passare con lui è andato su tutte le furie. Le mie sono motivazioni valide e dovendo stare dietro a sbalzi di umore e a capricci ho deciso di non passarlo con lui, ma sola e a casa.
Questo ha fatto si che si innescasse in lui un grande pentimento per avermi rivista ultimamente, facendomi passare per la causa del suo nervoso attuale.
Io capisco che ci sia rimasto male ma quello che non condivido sono i suoi modi di farmelo capire , e anziché trovare un compromesso chiude tutto drasticamente. Servirebbe anche a lui uno psicologo ma proprio non vuole saperne.
Non so come uscire da questa spirale, mi sento sempre in colpa e non riesco a farlo ragionare...non c è verso per farmi spiegare e se ci provo non vuole sentire ragioni perché è molto convinto di quello che pensa. Mi sento molto stanca mentalmente.
Grazie ....
Buongiorno,
la sua storia racconta molto più di una relazione finita: racconta di un intreccio complesso tra legami, colpa, potere e ricerca di senso. A colpirmi è il modo in cui, pur nella fatica, lei cerca di comprendere – se stessa, l’altro, e forse anche cosa tutto questo significhi davvero per lei.
Mi domando: e se il punto non fosse “farlo ragionare”, ma dare senso a come mai tutto questo, proprio ora, continua a risuonare così forte dentro di lei?
Cosa accadrebbe se invece di cercare di uscire dalla spirale, provassimo a esplorarne la forma?
Un caro saluto,
Dr. Giorgio De Giorgi
la sua storia racconta molto più di una relazione finita: racconta di un intreccio complesso tra legami, colpa, potere e ricerca di senso. A colpirmi è il modo in cui, pur nella fatica, lei cerca di comprendere – se stessa, l’altro, e forse anche cosa tutto questo significhi davvero per lei.
Mi domando: e se il punto non fosse “farlo ragionare”, ma dare senso a come mai tutto questo, proprio ora, continua a risuonare così forte dentro di lei?
Cosa accadrebbe se invece di cercare di uscire dalla spirale, provassimo a esplorarne la forma?
Un caro saluto,
Dr. Giorgio De Giorgi
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Buonasera, è sicuramente una relazione che la fa star male e soffrire, in cui c'è un lui dominante e manipolatore e dal quale non riesce a distaccarsi in quanto si è creata una vera e propria dipendenza. In questo caso è lei che deve cercare di capire da cosa ha origine questo suo modo di relazionarsi, e col percorso terapeutico avrà sicuramente dei miglioramenti e potrà capire molte cose di se e anche avere una migliore prospettiva per una futura relazione.
Saluti.
Dott.ssa Sara Rocco
Saluti.
Dott.ssa Sara Rocco
La ringrazio per aver voluto condividere con così tanta onestà e profondità una parte tanto delicata e complessa della sua storia personale. Ciò che descrive è un'esperienza carica di dolore, frustrazione e, al tempo stesso, di un forte desiderio di comprensione e guarigione. È evidente quanto lei stia cercando di trovare un senso a tutto ciò che ha vissuto e a come ancora oggi questa relazione la influenzi profondamente, nonostante siano passati otto mesi dalla rottura. In un percorso a orientamento cognitivo-comportamentale, ciò che lei sta raccontando verrebbe osservato con attenzione partendo proprio dalle sue emozioni attuali: il senso di colpa, l’ansia, la stanchezza mentale, il bisogno di essere ascoltata e compresa. Queste emozioni non sono casuali, né “sbagliate”: sono il risultato di pensieri, schemi relazionali e modalità apprese nel tempo. Quando si è coinvolti in una relazione in cui il conflitto è frequente, la comunicazione è inefficace e il senso di colpa viene continuamente attivato, si finisce per interiorizzare dinamiche disfunzionali. È come se, piano piano, si iniziasse a guardare sé stessi con gli occhi dell’altro, spesso dimenticando il proprio valore, i propri confini, le proprie emozioni legittime. Lei racconta di aver passato molto tempo in posizione "succube", di aver silenziato la sua voce e i suoi bisogni per evitare scontri o per tenere in piedi la relazione. Quando, finalmente, ha cominciato a riprendersi i suoi spazi e a far valere il suo punto di vista, il suo ex ha reagito con rabbia e chiusura, interpretando la sua nuova assertività come un tentativo di controllo o sopraffazione. Questo è molto significativo. Spesso in rapporti squilibrati, quando uno dei due partner comincia a cambiare, a non farsi più annullare, l’altro può vivere questo cambiamento come una minaccia al proprio ruolo, al proprio senso di controllo o addirittura alla propria identità. Lei è stata molto chiara nel riconoscere le dinamiche tossiche di questa relazione: la mancanza di comunicazione paritaria, il bisogno del suo ex di avere il controllo, la tendenza a colpevolizzarla, l’incapacità di affrontare i conflitti in modo sano. E ha anche iniziato a intraprendere un percorso terapeutico, un passo importante, che denota consapevolezza e forza. Tuttavia, anche quando comprendiamo razionalmente che una relazione non è stata sana, può restare una dipendenza emotiva, un bisogno profondo, spesso legato alla speranza che le cose possano cambiare o al desiderio di essere riconosciuti e amati come meritavamo. Il senso di colpa che lei prova, e la fatica a distaccarsi emotivamente, sono segnali che il suo cervello è ancora bloccato in uno schema appreso a lungo: quello di pensare di doversi “spiegare”, “giustificare”, “farsi capire”, come se solo in questo modo potesse ottenere approvazione o pace. Ma in realtà, quando si è di fronte a una persona che non è disposta ad ascoltare, che chiude ogni possibilità di dialogo, che interpreta ogni divergenza come un attacco, ogni tentativo di spiegazione finisce solo per alimentare il circolo vizioso del senso di inadeguatezza. Questa spirale, che lei descrive con grande lucidità, è proprio ciò su cui lavoriamo in terapia: aiutare la persona a riconoscere questi schemi disfunzionali, a mettere in discussione le credenze che li sostengono (come ad esempio “devo sempre spiegarmi per non essere fraintesa” o “se lui soffre, allora è colpa mia”), e a costruire confini sani, sia interiori che relazionali. Questo non significa diventare freddi o egoisti, ma significa iniziare a rispettare davvero sé stessi e il proprio benessere emotivo. È normale che lei oggi si senta stanca. L’uscita da relazioni emotivamente sbilanciate comporta un grande dispendio di energia, perché spesso ci si sente divisi tra il bisogno di chiudere e quello di non perdere ciò che si è costruito, anche se doloroso. Ma proprio la stanchezza può diventare un segnale prezioso: il suo corpo e la sua mente le stanno dicendo che è ora di prendersi cura di sé, di non farsi più carico di responsabilità che non le appartengono, di smettere di inseguire spiegazioni dove non c’è ascolto. Il fatto che lui non voglia intraprendere un percorso psicologico non è una sua responsabilità. Non possiamo cambiare gli altri, né salvarli. Ma possiamo scegliere di cambiare noi stessi, anche nelle reazioni che abbiamo ai loro comportamenti. Continuare il suo percorso psicoterapeutico è la cosa migliore che possa fare ora. Lì potrà affrontare passo dopo passo le emozioni che la tengono legata a questa storia, ricostruire la fiducia in sé stessa, e imparare a lasciar andare senza sentirsi in colpa. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Buona sera, mi hanno colpito molte cose del suo racconto, e comprendo come la fine di una storia possa essere uno tsunami nella sua vita. Al momento è molto stanca mentalmente e questo accade perchè la sua testa sta facendo gli straordinari, pensando e ripensando a tutti gli scenari da lei raccontati. In queste righe la domanda che mi pongo però è dove è lei? come sta, cosa prova? Come si sta prendendo cura di sè? Queste sono le domande a cui può cercare una risposta e da cui ripartire. Faccia un respiro profondo e chieda per sè quello di cui ha bisogno.
