Buongiorno, sono un ragazzo di 29 che da 7 anni soffre di "problematiche legate all'ansia". Voluta

15 risposte
Buongiorno, sono un ragazzo di 29 che da 7 anni soffre di "problematiche legate all'ansia".
Volutamente, le definisco "problematiche" perché non vorrei influenzare il vostro giudizio usando termini più tecnici e definiti.

In sostanza, dal 2017 quando ho avuto delle crisi di panico molto forti durante un viaggio in treno con persone che conoscevo da poco, non mi sono più ripreso.
Poche settimane prima, per motivi personali ho abbandonato una "compagnia di amici" cui ero legato, non escludo possa aver influito).
Per mesi, ho attuato l'evitamento di tutte le situazioni che ritenevo a rischio, arrivando ad una condizione di aver azzerato quasi completamente i miei rapporti sociali, rimanendo sempre chiuso in casa.
Dopo mesi, mi convinco ad andare privatamente da una psicologa, traendone nessun beneficio dopo un anno. Con questa psicologa parlavamo soprattutto dei miei sogni notturni e della mia vita infantile.
Oltre alla psicologa, ho avuto a che fare con 2 psicoterapeuti-medici di base, che mi hanno consigliato di leggere "L'idiota di Dostoevskij" per dirmi che "non devo avere l'ansia"; e uno "psichiatra" (senza offesa per la categoria medica) che mi ha prescritto della "Pappa Reale" per risolvere il problema.

Dopo un anno, un minimo di attività sociale e universitaria l'ho dovuta fare, ma ad un prezzo disumano di sofferenze e di ansie anticipatorie che non mi hanno fatto vivere bene il 2018.

Arrivati al 2019, tra mille sofferenze che solo chi ha gli attacchi di panico può comprendere, mi viene per fortuna diagnosticata una malattia degenerativa, la Sclerosi Multipla. Finalmente vengo preso un minimo sul serio dai medici e comprendono che non sono matto, ma ho un problema di base da analizzare.

Tra il 2019 e il 2021, inizio alternatamente con 2 nuove psicologhe una terapia, improntata soprattutto sulla terapia cognitivo comportamentale, ma il beneficio è davvero minimo.


Nell'ottobre del 2020, dopo l'obbligata quarantena che mi ha costretto come molti in casa per dei mesi senza uscire, arrivata l'estate con la possibilità di uscire, semplicemente esplodo dall'ansia, non riuscendo ad andare fuori casa da solo a livelli molto più gravi rispetto al pre-pandemia.

Provo quindi ad andare nuovamente da uno psichiatra, questa volta presso il primario dell'ospedale più importante della mia città.
Lì, oltre che ad aver ricevuto la conferma di non essere matto, mi viene confermato che sia una grande vergogna del sistema sanitario nazionale che io mi sia dovuto ridurre in una situazione di sofferenze così gravi, prima che un medico mi rigirasse d'urgenza presso uno psichiatra.
Con questo psichiatra, e la clinica psichiatrica ospedaliera dove lavora, la situazione vede dei TIMIDI ma INSUFFICIENTI miglioramenti iniziando ad assumere degli antidepressivi.

Dal 2020 a oggi, ne ho dovuti cambiare molti, poiché tutti poco efficaci e aventi effetti collaterali importanti.
Ho assunto: 1) paroxetina 2) sertralina 3) citalopram 4) pregabalin 5) duloxetina 6) un medicinale a base di erbe di cui non ricordo il nome 7) Quetiapina 8) Depakin 9) Laroxyl 10) Pramipexolo (e potrei starmene dimenticando alcuni).

Al momento assumo pramipexolo + Laroxyl + Pregabalin.
Con questo mix riesco a malapena ad andare a lavorare, non mi permette di avere una vita normale.

Inoltre, causa effetti collaterali dovrò interrompere pure il Laroxyl e spero sostituirlo con qualcosa di efficace.

I sintomi fisici che ho durante un attacco di panico, nonché la cosa che più temo e che mi fa avere l'ansia anticipatoria, è la chiusura dello stomaco/nausea. (Oltre a tutti quelli più classici e frequenti che non sto ad elencare).

In sintesi finale: io sono morto da 7 anni (si. Sono morto. Non è vivere questo).
Dalla clinica psichiatrica non mi sento preso sul serio (e glielo ho anche detto) poiché per darmi un farmaco nuovo impiegano DIVERSI MESI ad alzare anche di poco il dosaggio e anche se gli dico che non sto bene mi dicono di continuare ugualmente con lo stesso dosaggio (una volta mi hanno anche detto di abbassare un dosaggio di una medicina, sebbene gli avessi appena detto di essere in peggioramento...)

