Gentili dottori, vi scrivo perché vivo una situazione molto assurda e complicata. Dopo anni di psic

20 risposte
Gentili dottori, vi scrivo perché vivo una situazione molto assurda e complicata.
Dopo anni di psicoterapia per una diagnosi piuttosto complessa, quando sono arrivata al sodo non ho elaborato bene : il mio inconscio ha sabotato e interrotto la terapia. Fatto sta che ho una profonda depressione e grosse difficoltà nelle relazioni : non no amiche/i, se ci sono sono situazioni tossiche e distruttive e quindi preferisco evitare rinchiudendomi in me stessa, sto meglio da una parte ma l’isolamento prolungato mi fa male; non ho risolto questioni edipiche e quindi non ho accesso a una relazione sentimentale; ho 40 anni non finito gli studi universitari e non ho esperienza lavorativa; ultimamente sono peggiorata anche nel lavoro, lavori precari in cui non riesco a collegare e connettere cose semplici: ho avuto anche una dissociazione diversi anni fa e in quel periodo ,poco dopo, il mio inconscio ha interrotto la terapia; vivo in piccolo paesino che non mi soddisfa poiché molto arretrato e scarso di qualunque cosa ,vivo in casa con genitori anziani. Considerata questa mia situazione attuale e intravedendo i possibili, se non certi, risvolti futuri, ho pensato alle categorie protette, per me sarebbe un modo per stare più serena sul lavoro. ‘attuale psichiatra che ho visto solo due volte mi ha fatto diagnosi di distimia astenendosi da dire altro. Una diagnosi così però non mi aiuta ad ottenere le categorie protette in quanto serve una documentazione piu dettagliata, per esempio quali sono i risvolti pratici dovuti alla mia situazione psichica; questo lo so dopo essermi confrontata con una persona che è invalida da anni. Non so come fare però a far capire meglio la mia situazione all’attuale psichiatra dell’asl. Cosa mi consigliate di fare? Sono certa che per come sto non vado da nessuna parte e tantomeno posso risolverla con una psicoterapia visto che si autosabotata e anche se voglio fare qualcosa la situazione che mi porto dentro è troppo dolorosa e depressiva per poter essere affrontabile in terapia. Cioè, davvero rischio di non aver diritto alle categorie protette? Come faccio nella vita?
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Gentile utente,
grazie per aver condiviso con tanto coraggio e lucidità la sua situazione. Quello che descrive è un quadro molto complesso e doloroso, che merita attenzione, ascolto e un intervento professionale mirato.

Dal suo racconto emergono diversi aspetti significativi: un vissuto di profonda sofferenza emotiva, isolamento relazionale, difficoltà lavorative e una lunga storia di disagio psicologico che include anche episodi dissociativi e interruzioni della psicoterapia. L'autosabotaggio di cui parla, sebbene possa sembrare una scelta irrazionale, spesso rappresenta un meccanismo inconscio di difesa di fronte a contenuti psichici troppo dolorosi da affrontare da soli.

È importante sapere che anche situazioni come la sua possono trovare uno spazio di cura, ma servono i giusti tempi, modi e professionisti. Una psicoterapia non è sempre lineare e non tutte le terapie sono uguali: quando un percorso si interrompe o fallisce, non significa che tutte le terapie siano inutili, ma che forse non era il momento giusto, o non era il giusto terapeuta o approccio.

Riguardo alla possibilità di accedere alle categorie protette, è vero che la diagnosi di distimia da sola può risultare generica ai fini di un riconoscimento formale dell’invalidità o dell’inserimento lavorativo protetto. La legge richiede una documentazione clinica dettagliata che metta in relazione la diagnosi con le limitazioni funzionali nella vita quotidiana e lavorativa. In tal senso, è fondamentale che il suo psichiatra raccolga una relazione clinica approfondita, basata non solo sulla diagnosi, ma anche sulla storia del disturbo, il funzionamento globale, l’impatto sul lavoro, sulle relazioni e sulla qualità della vita.