Dott. Bruni
Dott. Bruni
Grazie per aver condiviso la tua esperienza. Il quadro che hai descritto è, purtroppo, molto comune nelle relazioni disfunzionali, tuttavia, comprendo la tua sofferenza e il tuo dolore.
Hai descritto una relazione in cui si alternano fasi di sottomissione, di controllo e fasi di reazione e riaffermazione di te stessa. Continua a riprenderti il tuo spazio emotivo, la tua dignità e la tua autonomia senza mai più renderla negoziabile con chiunque voglia manipolarti, controllarti, svalutarti e sottometterti.
Il tuo ex partner pare abbia una totale incapacità di autocontrollo e scarsa tolleranza alla gestione della rabbia e delle frustrazioni.
Il senso di colpa che provi è il sintomo di una forma di manipolazione psicologica messa in atto dal tuo ex per farti sentire sbagliata. Ma tu non sei sbagliata e non sei neppure la causa del suo malessere. Ora sei sulla strada giusta, parla delle tue emozioni e del tuo senso di colpa col tuo psicoterapeuta, lui ti saprà sostenere per il meglio. Coraggio. dott. Rocco Ressa
Hai descritto una relazione in cui si alternano fasi di sottomissione, di controllo e fasi di reazione e riaffermazione di te stessa. Continua a riprenderti il tuo spazio emotivo, la tua dignità e la tua autonomia senza mai più renderla negoziabile con chiunque voglia manipolarti, controllarti, svalutarti e sottometterti.
Il tuo ex partner pare abbia una totale incapacità di autocontrollo e scarsa tolleranza alla gestione della rabbia e delle frustrazioni.
Il senso di colpa che provi è il sintomo di una forma di manipolazione psicologica messa in atto dal tuo ex per farti sentire sbagliata. Ma tu non sei sbagliata e non sei neppure la causa del suo malessere. Ora sei sulla strada giusta, parla delle tue emozioni e del tuo senso di colpa col tuo psicoterapeuta, lui ti saprà sostenere per il meglio. Coraggio. dott. Rocco Ressa
Buongiorno,
la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità quello che sta vivendo. Si percepisce quanto ci sia stata, in questa relazione, una parte di lei che ha provato a dare, a tenere insieme, a far funzionare le cose anche a costo di mettere da parte sé stessa. E quanto, oggi, si stia affacciando un bisogno nuovo: quello di sentirsi ascoltata, rispettata, protetta emotivamente.
A volte restiamo a lungo dentro legami che ci fanno male, anche quando ce ne rendiamo conto, perché dentro di noi, spesso in modo sottile, quasi invisibile, si muove l’idea che se riuscissimo a far cambiare l’altro, a farci riconoscere da lui per ciò che siamo e per tutto ciò che abbiamo dato, allora forse avremmo finalmente la prova di meritare amore. È un meccanismo molto umano, che nasce da ferite profonde e dal desiderio di essere visti. Ma può tenerci bloccati in dinamiche che continuano a toglierci energia, lucidità, fiducia in noi stesse.
Quello che sente, la fatica, il senso di colpa, il bisogno di spiegarsi e di far ragionare l’altro, non sono segni di debolezza, ma segnali preziosi. Indicano che c’è una parte di lei che sta cercando di rimettere al centro la propria dignità, i propri confini, il suo valore.
Il percorso che ha iniziato può essere un’occasione preziosa per riscoprire che non serve convincere nessuno per sentirsi amabili. Che lei è già degna di amore, così com’è. E che questo amore può iniziare proprio da sé stessa.
Se lo desidera, sono a disposizione per accompagnarla in questo cammino.
Un caro saluto,
Dott.ssa Stella Gelli
la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità quello che sta vivendo. Si percepisce quanto ci sia stata, in questa relazione, una parte di lei che ha provato a dare, a tenere insieme, a far funzionare le cose anche a costo di mettere da parte sé stessa. E quanto, oggi, si stia affacciando un bisogno nuovo: quello di sentirsi ascoltata, rispettata, protetta emotivamente.
A volte restiamo a lungo dentro legami che ci fanno male, anche quando ce ne rendiamo conto, perché dentro di noi, spesso in modo sottile, quasi invisibile, si muove l’idea che se riuscissimo a far cambiare l’altro, a farci riconoscere da lui per ciò che siamo e per tutto ciò che abbiamo dato, allora forse avremmo finalmente la prova di meritare amore. È un meccanismo molto umano, che nasce da ferite profonde e dal desiderio di essere visti. Ma può tenerci bloccati in dinamiche che continuano a toglierci energia, lucidità, fiducia in noi stesse.
Quello che sente, la fatica, il senso di colpa, il bisogno di spiegarsi e di far ragionare l’altro, non sono segni di debolezza, ma segnali preziosi. Indicano che c’è una parte di lei che sta cercando di rimettere al centro la propria dignità, i propri confini, il suo valore.
Il percorso che ha iniziato può essere un’occasione preziosa per riscoprire che non serve convincere nessuno per sentirsi amabili. Che lei è già degna di amore, così com’è. E che questo amore può iniziare proprio da sé stessa.
Se lo desidera, sono a disposizione per accompagnarla in questo cammino.
Un caro saluto,
Dott.ssa Stella Gelli
Buonasera, le consiglio di rivolgersi alla psicologa che già la segue e che quindi la conosce. Cordiali saluti.
Gentile utente,
la situazione in cui si trova è sicuramente molto difficile dal punto di vista emotivo ed è facile farsi prendere dalla frustrazione e dalla tristezza. Il punto però è che la possibilità di agire sugli altri è limitata: non possiamo obbligare qualcuno a prendersi cura della propria salute mentale, comprendere le ragioni della propria sofferenza o agire per modificare la propria vita. Quello che però possiamo fare è concentrarci su noi stessi per assicurarci di vivere la situazione in cui ci troviamo nel modo più sano ed efficace.
Continui con le sedute presso il csm e vedrà che la aiuteranno ad "uscire dalla spirale".
Dott. Giacomo Bonetti
la situazione in cui si trova è sicuramente molto difficile dal punto di vista emotivo ed è facile farsi prendere dalla frustrazione e dalla tristezza. Il punto però è che la possibilità di agire sugli altri è limitata: non possiamo obbligare qualcuno a prendersi cura della propria salute mentale, comprendere le ragioni della propria sofferenza o agire per modificare la propria vita. Quello che però possiamo fare è concentrarci su noi stessi per assicurarci di vivere la situazione in cui ci troviamo nel modo più sano ed efficace.
Continui con le sedute presso il csm e vedrà che la aiuteranno ad "uscire dalla spirale".
Dott. Giacomo Bonetti
Comprendo profondamente la sua stanchezza emotiva e la sua frustrazione di fronte a questa dinamica relazionale così complessa e persistente. È evidente quanto questa relazione, pur conclusa, continui a influenzare il suo benessere e la sua serenità.
La sua lucidità nell'analizzare le dinamiche passate e presenti con il suo ex partner è un elemento importante. Riconoscere i suoi schemi di gestione emotiva, la tendenza al controllo e la difficoltà nella comunicazione rappresenta un passo fondamentale nel suo percorso di consapevolezza. Il fatto che lei abbia reagito e manifestato il suo carattere dopo un periodo di "sottomissione" è una reazione naturale e comprensibile a una dinamica relazionale sbilanciata.
