La mia domanda è sull’etica professionale della mia psicologa. Sono in terapia da più di un anno, la

18 risposte
La mia domanda è sull’etica professionale della mia psicologa. Sono in terapia da più di un anno, la mia psicologa è cognitivo comportamentale. Mesi fa abbiamo iniziato a lavorare sul trauma (inizio di EMDR), ma per questioni economiche e necessità di una pausa ho messo in stop il trattamento. Noto che facendo terapia da così tanto tempo ogni settimana provo una forte dipendenza nei suoi confronti e a periodi ho bisogno di uno stop proprio per dimostrarmi che ce la farò anche senza di lei. Ne abbiamo parlato e lei ribadisce che lei non crea dipendenza, che posso sempre affidarmi a lei. Ora mi sono rimessa in contatto con lei per continuare il trattamento, menzionandole che, vivendo un periodo molto tranquillo e positivo della mia vita, vorrei che prendesse in considerazione il fatto di allungare il tempo tra le sessioni. Lei mi risponde, con vari giorni di ritardo, dicendo che il minimo sono 3 sessioni al mese, altrimenti nulla. Quando le chiedo spiegazioni mi risponde dicendo che ne parleremo in seduta, che non vuole discutere queste cose per messaggio per evitare malintesi perché è stanca. Prima della seduta, vorrei un’opinione da altri professionisti, perché sono cosciente del potere che ha su di me e vorrei evitare che la mia ricerca d’aiuto venga strumentalizzata per fini economici. Vorrei sbagliarmi, ma ci sono campanelli d’allarme? Soprattutto tenendo in considerazione che non mi da una risposta approssimativa di quanto durerà ancora la terapia e gli obbiettivi ormai non sono più così chiari.
Gentile utente, senza entrare nel merito del lavoro della/del collega. Mi sento di dirle che non è possibile dare ad un paziente un tempo definito rispetto al percorso poiché ogni percorso è estremamente personale è diverso, pertanto non esiste un tempo standard uguale per tutti. Rispetto ai sui dubbi credo che possa provare a condividerli in modo onesto e sincero alla sua terapeuta. La scelta di parlare di alcune tematiche in seduta e non per messaggio è proprio per assicurarsi il giusto tempo ed ascolto adeguato alle istanze del paziente. Capita che la comunicazione via messaggio possa essere più macchinosa e lascia più spazio a riletture reciproche. Visto in rapporto di fiducia che nell'anno di terapia tra lei e la collega si è creato, provi a portare ciò che sente in terapia. Cordiali saluti Dott.ssa Alessia D'Angelo

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Buonasera, premesso che lo psicoterapeuta non crea dipendenza ma ha l'obiettivo di renderla autonoma, ciò che lei descrive come sentimento potrebbe essere un transfert di un legame antico e perciò parte del percorso stesso. Le suggerirei di incontrarvi per parlare apertamente dei suoi dubbi e prendersi il tempo di pensarci.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Buonasera, non posso parlare a nome della collega, ognuno ha il suo metodo. Personalmente tendo ad andare incontro alle esigenze della persona se hanno senso. Però dilatare a meno di una volta ogni due settimane devo chiarire esplcitamente che non si puà chiamare "terapia" quindi diventa consulenza o supporto. Che può anche avere senso prima di terminare del tutto. Mi sembra tuttavia di notare, da parte sua, un tentativo di controllo agito tramite lo stabilire di volta in volta il numero e la frequenza delle sedute. Se lei ritiene di non avere più bisogno può decidere di concludere, se ci sono cose in sospeso, come un percorso EMDR, è normale che la collega le rimandi l'incompletezza del trattamento.
gentile utente, mi sento di dirle che è più funzionale esprimere a voce i suoi dubbi alla terapeuta, per consentirle di costruire l'alleanza tra voi (l'alleanza consolidata permette di fidarsi reciprocamente); inoltre consideri che ogni percorso terapeutico, indipendentemente dall'orientamento teorico, è soggettivo,calibrato sulla persona e pertanto non sarebbe corretto determinare una durata prima di inziarlo, semmai è insieme, durante il passaggio da una fase all'altra, che si può valutare l'opportunità di concluderlo. Infine può chiedersi e condividerlo con la terapeuta, se l'obiettivo stabilito le calza o se sarebbe opportuno aggiustare il tiro. Buon lavoro!

