Buongiorno, da un anno e mezzo sono in percorso di psicoterapia con metodologie dirette ovvero ipnos
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Buongiorno, da un anno e mezzo sono in percorso di psicoterapia con metodologie dirette ovvero ipnosi eriksoniana e indirette. Qualche giorno fa durante l'ultima seduta, ho espresso alla mia terapeuta il mio sentire, ovvero ormai da più di qualche seduta le riporto solo esperienze positive, tutte le singole cose che una volta mi triggeravano, mi facevano stare male o mi deprimevano adesso le affronto con totale serenità e tutte le cose su cui abbiamo lavorato io le sento risolte. Sto sinceramente e davvero bene. Le ho spiegato che mi sento quasi a disagio perché vado da lei e "non so cosa raccontarle". Comunque io ho fatto un investimento perché la spesa economica non è da poco, dunque le ho detto di capire insieme come muoverci perché io da parte mia non ho più quella spinta e necessità che avevo un tempo, di andare da lei. Mentre le parlavo non mi ha mai guardato negli occhi, scriveva sul quadernino, poi la sua risposta è stata "Come hai detto tu, io ti do il mio punto di vista. Bene che stai meglio ma a volte quello che sentiamo non è al 100% un momento definitivo o quello che ci accompagnerà sempre. Dobbiamo fare ancora un quarto del lavoro e bisogna che lo facciamo gradualmente. Sicuramente per i prossimi mesi terrei ancora il ritmo di sempre per poi rallentare". In poche parole, lei non mi ha minimamente parlato di conclusione, nemmeno la si intravede nel suo discorso. Le ho pure palesemente detto che sono in difficoltà economiche perché a breve mi sposo e sono sommersa di spese, e con una situazione simile dove mi sembra di andare "per nulla" è ancora peggio perché questo grosso sforzo economico che mi viene richiesto mi sembra ancora Più difficile da affrontare. La sua risposta è stata "va da sé che se allentiamo le sedute il percorso si allunga ancora di più ". In poche parole mi sento bloccata e tenuta a forza in questo sistema. Le ho detto guardi ma io sto venendo da lei non dicendole che son cose che sento da oggi, ma che è già da qualche tempo che mi sento così, pensa quindi che in qualche mese chiudiamo? Lei qui mi ha risposto"non saprei dirlo non ho la sfera magica", detto non in tono maligno per carità ma il succo era quello. Nella stessa seduta (dovevamo ancora fare l ipnosi) per un intero quarto d'ora si è sfogata con me su una sua cosa personale. Aiutatemi vi prego perché io vorrei lasciarla ma sembra quasi essersi o affezionata a me, oppure mi viene da pensare male e pensare che il suo punto di vista sia solo un discorso economico di convenienza. Io desidero chiudere a breve e concentrarmi sul mio matrimonio e su questo bel periodo che ho davanti a me. Non ero mai stata così felice e serena, sicuramente il percorso è stato molto efficace, ma è normale che lei non mi lasci andare via? All inizio della seduta mi ha chiesto come stai? Ho risposto "benissimo", e lei ha continuato "stai meglio di me". Grazie per le risposte che mi darete.
Cara signora credo che dovrebbe ascoltare ciò che sente dentro di lei. Il "momento giusto" per concludere una terapia si ha quando il paziente sente di aver raggiunto i suoi obiettivi e di avere gli strumenti per andare avanti autonomamente che mi sembra sia ciò che lei ha dichiarato. Non posso sapere ciò che pensi o ipotizzi la collega ma lei non deve sentirsi bloccata in alcun modo da questa professionista. E' lei a decidere se continuare o meno il percorso. Le auguro il meglio per il suo matrimonio
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La situazione che descrivi solleva alcune questioni importanti sul rapporto terapeutico e sui confini professionali. Quando un paziente comunica chiaramente di sentirsi meglio e di voler concludere, un terapeuta dovrebbe accogliere questo feedback con apertura, esplorarlo insieme e rispettare l'autonomia della persona. La risposta che hai ricevuto invece sembra evasiva e non tiene conto di ciò che stai comunicando.
