Buonasera, sono qui a parlare di una cosa, nonostante mi pesi molto farlo. non riesco a darmi una ri

24 risposte
Buonasera, sono qui a parlare di una cosa, nonostante mi pesi molto farlo. non riesco a darmi una risposta e non so scrivere bene quello che sento, ma ho bisogno di capire e parlare di quello che provo a qualcuno per una volta.

il sabotarmi da sola è una cosa che odio, sento di forzare alcune mie emozioni. a volte quando sto bene mi concentro sulle cose negative per poi stare male. in fondo non voglio stare bene e vivo serena nella mia tristezza, no? tanto vale lasciarsi andare, tanto è quello che voglio e nessuno può salvarmi, solo io posso farlo, ma non lo farò, perchè è impossibile salvare chi non vuole essere salvato. continuerò a vivere nei sensi di colpa, nei rimorsi, nell'odio che provo per me stessa e l'autosabotaggio che mi forza a provare certe cose. mi sento in colpa nei confronti di chi sta male veramente, nei miei genitori che devono subirsi una figlia che non fa altro che rompere, che finisce sempre per tagliarsi e che sembra non voler lasciare pace ai genitori, come se lo facesse per ripicca. forse è così, forse sono soltanto una stronza che fa le cose per ripicca. mi manca soffrire davvero, mi dava il motivo per questi comportamenti disfunzionali ed era, o meglio, è confortante. adesso che sto meglio sembra che io mi tagli soltanto per abitudine e sapere che magari ho avuto delle ricadute (quindi avere un percorso di guarigione) mi devasta in parte. mi sento uno schifo con chi ogni giorno lotta per la propria vita come facevo io quasi un anno fa, con chi non riesce ad andare avanti. prima sono andata in bagno a tagliarmi e ho avuto un flashback su quando "ho tentato" (non so nemmeno se definirlo tale) e nella mia testa mi devo convincere a riprovare anche se ho degli obiettivi e finalmente ho una ragazza che mi fa stare bene. mi dispiace per tutti e per chi mi ha nella sua vita, e dire così mi sembra di prendere in giro visto che è l'autosabotaggio a farmi dire questo, di conseguenza non è abbastanza reale e sincero

scusate per lo sfogo incoprensibile.
Dott. Marco Musto
Psicologo, Psicologo clinico
Roma
Buonasera.
Quello che scrive è profondamente umano, e dolorosamente lucido. È proprio nella complessità e nell’apparente contraddizione delle emozioni che spesso si nasconde il cuore del malessere psicologico. Quella parte di lei che “non vuole essere salvata” è spesso una forma di difesa: un modo per proteggersi da altre delusioni, o da un dolore che, paradossalmente, è diventato familiare.
L’autosabotaggio non è un segno di cattiveria o ripicca: è spesso un modo disfunzionale di comunicare un bisogno profondo che non riesce a trovare parole né spazio.
Essere in un percorso di guarigione non significa non avere ricadute. Significa continuare a scegliere, a volte ogni ora, ogni minuto, di restare nel cammino, anche quando sembra inutile. Anche quando sembra più facile mollare. Il fatto che lei abbia trovato qualcuno che la fa stare bene è un segnale importante: una parte di lei vuole vivere, vuole costruire, anche se un’altra parte continua a spingere nel buio.
Parlare è il primo passo. Farlo con qualcuno che ti ascolta senza giudicare può fare davvero la differenza.
Chiedere aiuto non è un fallimento, è un atto di forza. È il primo segno che qualcosa dentro di lei non ha ancora smesso di sperare.

Risolvi i tuoi dubbi grazie alla consulenza online

Se hai bisogno del consiglio di uno specialista, prenota una consulenza online. Otterrai risposte senza muoverti da casa.

Mostra risultati Come funziona?
Dott.ssa Elena Dati
Psicologo, Psicologo clinico
Crema
Buongiorno,
ciò che racconta trasmette un grande dolore e fatica. Le emozioni che descrive appaiono profonde, complesse e faticose da gestire, e mi colpisce la lucidità con cui riesce a osservarle e a metterle in parole, anche se questo le fa sentire senso di colpa e confusione.
A volte si rischia di rimanere intrappolati in meccanismi di autosabotaggio, come se il dolore diventasse un luogo conosciuto, quasi un rifugio, anche se ci fa soffrire. In questi momenti, sentirsi soli o non capiti può rendere tutto ancora più difficile.
Proprio per questo, credo sia importante valutare la possibilità di rivolgersi a uno specialista: un professionista può aiutarla a esplorare con delicatezza ciò che sta vivendo, a dare un senso a questi vissuti e a trovare nuove risorse per affrontarli. Non deve affrontare questo peso da sola.
Resto a disposizione, un caro saluto
dott.ssa Elena Dati
Dott.ssa Valeria Carolina Paradiso
Psicologo, Sessuologo, Psicologo clinico
Bollate
Ciao,
ti ringrazio per aver scritto, so che non è facile parlare di certi vissuti. Quello che esprimi è molto intenso e merita ascolto, non giudizio.
Mi colpisce il modo in cui parli di autosabotaggio, senso di colpa, tristezza, come se ti fossi condannata a restare lì. Eppure dici anche che stai meglio rispetto a un anno fa, che hai degli obiettivi e una persona che ti fa stare bene. È proprio lì che possiamo cominciare: dare voce a tutte le parti di te, anche a quelle che sembrano in conflitto.
Anche se ora ti sembra tutto confuso e doloroso, una parte di te sta chiedendo aiuto – ed è da lì che si può partire.