La sua speranza di un cambiamento da parte del suo ex partner dopo otto mesi di separazione è legittima, ma la sua delusione di fronte alla persistenza di vecchi schemi è altrettanto comprensibile. La difficoltà nel distacco emotivo che lei prova è un aspetto comune quando si è stati profondamente coinvolti in una relazione, soprattutto se caratterizzata da dinamiche intense e, come lei stessa descrive, "burrascose".
Il senso di colpa che prova, nonostante riconosca le dinamiche problematiche della relazione, è un'emozione complessa che spesso si radica in relazioni disfunzionali, dove la responsabilità viene costantemente spostata su uno dei partner. Questo meccanismo può generare un profondo senso di inadeguatezza e di responsabilità per i sentimenti e le reazioni dell'altro.
La sua difficoltà nel comunicare efficacemente con il suo ex partner, descritta come monologhi in cui le sue ragioni prevalgono, evidenzia uno squilibrio di potere nella relazione e una mancanza di reale ascolto e considerazione per il suo punto di vista. La sua frustrazione nel non riuscire a farsi comprendere e nel sentirsi invalidata è del tutto legittima.
L'episodio recente riguardo al cambio di programma per il primo maggio e la reazione del suo ex partner, con il conseguente pentimento per averla rivista e l'attribuzione a lei della sua irritabilità, ripropone un modello relazionale disfunzionale. La chiusura drastica di fronte a un mancato accordo e l'incapacità di trovare un compromesso sono indicative di una difficoltà nella gestione dei conflitti e di una tendenza a polarizzare le situazioni.
Il suo desiderio che anche il suo ex partner intraprenda un percorso psicologico è comprensibile, data la sua consapevolezza delle sue difficoltà emotive e relazionali. Tuttavia, come lei stessa constata, questa è una decisione che spetta unicamente a lui.
Per uscire da questa spirale di senso di colpa e di coinvolgimento emotivo persistente, è fondamentale continuare e approfondire il suo percorso psicologico individuale. Le sedute presso il CSM rappresentano uno spazio prezioso per esplorare le radici del suo coinvolgimento emotivo, per elaborare il senso di colpa, per rafforzare la sua autostima e per sviluppare strategie più funzionali per stabilire confini sani nelle sue relazioni.
È importante che lei si concentri su se stessa e sul suo processo di guarigione emotiva. Riconoscere che lei non è responsabile delle reazioni e delle scelte del suo ex partner è un passo cruciale. Imparare a distinguere le sue responsabilità da quelle altrui e a non farsi carico del malessere emotivo dell'altro è un processo che richiede tempo e supporto professionale.
Attraverso la terapia, potrà gradualmente sciogliere i legami emotivi ancora presenti, comprendere le dinamiche che l'hanno mantenuta in questa relazione e sviluppare una maggiore autonomia emotiva. Imparerà a riconoscere i suoi bisogni e a dare loro la priorità, senza sentirsi in colpa per le scelte che fa per il suo benessere.
Ricordi che il suo percorso di guarigione è un processo graduale e che è importante essere paziente con se stessa. Il supporto psicologico è uno strumento potente per aiutarla a superare questo momento e a costruire relazioni più sane e appaganti in futuro.
La sua lucidità nell'analizzare le dinamiche passate e presenti con il suo ex partner è un elemento importante. Riconoscere i suoi schemi di gestione emotiva, la tendenza al controllo e la difficoltà nella comunicazione rappresenta un passo fondamentale nel suo percorso di consapevolezza. Il fatto che lei abbia reagito e manifestato il suo carattere dopo un periodo di "sottomissione" è una reazione naturale e comprensibile a una dinamica relazionale sbilanciata.
La sua speranza di un cambiamento da parte del suo ex partner dopo otto mesi di separazione è legittima, ma la sua delusione di fronte alla persistenza di vecchi schemi è altrettanto comprensibile. La difficoltà nel distacco emotivo che lei prova è un aspetto comune quando si è stati profondamente coinvolti in una relazione, soprattutto se caratterizzata da dinamiche intense e, come lei stessa descrive, "burrascose".
Il senso di colpa che prova, nonostante riconosca le dinamiche problematiche della relazione, è un'emozione complessa che spesso si radica in relazioni disfunzionali, dove la responsabilità viene costantemente spostata su uno dei partner. Questo meccanismo può generare un profondo senso di inadeguatezza e di responsabilità per i sentimenti e le reazioni dell'altro.
La sua difficoltà nel comunicare efficacemente con il suo ex partner, descritta come monologhi in cui le sue ragioni prevalgono, evidenzia uno squilibrio di potere nella relazione e una mancanza di reale ascolto e considerazione per il suo punto di vista. La sua frustrazione nel non riuscire a farsi comprendere e nel sentirsi invalidata è del tutto legittima.
L'episodio recente riguardo al cambio di programma per il primo maggio e la reazione del suo ex partner, con il conseguente pentimento per averla rivista e l'attribuzione a lei della sua irritabilità, ripropone un modello relazionale disfunzionale. La chiusura drastica di fronte a un mancato accordo e l'incapacità di trovare un compromesso sono indicative di una difficoltà nella gestione dei conflitti e di una tendenza a polarizzare le situazioni.
Il suo desiderio che anche il suo ex partner intraprenda un percorso psicologico è comprensibile, data la sua consapevolezza delle sue difficoltà emotive e relazionali. Tuttavia, come lei stessa constata, questa è una decisione che spetta unicamente a lui.
Per uscire da questa spirale di senso di colpa e di coinvolgimento emotivo persistente, è fondamentale continuare e approfondire il suo percorso psicologico individuale. Le sedute presso il CSM rappresentano uno spazio prezioso per esplorare le radici del suo coinvolgimento emotivo, per elaborare il senso di colpa, per rafforzare la sua autostima e per sviluppare strategie più funzionali per stabilire confini sani nelle sue relazioni.
È importante che lei si concentri su se stessa e sul suo processo di guarigione emotiva. Riconoscere che lei non è responsabile delle reazioni e delle scelte del suo ex partner è un passo cruciale. Imparare a distinguere le sue responsabilità da quelle altrui e a non farsi carico del malessere emotivo dell'altro è un processo che richiede tempo e supporto professionale.
Attraverso la terapia, potrà gradualmente sciogliere i legami emotivi ancora presenti, comprendere le dinamiche che l'hanno mantenuta in questa relazione e sviluppare una maggiore autonomia emotiva. Imparerà a riconoscere i suoi bisogni e a dare loro la priorità, senza sentirsi in colpa per le scelte che fa per il suo benessere.
Ricordi che il suo percorso di guarigione è un processo graduale e che è importante essere paziente con se stessa. Il supporto psicologico è uno strumento potente per aiutarla a superare questo momento e a costruire relazioni più sane e appaganti in futuro.
Buongiorno,
grazie per aver condiviso con sincerità una parte così delicata della sua storia.
È evidente quanto questa relazione abbia inciso sul suo equilibrio emotivo e quanto lei abbia cercato, con grande impegno, di comprenderla e mantenerla viva, anche a costo di mettere da parte se stessa. Il senso di colpa, la fatica nel gestire il distacco e la difficoltà nel far valere il proprio punto di vista sono segnali di quanto si sia sentita coinvolta e allo stesso tempo poco riconosciuta.