Le consiglio quindi di:

Richiedere un colloquio dedicato con il suo psichiatra, portando con sé una sintesi scritta delle sue difficoltà (anche ciò che ha scritto qui potrebbe essere utile), e chiedere esplicitamente una valutazione più approfondita ai fini di un eventuale riconoscimento di invalidità civile o di accesso alle categorie protette.

Valutare un secondo parere psichiatrico, magari in un centro di salute mentale (CSM), dove possono fare una valutazione multidisciplinare e supportarla anche nel percorso di certificazione.

Non escludere la psicoterapia, ma considerare un percorso incentrato sulla stabilizzazione e sulla costruzione di sicurezza relazionale, magari con un terapeuta esperto in disturbi complessi, dissociazione e autosabotaggio. In certi casi può essere utile anche un approccio integrato (psichiatrico e psicoterapico), in particolare con tecniche come l’EMDR o la Mindfulness applicata alla psicoterapia, che aiutano a lavorare in modo delicato e non invasivo su traumi e difficoltà profonde.

Infine, non è vero che non si può fare nulla: il suo vissuto è estremamente difficile, ma non è senza speranza. Esistono percorsi che possono aiutarla a ritrovare un senso di direzione, sollievo e dignità, anche partendo dalle macerie.

Per questo motivo sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno specialista, in particolare uno psicoterapeuta esperto in disturbi complessi e invalidanti.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa

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Dott.ssa Lorena Ferrero
Psicologo, Sessuologo, Psicoterapeuta
Torino
Buonasera,
riporta una storia dolorosa e lunga di difficoltà, colpevolizzandosi rispetto alla terapia interrotta. Si descrive come senza speranza per il futuro e si isola nelle relazioni, pur riconoscendo che questo non l'aiuta.
L'unica possibilità che intravede è iscriversi alle categorie protette per sentirsi più serena in ambito lavorativo, questa sua aspettativa e la sfiducia nella psicoterapia, potrebbe condividerle, se non l'ha ancora fatto, con l'attuale curante che è lo psichiatra dell'ASL e chiedere un appuntamento per parlarne. Si dia una possibilità confrontandosi con lo psichiatra. Un caro saluto. Dr.ssa Lorena Ferrero
Dott. Diego Ferrara
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Quarto
Buongiorno,

l'accesso alle categorie protette richiede una serie di requisiti. Il fatto di non esser accompagnata da problematiche che delineerebbero un profilo in linea con una invalidità dovrebbe restituirle un senso di maggior fiducia in se; secondo i colleghi molto probabilmente lei è in possesso di molte più risorse di quanto ne riconosca. Rispetto alla psicoterapia, sarebbe opportuno la riprendesse, potrebbe col tempo farle acquisire consapevolezze che ancora oggi mancano.

Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Dott.ssa Ilva Salerno
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Caserta
Buongiorno e grazie per la sua condivisione. Da quanto racconta, emerge un percorso lungo e faticoso, in cui ha cercato aiuto e si è messa in gioco, anche quando il dolore ha preso il sopravvento. Il fatto che oggi senta il bisogno di trovare una tutela, come quella delle categorie protette, non è una rinuncia: è un atto di cura verso se stessa, un modo per cercare condizioni di vita e di lavoro più sostenibili, che possano alleggerire il carico che porta. Capisco quanto possa essere difficile far arrivare la complessità del suo vissuto all’attuale psichiatra dell’ASL. A volte, nelle visite brevi e molto tecniche, è difficile che emergano tutte le sfumature e i risvolti pratici delle difficoltà quotidiane. Potrebbe essere utile mettere per iscritto — così come ha fatto qui — ciò che vive nel concreto: le fatiche nella concentrazione, nelle relazioni, nel portare avanti un lavoro, l’isolamento sociale, la storia clinica, e come tutto questo ha inciso nel tempo. Portare con sé questo documento e condividerlo nel prossimo colloquio potrebbe aiutare il professionista a comprendere meglio la situazione e a valutare una diagnosi più articolata o l’avvio di un percorso per la certificazione dell’invalidità. Per quanto riguarda la psicoterapia, comprendo il timore di non sentirsi in grado di riprendere un percorso dopo esperienze vissute come dolorose o interrotte. Eppure, il fatto che oggi riesca a dare voce a ciò che prova — anche se fa male, anche se è tanto — suggerisce che dentro di lei qualcosa ancora cerca una possibilità, una connessione. Esistono approcci terapeutici rispettosi dei tempi e delle difese, che non forzano ma accompagnano, anche nei momenti in cui ci si sente senza forze. Se dovesse arrivare il momento in cui si sentirà pronta a riprovare, meriterebbe di incontrare uno spazio in cui sentirsi accolta anche nelle parti più sofferenti. Nel frattempo, cercare una protezione lavorativa attraverso le categorie protette non solo è legittimo, ma potrebbe essere un primo passo concreto per costruire un contesto meno oppressivo, in cui potersi dare un po’ di respiro. Nessuna diagnosi può raccontare tutto di una persona, ma una documentazione più precisa può davvero fare la differenza per accedere ai diritti che le spettano. Resto a disposizione se desidera condividere altri pensieri o se ha bisogno di un orientamento più specifico.
Ilva Salerno
Dott.ssa Emanuela Solli
Psicologo clinico, Psicologo, Psicoterapeuta
Frosinone
Prima di tutto voglio dirti che il modo in cui stai raccontando la tua storia dimostra una consapevolezza profonda, anche se ti senti bloccata. Hai già fatto tanto: hai cercato aiuto, hai fatto psicoterapia, hai riflettuto su di te, e adesso stai cercando una via per proteggerti e costruire un minimo di stabilità. Non è poco. Davvero.
Riguardo alle categorie protette, hai perfettamente ragione nel dire che una diagnosi come “distimia” da sola non basta. Non perché non sia una condizione seria, ma perché per accedere al riconoscimento di invalidità civile o al collocamento mirato, serve una documentazione che spieghi in modo chiaro come il tuo stato psichico interferisce nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni. Non servono etichette nuove, ma una relazione che racconti davvero come stai: che parli della fatica nel mantenere un lavoro, della difficoltà a connettere le cose semplici, dell’isolamento, del vissuto depressivo, della fragilità relazionale e delle ricadute pratiche di tutto questo.
Se senti che il tuo psichiatra non ha ancora avuto modo di capire tutto questo, potresti chiedergli apertamente un incontro specifico per parlarne e approfondire con altre tue richieste specifiche.
Per quanto riguarda la psicoterapia interrotta, ti voglio dire una cosa importante: non è un fallimento. Quando ci si avvicina troppo a un dolore troppo grande, a volte è il nostro stesso sistema di difesa a dire “basta”. Non vuol dire che non sei fatta per la terapia, ma che in quel momento forse non era il contesto giusto o non era il tempo giusto. È successo a tante persone. E può succedere di riprendere più avanti, con un’altra modalità, con un altro passo.
So che ti sembra di non avere accesso a nulla: né all’amicizia, né all’amore, né a una prospettiva chiara. Ma questo non significa che non esistano strade. È solo che oggi sei stanca, delusa, e probabilmente hai perso per un attimo la fiducia nel fatto che qualcosa possa cambiare. Ma non è tutto scritto. Anche solo cercare una rete di protezione, come quella delle categorie protette, è già un modo per dire “non voglio crollare”.
Tu meriti una vita che tenga conto della tua sensibilità, dei tuoi limiti e della tua storia. E anche se è difficile adesso, c’è ancora spazio per costruire qualcosa che sia tuo.
Dott.ssa Claudia Mancini
Psicologo, Psicoterapeuta
Frascati
Buonasera, leggendo il.suo messaggio mi hanno colpito due aspetti: il fatto che parla del suo inconscio come se fosse un'entità a sé e il fatto che cerca di rientrare in una categoria protetta.
Io penso.che sarebbe meglio continuare a provare ad integrare il suo inconscio, a riappropriarsi di sé.
Inoltre, cercare di etichettarsi come categoria protetta, ha tanto il senso di sconfitta, davanti a sé e agli altri.
Ha descritto bene la.sua situazione, si capisce che ha gli strumenti per non arrendersi...
Resto a disposizione
Un saluto
Claudi m
Dott.ssa Jasmine Scioscia
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Bologna
Buonasera, credo che debba ascoltarsi bene dentro prendendosi del tempo vero ...e non essere frettolosa nel darsi una risposta per farsi un progetto di vita..qual'è il suo progetto di vita? oltre ad aspirare a entrare in una categoria protetta cosa vorrebbe ? come si immagina tra 10 /15 anni?
Credo che avere una visione d 'insieme la può aiutare moltissimo a capire quale è la direzione che vuole prendere per essere più felice.
Buona fortuna
Dr. Jasmine Scioscia
Dr. Vincenzo Cappon
Psicologo, Psicoterapeuta, Terapeuta
Castiglione delle Stiviere
Salve, per entrare nelle categorie protette la sua depressione non basta, non é sufficiente, occorre aumentarla, altrimenti lo Psichiatra non la certificherà mai.
Si alleni ogni giorno per aumentarla, ogni giorno cerchi di peggiorarla, ogni giorno faccia qualcosa in questa direzione, si sforzi, con un buon impegno c'è la farà.
Dr. Fabio Ricardi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Milano