Parlarne con un professionista può aiutarti a fare chiarezza e ad affrontare il dolore senza restarne prigioniera. Se lo desideri, sono qui per accoglierti e iniziare insieme questo percorso.

Un caro saluto,
Dott.ssa Valeria Carolina Paradiso
Psicologa e Sessuologa
Dott. Andrea Boggero
Psicologo, Psicologo clinico
Genova
Buonasera, prima di tutto vorrei dirle che non c’è niente di “incoprensibile” in ciò che ha scritto. Le sue parole, anche se piene di contraddizioni e dolore, arrivano chiare. Raccontano la fatica di convivere con parti di sé che sembrano spingersi in direzioni opposte: da un lato il desiderio di stare meglio, di avere obiettivi, di permettersi di amare ed essere amata, dall’altro la parte che cerca rifugio nella sofferenza, come se fosse un luogo familiare e sicuro, per quanto doloroso. Quello che descrive è un conflitto che molte persone vivono quando si portano dietro ferite profonde: il benessere spaventa perché significa lasciare andare vecchi schemi, vecchie abitudini, e affrontare un senso di vuoto che spesso la sofferenza riempie. L’autosabotaggio non nasce perché si è cattivi o perché si vuole ferire chi si ha vicino. Piuttosto, è una strategia di sopravvivenza che, anche se a volte distruttiva, offre una sensazione di controllo e di sollievo immediato, almeno per qualche istante. Lei scrive di sentirsi in colpa perché pensa di non avere più un motivo “serio” per stare male, come se la sua sofferenza non fosse legittima, come se dovesse giustificare ogni taglio, ogni pensiero oscuro con qualcosa di esterno che la renda “degna” di soffrire. Ma la verità è che il dolore non ha una graduatoria. Non si deve competere con la sofferenza degli altri per sentire di avere diritto ad essere ascoltati. Il dolore che sente dentro è reale, anche se a volte non riesce a dargli un nome preciso o una causa evidente. Questa parte di sé che cerca di spingerla a concentrarsi sul negativo probabilmente sta cercando di proteggerla da una paura ancora più grande: quella di vivere davvero, di accettare di meritarsi la pace, di smettere di lottare contro se stessa. È difficile lasciare andare ciò che ci è familiare, anche quando fa male. E quando si comincia a stare meglio, proprio in quel momento, spesso emergono pensieri e comportamenti che spingono a tornare indietro, perché il dolore diventa una specie di ancora. Lei dice che solo lei può salvarsi ma non lo farà. In realtà, questa convinzione fa parte di quello stesso meccanismo di autosabotaggio: la sua mente le ripete che non può cambiare perché è più sicuro crederci, piuttosto che affrontare la paura di provarci davvero. Ma dentro di lei ci sono già prove che non è vero: ha una persona accanto che la fa stare bene, ha obiettivi, ha trovato la forza di scrivere queste righe, di mettere a nudo una parte molto intima di sé, di dire ad alta voce cose che fanno paura. Tutto questo dice che una parte di lei vuole salvarsi, eccome. Non deve fare tutto da sola. Il percorso di guarigione, quando ci sono comportamenti di autolesionismo e pensieri di morte, non è mai facile da affrontare senza una rete di supporto. Un aiuto psicologico mirato, costruito su tecniche concrete per riconoscere i pensieri disfunzionali, per imparare a non dargli sempre ascolto e per trovare modi alternativi per regolare emozioni così intense, può fare davvero la differenza. E se una parte di lei teme di non essere capita, forse può iniziare dicendo proprio questo a chi la seguirà: raccontare questa paura è già un passo per farsi capire. Lei non è cattiva, non è un peso, non è una delusione per chi le vuole bene. Ha bisogno di sentirsi autorizzata a stare bene, senza sentirsi in colpa, senza sentirsi in difetto verso chi ancora lotta. Non significa tradire chi soffre, significa anzi onorare la possibilità di vivere che forse ora fa ancora paura. Se sente che il rischio di farsi del male diventa troppo grande, la invito a non restare da sola: parli con qualcuno di cui si fida, vada al pronto soccorso o contatti un professionista. Merita di essere protetta, anche da se stessa, finché non potrà farlo in modo diverso. Resto a disposizione. Dott. Andrea Boggero
Dott.ssa Gaia Evangelisti
Psicologo, Psicologo clinico
Genzano di Roma
Salve, la ringrazio per aver scritto tutto questo. So quanto può essere difficile e già il fatto che lei abbia trovato la forza di metterlo nero su bianco è importante. Lo è davvero.