Il percorso psicologico che ha intrapreso è un passo fondamentale: può aiutarla a rafforzare la sua autostima, a rimettere al centro i suoi bisogni e a scegliere con maggiore consapevolezza ciò che le fa davvero bene. Non è facile uscire da dinamiche relazionali che ci hanno segnato profondamente, ma può iniziare a costruire, con pazienza e cura, un modo nuovo di stare con se stessa e con gli altri.
Si dia il permesso di stare meglio, senza sentirsi in colpa per aver scelto ciò che la protegge.
Resto a disposizione. Saluti, dott.ssa Elena Dati
grazie per aver condiviso con sincerità una parte così delicata della sua storia.
È evidente quanto questa relazione abbia inciso sul suo equilibrio emotivo e quanto lei abbia cercato, con grande impegno, di comprenderla e mantenerla viva, anche a costo di mettere da parte se stessa. Il senso di colpa, la fatica nel gestire il distacco e la difficoltà nel far valere il proprio punto di vista sono segnali di quanto si sia sentita coinvolta e allo stesso tempo poco riconosciuta.
Il percorso psicologico che ha intrapreso è un passo fondamentale: può aiutarla a rafforzare la sua autostima, a rimettere al centro i suoi bisogni e a scegliere con maggiore consapevolezza ciò che le fa davvero bene. Non è facile uscire da dinamiche relazionali che ci hanno segnato profondamente, ma può iniziare a costruire, con pazienza e cura, un modo nuovo di stare con se stessa e con gli altri.
Si dia il permesso di stare meglio, senza sentirsi in colpa per aver scelto ciò che la protegge.
Resto a disposizione. Saluti, dott.ssa Elena Dati
Gentile utente, grazie della condivisione e del coraggio dimostrato nell'aprirsi con tanta sincerità.
Mi pare che lei ci stia descrivendo una relazione contraddistinta da controllo e manipolazione emotiva da parte del suo ex ragazzo, dove ad un dialogo sano venivano sostituite colpevolizzazioni, continue svalutazioni, e una mancanza di presa di responsabilità dei propri stati emotivi.
Da qui possiamo iniziare, purtroppo con una "cattiva" notizia, queste reazioni di rabbia e chiusura, insieme al rifiuto di riconoscersi come autori del proprio comportamento ed emozioni, è un segnale che punta in maniera molto diretta verso la non capacità di cambiare di questa persona.
Sembra che il suo ex ragazzo abbia bisogno di qualcuno da usare come stampella emotiva, mostra una enorme dipendenza disconosciuta, e credo che la rabbia e le svalutazioni gli servano per poter mantenere una autostima fragilissima, anche se ai danni dell'altro.
Quindi credo sia anche giusto chiamare certi suoi comportamenti per quello che sono, ovvero violenza psicologica.
E questa è una cosa difficilissima da ammettersi, ovvero che una persona che abbiamo amato in realtà non abbia mai voluto il nostro bene, ma ci abbia usati per sorreggere le sue fragilità, e in particolare come noi stessi abbiamo accettato di stare in quella situazione.
Per questo posso dirle che non può stare ad aspettare un cambiamento che non arriverà, non è suo compito cambiarlo, guarirlo e /o convincerlo ad andare dallo psicologo, si ricordi che non state più assieme, e l'autentica preoccupazione che lei ha per questa persona lui la sta usando contro di lei. Ha già fatto il primo passo riuscendo a lasciarlo, ora bisogna iniziare a fare il secondo riconoscendo il proprio diritto a essere felici.
Sta già dimostrando molta consapevolezza, avendo iniziato un percorso psicologico individuale, prosegua così, e si dia tempo, i miglioramenti arriveranno piano piano, ma arriveranno.
Continui anche a fidarsi del suo malessere, lo ascolti, in queste emozioni si nasconde la risposta, sarebbe facile per me dirle che "non si deve sentire sbagliata" che "lei vale" ma il punto è che questo lo dovrà scoprire da sola, e penso che il primo passo sia proprio confrontarsi con i sentimenti di angoscia e lasciarli fluire.
Per il resto le auguro tutto il bene possibile, un cordiale saluto dott. Niccolò Orsi Bandini.
Mi pare che lei ci stia descrivendo una relazione contraddistinta da controllo e manipolazione emotiva da parte del suo ex ragazzo, dove ad un dialogo sano venivano sostituite colpevolizzazioni, continue svalutazioni, e una mancanza di presa di responsabilità dei propri stati emotivi.
Da qui possiamo iniziare, purtroppo con una "cattiva" notizia, queste reazioni di rabbia e chiusura, insieme al rifiuto di riconoscersi come autori del proprio comportamento ed emozioni, è un segnale che punta in maniera molto diretta verso la non capacità di cambiare di questa persona.
Sembra che il suo ex ragazzo abbia bisogno di qualcuno da usare come stampella emotiva, mostra una enorme dipendenza disconosciuta, e credo che la rabbia e le svalutazioni gli servano per poter mantenere una autostima fragilissima, anche se ai danni dell'altro.
Quindi credo sia anche giusto chiamare certi suoi comportamenti per quello che sono, ovvero violenza psicologica.
E questa è una cosa difficilissima da ammettersi, ovvero che una persona che abbiamo amato in realtà non abbia mai voluto il nostro bene, ma ci abbia usati per sorreggere le sue fragilità, e in particolare come noi stessi abbiamo accettato di stare in quella situazione.
Per questo posso dirle che non può stare ad aspettare un cambiamento che non arriverà, non è suo compito cambiarlo, guarirlo e /o convincerlo ad andare dallo psicologo, si ricordi che non state più assieme, e l'autentica preoccupazione che lei ha per questa persona lui la sta usando contro di lei. Ha già fatto il primo passo riuscendo a lasciarlo, ora bisogna iniziare a fare il secondo riconoscendo il proprio diritto a essere felici.
Sta già dimostrando molta consapevolezza, avendo iniziato un percorso psicologico individuale, prosegua così, e si dia tempo, i miglioramenti arriveranno piano piano, ma arriveranno.
Continui anche a fidarsi del suo malessere, lo ascolti, in queste emozioni si nasconde la risposta, sarebbe facile per me dirle che "non si deve sentire sbagliata" che "lei vale" ma il punto è che questo lo dovrà scoprire da sola, e penso che il primo passo sia proprio confrontarsi con i sentimenti di angoscia e lasciarli fluire.
Per il resto le auguro tutto il bene possibile, un cordiale saluto dott. Niccolò Orsi Bandini.
Carissima, leggendo le tue parole noto che sei molto concentrare su quello che lui fa, dice e pensa. Ti consiglio di spostare il tuo focus su TE STESSA: continua il percorso psicologico che hai iniziato e sfrutta questi incontri per comprendere il tuo sentire e il tuo reagire ai comportamenti di lui. Un saluto
Grazie per aver condiviso una storia così complessa e dolorosa. Quello che descrivi è un legame affettivo caratterizzato da dinamiche di controllo, colpa e scarsa reciprocità emotiva. Il tuo bisogno di chiarimento e comprensione è umano, ma rischia di tenerti incastrata in un circolo tossico, dove le tue emozioni vengono invalidate. Il fatto che tu stia facendo un percorso psicologico è fondamentale: continua a lavorare su di te, sulla tua autostima e sui tuoi confini. È importante riconoscere che non puoi cambiare l’altro, soprattutto se lui non vuole mettersi in discussione. Il senso di colpa che provi è una conseguenza di manipolazioni emotive subite nel tempo, non di colpe reali. La fatica mentale che senti è il segnale che è tempo di proteggerti, anche a costo di interrompere definitivamente il contatto. Hai già fatto un grande passo: ora il lavoro è restare fedele a te stessa.