Alcuni segnali che menzioni sono preoccupanti: il fatto che si sia sfogata con te su questioni personali per un quarto d'ora durante la tua seduta rappresenta una violazione dei confini professionali. La seduta è il tuo spazio, non il suo. Anche il commento "stai meglio di me" è inappropriato e può creare confusione nel rapporto terapeutico. L'evitare il contatto visivo mentre esprimevi qualcosa di importante potrebbe indicare disagio da parte sua nel gestire la tua richiesta di concludere.
È tuo diritto decidere quando concludere la terapia. Se senti di aver raggiunto i tuoi obiettivi e stai bene, questa è un'informazione che va rispettata. Potresti considerare di comunicarle con chiarezza che desideri programmare una o due sedute conclusive per fare un bilancio del percorso e chiudere in modo appropriato. Se lei continua a non accogliere questa richiesta, questo confermerebbe che qualcosa nel suo approccio non è centrato sui tuoi bisogni.
Una terapia efficace prepara la persona a camminare autonomamente. Il tuo benessere e la tua serenità sono segnali positivi che il lavoro ha dato frutti. Ora hai bisogno di concentrarti sul tuo matrimonio e su questa fase bella della tua vita, e questo è del tutto legittimo. Se la terapeuta non riesce a riconoscerlo e a celebrarlo con te, potrebbe essere un segnale che è tempo di concludere e andare avanti con fiducia in ciò che hai costruito.
Alcuni segnali che menzioni sono preoccupanti: il fatto che si sia sfogata con te su questioni personali per un quarto d'ora durante la tua seduta rappresenta una violazione dei confini professionali. La seduta è il tuo spazio, non il suo. Anche il commento "stai meglio di me" è inappropriato e può creare confusione nel rapporto terapeutico. L'evitare il contatto visivo mentre esprimevi qualcosa di importante potrebbe indicare disagio da parte sua nel gestire la tua richiesta di concludere.
È tuo diritto decidere quando concludere la terapia. Se senti di aver raggiunto i tuoi obiettivi e stai bene, questa è un'informazione che va rispettata. Potresti considerare di comunicarle con chiarezza che desideri programmare una o due sedute conclusive per fare un bilancio del percorso e chiudere in modo appropriato. Se lei continua a non accogliere questa richiesta, questo confermerebbe che qualcosa nel suo approccio non è centrato sui tuoi bisogni.
Una terapia efficace prepara la persona a camminare autonomamente. Il tuo benessere e la tua serenità sono segnali positivi che il lavoro ha dato frutti. Ora hai bisogno di concentrarti sul tuo matrimonio e su questa fase bella della tua vita, e questo è del tutto legittimo. Se la terapeuta non riesce a riconoscerlo e a celebrarlo con te, potrebbe essere un segnale che è tempo di concludere e andare avanti con fiducia in ciò che hai costruito.
Buongiorno — grazie per aver raccontato con chiarezza la tua esperienza, è una situazione importante e sensata da sollevare. Ti rispondo punto per punto, in modo pratico e non prolisso.
Cosa può essere “normale” e cosa no
È normale che una terapeuta suggerisca di proseguire con cautela: la chiusura di un percorso richiede verificare stabilità e strategie per prevenire ricadute.
Non è invece ideale che la terapeuta faccia lunghi sfoghi personali durante la seduta o che si esponga in modo che ti faccia sentire usata per motivi emotivi o economici. Lo spazio dovrebbe rimanere centrato sui tuoi bisogni.
Appunti e non guardarti negli occhi possono essere tecniche legittime (presa di nota, lavoro clinico), ma se ti fanno sentire ignorata o svalutata è un elemento da discutere.
Cosa puoi chiedere/negoziare nella prossima seduta
Chiedi esplicitamente un colloquio di verifica della fase di chiusura: obiettivi raggiunti, punti ancora sensibili, segni che permetterebbero la conclusione, e un piano di follow-up.
Proponi un numero definito di sedute di “chiusura” (es. 3–6 incontri a cadenza mensile o quindicinale) per monitorare che il benessere sia stabile e mettere in campo strumenti di mantenimento.