Quello che ha scritto non è confuso, è solo profondamente umano. Si sente divisa dentro, stanca, ma anche consapevole. Prova cose complesse, stratificate, che non si possono ridurre a una sola emozione. È normale sentirsi così quando si lotta con il dolore interiore da tanto tempo.

L'autosabotaggio, l’odio verso se stessi, la colpa, la sensazione di essere “una stronza” o di fare le cose “per ripicca”… non sono verità su di lei. Sono manifestazioni del dolore, della fatica emotiva, del tentativo di dare un senso a quello che prova. Spesso quando si inizia a stare un po’ meglio, come dice lei, emerge una sorta di “vuoto” perché per tanto tempo il dolore ha fatto da centro. Le manca soffrire davvero perché il dolore, pur distruttivo, era anche familiare e quando qualcosa è familiare, anche se fa male, fa paura lasciarlo andare.

Ha detto una cosa molto vera: “solo io posso salvarmi”. Ma non significa che lei debba farlo da sola. Non deve affrontare tutto questo senza aiuto. Parlare è già un modo per tendere una mano e lei l’ha fatto. Questo non è un messaggio che urla “voglio farmi del male”, è una voce che, in mezzo a tanta sofferenza, sta chiedendo aiuto. Anche se dice che non vuole essere salvata, in realtà lei è qui. E questo vuol dire qualcosa.

Ha una ragazza che la fa stare bene. Ha degli obiettivi. Cose che fanno parte di lei quanto il dolore e i sensi di colpa. Quella parte che si sta ancora tagliando o che ha flashback è una parte, ma lei non è tutta lì. C'è anche quella che si ricorda cosa ha superato quasi un anno fa. Che non vuole prendere in giro nessuno. Che si sta sforzando di capire.

Non è “meno meritevole di attenzione” perché ora sta un po’ meglio. Le ricadute non cancellano i passi avanti e non si guarisce con una linea dritta. Si vacilla, si cade, ci si ferma, e poi si continua. Anche il sentirsi “una rottura” per i suoi genitori è un segnale di quanto lei sia cosciente e sensibile, non di quanto lei “faccia male apposta”.

Ha il diritto di cercare uno spazio sicuro dove parlare regolarmente di queste cose. Uno psicoterapeuta, uno psicologo può darle quel sostegno continuo e professionale che merita. Anche se la testa le dice “non serve” o “non voglio farcela”, provi a non credere a tutto quello che il suo dolore dice. Le mente, a volte.

Se stai rischiando di farsi male, anche ora o nelle prossime ore, la invito seriamente a parlare subito con qualcuno: un numero di emergenza psicologica, una linea di supporto, o una persona di fiducia. Non è debolezza. È un atto di coraggio enorme.

Mi rendo disponibile qualora volesse parlarne ancora o approfondire l'argomento.

Un caro saluto.

Dott.ssa Gaia Evangelisti, Psicologa.
Salve , le suggerisco di valutare la possibilità di fare un colloquio con un collega psicologo per approfondire il suo disagio legato a dinamiche di Autosabotaggio, blocco e malessere in generale per approfondire il tutto e valutare la modalità di intervento più adatta e calibrata per lei.
Buone cose, dott. Marziani
Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Buonasera,

intanto voglio dirti che è molto importante e coraggioso aver scritto queste parole, nonostante la fatica e il dolore che traspaiono dal tuo messaggio. Quello che descrivi — il sentirti bloccata in un ciclo di autosabotaggio, il provare senso di colpa, la sensazione di non meritare di stare bene o di non poter essere aiutata — sono vissuti profondamente legati alla sofferenza psicologica e, in molti casi, a stati depressivi e a meccanismi di autolesionismo.

La tentazione di concentrarsi sul negativo, anche nei momenti di apparente benessere, è spesso una strategia — inconsapevole ma potente — che la mente utilizza per mantenere un equilibrio, anche se doloroso, perché ciò che è noto, anche se sofferto, può sembrare più sicuro di ciò che è nuovo o sconosciuto.

Dire “nessuno può salvarmi, solo io posso farlo, ma non lo farò” riflette quella parte di te che si sente senza via d’uscita, ma non è la verità assoluta. Esiste anche un’altra parte di te, quella che ha scritto questo messaggio, che ha il desiderio di capire, di parlare e di cercare aiuto. È importantissimo riconoscerla e darle spazio.

Non sei una “stronza” che fa le cose per ripicca: queste parole dure verso te stessa nascono dal senso di colpa e dalla sofferenza, non definiscono chi sei davvero. L’autolesionismo, anche se ora ti sembra diventato un gesto quasi “abituale”, rimane comunque un segnale di disagio profondo che merita ascolto, comprensione e cura.

È normale provare paura all’idea di stare meglio, soprattutto se la sofferenza per tanto tempo è stata parte della tua identità o un modo per sentire un qualche tipo di controllo o conforto. Ma la tua vita vale, e i legami affettivi — come la relazione che hai citato — possono essere un appiglio prezioso per cominciare un percorso di guarigione più stabile.