Buongiorno,
la ringrazio per la profondità e la lucidità con cui ha condiviso la sua esperienza. Le sue parole restituiscono una storia relazionale molto intensa, fatta di legami profondi ma anche di forti tensioni, dinamiche squilibrate e un senso di colpa che sembra aver continuato a vivere ben oltre la fine ufficiale della relazione.
Nel lavoro sistemico, guardiamo alla relazione non solo come a un legame tra due individui, ma come a un sistema con le sue regole implicite, i suoi equilibri, ruoli e significati condivisi — anche quando sono disfunzionali. Spesso, come nel suo caso, ci si può trovare a mantenere un legame emotivo molto forte anche quando razionalmente si è consapevoli della tossicità o del dolore che quel rapporto ha generato. Questo accade perché, nel sistema che si era creato, lei ha occupato per molto tempo una posizione ben precisa: quella della “pacificatrice”, della persona che cerca il dialogo, che si adatta, che tollera... finché può. Quando poi emerge una reazione, anche legittima, l’altra persona la vive come un tradimento dell’equilibrio (seppur disfunzionale) su cui si era abituato a contare.
Il senso di colpa che prova oggi potrebbe essere legato proprio a questo: ha rotto, con fatica, un copione relazionale che non le faceva bene, ma che per molto tempo ha rappresentato una forma (pur dolorosa) di stabilità. In lei convivono il bisogno di essere ascoltata e compresa, e la fatica di accettare che forse — oggi — il suo ex non è disponibile a mettersi in discussione, né a costruire una comunicazione realmente paritaria.
È importante sottolineare che i suoi bisogni, le sue emozioni e le sue scelte — anche quella di proteggersi e dire “no” — sono legittimi. Lei non è responsabile delle reazioni emotive dell’altro, così come non può farsi carico della sua crescita o del suo cambiamento, per quanto sarebbe bello poter condividere anche questo aspetto in una relazione sana.
La decisione di iniziare un percorso al CSM è un passo prezioso. Lì potrà lavorare su come rafforzare i suoi confini, riconoscere i meccanismi relazionali in cui si sente invischiata, e imparare a stare nei suoi sentimenti senza lasciarsi dominare dalla colpa o dalla paura di essere “sbagliata”. La stanchezza mentale che descrive è il segnale più chiaro che è tempo di prendersi cura di sé, non per allontanarsi dal dolore, ma per trasformarlo in qualcosa di nuovo.
Uscire da questa spirale è possibile, e lo sta già facendo. A piccoli passi, con il supporto giusto.
Se desidera, posso aiutarla a riflettere su alcuni strumenti pratici per gestire meglio questo legame ancora aperto.
la ringrazio per la profondità e la lucidità con cui ha condiviso la sua esperienza. Le sue parole restituiscono una storia relazionale molto intensa, fatta di legami profondi ma anche di forti tensioni, dinamiche squilibrate e un senso di colpa che sembra aver continuato a vivere ben oltre la fine ufficiale della relazione.
Nel lavoro sistemico, guardiamo alla relazione non solo come a un legame tra due individui, ma come a un sistema con le sue regole implicite, i suoi equilibri, ruoli e significati condivisi — anche quando sono disfunzionali. Spesso, come nel suo caso, ci si può trovare a mantenere un legame emotivo molto forte anche quando razionalmente si è consapevoli della tossicità o del dolore che quel rapporto ha generato. Questo accade perché, nel sistema che si era creato, lei ha occupato per molto tempo una posizione ben precisa: quella della “pacificatrice”, della persona che cerca il dialogo, che si adatta, che tollera... finché può. Quando poi emerge una reazione, anche legittima, l’altra persona la vive come un tradimento dell’equilibrio (seppur disfunzionale) su cui si era abituato a contare.
Il senso di colpa che prova oggi potrebbe essere legato proprio a questo: ha rotto, con fatica, un copione relazionale che non le faceva bene, ma che per molto tempo ha rappresentato una forma (pur dolorosa) di stabilità. In lei convivono il bisogno di essere ascoltata e compresa, e la fatica di accettare che forse — oggi — il suo ex non è disponibile a mettersi in discussione, né a costruire una comunicazione realmente paritaria.
È importante sottolineare che i suoi bisogni, le sue emozioni e le sue scelte — anche quella di proteggersi e dire “no” — sono legittimi. Lei non è responsabile delle reazioni emotive dell’altro, così come non può farsi carico della sua crescita o del suo cambiamento, per quanto sarebbe bello poter condividere anche questo aspetto in una relazione sana.
La decisione di iniziare un percorso al CSM è un passo prezioso. Lì potrà lavorare su come rafforzare i suoi confini, riconoscere i meccanismi relazionali in cui si sente invischiata, e imparare a stare nei suoi sentimenti senza lasciarsi dominare dalla colpa o dalla paura di essere “sbagliata”. La stanchezza mentale che descrive è il segnale più chiaro che è tempo di prendersi cura di sé, non per allontanarsi dal dolore, ma per trasformarlo in qualcosa di nuovo.
Uscire da questa spirale è possibile, e lo sta già facendo. A piccoli passi, con il supporto giusto.
Se desidera, posso aiutarla a riflettere su alcuni strumenti pratici per gestire meglio questo legame ancora aperto.
Gentilissima, sono felice sia seguita presso il CSM.. condivida col professionista che la segue questo suo sentire, saprà sicuramente accompagnarla fuori da questa spirale dalla quale vuole uscire, anche se adesso non sa come fare.
Purtroppo, a volte entriamo in relazione con persone che ci fanno sentire sempre in colpa, come se fossimo sbagliate, come se non avesse valore il nostro punto di vista, o come se non avessimo valore noi come persone., e nonostante questo non riusciamo as staccarci del tutto da loro.
Il senso di colpa che prova non merita di provarlo, nel senso che non è "giustificato" dalla situazione, e sicuramente una relazione affettiva in cui la colpa è sempre la sua, non è una relazione sana.. soprattutto tenendo conto del fatto che ognuno di noi è responsabile delle proprie emozioni, dei propri modi di comportarsi.
è comprensibile che provi ansia, angoscia e sia mentalmente stanca..
Sarà importante fare esperienza di sè - senza di lui. un passo alla volta, un giorno alla volta. abbia fiducia nel suo percorso al CSM.
Si ricordi, le sue motivazioni sono valide, sempre.
un caro saluto!
Purtroppo, a volte entriamo in relazione con persone che ci fanno sentire sempre in colpa, come se fossimo sbagliate, come se non avesse valore il nostro punto di vista, o come se non avessimo valore noi come persone., e nonostante questo non riusciamo as staccarci del tutto da loro.
Il senso di colpa che prova non merita di provarlo, nel senso che non è "giustificato" dalla situazione, e sicuramente una relazione affettiva in cui la colpa è sempre la sua, non è una relazione sana.. soprattutto tenendo conto del fatto che ognuno di noi è responsabile delle proprie emozioni, dei propri modi di comportarsi.
è comprensibile che provi ansia, angoscia e sia mentalmente stanca..
Sarà importante fare esperienza di sè - senza di lui. un passo alla volta, un giorno alla volta. abbia fiducia nel suo percorso al CSM.
Si ricordi, le sue motivazioni sono valide, sempre.
un caro saluto!
Il percorso da Lei intrapreso presso il CSM della Sua zona Le darà sicuramente l'aiuto di cui ha bisogno per affrontare questa situazione.
Si dia tempo!
Si dia tempo!