Gentile signorina, non si può restare insensibili leggendo il suo racconto.Venendo alla sua domanda, naturalmente non so come si possa convincere lo psichiatra della ASL a riconoscrle il diritto alla categoria proteetta.Il migliore consiglio mi sembra quello del suo amico, cioè di pportare elelementi concreti e verificabili, che dimostrino la sua grande difficoltà a trovare un lavoro seguendo i canali "normali". Mi fermo poi sul tema della psicoterapia. Sono sicuro che lei ne abbia bisogno,e che le sarebbe utile, ma vedo che se lo impedisce in un modo un po' strano." Il mio incoscio mi ha fatto interrompere." Cioè? Interrompere una terapia comporta parlare con lo psicoterapeuta: "Caro dottore, la terapia con lei non mi serve per questo e quel motivo..."Una decisione è sempre anche conscia, anche se le motivazioni più profonde possono essere inconsce. Alla fine noi sappiamo quel che facciamo.Rifletta sulle ragioni per cui ha lasciato la psicoterapia, e se capisce le ragioni, che possono essere il rifiuto a entrare davvero in contatto con le proprie difficoltà, la può riprendere, con lo stesso dottore o con un altro.
Dott.ssa Giovanna D'Apolito
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Santa Maria Capua Vetere
Buonasera,
se ho ben compreso fa riferimento all'iter burocratico per il riconoscimento dell'invalidità civile e della cd L.104. Tenga presente che le valutazioni espresse dalle commissioni medico legali si riferiscono a specifiche tabelle e che a fronte di una diagnosi di distimia la compromissione del funzionamento è limitata. Leggendo le sue parole sembrerebbe che lei abbia intrapreso una psicoterapia del profondo, psicodinamica o psicoanalitica, che richiede una struttura psichica di base solida e di mettere in campo notevoli risorse personali, risorse che al momento sembrerebbe lei non si riconosca o non riesca ad attivare. Mi dispiace leggere tra le righe la sua sfiducia, ha 40 anni, non è vecchia, considerarsi invalida non la aiuta a smuovere certe resistenze e rigidità. Potrebbe valutare di riprendere la psicoterapia, magari attraverso un approccio diverso, ad esempio di tipo cognitivo comportamentale, che non le richieda di andare tanto in profondità al punto da attivare meccanismi in lei quei meccanismi di difesa che poi la portino ad abbandonare il percorso. Si dia una possibilità.
Per eventuali approfondimenti effettuo consulenze ricevo sia online che in presenza presso il mio studio.
Un cordiale saluto, Dott.ssa Giovanna D'Apolito
Dott.ssa Mariella Losavio
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Bari
Buongiorno, il tuo "auto sabotare" è il classico alibi per non affrontare le tue situazioni, hai timore di venire allo scoperto, di vedere ciò che sei realmente! Sicuramente tu sei una bella persona, se solo ti dessi la possibilità di uscire dalla tua corazza. Cercare ulteriori protezioni ( categorie protette) ti affosserà di più. Rifletti
Dott. Vincenzo Carbone
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
San Giuseppe Vesuviano
Le sue parole arrivano forti e chiare, e trasmettono tutta la fatica che sta vivendo. La sensazione di essere intrappolata in una serie di incastri psicologici, familiari e lavorativi è reale, concreta, e non c’è niente di assurdo nella sua sofferenza: è la risposta autentica di un sistema umano che ha portato per anni un peso enorme, spesso in solitudine, spesso senza le risorse o le condizioni necessarie per attraversarlo.
Leggere ciò che scrive significa entrare in contatto con il dolore profondo di chi si è impegnata, ha provato, ha ricominciato più volte ma oggi sente che qualcosa dentro ha sabotato tutto, rendendo impossibile anche ciò che dovrebbe aiutarla. E questo la porta a un senso di fallimento e di impotenza ancora più duro da sostenere.
Ed è proprio qui che vorrei portarle un messaggio importante: capisco quanto oggi senta che la responsabilità di tutto sia altrove, nell’inconscio che sabota, nella terapia che non ha funzionato, nel paese arretrato, nei genitori anziani, nel lavoro precario, persino nello psichiatra che non le ha fornito la diagnosi che le sarebbe stata utile. Ma restare dentro questa narrazione, per quanto vera possa sembrare, rischia di mantenerla ferma in un posto che non le permette di riprendersi la vita.
Non è una colpa, è una trappola del dolore. Ed è umano finirci dentro.
Lei ha diritto a chiedere protezione e tutele, e fare domanda per le categorie protette può essere un’opzione concreta. Se lo psichiatra attuale non riesce a comprendere la complessità della sua storia, può provare a raccontarla meglio, come ha fatto in questo messaggio: portargli per iscritto ciò che ha vissuto, ciò che la blocca, come tutto questo si traduce in limitazioni pratiche sul lavoro e nella vita. Può anche valutare di chiedere un secondo parere psichiatrico, o farsi aiutare da un’associazione di tutela per i diritti dei pazienti.
Ma se dovesse scoprire che non riesce ad accedere a quelle tutele, non significa che non ha valore o che non può farcela. Significa, semplicemente, che dovrà attraversare questa fase senza una rete già pronta. E in quel caso, non le rimarrebbe che fare una scelta estremamente coraggiosa e difficile: abbracciare la catastrofe.
Accettare che ora la vita non le piace, che sente di non avere un posto, che la depressione ha scavato dentro, che la terapia è fallita. E che nonostante tutto questo, può scegliere di restare. Di esserci. Di ricominciare. Ma questo richiede una cosa sola, prima di tutte le altre: accoglienza verso se stessa. Non ci sarà cambiamento senza gentilezza. Non ci sarà ripartenza senza responsabilità. E non ci sarà guarigione senza fiducia – anche quando non sente di averne abbastanza.
Lei non è rotta, è solo molto stanca. E ha più risorse di quelle che riesce a vedere ora.
Le auguro, sinceramente, che trovi almeno una persona con cui poter condividere questa lotta. Che riesca a trasformare questa fase, anche se lentamente, anche se inciampando.
Dott.ssa Chiara Campagnano
Psicologo, Psicoterapeuta
Modena
Buonasera, la sua è una situazione complessa e molto delicata, e comprendo quanto possa sentirsi scoraggiata. Per quanto riguarda l’accesso alle categorie protette, è fondamentale che la documentazione clinica sia completa e dettagliata. Le suggerisco di tornare dal suo psichiatra e chiedere un approfondimento diagnostico, spiegando con chiarezza le difficoltà che sta vivendo nella vita quotidiana e lavorativa. Potrebbe anche valutare una consulenza psicologica per aiutarla a sostenere questo percorso e capire insieme come renderlo affrontabile, un passo alla volta.