Se il problema è economico, chiedi se esistono alternative: ridurre temporaneamente la frequenza, sedute più corte, o una tariffa ridotta.
Se la terapeuta continua a sviare o a usare lo spazio per problemi personali, è pienamente legittimo richiamare il confine e dire che ti fa sentire a disagio.
Frasi pratiche che puoi usare
«Vorrei fare una valutazione strutturata del percorso: possiamo fissare 3 sedute per lavorare specificamente sulla conclusione e sul piano di mantenimento?»
«Negli ultimi mesi mi sento stabile e vorrei discutere la chiusura o l’allentamento delle sedute, anche perché ho vincoli economici e un matrimonio imminente.»
«Quando in seduta si parla dei suoi problemi personali io mi sento a disagio: vorrei che lo spazio rimanesse centrato su di me.»
Se non ti senti ascoltata o il confine professionale è stato violato
Puoi chiedere un secondo parere o una breve consultazione con un altro professionista per chiarire se è ragionevole chiudere ora.
Puoi decidere di cambiare terapeuta: non è un fallimento, è prendersi cura della qualità della relazione terapeutica. Se scegli di interrompere, chiedi un incontro di chiusura (termine etico/professionale).
Breve piano d’azione consigliato (3 passi)
Nella prossima seduta chiedi un colloquio specifico sulla chiusura e proponi un numero definito di incontri di verifica.
Esplicita la tua situazione economica e proponi soluzioni pratiche (riduzione frequenza, tariffe, sedute più brevi).
Se dopo il confronto non ti senti rispettata nei tuoi limiti (soprattutto riguardo agli sfoghi personali), prendi in considerazione un secondo parere o il cambio di terapeuta.
È comprensibile che tu voglia chiudere e goderti il periodo felice che hai davanti: il lavoro fatto finora merita una chiusura rispettosa e sicura. Ti consiglio comunque di approfondire la situazione con uno specialista per definire insieme la modalità di termine più adatta a te.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Cosa può essere “normale” e cosa no
È normale che una terapeuta suggerisca di proseguire con cautela: la chiusura di un percorso richiede verificare stabilità e strategie per prevenire ricadute.
Non è invece ideale che la terapeuta faccia lunghi sfoghi personali durante la seduta o che si esponga in modo che ti faccia sentire usata per motivi emotivi o economici. Lo spazio dovrebbe rimanere centrato sui tuoi bisogni.
Appunti e non guardarti negli occhi possono essere tecniche legittime (presa di nota, lavoro clinico), ma se ti fanno sentire ignorata o svalutata è un elemento da discutere.
Cosa puoi chiedere/negoziare nella prossima seduta
Chiedi esplicitamente un colloquio di verifica della fase di chiusura: obiettivi raggiunti, punti ancora sensibili, segni che permetterebbero la conclusione, e un piano di follow-up.
Proponi un numero definito di sedute di “chiusura” (es. 3–6 incontri a cadenza mensile o quindicinale) per monitorare che il benessere sia stabile e mettere in campo strumenti di mantenimento.
Se il problema è economico, chiedi se esistono alternative: ridurre temporaneamente la frequenza, sedute più corte, o una tariffa ridotta.
Se la terapeuta continua a sviare o a usare lo spazio per problemi personali, è pienamente legittimo richiamare il confine e dire che ti fa sentire a disagio.
Frasi pratiche che puoi usare
«Vorrei fare una valutazione strutturata del percorso: possiamo fissare 3 sedute per lavorare specificamente sulla conclusione e sul piano di mantenimento?»
«Negli ultimi mesi mi sento stabile e vorrei discutere la chiusura o l’allentamento delle sedute, anche perché ho vincoli economici e un matrimonio imminente.»
«Quando in seduta si parla dei suoi problemi personali io mi sento a disagio: vorrei che lo spazio rimanesse centrato su di me.»
Se non ti senti ascoltata o il confine professionale è stato violato
Puoi chiedere un secondo parere o una breve consultazione con un altro professionista per chiarire se è ragionevole chiudere ora.