Cara, quello che stai raccontando non è solo la tua storia: è la storia di tante persone che si aggrappano alla speranza che l’altro cambi, che un giorno capirà, che forse stavolta andrà diversamente. Ma ogni volta il copione si ripete, con lo stesso finale: colpa, confusione, stanchezza mentale.
Sai qual è il segnale più chiaro che una relazione ti fa male? Quando devi giustificarti continuamente per aver messo te stessa al primo posto.
Non sei tu il problema. Il fatto che ti senti stanca è il tuo corpo che ti sta dicendo: "È ora di smettere di combattere battaglie che non ti appartengono."
Hai già fatto un passo enorme iniziando un percorso psicologico. Ora servono due scelte coraggiose:
Tagliare il filo che ti tiene legata alla sua approvazione.
Smettere di cercare di spiegare te stessa a chi ha già deciso di non ascoltarti.
Un caro saluto, Dott.ssa A.Mustatea
Buongiorno, la ringrazio per aver condiviso con così tanta sincerità la sua esperienza, il suo vissuto è molto intenso e doloroso ed è evidente quanto lei abbia lavorato su di sè e quanto impegno stia mettendo nel tentativo di comprendersi e di uscire da un legame che continua a generarle sofferenza. Lei ha già iniziato a riconoscere alcuni meccanismi ricorrenti ( la tendenza a darsi delle colpe o a giustificare l'altro o ancora di sentirsi in dovere di mettere in salvo chi le sta accanto) e questa è già un'ottima base per mettere in moto un cambiamento. Le consiglio di andare avanti così nel suo percorso e resto a disposizione per ulteriori riflessioni.
Un caro saluto,
Dott.ssa Petrolo Genny
Un caro saluto,
Dott.ssa Petrolo Genny
Ciao, ti ringrazio per aver condiviso con tanta lucidità e profondità quello che stai vivendo. Non è facile parlare di legami emotivi che ci segnano, soprattutto quando siamo ancora invischiati in dinamiche che ci logorano ma da cui non riusciamo a staccarci completamente.
Quello che descrivi non è solo la fine di una relazione, ma il lento recupero della tua libertà emotiva e identitaria, dopo un rapporto dove c’è stata una forte componente di controllo, colpevolizzazione e squilibrio di potere. E questo è già un passaggio importante: stai cercando di uscirne — e farlo mentre ti senti ancora coinvolta emotivamente è faticosissimo, ma è anche il segno che dentro di te c’è già una parte che ha capito e che vuole guarire.
Ecco alcune cose fondamentali da considerare:
1. Quello che stai vivendo ha un nome: relazione tossica o con tratti manipolativi
Non è una definizione usata con leggerezza. I segnali che tu stessa elenchi sono chiarissimi:
Lui ti colpevolizza ogni volta che provi a prenderti uno spazio.
Trasforma i tuoi bisogni in “attacchi”.
Ti fa sentire la causa del suo malessere, anziché assumersi la responsabilità delle sue emozioni.
Usa la rabbia, il silenzio, o le chiusure improvvise come forma di controllo.
Tutto questo non è “litigare”. È essere in balia di una dinamica dove il tuo valore viene costantemente messo in discussione.
2. Il senso di colpa è la catena più difficile da spezzare
È normalissimo che tu senta colpa, angoscia e stanchezza: sei stata educata (emotivamente) a sentirti colpevole, anche quando semplicemente difendevi i tuoi confini o avevi dei bisogni. E quella colpa ha preso casa nella tua mente, e ora parla al posto tuo.
Ma ricorda:
Non sei tu a causare il suo nervosismo. Non sei tu a renderlo instabile. Non sei tu a dover rimediare ogni volta che lui esplode.
3. Il suo rifiuto della psicoterapia non è il tuo problema da risolvere
Spesso, chi ha questi tratti più impulsivi o manipolativi rifiuta l’idea di lavorare su di sé, perché ammettere di avere un problema mette a rischio il “sistema” di colpe esterne che li tiene in equilibrio. Ma il fatto che lui non voglia affrontare sé stesso non significa che tu debba restare lì a farti logorare.
4. La stanchezza che senti è legittima — non sei “debole”, sei esausta.
È la stanchezza di chi ha lottato a lungo per spiegarsi, per farsi capire, per ricucire gli strappi emotivi, e ogni volta è stata travolta da un muro.
Sappi che la stanchezza mentale che descrivi è un sintomo frequente in chi ha vissuto relazioni emotivamente disfunzionali. Non è pigrizia, non è fragilità: è il corpo e la mente che ti stanno chiedendo tregua.
Come puoi iniziare a uscire da questa spirale
Continua la psicoterapia. Se puoi, condividi con la tua terapeuta quanto ti senti ancora invischiata emotivamente. L’obiettivo non è smettere di amarlo di colpo, ma riconoscere dove finisce l’amore e dove inizia la dipendenza emotiva.
Scrivi nero su bianco tutte le volte in cui ti sei sentita annullata o ferita. Ti servirà quando la nostalgia proverà a riscrivere la storia.
Riduci ogni possibilità di contatto — anche se fa male. Finché c’è anche solo un varco, continuerai ad alimentare l’illusione che “magari cambi”. Invece non c’è più nulla da salvare se la relazione richiede che tu rinunci a te stessa.
Ogni volta che senti il bisogno di scrivergli o spiegarti, scrivi a te stessa. Risponditi come se fossi la tua migliore amica. Fallo per proteggerti.
Una frase per te:
"Non puoi guarire in un posto dove ti sei ammalata."
E a volte la guarigione inizia proprio nel momento in cui smetti di spiegare e inizi a scegliere.
Quello che descrivi non è solo la fine di una relazione, ma il lento recupero della tua libertà emotiva e identitaria, dopo un rapporto dove c’è stata una forte componente di controllo, colpevolizzazione e squilibrio di potere. E questo è già un passaggio importante: stai cercando di uscirne — e farlo mentre ti senti ancora coinvolta emotivamente è faticosissimo, ma è anche il segno che dentro di te c’è già una parte che ha capito e che vuole guarire.
Ecco alcune cose fondamentali da considerare:
1. Quello che stai vivendo ha un nome: relazione tossica o con tratti manipolativi
Non è una definizione usata con leggerezza. I segnali che tu stessa elenchi sono chiarissimi:
Lui ti colpevolizza ogni volta che provi a prenderti uno spazio.
Trasforma i tuoi bisogni in “attacchi”.
Ti fa sentire la causa del suo malessere, anziché assumersi la responsabilità delle sue emozioni.
Usa la rabbia, il silenzio, o le chiusure improvvise come forma di controllo.
Tutto questo non è “litigare”. È essere in balia di una dinamica dove il tuo valore viene costantemente messo in discussione.
2. Il senso di colpa è la catena più difficile da spezzare
È normalissimo che tu senta colpa, angoscia e stanchezza: sei stata educata (emotivamente) a sentirti colpevole, anche quando semplicemente difendevi i tuoi confini o avevi dei bisogni. E quella colpa ha preso casa nella tua mente, e ora parla al posto tuo.
Ma ricorda:
Non sei tu a causare il suo nervosismo. Non sei tu a renderlo instabile. Non sei tu a dover rimediare ogni volta che lui esplode.
3. Il suo rifiuto della psicoterapia non è il tuo problema da risolvere
Spesso, chi ha questi tratti più impulsivi o manipolativi rifiuta l’idea di lavorare su di sé, perché ammettere di avere un problema mette a rischio il “sistema” di colpe esterne che li tiene in equilibrio. Ma il fatto che lui non voglia affrontare sé stesso non significa che tu debba restare lì a farti logorare.