Gentile utente, lo scopo della terapia non è mai quello di creare una dipendenza nel paziente, ma al contrario cerca laddove siano presenti di capirne le motivazioni.
La sua terapeuta si comporta secondo un setting che viene comunicato al paziente al momento in cui si stipula il patto paziente/terapeuta. Non sbaglia se le dice che il setting prevede che le sedute siano almeno 3 al mese poiché (a meno che non si tratti di una terapia che lo prevede di default), 2 sedute al mese sono dispersive, si perde il “filo del discorso”, diviene tutto più complicato.
È giusto che ne parliate in seduta, è sua facoltà chiedere spiegazioni alla sua terapeuta ma mi sento di dirle che non c’è una volontà economica dietro a questa decisione.
Cordialmente
Dott.ssa Emanuela Graziano
Buongiorno,

quello che lei porta è un aspetto molto importante che riguarda il suo percorso terapeutico e per tanto ritengo opportuno come suggerito dalla collega sia utile parlarne approfonditamente all'interno della prossima seduta. Si affidi allo specialista che la segue, vedrà che con il tempo le cose andranno sempre meglio.

Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Gentile utente, sembra che il rapporto di fiducia e l'alleanza terapeutica siano in discussione. Sono, a mio parere, i punti cardine di un buon percorso e se lei sente che qualcosa è cambiato nelle sue esigenze o nel vostro rapporto, è necessario confrontarsi direttamente in seduta e cercare di capire se può esserci un chiarimento, una rassicurazione. Rivalutate insieme gli obbiettivi e se necessario anche i tempi, considerando il fatto che spesso non si possono stabilire a priori i tempi di un percorso. La sua terapeuta la aiuterà a capire perché ritiene che nel suo caso non si possano dilatare gli incontri. Cari saluti, Dott.ssa Benedetta Orlandi
Gentile utente,
La sua psicoterapeuta ha ragione e sta lavorando nel modo corretto: fare periodi di "stop" quando sembra andare tutto bene, senza avere ancora concluso il trattamento, è un male per il paziente e dovere etico nostro è sempre quello di fare il suo bene. Vedersi ad una frequenza regolare e adeguata permette di fare un buon lavoro di psicoterapia che abbia senso per il paziente e che possa portare con più probabilità all'efficacia. A seconda delle scuole di pensiero, la frequenza delle sedute può variare e, di questi tempi, spesso si giunge ad un compromesso di una volta alla settimana. Vedersi una volta ogni quindici giorni rischia di non essere utile per il paziente o addirittura dannoso, in quanto il tempo che intercorre tra una seduta e l'altra è tanto: lasciare un paziente che soffre, da solo per due settimane dopo, ad esempio, una seduta particolarmente densa e pesante, gli farà del male. Allo stesso modo, per quanto non si possa stabilire a priori la durata di una psicoterapia, un anno non è tanto tempo, specialmente se nel mezzo avete fatto delle interruzioni.
Cordialmente,
Dott.ssa Cecilia Bagnoli
Gentile utente, l'operato di un/una professionista solitamente ha delle motivazioni cliniche alla base, specie con un trattamento di elaborazione del trauma in corso. La scelta, inoltre, di non discutere argomenti importanti via messaggio è qualcosa che il professionista decide singolarmente come gestire, poichè i messaggi sono soggetti a interpretazione, mentre in presenza è possibile chiedere chiarimenti.
Le suggerirei di parlarne direttamente con la collega in questi termini, così come li ha descritti a noi, e portarle tutti i suoi dubbi circa il percorso.
Nella speranza che questo confronto possa esserle utile, resto a disposizione anche online.
Un caro saluto.
Dott.ssa Elena Sinistrero
Gentile Utente,
premetto che l'approccio con cui lavoro personalmente non è quello della collega in questione, ma questo non influirà sulla mia risposta alla sua domanda. Certamente quello che vive è lecito e penso che la dipendenza sia un tema di cui sarebbe in effetti prezioso poter parlare con la sua psicologa dal momento che potrebbe essere un tema importante per lei non solo rispetto alla relazione terapeutica, ma anche (forse) con altre persone della sua vita (si tratta ovviamente di questioni che solo con una conoscenza approfondita reciproca possono trovare riscontro e pertanto muovo solo delle ipotesi). Inoltre la relazione terapeutica è una parte centrale del proprio percorso di cura e sarebbe importante portare in seduta anche la sua attuale sfiducia come tema da affrontare insieme.
Rispetto però all'etica mi pare che non ci sia alcun aspetto in cui la collega si sia mossa in modo anche solo ambiguo: dipende sempre dall'approccio, ma la frequenza/ritmicità delle sedute ha una sua importanza e il professionista sa riconoscere cosa sia più indicato e non penso certamente che sia una finalità economica.
Spero di averle risposto e resto a disposizione.