Ciliegina sulla torta, le benzodiazepine provate fino ad ora non mi fanno minimamente effetti positivi, se non darmi un po' di sonnolenza.

Che cosa posso fare?
A livello psicologico, la terapia cognitivo comportamentale è stata inutile e non ritengo che provare una quarta psicologa possa essere un consiglio intelligente o utile.

A livello di farmaci, non so cosa pensare. Se anche fossi farmaco resistente in generale, non dovrei trovare alla lunga una molecola a cui sono debole?

Cosa mi consigliate?

Io non posso vivere con queste atroci sofferenze ancora a lungo. Lo ho anche detto ai vari psichiatri della clinica, ma non ne sembrano minimamente interessati.
Avevo 22 anni quando ho smesso di vivere... mi sono perso quelli che dovrebbero essere gli anni migliori della vita. Mi sono perso un sacco di amici, conoscenti, opportunità di vita e lavorative.
Non ce la faccio più, vi prego salvatemi, datemi qualsiasi consiglio o informazione che possa essermi anche solo vagamente utile!
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stesso utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL

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Buonasera, non è facile darle indicazioni utili, date le svariate esperienze. La mia impressione è che con nessuno dei vari professionisti a cui si è rivolto lei abbia instaurato un rapporto di fiducia ed empatia, andando avanti per tentativi, quasi in modalità supermarket. Lo stile eccessivamente ansioso che caratterizza la sua personalità necessita di un percorso psicoterapeutico dove lei s'impegni seguendo quanto le indica lo psicoterapeuta, e contemporaneamente di un piano farmacologico di supporto. Ma al di là di tutto, lei deve impegnarsi, niente arriva in maniera passiva. Cordialmente, dr.ssa Daniela Benvenuti
Buonasera,
al momento c'è una persona da cui si sente capito, ascoltato, che si preoccupa per lei e con lei di quanto sta accadendo?
In una delle consulenze professionali svolte in questi anni è stato accompagnato almeno ad una di queste da una persona che sente affettivamente vicina? Oppure, i professionisti hanno chiesto il coinvolgimento nelle consulenze di una persona familiare o che in qualche modo sente che si prende cura di lei?
Se si, c'è stata un'utilità?

Provo a spiegarmi: quello che descrive può assomigliare ad una sorta di circolo vizioso della solitudine.
Quando ci si sente a disagio, estranei, giudicati, ci si può sentire soli, non compresi, addirittura "i diversi" della situazione e questo ci può creare via via sempre più apprensione, se non addirittura paura, e portarci ad evitare ogni situazione che potrebbe indurci ancora a sentirci così. Evitare ogni situazione che potrebbe rivelare lo stesso pericolo ci porta ad autoisolarci per proteggerci, ma nel lungo termine ci possiamo ritrovare solo più isolati e ancor più impauriti. Scannerizziamo così ogni sguardo delle persone che incontriamo, alla ricerca di indizi che ci segnalino un giudizio pericoloso, una minaccia al nostro desiderio di sentirci capiti, compresi, e forse anche accettati. Spesso, proprio quando ci si sente così si chiede aiuto e può capitare che non ci senta aiutati, creduti, compresi e così si riprova, si chiede di nuovo aiuto con la probabilità di ottenere lo stesso effetto. E' così che questo circolo vizioso prende forma, rafforzandosi via via.
In sintesi, il processo è più o meno questo: più chiedo aiuto per non sentirmi più trattare come una persona che va allontanata e più il solo chiedere aiuto mi fa sentire una persona estranea, diversa, non adattata e inadeguata.

Ipotizzando che il processo interattivo in cui si trova sia questo, potrebbe essere utile che il lavoro psicologico si avvalga anche di sedute che prevedano il coinvolgimento di una persona che ritiene familiare, allo scopo di condividere con chi le è vicino quello che sta vivendo e per indicare come esserle d'aiuto nella vita quotidiana. Se tali sedute in condivisione a suo avviso non sono possibili, allora potrebbe essere un po' più faticoso, ma ugualmente fattibile, ovvero sarebbe utile che fosse lei ad istruire chi ha intorno a vario titolo su come aiutarla, come trattarla, come interagire con lei: il come fare a gestire tale eventualità è un lavoro che può essere impostato nelle sedute individuali.