4. La stanchezza che senti è legittima — non sei “debole”, sei esausta.
È la stanchezza di chi ha lottato a lungo per spiegarsi, per farsi capire, per ricucire gli strappi emotivi, e ogni volta è stata travolta da un muro.
Sappi che la stanchezza mentale che descrivi è un sintomo frequente in chi ha vissuto relazioni emotivamente disfunzionali. Non è pigrizia, non è fragilità: è il corpo e la mente che ti stanno chiedendo tregua.
Come puoi iniziare a uscire da questa spirale
Continua la psicoterapia. Se puoi, condividi con la tua terapeuta quanto ti senti ancora invischiata emotivamente. L’obiettivo non è smettere di amarlo di colpo, ma riconoscere dove finisce l’amore e dove inizia la dipendenza emotiva.
Scrivi nero su bianco tutte le volte in cui ti sei sentita annullata o ferita. Ti servirà quando la nostalgia proverà a riscrivere la storia.
Riduci ogni possibilità di contatto — anche se fa male. Finché c’è anche solo un varco, continuerai ad alimentare l’illusione che “magari cambi”. Invece non c’è più nulla da salvare se la relazione richiede che tu rinunci a te stessa.
Ogni volta che senti il bisogno di scrivergli o spiegarti, scrivi a te stessa. Risponditi come se fossi la tua migliore amica. Fallo per proteggerti.
Una frase per te:
"Non puoi guarire in un posto dove ti sei ammalata."
E a volte la guarigione inizia proprio nel momento in cui smetti di spiegare e inizi a scegliere.
Cara,
capisco profondamente il tuo senso di fatica, la stanchezza mentale, e quell’attaccamento che non si riesce a chiudere anche quando la ragione ti urla che sarebbe giusto farlo. Ma vedi, quello che stai vivendo non è amore: è un legame traumatico. E con questi legami, più ci si sforza di spiegare, più ci si incatena.
Hai amato un uomo che ha usato la sua fragilità per giustificare i suoi comportamenti, e ha fatto di te la responsabile del suo malessere, mentre tu ti sfinivi nel tentativo di “farti capire” e “fargli bene”.
Il problema è che non si può far ragionare chi è aggrappato alla propria visione per mantenere il controllo. E tu sei rimasta per anni dentro una relazione dove il confronto non era mai alla pari, dove lui faceva monologhi e tu ti perdevi nel tentativo di tenere tutto insieme. Questo ha un nome: dipendenza affettiva. Rimango a disposizione per ulteriori approfondimenti. Dott.ssa Francesca Gottofredi
capisco profondamente il tuo senso di fatica, la stanchezza mentale, e quell’attaccamento che non si riesce a chiudere anche quando la ragione ti urla che sarebbe giusto farlo. Ma vedi, quello che stai vivendo non è amore: è un legame traumatico. E con questi legami, più ci si sforza di spiegare, più ci si incatena.
Hai amato un uomo che ha usato la sua fragilità per giustificare i suoi comportamenti, e ha fatto di te la responsabile del suo malessere, mentre tu ti sfinivi nel tentativo di “farti capire” e “fargli bene”.
Il problema è che non si può far ragionare chi è aggrappato alla propria visione per mantenere il controllo. E tu sei rimasta per anni dentro una relazione dove il confronto non era mai alla pari, dove lui faceva monologhi e tu ti perdevi nel tentativo di tenere tutto insieme. Questo ha un nome: dipendenza affettiva. Rimango a disposizione per ulteriori approfondimenti. Dott.ssa Francesca Gottofredi
Lei sta attraversando una fase molto delicata e il modo in cui ne parla restituisce un quadro intenso, complesso, fatto di legami che sembrano ancora operare dentro di lei, al di là della separazione concreta. A volte il distacco fisico non coincide immediatamente con un vero distacco emotivo, soprattutto quando ci si è sentiti a lungo implicati in una dinamica che ha lasciato dentro delle ferite, delle domande sospese, delle parole non accolte. È comprensibile che la mente e il corpo restino agganciati a ciò che è stato, anche se razionalmente si è consapevoli di quanto quella relazione sia stata difficile e logorante. C’è qualcosa che insiste, che non si rassegna, come se un pezzo di lei stesse ancora cercando di "farsi capire", di ottenere da lui un ascolto, un riconoscimento, un momento in cui finalmente possa sentire di non essere la causa del male altrui. Ma è proprio qui che si apre una questione importante. Come mai, nonostante la consapevolezza della fatica, dell’ingiustizia subita, della stanchezza profonda che lei nomina chiaramente, continua a sentirsi colpevole e responsabile? A chi appartiene davvero questo senso di colpa? È come se una parte di lei, nel tentativo di tenere viva la speranza che le cose potessero cambiare, avesse messo da parte il proprio disagio, i propri bisogni, lasciando che fosse l’altro a dettare i tempi e i modi della relazione. Ma ora che quel disagio si è fatto parola, adesso che ha cominciato a dire ciò che prima taceva, è come se le ricadessero addosso le accuse, le proiezioni, le chiusure dell’altro, e con esse un carico emotivo molto pesante. È interessante che lei parli di monologhi, di imposizioni, di mancanza di ascolto. Si è mai chiesta quale sia stata, in tutto questo, la voce che lei ha sentito di dover sacrificare per tanto tempo? E ora che ha iniziato a recuperarla, come mai sente ancora il bisogno di spiegarla a chi non vuole ascoltare? Forse c’è ancora qualcosa che va detto, ma non tanto a lui, quanto a sé stessa. Ritrovare il proprio senso non significa per forza ottenere una comprensione dall’esterno, ma restituirsi il diritto di avere pensieri, emozioni, confini, anche se questo comporta una rottura con l’idea di sé che si è costruita nella relazione. Non si tratta di capire l’altro, ma di tornare a interrogarsi su ciò che dentro di lei ha consentito così a lungo a questa dinamica di funzionare. Sta già facendo un passo importante, quello di rivolgersi a qualcuno, di parlare, di cercare uno spazio in cui dare forma e parola a ciò che altrimenti resterebbe sintomo, angoscia, ma anche stanchezza. A volte ciò che appare come stanchezza mentale è anche il segnale di un’esigenza più profonda, quella di uscire da una posizione di continua giustificazione e recuperare il proprio desiderio, anche se questo significa attraversare momenti di solitudine o di silenzio. Forse la vera domanda non è come farlo ragionare, ma cosa le impedisce di lasciare andare il tentativo di convincerlo, cosa teme possa accadere se smette di cercare quell’ascolto. Non si tratta tanto di spegnere il legame, ma di riconoscere come questo continua ad agire e a condizionare la sua posizione soggettiva. E forse lì qualcosa di nuovo potrà davvero cominciare a emergere.
Buongiorno cara.
Grazie per la fiducia con cui hai condiviso la tua esperienza. Quello che stai vivendo è il risultato di un legame emotivamente coinvolgente ma anche profondamente sbilanciato. La tua stanchezza, la tua fatica, il tuo senso di colpa sono tutti segnali di quanto tu sia stata coinvolta emotivamente e di quanto tu abbia provato, anche con generosità, a far funzionare un rapporto che purtroppo non si fondava su una comunicazione sana e reciproca.
Ora sei in un percorso psicologico e questo è un passo importantissimo. Ti aiuterà a riconoscere i meccanismi che ti hanno portata a restare legata, a comprendere il tuo valore oltre le colpe che ti sono state attribuite, e a rafforzare i tuoi confini emotivi. Lui, purtroppo, non è disposto a mettersi in discussione, e questo non è qualcosa che puoi cambiare tu.