Puoi decidere di cambiare terapeuta: non è un fallimento, è prendersi cura della qualità della relazione terapeutica. Se scegli di interrompere, chiedi un incontro di chiusura (termine etico/professionale).
Breve piano d’azione consigliato (3 passi)
Nella prossima seduta chiedi un colloquio specifico sulla chiusura e proponi un numero definito di incontri di verifica.
Esplicita la tua situazione economica e proponi soluzioni pratiche (riduzione frequenza, tariffe, sedute più brevi).
Se dopo il confronto non ti senti rispettata nei tuoi limiti (soprattutto riguardo agli sfoghi personali), prendi in considerazione un secondo parere o il cambio di terapeuta.
È comprensibile che tu voglia chiudere e goderti il periodo felice che hai davanti: il lavoro fatto finora merita una chiusura rispettosa e sicura. Ti consiglio comunque di approfondire la situazione con uno specialista per definire insieme la modalità di termine più adatta a te.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Buongiorno, provo a parlarti con un tono caldo, diretto, umano, come farei in un colloquio centrato sulla persona e sul sentire corporeo, nell’ottica umanistica e bioenergetica. Quello che descrivi è un momento molto delicato del percorso: il punto in cui tu senti di essere arrivata, mentre la terapeuta sembra trattenerti, come se il filo non potesse essere sciolto. Ma nella tua voce c’è una cosa chiarissima: tu stai bene. Non un bene fragile, improvviso, illusorio. Un bene che si è consolidato seduta dopo seduta, che dura da tempo, che si riflette nella quotidianità e nella tua capacità di affrontare ciò che prima ti feriva. In un approccio fondato sull’autenticità, sul rispetto dell’organismo vivente e dei suoi ritmi, il tuo sentire è un’informazione preziosa. Non è un capriccio, non è negazione, non è paura. È una forma di autoregolazione naturale: il corpo sa quando ha ricevuto abbastanza, quando il lavoro ha prodotto il suo frutto, quando è tempo di lasciar maturare ciò che c’è senza continuare a scavare. E qui accade qualcosa: tu porti questa consapevolezza con sincerità, apertura, persino con senso di responsabilità economica. Però dall'altra parte non senti uno spazio accogliente. Non senti uno sguardo. Non senti un ascolto che si sintonizza. Senti risposte tecniche, difensive, chiuse, e perfino un po’ svalutanti (“non ho la sfera magica”). E quando il terapeuta parla della propria vita personale, quando si sfoga, quando usa il tuo spazio per esprimere un suo carico emotivo, la linea di confine – quella che dovrebbe proteggerti – si indebolisce. In un percorso ben condotto, il terapeuta è presente ma non invasivo, partecipe ma non bisognoso. Il focus rimane su di te. Tu porti un tema tremendo per un terapeuta non centrato: la fine. La chiusura. La separazione. E se lei ti risponde distogliendo lo sguardo, scrivendo, minimizzando ciò che senti, insistendo nel proseguire senza integrare i tuoi bisogni economici ed emotivi, qualcosa nella relazione terapeutica si sbilancia. La domanda che fai – “È normale che non mi lasci andare?” – in un’ottica umanistica e bioenergetica trova una risposta semplice e dolce: no, non è normale. È comprensibile che un terapeuta possa avere sentimenti, dispiacere, paura di chiudere. È comprensibile che a volte si senta toccato dal percorso. Ma non è normale né etico che questo impedisca di vedere te, il tuo momento, il tuo benessere e la tua autonomia nascente. La terapia non trattiene: accompagna. E quando la persona sta davvero bene, la terapia si apre alla possibilità di chiudere, oppure di rallentare, oppure di prendere una pausa per verificare se il cambiamento resta solido. È fisiologico, non pericoloso. E soprattutto non richiede di sacrificare la tua vita reale, il tuo matrimonio, le tue gioie. Il fatto che tu ti senta “bloccata” o trattenuta, quando il tuo corpo invece sente il bisogno di Spazio, è un segnale importante. Un segnale di maturità, non di fuga. Hai tutto il diritto di dire: “Sento che è tempo di concludere. Vorrei una seduta di chiusura dedicata a questo.” Hai diritto di spiegare che il tuo cammino ora è altro, che vuoi goderti questo periodo luminoso della tua vita senza la sensazione di essere obbligata a restare in terapia. E se lei non accoglie questa richiesta con rispetto, allora la cosa più sana – per proteggere ciò che hai conquistato – potrebbe essere concludere comunque, con gentilezza ma fermezza. A volte la chiusura più vera è proprio quella scelta da te, non quella concessa dall’altro. Se vuoi, possiamo prendere un momento per esplorare insieme come comunicare questo desiderio con chiarezza, come ascoltare il tuo corpo mentre lo dici, come mantenere un confine pulito e sereno. Possiamo anche approfondire in un colloquio conoscitivo cosa si muove in te di fronte a questa dinamica e come sostenere l’autonomia che stai conquistando. Sono qui, quando vuoi. A presto