Spero di averle in qualche modo risposto.
Per dubbi, perplessità o esigenza di approfondimento,
sono a disposizione
dott.ssa Elisa Tonelli
Come dice bene la collega Elisa, occorre interrompere il circolo vizioso in cui si é cacciato con le sue mani, ovvero tutti gli evitamenti che l'hanno portata ad isolarsi sempre di più pensando di fare bene. Con le sue mani, e l'aiuto di un esperto, ne potrà uscire ben prima di quanto pensi.
Evitare di evitare, a partire dai più piccoli evitamenti. Un esperto la guiderà, per riprendersi la vita.
Un caro saluto
Gentile utente di mio dottore,
le manifestazioni di cui parla sono tipiche di un disturbo d'ansia importante. La cura per i disturbi di matrice ansiosa necessitano dell' intervento congiunto della psicoterapia e della farmacoterapia. Le problematiche di natura psichiatrica sono scollegate da quelle di natura neurologiche da cui è affetto.
La invito a continuare il suo percorso psicoterapico valutando insieme con lo specialista che la segue anche un consulto psichiatrico al fine di poter ricevere adeguato piano terapeutico.

Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Gentile Amico,
che storia dolorosissima! Sono d'accordo con i colleghi: l'ansia l'ha rinchiuso nell'evitamento, e questo non fa che accrescere l'ansia. Solo una terapia che la motivi ad uscire da questo evitamento e dal terrore del terrore potrà aiutarla.

con i migliori auguri,
dr. Ventura
Le ho fatto un video che potrà trovare sul mio canale youtube dal titolo " L'attacco di panico e l'ansia sono malattie o delle bufale per fare soldi?" che spero potrà esserle d'aiuto.
Cordialmente, Amico Colaianni
Caro utente,

deve essere stato molto faticoso percorrere fin qui questo "pezzetto" di strada che ci ha narrato.
Penso che affiancare alla presa in carico farmacologica un percorso terapeutico dove poter "affidarsi" a un professionista in grado di dare un senso a questa ansia che da tempo la accompagna possa aiutarla a "riprendere in mano" il timone della sua vita e a diventare, lei stesso, ancora di salvataggio per se stesso.

Un caro saluto
Caro ragazzo, le sue parole raccontano di una profonda sofferenza. Certamente non mi sento di dirle di desistere, nonostante la comprensibile demotivazione, che traspare da quanto scritto. Anzi è importante continuare a cercare risposte all'opprimente dolore psichico, che l'aggredisce. In quest'ottica condivido il suggerimento espresso da altri colleghi, riassumibile "nell'evitare gli evitamenti" e nel rompere i "circoli viziosi". Ad esempio, se il posto di lavoro non è un "ginepraio alienante o mobbizzante", sarebbe auspicabile mantenerlo nell'ottica della suddetta rottura di circoli viziosi, ai quali sarebbe opportuno opporre "circoli virtuosi", che potrebbero e dovrebbero comportare il coinvolgimento di più operatori, in un'ottica integrata, come psicoterapeuta, psichiatra, neurologo e pure un referente sociale (anche perché forse lei ha già provato a rompere i predetti circoli viziosi, ma da solo o con l'appoggio di un solo professionista o di più professionisti ma isolati tra loro). Mi rendo conto che se, come lei scrive, il Servizio di salute mentale che si occupa di lei, ci mette diversi mesi per aggiustare la terapia farmacologica, la situazione non è semplice, però a mio avviso tramite servizio pubblico, tramite privato sociale (per lo meno per ridurre i costi), o tramite associazioni di volontariato, sarebbe importante avviare per lei un progetto integrato, che preveda un supporto psicologico, un monitoraggio medico - psichiatrico e un'azione di graduale reinserimento sociale, cioè che proceda appunto per gradi, come ad esempio nel caso della riabilitazione fisioterapica. Orbene, se il Servizio Sanitario Pubblico non è in grado, probabilmente per motivi di risorse, di garantire un approccio integrato, non si dia per vinto, e verifichi la possibilità di risposte alternative (magari consultando un collega competente nel settore delle risorse presenti sul territorio), purché integrate, cioè purché gli operatori coinvolti operino, collaborando tra loro.
Cordialmente,
M.M.
Buongiorno, mi dispiace molto per la sua situazione. Purtroppo, così come le hanno comunicato gli altri esperti, non esiste niente al di fuori di un percorso con farmacoterapia e psicoterapia contemporaneamente per cercare di alleviare il suo stato. In un certo qual modo "deve imparare" a fidarsi di qualcuno e guardi che la responsabilità delle proprie situazioni ha anche origine interna, non tutto quello che ci "piove addosso" è causa dell'agire degli altri. A volte, dietro un nostro comportamento c'è un motivo per non cambiare, per mantenere uno status quo che ci protegge dalle ansie del cambiamento stesso. Le faccio i migliori auguri
Salve, comprendo perfettamente la sua delusione, la sua rabbia e la sua sensazione di impotenza dopo tutte queste esperienze . Tuttavia l'unica cosa che le suggerisco con assoluta forza è di trovare uno psicologo che le ispiri la giusta fiducia e che abbia le competenze adeguate per curare l'ansia e tutti gli enormi effetti negativi che crea nella vita sociale, Il supporto farmacologico è corretto se affiancato da una efficace terapia. La informo che esistono terapie brevi e strategiche per affrontare l'ansia e gli attacchi di panico e che danno risultati risolutivi . Non demorda, lei riuscirà con le giuste scelte. Cordiali saluti . Professor Antonio Popolizio
Non si può dire che lei non ce l'abbia messa tutta per stare meglio.
Lei si è impegnato tanto eppure non è bastato e purtroppo quello che mi sento di dirle è che dovra' continuare ad impegnarsi e sono sicura che potrà stare meglio, bene.
Forse dovra' provare a cambiare atteggiamento rispetto ai vari medici ed ai vari farmaci.
La cura è un cammino abbastanza lungo, faticoso ma anche bello.
Non esistono farmaci miracolosi né psicoterapeuti maghi ma una buona combinazione dei due elementi validi la potrà auitare tantissimo
dovra' essere una combinazione di psicoterapia e farmaci, nessuno dei due da solo credo possa bastare nella sua situazione.
Nessun farmaco le potrà cambiare la vita ma un buon farmaco potrà metterla in condizione di modificare aluini aspetti della sua esistenza. E questo è il percorso che dovrebbe fare con la psicoterapia,
si, indubbiamente dovrà trovare le persone qualificate con cui intraprendere il cammino e poi accettare di " camminare" insieme a loro.
Non si scoraggi, la strada è lunga, ma se trova le persone giuste comicera' ad avvertirne i benefici presto .E la strada stessa può essere piacevole.
Provi a vederlo come una bella avventura ( un pò cara e faticosa, ma secondo me ne vale la pena)
Buon Cammino