Ti invito a non restare sola in questa fatica. Parlane con chi ti è vicino e, soprattutto, rivolgiti a uno psicoterapeuta o a uno specialista della salute mentale: il tuo vissuto merita uno spazio sicuro, protetto e competente dove poterlo esplorare e affrontare senza giudizio.

Sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno specialista.

Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
Dott.ssa Francesca Gottofredi
Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Bologna
Buonasera,
il tuo messaggio è tutt’altro che incomprensibile: è un tentativo complesso e profondo di dare forma a un nodo interiore che sembra parlare da sé.
Chi si autosabota spesso non vuole farsi del male… vuole fermare un dolore che non sa più dove mettere. Eppure, più si cerca di controllarlo, più lui prende il controllo.
Ti chiedo: cosa accadrebbe se smettessi di tentare di “non sabotarti”? Se, per assurdo, decidessi consapevolmente di farlo… ma seguendo una tua regola nuova, tua davvero?
A volte, per cambiare direzione, serve prima spingere il meccanismo al paradosso, fino a svuotarlo di senso.
Resto a disposizione,
Francesca Gottofredi
Dott.ssa Federica Varisco
Psicologo, Psicologo clinico, Terapeuta
Bagheria
Buongiorno, e grazie per la fiducia nel condividere qualcosa di così profondo e doloroso.
Quello che hai scritto è tutt’altro che “incomprensibile”. È complesso, sì, ma profondamente umano. Stai affrontando un conflitto interiore enorme, tra il desiderio di stare bene e il bisogno, ormai familiare e radicato, di stare male.
È come se la sofferenza fosse diventata una casa, anche se ti fa male viverci. Non sei cattiva o ''stronza''.
Quello che descrivi non è ripicca, ma dolore. E a volte, quando non sappiamo dove metterlo, il dolore diventa autodistruttivo. Non per ferire gli altri, ma per far tacere qualcosa dentro di noi che non riusciamo a esprimere in altro modo. Ti sei abituata a un certo tipo di sofferenza, e uscirne fa paura. Ma questo non ti rende sbagliata, ti rende umana.
Sentirti in colpa verso chi soffre "più" o "in modo diverso" è comprensibile, ma ingiusto verso di te. Il dolore non si misura. Il tuo è valido, è reale. E tu meriti ascolto, cura, comprensione. Anche se oggi ti sembra di non essere "abbastanza in crisi" da giustificare quello che provi. Lo sei, e basta.
Il fatto che tu riesca a scrivere tutto questo è un atto di forza...
Parlare di tutto questo, della rabbia, del senso di colpa, dei pensieri più bui, non è debolezza. È una forma di resistenza, di ricerca. Anche dire “non voglio essere salvata” è una forma di lotta. Se non ti importasse niente, non saresti qui...
Non è facile, e a volte ti sembrerà impossibile. Ma il fatto che tu abbia degli obiettivi e che riconosci che qualcosa non va, sono segnali importantissimi. A volte il nostro cervello può convincerci che ricadere è l’unica strada, ma non è vero! Hai già intrapreso un percorso di supporto psicologico?
Dott. Luca Vocino
Psicologo clinico, Psicologo
Trezzano Rosa
Buongiorno gentile Utente, innanzitutto vorrei ringraziarla per aver trovato il coraggio di condividere tutto questo. È evidente quanto le pesi farlo e quanto dolore e confusione si annidino dietro alle sue parole. Ma il solo fatto che abbia deciso di scrivere, di raccontare e cercare un confronto, è già un atto di resistenza. Significa che una parte di lei (forse la più silenziosa, ma ancora presente) desidera essere ascoltata, vista, capita. Ed è proprio a quella parte che mi rivolgo.

Quello che descrive è uno stato interiore complesso, fatto di sofferenza, ambivalenze e cicatrici, non solo fisiche ma emotive. L'autosabotaggio, il senso di colpa, la convinzione di non meritare la serenità, la sensazione che il dolore sia più familiare del benessere: tutto questo non è “essere una stronza”, come scrive con durezza verso sé stessa. È, piuttosto, un modo antico e doloroso di restare legata a ciò che è stato, e a ciò che forse ha imparato, suo malgrado, a chiamare “casa”.

È importante che lei sappia che quello che sta vivendo ha un senso, anche se oggi le appare solo come un groviglio oscuro. I meccanismi di autosabotaggio e di autolesione non sono capricci o gesti “di ripicca”, ma risposte a un dolore che probabilmente per molto tempo non ha trovato parole né contenimento. Tagliarsi, concentrarsi solo sugli aspetti negativi, sentirsi “confortata” dalla sofferenza: tutto questo può essere una forma di sopravvivenza che si è trasformata col tempo in abitudine, in rifugio. Ma anche i rifugi, se troppo stretti e bui, smettono di proteggerci e iniziano a soffocarci.

