Buongiorno sono in fase di ricaduta e dopo essermi lamentata (non credo che gliene parlerò più a que

19 risposte
Buongiorno sono in fase di ricaduta e dopo essermi lamentata (non credo che gliene parlerò più a questo punto) con la psicoterapeuta delle crisi che ho, mi ha consigliato di vedere un collega psichiatra per dei farmaci, contraddicendo poi dicendomi "che la scelta finale spetta solo a me". Naturalmente se la scelta spetta a me, dico di no ai farmaci, perché vorrei arrivare a gestire io le crisi. Mi chiedo quindi perché viene lasciata così tanta libertà al paziente? (Immagino che in certe situazioni il farmaco venga imposto rigidamente). Gli psicofarmaci sono comunque farmaci (non caramelle) che non vanno presi per poco tempo, sono d'accordo che uno psicoterapeuta non può prescrivere farmaci, ma lo sanno anche loro quando un consulto psichiatrico è necessario o meno no? Grazie, buona giornata
Gentile Utente, presumibilmente se la psicoterapeuta le ha suggerito una consulenza psichiatrica lo ha fatto perché la ritiene utile, in modo che lei abbia la possibilità di informarsi correttamente riguardo alle possibili terapie farmacologiche che potrebbero essere indicate nella sua situazione. In tale contesto avrà la possibiità di esprimere i suoi dubbi e le sue curiosità in merito, così da poter prendere successivamente una decisione consapevole sulla loro eventuale assunzione (che sarà solo sua, dal momento che evidentemente non è in una condizione in cui le debba essere imposto di farlo). Tenga presente che spesso su questo tipo di farmaci circolano idee preconcette e falsi miti che condizionano o ostacolano una presa di decisione libera. Non è detto che i farmaci siano indispensabili, ma sovente l'efficacia e la rapidità nel raggiungimento degli obiettivi terapeutici si ha proprio con una terapia combinata (psicoterapia e farmacoterapia). Forse varrebbe la pena ritornare sul discorso con la sua psicoterapeuta, soprattutto per approfondire la sua convinzione di dovercela fare autonomamente a superare il disagio che prova, valutando se le sue risorse personali possano essere o no sufficienti.
Cordialità.

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Gent. Sig.ra,
lei parla di ricaduta , ma non precisa in quale disturbo sta ricadendo. Difficile dunque risponderle.
Se si tratta di depressione è importante considerare che quando la sintomatologia supera determinati livelli (che il terapeuta può monitorare) per un periodo superiore ai 15 giorni è bene considerare il supporto farmacologico.
Gli psicofarmaci vengono comunque prescritti da uno specialista psichiatra o medico che se non verificherà la presenza di condizioni di gravità non le prescriverà psicofarmaci o eventualmente un basso dosaggio.
Spesso , nelle situazioni non gravissime gli psicoterapeuti lasciano libertà al paziente soprattutto se i sintomi non sono invalidanti e non compromettono le attività nella vita quotidiana.
Buona giornata. Bruno Ramondetti
Buonasera, le sue perplessità e le sue paure sono comprensibili, tuttavia le dico che il consenso e la collaborazione del paziente sono sempre necessari, solo in casi gravi ed eccezionali possono venire meno. Compito e responsabilità del terapeuta è spiegare alla persona le ragioni, le valutazioni che stanno dietro alla proposta di consulto che le sta facendo, dando alla persona uno spazio in cui manifestare perplessità, pensieri e paure che può avere rispetto all'assunzione di psicofarmaci, assunzione che in alcuni casi è necessaria per poter fare e/o proseguire il lavoro psicoterapeutico. Un altro elemento di cui tener conto è che proporre un consulto non significa necessariamente che lo psichiatra prescriverà i farmaci, significa sentire un parere di un altro professionista che può valutare il problema dal punto di vista medico e indicare se e come l'assunzione di farmaci può aiutare a risolvere la problematica.