Buongiorno, potrebbe essere utile parlare con la sua terapeuta anche di questa sensazione che lei riporta di non essere lasciata libera di andare via e di non sentirsi capita nel bisogno che porta. La inviterei a parlarle anche del fastidio che sente, se questa è la sensazione corretta, quando la sua terapeuta le parla di se. E' importante condividere come si sta anche all'interno della relazione terapeutica
Nella speranza di esserle stata d'aiuto le auguro una buona giornata
Nella speranza di esserle stata d'aiuto le auguro una buona giornata
Salve, il discorso economico lo capisco e capita di frequente che quando ci si sente meglio si voglia interrompere il percorso. È un impegno non indifferente quello su di sé. Lei ritiene di aver ben investito i suoi soldi, da quanto leggo, e sono pienamente d'accordo con lei. La salute mentale davvero non ha prezzo. Rifletterei sul motivo per cui si sente intrappolata in questa situazione, la dottoressa credo le abbia dato solo un parere professionale, ma lei è assolutamente liberissima di interrompere (momentaneamente o per sempre) così come è stata libera di iniziare. Le capita anche in altri contesti di sentirsi in trappola ogni volta che non riceve un consenso? Sarebbe un argomento a mio avviso da approfondire. Le porgo intanto cordiali saluti
Buongiorno, l'argomentazione che porta è sicuramente spinosa e la risposta non è semplice, rimanendo in assenza di giudizio. Non conosco la collega e non mi permetterei di sentenziare, immagino abbia il proprio punto di vista che voglio rispettare. Quindi si concentri su se stessa, cosa la spinge a tornare? So bene del legame che si crea e credo sia giusto che lavoriate proprio su questa dinamica. E' suo diritto sapere su cosa dobbiate ancora lavorare e manifestare dubbi e frustrazioni, esattamente come in qualunque altra relazione della sua vita. Il contratto terapeutico può essere rescisso da ambo le parti; crede di poter trovare una mediazione tra i vostri differenti bisogni all'interno della relazione? Continui a parlarne, sia con la sua terapeuta, sia interrogando se stessa. Mi auguro di essere stata in qualche modo di aiuto, un caro saluto.
Buongiorno, non mi sento nella posizione di dare una definizione, tuttavia le propongo delle riflessioni generali relative al setting psicoterapeutico. La prima è che è libera, quindi può interrompere il percorso in qualsiasi momento (anche qualora non fosse concluso, come le suggerisce la sua psicoterapeuta) e rivolgersi nuovamente alla collega qualora in futuro ne sentisse la necessità o volesse proseguire un lavoro su di sé; è molto importante parlare dei suoi dubbi e delle sue decisioni con la sua terapeuta (questo ha fatto molto bene a farlo, perché è importante parlare e non fuggire o evitare); le resistenze in terapia esistono (difficoltà ad andare più a fondo per paure inconsce ecc.), sembra che la collega faccia riferimento a queste quando le dice che si tratta di uno stato di benessere momentaneo; per quanto riguarda la self disclosure, posso solo dirle che alcuni colleghi la usano come tecnica terapeutica. Andando un po' più in profondità, mi porrei delle domande sul perché non si senta libera di andare, questa potrebbe essere una questione sulla quale lavorare in terapia (dietro ci possono essere varie ragioni. Esempio: avere la sensazione (non consapevole) che il percorso non sia effettivamente concluso oppure una questione di dipendenza ecc. ecc.). Non so se sono stata d'aiuto, spero di sì. Buona giornata, Ilaria Innocenti
Buongiorno, da quel che leggo mi sembra Lei che voglia chiudere il percorso ma non riesce a farlo. Io rifletterei su questa cosa più di tutte, sul come mai non riesca ad ascoltare ed agire i suoi bisogni/desideri, e aspetti in qualche modo il "permesso".