Lei dice che ora sta “un po’ meglio”, che ha una ragazza che le fa bene e degli obiettivi. E proprio per questo sente che il taglio diventa quasi un gesto automatico, un modo per “sentire” qualcosa o per ricordarsi chi è stata. È normale che questa fase intermedia (non più immersa nella crisi ma nemmeno ancora stabile) sia la più difficile da sopportare. Spesso proprio quando cominciamo a stare meglio, ci sembra di tradire il dolore, di non meritarci la nuova pace. Eppure non è così: anche il benessere va imparato, accolto, costruito un giorno alla volta. E a volte fa più paura della sofferenza, perché è meno familiare.

Lei non è una persona che “non vuole essere salvata”. È una persona che forse ha vissuto a lungo sentendo che non poteva fidarsi del proprio sentire. E che ora, anche nella fragilità, ha avuto la forza di scrivere tutto questo. Questo non è poco. Questo è qualcosa. È l’inizio di un dialogo nuovo con sé stessa.

Le suggerisco con tutto il rispetto possibile di non restare sola in questo momento così delicato. Un percorso psicoterapeutico strutturato, con un professionista che possa accogliere, contenere e lavorare insieme a lei su ciò che sente, sarebbe davvero un passo importante. Il dolore che racconta merita ascolto, profondità e tempo. E soprattutto merita di non restare intrappolato nel silenzio o nel giudizio crudele verso sé stessa.

Lei non è da sola, anche se ora può sembrarle così.

Se dovesse avere bisogno di ulteriori informazioni o di intraprendere un percorso mi trova a disposizione,
Dott. Luca Vocino
Dott.ssa Caterina Puglisi
Psicologo, Psicoterapeuta
Villastellone
Buongiorno, mi colpisce la crudeltà che usa per la sua persona anche nei toni oltre che negli agiti. Mi sento di dirle che i rimorsi, l'odio, il senso di colpa possono essere trasformati in qualcosa di vitale per poi potere scegliere con consapevolezza se vogliamo vivere o morire. Il lavoro trasformativo non lo si può fare da soli, occorre affidarsi. Mi arriva forte il suo dispiacere per tutti cosi come il suo non-dispiacere per la sua persona. La bella notizia è che non è mai troppo tardi per imparare a farsi il dono (per-dono) della cura e dell'amore per se stessi; se non amiamo noi stessi non possiamo amare davvero gli altri. Dunque la via per trasformare c'è se vorrà sceglierla. saluti
Dott.ssa Ilenia Colasuonno
Psicologo, Psicologo clinico
Cerveteri
Quello che hai scritto è denso, doloroso, e profondo. E soprattutto è importante. Sei importante tu, anche se adesso fatichi a crederlo. Leggendoti, non ho visto una persona cattiva, né una che lo fa per ripicca. Ho visto una persona stanca, confusa, divisa a metà. Una parte di te vuole lasciarsi andare, ma un’altra ha scritto tutto questo. E questa parte non è piccola. È viva, è lì, ed è forte abbastanza da dire quello che tante persone non riescono a dire nemmeno a se stesse. Ci sono momenti in cui il dolore diventa identità, e smettere di soffrire fa paura, perché significa non sapere più chi si è senza quel buio. È come perdere un rifugio, anche se quel rifugio fa male. E so quanto il senso di colpa sappia attaccarsi a tutto: ai genitori, a chi ti ama, perfino ai momenti in cui ti senti un po’ meglio. Ma non sei sola, e non sei sbagliata perché il tuo cervello cerca equilibrio anche quando fa male. Ti tagli perché è un modo che conosci per sentire qualcosa, o per spegnere il troppo. È un gesto che parla, anche se non vorresti farlo. E anche se ora ti sembra un’abitudine, anche se una parte di te ti dice che non meriti di stare meglio, in realtà lo stai dicendo da sola: stai cercando qualcosa. Un motivo. Un appiglio. Una via per sentirti al sicuro. Non c’è niente di vergognoso in quello che provi. Non c’è niente di poco autentico nel tuo star male anche adesso. Non sei meno legittimata a sentire dolore solo perché le cose sembrano “migliori”. E se hai una ragazza che ti fa stare bene, non significa che tutto sia risolto, ma che hai almeno un piccolo spazio dove puoi sentire qualcosa di diverso. Anche quello può fare paura. Anche stare bene può spaventare quando si è stati male a lungo.
Non credo che tu voglia davvero sparire. Credo che tu voglia trovare un modo per far pace con quella parte di te che soffre e quella che vuole smettere di farlo. Credo che tu voglia essere capita, senza sentirti un problema. E questo spazio, anche se piccolo, può essere un posto in cui iniziare a farlo. Anche se non ci conosciamo, io ti credo. E rimango qui, se vuoi continuare a parlare.
Dott.ssa Stefania Conti
Psicologo, Psicologo clinico
Palermo
Buongiorno, nche se dice di non sapere scrivere bene quello che sente, il suo messaggio arriva chiaro, forte e toccante.

Si percepisce quanto stia lottando dentro di sé, tra il desiderio di stare meglio e una parte più oscura che la porta a mettersi in discussione, a farsi del male, a colpevolizzarsi. Questo conflitto interiore non è qualcosa che va affrontato da sola: già scrivere tutto questo e decidere di condividerlo è un primo passo importante.