Non entro nel merito della dinamica tra lei e la sua terapeuta, ogni parere a riguardo può interferire con la sua terapia. La invito a esprimere le sue perplessità al terapeuta, così come sta facendo qua, di modo che avrete la possibilità di approfondire la questione così come merita.
Saluti, dott.ssa Giulia Petracca
Gentile utente è importante che lei trovi dei professionisti nei quali riporre fiducia per il trattamento. Provi a rasserenarsi anche sentendo il parere di un ulteriore esperto nel campo se proprio ne sente il bisogno. Buone esperienze di vita.
Dottssa Daniela Guzzino
Buonasera! Non specifica di quale disturbo si tratti ma avverto un certo disappunto nelle sue parole. Forse si aspettava una reazione diversa dalla sua psicoterapeuta? Vorrebbe risultati più rapidi? Qualunque sia stata la vostra discussione, la soluzione non è non parlarne più ma discuterne per valutare insieme. I momenti della psicoterapia sono fatti anche di alti e bassi ma da tutto si può trarre crescita. La valutazione di uno psichiatra forse è stata fatta per aiutarla in modo più celere?
Salve, senza i farmaci per alcuni disturbi è impossibile fare terapia (non avendo un paziente vigile e reattivo), in altri casi i farmaci sono un coadiuvante, aiutano e semplificano un trattamento ma soprattutto riducono i tempi della terapia... In altri casi ancora la psicoterapia da sola può bastare... In bocca al lupo!
Dott.ssa Serafini Federica Psicologa Psicoterapeuta
Buonasera, la questione farmaci è sempre molto delicata. Lo psicologo-psicoterapeuta consiglia una terapia farmacologica in accordo con lo psichiatra quando si rende conto che la situazione lo richiede per particolari situazioni o momenti della vita della persona, o perchè fa una diagnosi che richiede un intervento sia farmacologico sia psicoterapico (ad es., depressione maggiore o bipolare o di psicosi, ecc.). Capire quale pensiero ci sia dietro il suggerimento del suo terapeuta credo sia molto importante e quindi le consiglio di esprimere questa sua perplessità e di discuterne con lui. Inoltre, sono d'accordo con la collega rispetto al fatto che incontrare uno psichiatra non vuol dire necessariamente assumere dei farmaci, ma avere un ulteriore parere e una collaborazione che potrebbe essere proficua.
Cordiali saluti,
Fabiana Fratello
Una domanda delicata, non c'è che dire.
Provo a darle la mia opinione visto che la chiede.
Partiamo da lontano, così la sua storia si colloca in mezzo a tutte le storie di psicoterapia (centinaia di migliaia, milioni ormai...) e tutto prende proporzioni più semplici.
La psicoterapia ha meno di cento anni ma alcune cose le ha imparate: nei momenti di difficoltà di una psicoterapia il 'paziente' vuole scappare. Il momento di difficoltà spesso indica che il miglioramento è a un passa: cioè i conflitti che ci stanno facendo male o stanno per ricomporsi o per integrarsi o stanno per perdere forza o cambiare di forma.
Di solito per assumerne una più autentica, di solito esattamente simile a quella per cui diciamo di voler scappare.
Nel suo caso: senso di abbandono? Sfiducia? Paura di una maggiore intimità con il terapeuta e quindi con se stessi?
E se fosse così perché scappare altrove e ricominciare daccapo un percorso, come tornare alla base in quei giochi in cui si avanza faticosamente un passo alla volta?
E' a un passo da fare un passo avanti ma proprio per questo vuole scappare.
Lo facciamo tutti, perché anche un millimetro in più sembra impossibile.
Questa sua richiesta di un parere su un portale di psicologi corre il rischio di illuderla di trovare buone ragioni per dire che la sua psicoterapeuta non è abbastanza brava e che proprio nel momento in cui sente di avere una 'ricaduta' le consiglia degli psicofarmaci e uno psichiatra: come dire " m allora sto davvero male... " ma lei non sene occupa... quindi non mi vuole abbastanza bene... quindi faccio bene a scappare... anzi chiedo un parere ai colleghi psicoterapeuti...