Un saluto
Un saluto
Carissima, leggendo il suo messaggio inizialmente ho pensato che la terapeuta non ritenesse di interrompere subito e stabilizzare i benefici ottenuti dal percorso e potrei condividere ritenendolo necessario. Certo che, comunque, ritengo necessario tener conto dei bisogni del paziente e discuterne insieme per raggiungere un compromesso e formulare un nuovo progetto terapeutico. Quando poi scrive che la collega si sfoga con lei dei suoi problemi personali o le confessa di stare peggio di lei allora la mia opinione cambia. Non credo che lei debba restare per senso di colpa o si senta obbligata e vero che a volte dobbiamo un po' insistere di fronte ad una interruzione precoce ma non certo causando questi sentimenti. L'alleanza terapeutica è esseziale e fatta di fiducia se sente che è venuta meno non è il caso di restare. Lei non ha obblighi o doveri nei confronti della terapeuta se poi riterrà di aver sbagliato può sempre ripensarci ma ora faccia quello che si sente di fare sarà la prova che il suo percorso ha funzionato. Un caro saluto. cr
Gent.ma, non è in nessun modo possibile entrare nel merito del rapporto clinico, del suo andamento e delle motivazioni che la portano a voler chiudere o interrompere il lavoro terapeutico: ciò non toglie che se davvero desidera porvi fine può certamente farlo perché è libera e, al tempo stesso, responsabile per questa sua scelta. SG
Buongiorno, grazie per la sua condivisione. Mi dispiace per questa situazione spiacevole che è venuta a crearsi: io credo che se lei non sente più il bisogno di continuare il percorso abbia tutto il diritto di interromperlo. Il codice deontologico stesso riporta il fatto che il paziente è libero in qualsiasi momento di interrompere il percorso, e trovo molto brutto che la sua terapeuta la faccia sentire vincolata. Credo che meriti di godersi il frutto di tutto il lavoro che ha fatto, e che possa permettersi di chiudere anche se la sua terapeuta non lo comprende. Se poi in futuro dovesse ripresentarsi il bisogno di riprendere la terapia, sarà libera di farlo, tornando da lei oppure con un altro professionista. Spero di esserle stata d'aiuto. Un caro saluto, dott.ssa Elena Gianotti
Ciao , a colte noi terapeuti parliamo in questo modo perché il lavoro fatto va consolidato per bene . Ciò non significa però doversi sentire ostaggi della terapia . Di solito , per alcuni , me compresa , nel momento in cui si arriva sul finale del lavoro è possibile diradare gli incontri , per esempio dal settimanale al quindicinale , anche per vedere un po’ come il paziente riesce a gestire questa lontananza. È infatti frequente e di buona regola dare al paziente una sorta di scadenza della terapia per vedere all’idea di dover cominciare a camminare definitivamente da solo cosa accadrà. Ad ogni modo, ognuno può avere le sue metodologie, per cui non ho capito e non posso sapere perché la collega ha parlato così. Quello che ti posso consigliare è che se tu senti questa esigenza di diradare gli incontri indipendentemente dal suggerimento dell’analista, è legato anche a fattori economici poi manifestare questa esigenza e concordare con lei un piano terapeutico più diradato senza doverti sentire in colpa né sparire definitivamente. Da tre parte, visto che noi analisti abbiamo come compito quello di rendere il paziente autonomo dovrebbe essere per lei di grande soddisfazione il tuo stare meglio ed il voler conseguentemente diradare gli incontri proprio perché la terapia ha dimostrato di aver dato buoni risultati per cui ti suggerisco di parlare con lei e di accordarti per degli incontri meno ravvicinati. In bocca al lupo e tanti auguri per il tuo matrimonio.