Un caro saluto
Dott.ssa Valeria Randisi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Casalecchio di Reno
Buonasera, per essere fra le categorie protette occorre possedere quadri specifici che solo l asl può stabilire se li possiede o meno. Mi sembra che lei ha però, anche con questa sua decisione, smesso di lottare per una vita migliore. A 40 anni credo che ci siano i margini per progettare e le suggerirei di provare con un protocollo emdr. Non si arrenda.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Dr. Cristian Sardelli
Psicologo, Psicoterapeuta
Firenze
Buongiorno gentile utente,
come fare nella vita è l'ultima domanda che ci pone, e questo atteggiamento mette in evidenza due aspetti fondamentali della sua persona, a mio parere, uno di consapevolezza di come è fatta, quali caratteristiche le corrispondano attualmente, e quali limiti, e l'altro l'esigenza di una guida, piuttosto che di una condizione sociale accudente e rispettosa di se stessa. Probabilmente sta rinunciando a tanti sogni e desideri per timore di sbagliare di non riuscire, ma la vita è un continuo di prove ed errori, dunque ritengo che il miglior atteggiamento possibile, sia proseguire nel cercare di raggiungerli e se sbaglia si conceda la possibilità di farlo. Nessuno nasce sapendo come si fa, si impara appunto sbagliando e cambiando. Se persiste negli stessi atteggiamenti e modalità comportamentali e cognitive perde l'occasione di scoprire nuovi modi, nuovi mondi, dunque in ultimo come fare, questo rimanda ad una scelta costruttiva, costruire il coraggio, di essere, ciò che desidera essere.
Cordiali saluti,
Dr. Cristian Sardelli
Dott.ssa Giada Bossi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Milano
Buongiorno,
la ringrazio per aver scritto con tanta sincerità. Si percepisce il suo dolore e un profondo senso di solitudine. Ci tengo a dirle che non credo il fatto di aver interrotto o sabotato la terapia sia un segno di fallimento o debolezza personale. Capita spessissimo che, proprio quando si toccano i punti più dolorosi e più profondi, il sistema di protezione interno si attivi. È umano, comprensibile, che ci dice anche quanto quelle ferite siano complesse e abbiano bisogno di essere avvicinate con molta più sicurezza e gradualità.
Il punto, a mio parere, non è tanto che lei non sia fatta per la terapia o che la terapia non possa aiutarla (anzi credo proprio il contrario). Il punto è che forse che il tipo di percorso che ha fatto, in quel momento, non era adatto a quello che serviva davvero. Ci sono modi di lavorare che rispettano di più questi tempi profondi e che mettono al centro proprio la regolazione emotiva e la costruzione di una base sicura da cui pian piano si può tornare ad avvicinare certi vissuti.