Le cose possono essere anche ribaltate: le vuole così bene ed è preoccupata per lei e le offre un'altra soluzione, più facile e più difficile insieme. Ma appunto insieme.
Perché le lascia la libertà di scegliere: e ci mancherebbe!
Le medicine anche il farmacista al massimo te le da ma sei sempre tu che devi devi decidere di prenderle.
E sei lei crede che proprio perché sta così qualcuno dovrebbe decidere al posto suo... beh ci pensi bene, ma davvero bene... nella sua situazione ha perso del tutto il controllo?
O almeno ce la fa a restare in ascolto del suo dolore?
Questo alla fine è il punto.
Un fatto è certo: lei sta male, anzi molto male. Malissimo.
Se fosse per me le suggerirei di resistere ancora un po' e provare ad avere ancora più fiducia nella sua terapeuta attuale.
Le suggerirei di parlare insieme delle nostre parole, della sua lettera a tutti noi e leggete insieme le nostre risposte. Commentatele.
Discutetene: litigate ma insieme.
Le confesso che noi non abbiamo le risposte e se anche le avessimo non dovremmo mai darle: meglio una scelta meno giusta ma che sia sua di una giusta ma di un altro, fosse anche il migliore degli psicoterapeuti. (Ma poi esistono?)
Noi al massimo possiamo stare accanto, anzi restare accanto.
Ha voglia di scappare?
Pensi che questo che lei descrive è un fenomeno diffusissimo tanto che gli hanno dato un nome: trasfert, le illusioni di perfezione che noi attribuiamo a chi si prende cura di noi. Se ci piace diciamo che è bravo, buono e bello. Se non ci piace diciamo che non vale niente e vogliamo cambiarlo con un altro: ma che senso ha cambiare lo specchio se poi quando ci andiamo davanti diciamo che non va mai abbastanza bene?
Anche a me è capitato di pensare di ricorrere per me stesso o per qualche persona cara o per qualche paziente ad un psichiatra: e allora? Se ha la febbre si prende la tachipirina, l'antibiotico, insomma ci si cura. Per il tempo e nel modo necessario, su misura. Il problema non è lo psichiatra o gli psicofarmaci ma il terrore di perdere il controllo: e giustamente!
Ma se uno prende una storta, il tempo che la caviglia si rimette a posto usa le stampelle: che c'è di strano?
Magari è strano se continua tutta la vita con le stampelle...ma intanto metta in sicurezza la caviglia o non muoverà neanche un passo e se ci proverà ... beh insomma ci siamo capiti.
Gli psicofarmaci funzionano perché agiscono sugli sbalzi d'umore e servono a darci quella stabilità necessaria a ritrovare un equilibrio. Poi si possono interrompere (sempre sotto stretto controllo e mai dico mai mai di colpo se no è un casino chimico...). Il dolore, la disperazione, l'angoscia ci acceca e ci mette in pericolo. Come una febbre troppo alta o una indigestione... un troppo insomma.
Certo non è facile trovare uno psichiatra gentile, competente ed esperto che come un sarto ci faccia un vestito su misura e ci aiuti ad imparare come usarlo anche da soli (con la sua collaborazione, ovviamente).
Ma lei non è sola. Ha già chi la sta aiutando e le garantisco che suggerire l'aiuto di uno psichiatra è un gesto di grande amore nei suoi confronti, in fondo l'obiettivo è sempre prendesi cura di lei.
Chiedere aiuto per sé è un gesto d'amore, chiedere aiuto per un altro è un gesto di grande amore.
Gentile utente,
Non è chiara la sofferenza di cui parla riferendosi genericamente con il termine “crisi”, dovrebbe descriverle in modo più dettagliato affinché le si possa dare una risposta specifica.
Invece, In base a quello che ha scritto riguardo alla relazione con la sua terapeuta, mi sento di dirle di esprimere le sue perplessità direttamente a lei, di modo che possiate affrontare tale situazione insieme.