Dott.ssa Giulia Campana
Buongiorno,
concordo con quanto consigliatole dai colleghi: visto il tema delicato che riguarda il suo rapporto con la sua psicoterapeuta ritengo che sarebbe costruttivo e utile per entrambe poterne discutere a voce per definire insieme tempistiche e obiettivi della terapia.
Le auguro il meglio
Dott.ssa Valeria Filippi
Gentile utente, le paure che riporta rispetto a questa relazione, seppur terapeutica, sono (forse) dinamiche che caratterizzano anche altri ambiti significativi della sua vita. Quello della dipendenza sembra essere una questione per lei molto delicata ed importante e il fatto che si ripresenti anche all'interno di questa relazione può essere invece l'occasione per lavorarci insieme, in un contesto certamente diverso da quelli da lei già vissuti e conosciuti, e si presume più protetto. Forse è vero che in un percorso terapeutico a volte si passi anche per delle fasi di dipendenza, che sono tuttavia fisiologiche e funzionali. Lei sembra associare a una dimensione più "patologica", quasi "tossica" (almeno nei suoi vissuti) che vorrebbe gestire con una riduzione dell'"oggetto" che sente crearle una dipendenza minacciosa. L'altro, nei suoi vissuti, da figura di aiuto può diventare improvvisamente qualcuno che vuole approfittarsi di lei. Penso sarebbe prezioso per lei riprendere questo specifico tema con la sua dottoressa, provare a viverla come un'occasione per lavorarla sotto altre prospettive emotive, e cercare di lavorare insieme a lei quello che accade anche (ma forse non solo) tra voi, per poter, magari, riuscire a sciogliere quei nodi più profondi che sottendono questa questione e giovarne anche al di fuori di questa specifica relazione. Le auguro un buon proseguimento
Buonasera,
Comprendo la sua preoccupazione ed è importante esplorare e comprendere le dinamiche in corso nella sua relazione con la psicologa.
La dipendenza emotiva in terapia può essere un aspetto complesso, e il suo desiderio di affrontare la situazione è un passo importante verso la consapevolezza e l'autonomia emotiva. La richiesta di ridurre la frequenza delle sessioni in un periodo di tranquillità e positività nella sua vita sembra essere una scelta ragionevole e legittima.
La risposta della sua psicologa potrebbe sollevare delle domande: il fatto che non desideri discutere certi aspetti della relazione terapeutica via messaggio è comprensibile, ma è altrettanto fondamentale che lei si senta a suo agio e compresa. La richiesta di tre sessioni al mese potrebbe essere basata su considerazioni cliniche o come dice lei economiche, ma è importante che ciò venga esaminato in modo trasparente e aperto, specialmente in considerazione del suo coinvolgimento finanziario.
La mancanza di chiarezza sugli obiettivi della terapia e sulla sua durata può essere ovviamente fonte di frustrazione, in tal caso, suggerisco di esplorare queste preoccupazioni durante la prossima seduta, chiedendo spiegazioni dettagliate sugli obiettivi futuri e la durata prevista del trattamento, essendo informazioni che devono essere necessariamente chiarificate ai sensi del codice deontologico degli psicologi.
Un caro saluto, dott.ssa Camilla Persico
Buongiorno,