Buongiorno, non sono nelle condizioni di commentare l'operato della collega né credo sia il fulcro della sua richiesta.
Lei sa che non c'è in realtà nessun obbligo nel continuare un percorso che si reputa inutile né ha senso fare una terapia in cui ci si sente forzati?
Il paziente ha sempre il diritto di scelta, sia dell'andare in terapia che nel rinunciarci. Poi sta al terapeuta decidere se accettare alcuni atteggiamenti e continuare a lavorarci o meno, ognuno lavora in modo differente e ha le sue strategie.
Se sente di avere altre priorità mi sembra giusto assecondare questo suo sentire.
Alla luce di questo però le chiedo: perché continua ad andare in terapia pur reputandola ormai superflua e un eccessivo sacrificio economico?
E' la sua terapeuta a forzarla o è lei che si sente così?
Comunichi chiaramente i suoi bisogni e prenda le sue decisioni, solo lei può sapere cosa sente davvero e usi quel sentire come bussola.
Le auguro il meglio e grazie per la sua condivisione
Lei sa che non c'è in realtà nessun obbligo nel continuare un percorso che si reputa inutile né ha senso fare una terapia in cui ci si sente forzati?
Il paziente ha sempre il diritto di scelta, sia dell'andare in terapia che nel rinunciarci. Poi sta al terapeuta decidere se accettare alcuni atteggiamenti e continuare a lavorarci o meno, ognuno lavora in modo differente e ha le sue strategie.
Se sente di avere altre priorità mi sembra giusto assecondare questo suo sentire.
Alla luce di questo però le chiedo: perché continua ad andare in terapia pur reputandola ormai superflua e un eccessivo sacrificio economico?
E' la sua terapeuta a forzarla o è lei che si sente così?
Comunichi chiaramente i suoi bisogni e prenda le sue decisioni, solo lei può sapere cosa sente davvero e usi quel sentire come bussola.
Le auguro il meglio e grazie per la sua condivisione
Buongiorno, sono la dottoressa Tropea Federica, la sua frase: " In poche parole mi sento bloccata e tenuta a forza in questo sistema" mi colpisce molto. Ho un approccio diverso dalla collega in questione e ritengo che se si siano raggiunti gli obiettivi prefissati all'inizio del percorso e se non emergono ulteriori obiettivi (che vanno sempre concordati con il cliente), la terapia non deve essere mai la forzatura. Magari se la collega ritiene che ci sono temi ancora da affrontare, sarebbe opportuno comunque discuterne insieme. Alcuni comportamenti della collega possono effettivamente sembrare ambigui ma non mi permetto di giudicare o dire se sono giusti o sbagliati. Quello che mi sento però di consigliarti è di parlarne ancora una volta più direttamente sulla tua volontà di interrompere la terapia (sicuramente dedicando un incontro a tali motivazioni visto che è passato tanto tempo). Anche ciò che tu hai notato può essere riferito alla collega che non si è resa conto del suo comportamento. Magari un'opzione potrebbe essere quella di fare dei follow-up, quindi degli incontri ogni 2 mesi, oppure 5, 8 da concordare sempre insieme (per essere sicuri che questo periodo di felicità continui e che nel caso ci possa essere un pronto supporto).
A disposizione, buona giornata!
A disposizione, buona giornata!
Quando le terapie prendono una tale piega c'è da chiedersi se sia ancora funzionale al proprio benessere.
Come cognitivo comportamentale posso dire che l'obiettivo finale di una terapia è sempre la prevenzione delle ricadute, cioè il fatto che la persona deve sempre essere accompagnata verso una rinnovata autonomia.