Le mando i miei saluti. MF
Salve, nella sua domanda non ci scrive molte notizie su di lei, la sua età, quali sintomi presenta e per quali motivi sia entrata in terapia. Sicuramente la psicoterapeuta quando le ha consigliato di fare una visita psichiatrica ha pensato che forse in quel periodo era consigliabile chiedere un consulto per lei. Il farmaco insieme con la psicoterapia il più delle volte è necessario perchè il sintomo viene curato meglio si potrebbe avere una risoluzione più veloce. Ne parli con la sua psicoterapeuta e si faccia spiegare l'associazione farmaco-psicoterapia, quanto potrebbe essere utile in alcuni momenti, la saluto cordialmente, dott. Eugenia Cardilli.
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La sua preoccupazione in merito alla questione "psicofarmaci" è evidente, al punto da minare la sua relazione terapeutica (o forse non era ben consolidata già da prima?). Tranne che in situazioni disperate, la scelta è sempre del paziente se prendere o meno i farmaci. Troppo spesso il focus resta sulla questione "devo imparare a gestirmi da solo/a senza psicofarmaci", piuttosto che "voglio stare bene?". A volte purtroppo bisogna scendere a compromessi. Immaginiamo se un diabete non assumesse insulina o se, banalmente, un grave miope non usasse gli occhiali da vista. E' necessario usare i supporti necessari quando servono, tutto il resto è solo il nostro pregiudizio. Le consiglio di ridiscutere di questo con la sua terapeuta.
Buongiorno. Aggiungo, per nn ripetere concetti già espressi, che la terapeuta le riconosce la libertà di assumersi su di sé il percorso di guarigione. Sicuramente nn è il suo caso, ma a volte, qnd si entra in terapia, si vorrebbe demandare al terapeuta il percorso, come se il professionista fosse il pilota e il pz copilota di un auto da rimettere in carreggiata. Fondamentalmente funziona al contrario! Ovvero il terapeuta nn può avere la presunzione e l'onnipotenza di decidere x la vita del.pz, tranne che in casi di cura coatta. Nn si arrenda e cerchi di comprendere a fondo, con chi la segue, quale sia il motivo di questo invio x eventuali farmaci
Gentile utente, è verosimile che la collega psicoterapeuta abbia proposto un consulto psichiatrico poiché ritiene, in questo momento del Suo percorso, Che un affiancamento farmacologico possa aiutarLa a gestire un momento di particolare difficoltà. In alcune difficoltà specifiche, o in alcuni momenti del proprio percorso, vi sono linee guida che consigliano la feconda collaborazione tra lo psicologo e lo psichiatra per una veloce risoluzione del problema. Spesso il farmaco è utile a ridurre la difficoltà quanto basta per poter affrontare con serenità ed efficacia un percorso terapeutico, che richiede una lucidità a volte minata dall'eccesso di ansia. Il consiglio pertanto è quello di valutare attentamente la proposta poiché è probabile che abbia un senso, che può chiedere e discutere con la collega. La risposta che Le è stata data Dalla terapeuta è corretta: non può imporre nulla. La responsabilità della scelta è Sua così come è Sua la responsabilità rispetto alla motivazione e alle risorse che desidera investire nella psicoterapia. La libertà al paziente è in questo senso la componente fondamentale della buona riuscita della Vostra collaborazione. Lei è liberissima di scegliere come meglio crede; mi permetto solo di farLe presente che se non si sente libera di parlare con la Sua terapeuta di come si sente e di quando ha le maggiori difficoltà, raramente potrà trarre significativo beneficio. Valuti pertanto la possibilità di discutere con la collega come si è sentita nel sentire la proposta farmacologica e di come questo abbia impattato su di Lei. Se non ritiene possibile fare questo, Le consiglio di prendere in considerazione la possibilità di rivolgersi a un'altra terapeuta in quanto se viene meno la relazione di fiducia Il percorso perde di senso. In bocca al lupo! Cordialità. DMP