La soluzione migliore sarebbe sicuramente discuterne direttamente con la collega durante la prima seduta utile dato che l'obiettivo della terapia è proprio rendere le persone in grado "di camminare sulle loro gambe". Se la sensazione che prova è l'opposto vuol dire che c'è qualcosa che non sta funzionando o che vi è sfuggito.
Dott. Marco Cenci
Salve, sul finale della sua mail sembrerebbe che lei si dica risolto, per cui non avente più bisogno di proseguire il percorso psicoterapeutico intrapreso. In tal caso, perché continuarlo e attribuire alla sua terapeuta un'etica inadeguata? Sarebbe più funzionale discutere con lei gli obiettivi ancora da perseguire se ve ne sono o se lei se li vuole porre e stabilire una frequenza di mantenimento che potrebbe essere anche di una volta al mese, ma ogni professionista lavora come crede meglio e non è detto che la sua terapeuta lavori in questo modo, indipendentemente da questioni di etica professionale. Un cordiale saluto.
Dott.ssa Marina Bonadeni
Buonasera, la ringrazio per la sua condivisione e di aver portato un aspetto presente in terapia come quello della dipendenza affettiva, di cui spesso non si parla molto. Capisco perfettamente la sua preoccupazione, che dimostra molta consapevolezza. La richiesta di ridurre la frequenza degli incontri è un argomento delicato, sicuramente da discutere con il/la collega con cui potrà trovare un accordo, anche sulla base degli obiettivi concordati a inizio percorso. Sulla questione dei messaggi credo si comprensibile il fatto che non desideri discutere certi aspetti della relazione terapeutica via messaggio, ma è certamente legittimo da parte sua esprimere come questo la fa sentire in terapia. La durata e gli obiettivi sono questioni da concordare e una mancata chiarezza al riguardo può generare forte frustrazione. Le suggerisco quindi di esplorare quanto emerso durante il corso della prossima seduta. Un caro saluto, dott.ssa Chiara Mantuano
Buongiorno, fa terapia da più di un anno, ma mi chiedo se si sia mai affidata completamente alla sua terapeuta.
Il progetto terapeutico lo costituisce il professionista, tenendo conto delle difficoltà e problematiche del paziente sì, ma anche lavorando in scienza e coscienza, nel rispetto della sua etica professionale. Se le sedute devono essere più ravvicinate, nonostante il periodo in cui sta "meglio", è per poter lavorare proprio ora che si sente bene su temi difficili, poterne avere la forza. Queste sono tematiche di cui parlare in seduta, non via messaggi/telefonate.
Si affidi al suo terapeuta, solo stando completamente dentro potrà davvero beneficiare della terapia.
Buonasera, ho letto con cura il suo post e ciò che la affligge, non entrando in merito alla vostra relazione terapeutica credo che la mia collega non abbia l'obiettivo di renderla dipendente ma semmai il contrario ossia autonoma. A me però risuona una domanda: Perchè lei percepisce questo? Perchè ha bisogno di dimostrare a se stessa che è in grado di allontanarsi dalla "relazione"? Magari è proprio su questo che deve interrogarsi, che deve cercare di analizzare e riflettere e soprattutto se questa percezione la sente anche verso altre persone.

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