A volte il dolore prende forme complicate, e la mente può portarci a credere che non meritiamo di stare bene o che non sia possibile cambiare. Ma anche nei momenti in cui tutto sembra perso, esistono spazi sicuri dove potersi fermare, parlare e iniziare a comprendere meglio ciò che si sta vivendo, senza giudizio.

Se sente di voler esplorare più a fondo queste emozioni, può contattarmi: insieme, con delicatezza e rispetto per i suoi tempi, potremo dare voce a tutto questo e cercare nuove strade.
Dott.ssa Stefania Conti, Psicologa
Dott. Samuele Casalis
Psicologo, Psicologo clinico
Alba
Grazie per aver trovato il coraggio di scrivere. Le tue parole non sono incomprensibili, anzi: raccontano una sofferenza profonda, reale, che merita ascolto e rispetto.
Non sei “una stronza”, né un peso. Il tuo autosabotaggio non è cattiveria: è dolore che cerca voce. E oggi gliel’hai data.

Anche se ora ti sembra impossibile, non devi farcela da sola. Chiedere aiuto non è debolezza, è un atto di forza.
Parlare con uno psicologo può aiutarti a spezzare questo ciclo, ritrovare spazio per respirare, e scoprire che puoi stare meglio senza sentirti in colpa per questo.

Scrivimi se vuoi parlare con qualcuno.
Prenota un colloquio, anche solo per capire da dove iniziare.
Sei qui, e questo conta. Tanto.
Buona sera, dopo questo "sfogo incomprensibile", come lo definisce, cosa ha provato? Dice di stare meglio e che le manca "soffrire davvero" perché le dava conforto; sarebbe interessante comprendere cosa l'ha portata a ridurre i comportamenti che chiama disfunzionali e perché, ciò nonostante, abbia necessità di autosabotarsi o, forse, sarebbe meglio dire punirsi? Quali colpe deve espiare infliggendosi dolore fisico, e non solo? Cosa trova così inaccettabile dentro di sé da doverlo mortificare e ripudiare? E la sua fidanzata, che é motivo di benessere, é al corrente di questa sua sofferenza? Tante domande quelle che le rivolgo per suggerirle di guardare più a fondo quanto le accade, di non tralasciare e mettere a tacere questo suo malessere ma, al contrario, accoglierlo, ascoltarlo e guardarlo per quello che è. Solo divenendone più consapevole potrà, se lo vorrà, affrancarsi dal bisogno di soffrire che non credo sia ciò che desidera realmente perché, viceversa, non si sarebbe espressa come ha fatto. Prenda in considerazione la possibilità di un sostegno professionale e mirato in grado di accompagnarla nel suo percorso.
Un cordiale saluto e in bocca al lupo
D.ssa Monica Giuffrida
Dott.ssa Alina Mustatea
Psicologo, Psicologo clinico
Pomezia
Gentile paziente,quello che descrivi – l’autosabotaggio, il senso di colpa, la fatica ad accettare che qualcosa stia migliorando – sono dinamiche comuni in chi ha vissuto a lungo nella sofferenza. Il dolore, quando è stato parte della nostra identità per tanto tempo, può diventare una sorta di zona conosciuta, quasi un rifugio. In fondo, il malessere è prevedibile; la felicità, invece, espone al rischio di perderla. Questo spaventa.
Non sei "una stronza", e nemmeno qualcuno che fa le cose "per ripicca". Sei una persona che ha sofferto e che sta cercando un modo per far pace con se stessa, anche se al momento quel modo passa da strategie disfunzionali. Ma c’è lucidità nelle tue parole, anche quando dici “solo io posso salvarmi, ma non lo farò”. Quella consapevolezza è già un punto di appoggio da cui ripartire, nonostante tutto.
Se davvero dentro di te una parte vuole lasciarsi andare, ce n’è anche un’altra – più silenziosa, più nascosta – che desidera essere capita, aiutata, ascoltata. Prova a darle spazio. Non serve fare tutto da sola. Parlare con un professionista, in un luogo sicuro, può aiutarti a distinguere tra la voce dell'autosabotaggio e quella che vuole davvero vivere.
Il dolore che provi non invalida quello degli altri, e il fatto che tu abbia ancora ricadute non cancella la tua forza o il percorso che hai fatto. Sei viva. Sei ancora qui. E questo vale più di quanto immagini.
Un caro saluto
Dott.ssa Serena Vitale
Psicologo, Psicologo clinico, Sessuologo
Pescara
Ciao Anonima,
cerca di leggermi attentamente (anche se non ho l'arroganza di dire che sicuro ho ragione, dopotutto non ti conosco, ma provo ad aiutarti).
La situazione che descrivi come impossibile da capire è un quadro depressivo, semplicemente. Non posso dirti se è depressione maggiore o meno perché non posso farti una diagnosi così da un messaggio, però sei semplicemente una persona che soffre e va aiutata.

Dici che stai meglio e non lo voglio mettere in dubbio, ma anche "non provare niente" è stare male, ed è sintomo depressivo. Non è che se non provi niente stai bene e stai male solo nel momento in cui sperimenti il dolore, anzi spesso nella depressione è proprio cosi che va.