Gentile Sig.ra, uno psicoterapeuta con esperienza dovrebbe avere le competenze per decidere quando consigliare un consulto psichiatrico. Badi bene, ho usato il termine "consigliare", il che implica che poi la decisione spetta al paziente. Mi permetto di aggiungere che dalle poche parole che ha espresso si evince un po' di comprensibile ambivalenza rispetto al tema della farmacoterapia e del consiglio del suo terapeuta. Dico comprensibile in quanto pur essendo gli psicofarmaci delle medicine e lo psichiatra un medico specialista (non credo se la sarebbe presa se il suo terapeuta le avesse consigliato di farsi vedere da un ortopedico vedendo che lamentava una forte lombalgia) nell'immaginario comune esiste un forte pregiudizio negativo nei confronti di questa tipologia di farmaci, dovuto al peculiare significato che hanno a livello di investimento emotivo. Se lei è ferma nella sua decisione di non ricorrere alla farmacoterapia ed è irritata dall'atteggiamento del suo psicoterapeuta si senta libera di esprimere ciò che pensa e sente, così facendo darà la possibilità alla vostra relazione terapeutica di crescere e con essa la sua terapia proseguirà nel più auspicabile dei modi. Augurandomi di esserle stato di qualche aiuto le porgo i più cordiali saluti.
Gentile Sig.ra, una valutazione psichiatrica viene richiesta al paziente nel caso in cui sono presenti sintomi di natura psichiatrica e per associare al percorso psicoterapeutico un trattamento farmacologico. Questo assicura un risultato migliore, ma soprattutto la possibilità di lavorare meglio con il paziente in cura con i farmaci e quindi non in preda all'ansia, alla depressione, ecc. La prescrizione dei farmaci è di competenza del medico ma lo psicoterapeuta riscontra la necessità di tale supporto e invia il paziente.
Tutto ciò è per chiarire i suoi legittimi dubbi, poi è da vedere quanto sia difficile per lei, in questo momento, accettare questo invio.
Cordialmente Enza Marangella
Cara utente, In alcuni casi viene data libertà al paziente perché non si può costringere una persona ad assumere un farmaco e viene quindi avanzata una proposta. Più che leggerla come una contraddizione, che non è, la invito a chiedere al suo terapeuta come mai ha ipotizzato la necessità di un consulto psichiatrico. Talvolta, infatti, la migliore terapia è quella integrata (psicoterapia e psicofarmaci). Spero di aver chiarito i suoi dubbi.
Salve, concordo quanto detto dai colleghi e soprattutto sulla necessità di confrontarsi con la sua terapeuta per comprendere meglio la natura della richiesta di un consulto psichiatrico. Il ricorso al trattamento farmacologico non è utile solo nei casi in cui ci si trova davanti ad una patologia grave, ma anche in quelle situazioni cliniche meno severe, in cui la regressione del sintomo consente un lavoro terapeutico più efficace, in quanto permette al paziente di avvicinarsi a delle aree psichiche meno conosciute, da dove trae origine la sofferenza. Un saluto, G.S.
Buongiorno,
se la collega le ha consigliato di fare una consulenza psichiatrica avrà avuto le sue ragioni, è chiaro che non si può imporre o obbligare a fare qualcosa che la persona non vuole, per cui se lei deciderà di non effettuare la consulenza da uno psichiatra se ne assumerà le conseguenze anche ai fini del raggiungimento di determinati obiettivi che immagino lei si sia prefissata di raggiungere.
Saluti.
Gentile utente, le suggerirei di riprendere la questione con la sua terapeuta e chiarirla. Talvolta il farmaco viene suggerito come "stampella" temporanea che, grazie ad un contenimento dei sintomi, aiuta il paziente a concentrarsi sulla psicoterapia. Il paziente è comunque sempre libero di scegliere se acconsentire o meno alla farmacoterapia.
Un caro saluto

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