Capisco anche la domanda più pratica sul tema delle categorie protette. È importante che il suo stato venga rappresentato in modo adeguato, e forse proprio per questo varrebbe la pena provare a parlarne con il suo psichiatra in modo più aperto, spiegando che al momento il quadro che lei sente di vivere sia molto più complesso di quanto finora descritto. Le direi però anche un’altra cosa: al di là del riconoscimento formale per le categorie protette, quello che leggo è una grande fatica di vivere, una sofferenza relazionale e personale, che probabilmente ha radici complesse, forse legate anche a dinamiche di personalità e ad aspetti dell’umore. In questi quadri, non sempre l’invalidità o l’appartenenza a una categoria protetta sono la strada più utile o determinante nell’aiutare davvero a costruire un futuro più soddisfacente. Potrebbe rischiare, invece, di confermare un’immagine di sé come bloccata o senza possibilità di cambiamento.
E questa è una fatica che si può invece affrontarep in terapia. magari non con lo stesso tipo di percorso che ha fatto prima, ma con un lavoro che la accompagni a ricostruire un senso di continuità, di sicurezza interna e di regolazione, prima di affrontare i dolori più grandi.
Le suggerirei quindi di valutare un percorso psicoterapeutico con un altro approccio, più orientato alla relazione, alla regolazione emotiva, alla costruzione di un senso più solido di sé. Un lavoro che aiuti a ricostruire fiducia, capacità di stare in relazione, e senso di continuità interna, prima ancora di risolvere i grandi nodi.