Il tuo bisogno di spiegarti e di essere capita è legittimo, ma quando ti scontri con un muro, devi proteggerti: continuare a cercare ascolto da chi non vuole dartelo è come continuare a bussare a una porta chiusa sperando che prima o poi si apra. Non sei la causa della sua rabbia, non sei responsabile delle sue reazioni. Forse è il momento di chiederti non come farlo ragionare, ma come proteggere te stessa.
Un caro saluto
Grazie per la fiducia con cui hai condiviso la tua esperienza. Quello che stai vivendo è il risultato di un legame emotivamente coinvolgente ma anche profondamente sbilanciato. La tua stanchezza, la tua fatica, il tuo senso di colpa sono tutti segnali di quanto tu sia stata coinvolta emotivamente e di quanto tu abbia provato, anche con generosità, a far funzionare un rapporto che purtroppo non si fondava su una comunicazione sana e reciproca.
Ora sei in un percorso psicologico e questo è un passo importantissimo. Ti aiuterà a riconoscere i meccanismi che ti hanno portata a restare legata, a comprendere il tuo valore oltre le colpe che ti sono state attribuite, e a rafforzare i tuoi confini emotivi. Lui, purtroppo, non è disposto a mettersi in discussione, e questo non è qualcosa che puoi cambiare tu.
Il tuo bisogno di spiegarti e di essere capita è legittimo, ma quando ti scontri con un muro, devi proteggerti: continuare a cercare ascolto da chi non vuole dartelo è come continuare a bussare a una porta chiusa sperando che prima o poi si apra. Non sei la causa della sua rabbia, non sei responsabile delle sue reazioni. Forse è il momento di chiederti non come farlo ragionare, ma come proteggere te stessa.
Un caro saluto
Salve, ho letto attentamente la sua domanda e dal suo racconto emerge un rapporto relazionale con il suo "ex " poco equilibrato e disarmonico con la preponderanza di potere dell'uno sull'altro. La conseguenza, pertanto, è la mancanza di confronto, di scambio e di crescita della coppia, determinando sofferenza e malessere. Emerge, inoltre, la sua difficoltà ad interrompere tale rapporto e il bisogno emotivo di mantenere il contatto con quest'uomo. E' opportuno, per uscire da questa "spirale" tossica, che lei faccia un lavoro su se stessa, in modo tale che acquisisca maggiore consapevolezza e forza emotiva per interrompere questo circuito vizioso.
Carissima,
Userò il condizionale e - sottolineo - solo il condizionale, ma la situazione che lei mi descrive non è atipica rispetto ad un tragico caso di femminicidio. Non voglio spaventarla, ma non sto esagerando; guardiamo ai fatti. Lui, da come lei me lo descrive, è: controllante ("ha sempre avuto la tendenza a gestire e manovrare un po' tutto nella nostra relazione"), soverchiante ("dopo essere stata succube per molto tempo d' un tratto ho tirato fuori il mio carattere e quel che avevo messo a tacere per ben due anni con lui", "i suoi erano monologhi e quasi sempre aveva ragione lui"), dipendente da lei ("ma lui diceva di aver acquistato più autonomia e tranquillità senza di me. Io no."; aver acquistato più autonomia e tranquillità senza di lei, significa che lei lo rende dipendente, se stiamo alla lettera della frase riportata. Sappiamo tutti a cosa portano le dipendenze: a non poter più farne a meno). Inoltre, c'è una dinamica che MI PREOCCUPA MOLTO: la fragilità di lui. Gli sbalzi di umore, i capricci, gli scatti d'ira e la proiezione della colpa ("facendomi passare per la causa del suo nervoso attuale"). Lei, d'altra parte, sembra sempre disposta a concedergli terreno, a tornare da lui nonostante tutto, sicuramente perché lei gli vuole bene. Dice di essere reattiva, eppure è sempre pronta a sentirsi in colpa. Dov'è, qui, la vera reazione?
Ora, lui sembra non capire quanto bene lei gli abbia fatto, sembra soprattutto che non riesca a prendersi le sue responsabilità, a vedere i suoi limiti e difetti. Premesso che per finire in tragedia, spesso ce ne vuole... penso che questa dinamica di fragilità - dipendenza - accusa sia molto, molto indicativa di una personalità che è bene lasciar andare via dalla propria vita. Molti uomini sono violenti con le proprie compagne perché queste gli danno corda nonostante i numerosi esempi di rabbia sfogata nel tentativo di controllare, manipolare la propria fonte di dipendenza.
Si tratta di una spirale perversa, di lui, da cui lui non può scappare: per questo sono violenti. È l'unica soluzione. Questi uomini - e forse anche lui - non riescono ad andarseve via; devono avere quella donna, ma lei non obbedisce, non si piega. Allora deve essere spezzata. Questo processo cognitivo, vorrei che lo tenesse in cosiderazione - è molto pericoloso.
Stia attenta e non abbassi mai la guardia, perché l'odio è una forma perversa di amore, non il suo opposto.
Sinceramente
Dott. Maccarri
Userò il condizionale e - sottolineo - solo il condizionale, ma la situazione che lei mi descrive non è atipica rispetto ad un tragico caso di femminicidio. Non voglio spaventarla, ma non sto esagerando; guardiamo ai fatti. Lui, da come lei me lo descrive, è: controllante ("ha sempre avuto la tendenza a gestire e manovrare un po' tutto nella nostra relazione"), soverchiante ("dopo essere stata succube per molto tempo d' un tratto ho tirato fuori il mio carattere e quel che avevo messo a tacere per ben due anni con lui", "i suoi erano monologhi e quasi sempre aveva ragione lui"), dipendente da lei ("ma lui diceva di aver acquistato più autonomia e tranquillità senza di me. Io no."; aver acquistato più autonomia e tranquillità senza di lei, significa che lei lo rende dipendente, se stiamo alla lettera della frase riportata. Sappiamo tutti a cosa portano le dipendenze: a non poter più farne a meno). Inoltre, c'è una dinamica che MI PREOCCUPA MOLTO: la fragilità di lui. Gli sbalzi di umore, i capricci, gli scatti d'ira e la proiezione della colpa ("facendomi passare per la causa del suo nervoso attuale"). Lei, d'altra parte, sembra sempre disposta a concedergli terreno, a tornare da lui nonostante tutto, sicuramente perché lei gli vuole bene. Dice di essere reattiva, eppure è sempre pronta a sentirsi in colpa. Dov'è, qui, la vera reazione?
Ora, lui sembra non capire quanto bene lei gli abbia fatto, sembra soprattutto che non riesca a prendersi le sue responsabilità, a vedere i suoi limiti e difetti. Premesso che per finire in tragedia, spesso ce ne vuole... penso che questa dinamica di fragilità - dipendenza - accusa sia molto, molto indicativa di una personalità che è bene lasciar andare via dalla propria vita. Molti uomini sono violenti con le proprie compagne perché queste gli danno corda nonostante i numerosi esempi di rabbia sfogata nel tentativo di controllare, manipolare la propria fonte di dipendenza.
Si tratta di una spirale perversa, di lui, da cui lui non può scappare: per questo sono violenti. È l'unica soluzione. Questi uomini - e forse anche lui - non riescono ad andarseve via; devono avere quella donna, ma lei non obbedisce, non si piega. Allora deve essere spezzata. Questo processo cognitivo, vorrei che lo tenesse in cosiderazione - è molto pericoloso.
Stia attenta e non abbassi mai la guardia, perché l'odio è una forma perversa di amore, non il suo opposto.
Sinceramente
Dott. Maccarri
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