Nella mia esperienza, quando qualcuno mi chiede di ridurre i tempi, perchè si sente pronto, valuto le evidenze e i fatti, suffragate magari da un minimo di testistica che mi conferma il miglioramento, e si può passare a rivederci ogni quindici giorni per un periodo, dopo di che si possono proporre alcuni fallow up a periodi di uno/ due mesi.
Ed infine si finisce la terapia e si chiude un ciclo.
Dalla relazione terapeutica possono svilupparsi transfert e contro transfert, il primo indica da parte del paziente il fatto di rivivere sentimenti profondi come quelli verso i genitori o altre figure importanti, mentre il contro transfert è quello che appunto può vivere nei confronti della persona in cura, il terapeuta, il quale però deve conoscere bene questi meccanismi.
Può essere normale affezionarsi, anche lo psicoterapeuta può vivere sentimenti di maternage, ma il suo ruolo impone che li gestisca efficacemente.
Quindi concludendo, lei valuti serenamente e comunichi in modo autentico le sue idee alla terapeuta ed esponga tutte le sue criticità. E' comunque un suo diritto decidere per sé se continuare, ridurre o sospendere le sedute.
A questo punto, qualsiasi cosa decide è comunque il risultato di un percorso efficace, ma come ogni cosa si inizia e si finisce.
Auguri per il futuro matrimonio.
Come cognitivo comportamentale posso dire che l'obiettivo finale di una terapia è sempre la prevenzione delle ricadute, cioè il fatto che la persona deve sempre essere accompagnata verso una rinnovata autonomia.
Nella mia esperienza, quando qualcuno mi chiede di ridurre i tempi, perchè si sente pronto, valuto le evidenze e i fatti, suffragate magari da un minimo di testistica che mi conferma il miglioramento, e si può passare a rivederci ogni quindici giorni per un periodo, dopo di che si possono proporre alcuni fallow up a periodi di uno/ due mesi.
Ed infine si finisce la terapia e si chiude un ciclo.
Dalla relazione terapeutica possono svilupparsi transfert e contro transfert, il primo indica da parte del paziente il fatto di rivivere sentimenti profondi come quelli verso i genitori o altre figure importanti, mentre il contro transfert è quello che appunto può vivere nei confronti della persona in cura, il terapeuta, il quale però deve conoscere bene questi meccanismi.
Può essere normale affezionarsi, anche lo psicoterapeuta può vivere sentimenti di maternage, ma il suo ruolo impone che li gestisca efficacemente.
Quindi concludendo, lei valuti serenamente e comunichi in modo autentico le sue idee alla terapeuta ed esponga tutte le sue criticità. E' comunque un suo diritto decidere per sé se continuare, ridurre o sospendere le sedute.
A questo punto, qualsiasi cosa decide è comunque il risultato di un percorso efficace, ma come ogni cosa si inizia e si finisce.
Auguri per il futuro matrimonio.
Buongiorno,
il distacco è il fine di ogni terapia, e molto spesso è un qualcosa che viene pianificato di concerto tra terapista e paziente. Spesso le sensazioni del paziente coincidono con quelle del terapista, ad ogni modo potrebbe non essere questo.il caso. Parli alla collega del suo desiderio di pianificare il distacco non vedendo più le ragioni della terapia, vedrà che non potrà trattenerla ancora a lungo. Auguri per il suo matrimonio. Saluti Dott Ferrara
il distacco è il fine di ogni terapia, e molto spesso è un qualcosa che viene pianificato di concerto tra terapista e paziente. Spesso le sensazioni del paziente coincidono con quelle del terapista, ad ogni modo potrebbe non essere questo.il caso. Parli alla collega del suo desiderio di pianificare il distacco non vedendo più le ragioni della terapia, vedrà che non potrà trattenerla ancora a lungo. Auguri per il suo matrimonio. Saluti Dott Ferrara
“Non è la situazione a creare ansia, ma il vuoto tra ciò che sappiamo e ciò che immaginiamo.” – P. Watzlawick
Rimango a disposizione.
Dott.ssa Francesca Gottofredi.
Rimango a disposizione.
Dott.ssa Francesca Gottofredi.
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