Buonasera, mi dispiace moltissimo leggere le sue parole ma credo che nonostante tutto lei abbia ancora tante risorse da mettere in campo per se stesso. Comprendo anche che quando si cambiano diverse figure professionali, ci si abbatte ulteriormente sentendosi senza vie di uscita. Tralasciando i nessi eventuali che la sua condizione fisiologica può arrecarle, i restanti effetti sono di natura psicologica e i farmaci possono aiutare fino ad un certo punto. La terapia cognitivo comportamentale può non fare al caso suo, però ci sono approcci diversi. Ritengo utile in questo caso pensare ad un professionista che lavori con l'emdr, che potrebbe darle risultati in tempi più ridotti. Ci provi e non si arrenda, i disturbi di ansia sono diffusi ma si ottengono ottimi risultati dal trattamento.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi
Buonasera, dalle sue parole traspare una grande sofferenza ma anche un profondo senso di sfiducia. Esiste un modo per uscirne, per iniziare a vivere di nuovo ma è un percorso lungo e faticoso. Non esistono farmaci ne figure curanti che possano magicamente interrompere la sua sofferenza. Forse nei ripetuti episodi di crisi che ha avuto non si è sentito sufficientemente accolto e capito dai terapeuti e dai medici, questo l'ha portato ad allontanarsi e a perdere fiducia. Se oggi chiede aiuto in un portale di professionisti forse un pizzico di speranza e di fiducia ancora abita in lei. Le consiglio di intraprendere un percorso di terapia affiancandolo a un consulto periodico da uno psichiatra.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Flaminia Iafolla
Salve, comprendo la sua situazione ma mi sembra che, anche se lei è stufo del compulsivo cercare soluzioni, potrebbe tentare una psicoterapia psicoanalitica con un altro terapeuta che la aiuti a costruire un'alleanza e a "credere" finalmente in qualcuno. Probabilmente il suo stato d'ansia la spinge a cercare soluzioni immediate ma a volte un lavoro psicologico di lunga durata, accompagnato da una cura farmacologica, potrebbe aiutarla non solo a rintracciare l'origine del suo malessere ma anche ad acquisire strumenti che le consentano di andare avanti da solo e di non rovinarsi gli anni della sua giovinezza come è accaduto negli ultimi sette anni.
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