Anche i costi della terapia ovviamente sono un tema, ma potrebbe valutare di rivolgersi al servizio pubblico, oppure usufruire del bonus psicologo (se viene attivato di nuovo, come sembra), o anche rivolgersi a centri a costi calmierati come Centro Sant'Agostino o altri servizi che in molte città offrono percorsi più accessibili.

Se desidera, resto volentieri a disposizione anche solo per aiutarla a orientarsi meglio su quale tipo di approccio potrebbe essere più adatto a lei adesso.
Le mando un caro saluto e davvero tanto rispetto per il coraggio con cui si è raccontata.
Dott.ssa Chiara Rogora
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Varese
buongiorno,
per rispetto della complessità della situazione da lei descritta, La invito a contattarmi in modo da parlarne direttamente.

cordialmente, Chiara Dottoressa Rogora
Dott. Francesco Paolo Coppola
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Napoli
Gentile lettrice,la tua lettera è lucida, dura, piena di verità. Non sei nella confusione: sei nel dolore della consapevolezza, e questo è già un primo passo. Il rischio vero non è quello di non ottenere le categorie protette — ma di rimanere incastrata in una visione di te stessa come definitivamente sabotata, irreparabile. Scrivi che la terapia è stata interrotta dal tuo inconscio. Ma non esiste un “inconscio cattivo” che ti sabota: esiste una parte di te che non ce l’ha fatta a reggere l’urto del cambiamento. È umano. Nessuna terapia funziona se parte con la promessa che dovremmo guarire tutto. Funziona solo se c’è qualcuno che ti aiuta a reggere il fatto che sei così, ora.
Hai vissuto dissociazioni, lutti relazionali, isolamento, depressione cronica. Hai una diagnosi (distimia) che fotografa una parte del problema ma non lo dice tutto. E fai bene a voler chiarire i risvolti pratici per una certificazione seria: il diritto alle categorie protette è un diritto concreto, ma va sostenuto con una cartella clinica adeguata.
Dr. Matteo Totaro
Psicologo, Psicoterapeuta
Cavallino
Buonasera,
innanzitutto grazie per aver scelto di raccontare la sua esperienza. Il dolore che descrive, così come il senso di blocco che avverte, meritano accoglienza e ascolto e il fatto che ne parli sono la manifestazione di desideri e bisogni comunque attivi dentro di lei.
Comprendo la frustrazione di sentirsi invisibile anche quando il disagio è tanto evidente: trovare un interlocutore disponibile a cogliere il suo vissuto nella sua complessità – e non solo a nominarlo con una diagnosi – può accompagnarla magari anche nel riconoscere possibilità alternative di essere e raccontare la sua esperienza, mettendola a contatto con suo desideri e aspirazioni più profonde.
Anche se ora le sembra che la terapia non possa aiutarla, il fatto stesso che scriva e si ponga delle domande lascia intravedere un bisogno: ed è da lì che ogni cambiamento possibile può iniziare.
Un caro saluto, resto a disposizione.
Matteo Totaro.
Dott.ssa Sandra Petralli
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Pontedera
Buonasera, la sua è una testimonianza ésegnata da dolore. Il vissuto di autosabotaggio in terapia non è raro quando si toccano ferite profonde: non significa che non sia affrontabile, ma forse che serve un approccio più graduale e protetto Per quanto riguarda le categorie protette, ha ragione: la diagnosi di distimia, da sola, difficilmente basta. Serve una certificazione psichiatrica più dettagliata, che descriva come le sue difficoltà influiscono sul funzionamento quotidiano e lavorativo. Le suggerisco di chiedere esplicitamente un colloquio al suo psichiatra mirato a questo scopo, spiegando bene le difficoltà pratiche. Se non si sente ascoltata, può valutare un secondo parere o un altro psichiatra. Non escluda del tutto la psicoterapia: esistono approcci più contenitivi, pensati per chi ha una sofferenza profonda e continua. C’è in lei una parte che vuole salvarsi e ricominciare, ed è proprio quella che oggi sta chiedendo aiuto. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli

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