In realtà però tu soffri, perché ti dispiace per gli altri e ti dispiace anche di non stare bene perché quando dici che ora hai anche una ragazza che ti fa stare bene sveli il tuo desiderio di poterti godere le cose. Quindi non sei tanto strana, anche tu vorresti stare bene, ti preoccupi per gli altri e non vuoi farli soffrire, e dici che meriti di sparire perché il tuo disturbo ti fa credere questo (la depressione da anche sensi di colpa).
Io non so se sei stata o sei in terapia, però a parte consigliarti di seguire un percorso psicologico ti consiglio anche di fare una visita con un medico per vedere in primis eventuali cause organiche di questo tuo malessere e poi per vedere una ipotetica cura.
Le medicine sono un ottimo bastone d'appoggio per far andare più spedite le psicoterapie e avere risultati validi.

Se hai tabu o dubbi sulle medicine lasciati dire che sono solo frutto di una brutta disinformazione nel nostro paese.

comunque in primis farei un percorso psicologico almeno per iniziare.
La depressione è una malattia e si cura. Non cadere in queste drammatizzazioni, davvero.
Dott.ssa Chiara Biasi
Psicologo, Psicologo clinico
Brescia
Buongiorno, non si deve scusare in questa sede e il suo sfogo non è incomprensibile, è il frutto sicuramente di un dolore che ha delle radici probabilmente molto profonde. Quando siamo abituati a stare tanto male, per tanto tempo, è l'unica prospettiva di vita che abbiamo, non sappiamo cosa significhi vivere senza il dolore. Ora che magari sente di stare meglio può provare una nostalgia o addirittura paura a stare in una condizione che non ha mai provato (di guarigione). Ci può essere una sorta di piacere anche nello stare nel dolore e questo può magari mettere in crisi la guarigione. Le ricadute possono fare parte del percorso per la guarigione e, per quanto possa sentirsi in colpa, non si deve necessariamente condannare per quello che fa. Se non lo sta già facendo nel suo caso, potrebbe essere utile affiancarsi a un terapeuta per snocciolare le motivazioni alla base dei suoi gesti e cosa la trattiene nello "star bene". Mi auguro che trovi un suo modo di star bene.
Ciao, ti ringrazio profondamente per la fiducia che hai avuto nel condividere tutto questo. Non è uno sfogo “incomprensibile”. È un grido che ha bisogno di essere accolto, non solo ascoltato. E io sono qui, con rispetto, senza giudicare, a leggere ogni tua parola come il segno di una forza che esiste, anche se oggi ti sembra nascosta o contraddittoria.
Hai parlato di dolore, di autosabotaggio, di senso di colpa, di tagli. E hai parlato anche di una parte di te che sa, che vede cosa succede dentro, che si accorge che qualcosa non torna, che qualcosa fa male… ma che in un certo senso ti tiene lì, ferma, nella tristezza che conosci bene. Quella che ormai è diventata quasi casa. Lo capisco. A volte, il malessere diventa così familiare che stare meglio fa paura. Perché “stare bene” apre il vuoto, lo sconosciuto, e ti toglie la giustificazione per soffrire come hai sempre fatto. Ma questo non significa che tu voglia davvero stare male. Significa che non ti fidi ancora della possibilità di essere felice senza pagare un prezzo. E questa è una ferita profonda, non un difetto.
Tu dici che ti autosaboti, e sì… sembra che una parte di te faccia di tutto per riportarti giù proprio quando inizi a risalire. Ma c’è un’altra parte che ha scritto questo messaggio. Una parte che vuole farsi capire, che ha il coraggio di dire: “Non ce la faccio, ma ho bisogno che qualcuno veda quello che provo”. E non lo fa per ripicca. Non sei una stronza. Non sei un peso. Non sei un inganno. Sei una persona che sta cercando disperatamente un modo per sentirsi libera senza distruggersi.
Ti capisco quando dici che i gesti di autolesionismo ormai sembrano quasi un’abitudine. È una trappola insidiosa: a volte quei gesti diventano un modo per sentire qualcosa, per riprendere controllo, per punirsi… anche quando, in realtà, vorresti solo che qualcuno ti abbracciasse senza chiederti nulla, senza dire “ma hai tutto”, senza minimizzare, senza colpevolizzarti.
E ti capisco anche quando dici che hai una ragazza che ti fa stare bene, e che questo paradossalmente ti confonde ancora di più. È come se dentro di te convivessero due anime: una che vuole vivere, amare, sperare… e un’altra che ti tira indietro, ti dice che non meriti, che stai fingendo, che prima o poi rovinerai tutto. Ma quella che ha scritto qui, che ha detto “scusate lo sfogo”, è viva, è lucida, e ha bisogno di aiuto vero. E merita tutto il rispetto del mondo.
Io ti dico questo, con tutta la sincerità che posso: non devi farcela da sola. Non è un fallimento chiedere aiuto, né tornare a parlarne con una persona esperta, che possa accogliere tutto questo senza spaventarsi, senza giudicarti, e aiutarti a tenere insieme le parti che oggi ti sembrano inconciliabili.
Non sei un peso. Non sei sbagliata. Stai solo portando da troppo tempo un dolore più grande di te. E se ora quel dolore ha iniziato a parlare con parole confuse, spezzate, taglienti… allora è arrivato il momento di dare ascolto a ciò che c’è sotto, con qualcuno che possa accompagnarti senza volerti “aggiustare”, ma solo aiutare a respirare di nuovo.
Ti mando un pensiero gentile, e se vuoi, io ci sono. Davvero.
Dott.ssa Lucia Seri
Psicologo, Psicologo clinico
Bologna
Gentile utente,
Posso solo immaginare quanto ti sia costato scrivere queste parole così profonde e difficili..Il fatto che tu lo abbia fatto, nonostante il peso che senti, è già un segnale importante: una parte di te ha ancora bisogno di essere ascoltata, vista, capita. E merita di esserlo.
Quello che scrivi sembra raccontare un grande conflitto interiore: tra il desiderio di stare meglio e la tendenza a sabotarti, tra il senso di colpa e la voglia di lasciarti andare, tra la parte che soffre e quella che cerca un senso, anche nella sofferenza. Non sei sbagliata per questo. Non sei una persona cattiva, né egoista. Stai cercando di dare voce a qualcosa di molto più profondo.
A volte, lo sperimentare tanta sofferenza rende il dolore un rifugio familiare. Lasciarlo andare può far paura, perché non si sa più bene chi si è senza di lui. Eppure, anche in mezzo a tutto questo, tu stai cercando di capire, stai facendo spazio alle emozioni, anche se ti sembrano “forzate” o confuse. Non esiste un modo giusto per sentire, esiste solo il tuo modo, ed è legittimo.
Hai detto una cosa molto vera: nessuno può salvarti al posto tuo. Puoi però decidere di esplorare assieme ad un professionista cosa significa per te “salvarsi”, passo dopo passo, senza fretta o pressioni.
Ti auguro il meglio, dott.ssa Lucia Seri
Dott. Francesco Damiano Logiudice
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL
Buongiorno,
la ringrazio per aver scelto di esprimere la sua sofferenza, per aver esternato le tante emozioni che sente e prova, attraverso il suo racconto.
Contemplare questa possibilità rappresenta un primo passo per condividere il peso che porta. Avvalersi di un supporto professionale, potrebbe aprire la strada ad una nuova narrazione in cui, oltre al dispiacere che avverte per le persone a lei vicine, possano trovare maggiore spazio la gentilezza e l'amore per se stessi, la fiducia e l'autocompassione per trasformare i comportamenti autosabotanti. Anche attraversando delle tempeste è possibile navigare in acque sicure.

Un caro saluto
Dott.ssa Laura Soldati
Buon pomeriggio, il dolore a volte è invisibile e spesso senza apparenti tracce nella realtà ma non per questo assente e di minor valore. Uno spazio di parola potrebbe aiutarla a dargli forma e ad affrontarlo meno in solitudine.
Gentile utente,
il suo sfogo è tutt'altro che incomprensibile e forse in qualche modo il suo sistema ha trovato conforto nel rivolgersi alla piattaforma... dove in parte i pensieri hanno anche avuto lo spazio per prendere forma.
Scusarsi per come ci si sente può essere un campanello d'allarme per farci dire: "ma quindi mi va bene così o posso fare qualcosa?" La invito a pensare a cosa la rende grata oggi e a rivolgersi ad un professionista per riprendere in mano la propria storia al fine di poter tornare a godere di ciò che è riuscita a costruire (magari faticosamente). Come professionista mi rendo disponibile, online e in presenza (preferibilmente, se si trova a Brescia o provincia).

Cordialmente,
dott.ssa SZ

Stai ancora cercando una risposta? Poni un'altra domanda

  • La tua domanda sarà pubblicata in modo anonimo.
  • Poni una domanda chiara, di argomento sanitario e sii conciso/a.
  • La domanda sarà rivolta a tutti gli specialisti presenti su questo sito, non a un dottore in particolare.
  • Questo servizio non sostituisce le cure mediche professionali fornite durante una visita specialistica. Se hai un problema o un'urgenza, recati dal tuo medico curante o in un Pronto Soccorso.
  • Non sono ammesse domande relative a casi dettagliati, richieste di una seconda opinione o suggerimenti in merito all'assunzione di farmaci e al loro dosaggio
  • Per ragioni mediche, non verranno pubblicate informazioni su quantità o dosi consigliate di medicinali.

Il testo è troppo corto. Deve contenere almeno __LIMIT__ caratteri.


Scegli il tipo di specialista a cui rivolgerti
Lo utilizzeremo per avvertirti della risposta. Non sarà pubblicato online.
Tutti i contenuti pubblicati su MioDottore.it, specialmente domande e risposte, sono di carattere informativo e in nessun caso devono essere considerati un sostituto di una visita specialistica.