Sono dipendente dal mio psicologo? Sono in terapia da quasi 6 anni e ho fatto mille cambiamenti n

15 risposte
Sono dipendente dal mio psicologo?

Sono in terapia da quasi 6 anni e ho fatto mille cambiamenti nella mia vita. Soffrivo di una dipendenza affettiva che mi rovinava tutte le relazioni. O ossessionavo le persone per paura che si scordassero di me, oppure le ignoravo per avere le loro attenzioni. A volte avevo scatti d'ira. Sono cresciuta solo con mia madre che ha un disturbo della personalità. Ho iniziato la terapia a 21 anni (ora ne ho 26), quando mia madre ha deciso di lasciarmi letteralmente. È fuggita solo perché le ho parlato dei miei piani futuri, che forse mi sarei trasferita per lavoro. Nel giro di una settimana ha fatto i bagagli ed è partita, mettendo tutta la famiglia contro di me, per loro ero la colpevole per la fuga di mia madre. Mio padre totalmente anaffettivo non ha mai fatto cenno di quest'abbandono da parte di mia madre, la vita per lui scorreva tranquillamente ed economicamente è sempre stato il mio unico appoggio. Anche se non approva, né condivide i miei progetti per il futuro. E spesso, sebbene i soldi li abbia (perché stiamo bene economicamente) spesso mi lascia senza soldi e mi rinfaccia (senza malizia, perché non lo capisce nemmeno) che a quasi 30 anni non ho un lavoro. Nel frattempo mi sono data da fare, sto facendo un tirocinio e sto dando il meglio e c'è la possibilità di continuare a lavorare lì (si spera), ho fatto lavori di ogni genere per pagarmi gli studi sola e chiedergli solo i soldi per il cibo. La borsa di studio l'ho spesa tutta in terapia (all'insaputa di tutti per 2-3 anni, dato che non vivo nella stessa città in cui sono cresciuta per motivi di studio), che per i primi 5 anni è stata ogni due settimane per problemi economici. Arrivando man mano al "core" del mio problema, la dipendenza affettiva, sono andata in depressione e sto prendendo psicofarmaci... Xanax, Samyr, Halcion. La psichiatra ha suggerito degli incontri settimanali se possibile. Così da due mesi mi vedo settimanalmente con lo psicologo. Onestamente mi sento meglio così. Solo che ho paura di essere dipendente da lui. Una volta mi ha detto che dobbiamo lavorare sull'imparare a fare chiarezza sul ruolo che ha lui e quello che hanno i miei pari. Mi sono domandata se ho fatto qualcosa che ha violato il setting, o è semplicemente parte del percorso... Mi capita spesso però tra una seduta e l'altra di pensarlo (ma questo da sempre, solo che ora lo vedo come un problema) e non vedo l'ora di avere la seduta con lui e l'idea di finire la terapia, sebbene da un lato mi piaccia, perché voglio non sentire di aver bisogno di andare in terapia, perché voglio guarire e voglio essere in grado di gestire sola la mia vita, in modo autonomo, dall'altro mi terrorizza e mi rende triste. Mi sento letteralmente come se già fosse finita, quando non è ancora finita. Sento di portare un vuoto che né io né il rapporto con l'altro può colmare. Quando sono con altri, con amici mi capita di pensare allo psicologo, mi manca e quasi mi sento in colpa se non lo penso... Poi ci sono momenti, che definirei "epifanie", che mi fanno vedere la cosa da un altro punto di vista , del tipo "sarebbe veramente così terribile?". Come se fossi "scissa", ogni tanto salta fuori una parte di me terrorizzata, poi fa capolino quella parte di me "forte e in grado di bastarsi", ma dura poco. È complicato... Vorrei solo sapere se è normale.
Salve cara, la ringrazio per aver scritto. Sembra aver fatto finora un ottimo lavoro terapeutico che le sta consentendo sempre meglio di porsi degli interrogativi illuminanti o di decifrare quei sentimenti differenti che la abitano e che forse hanno ancora bisogno di un po’ di tempo per alternarsi in modo sempre più dilatato. Il luogo della cura può essere ad ogni modo il posto giusto per portare quei pensieri ambivalenti che arrivano in merito alla relazione terapeutica proprio per imparare poi a trattarli anche negli altri legami.
Con l’augurio di buon prosieguo,
le porgo un cordiale saluto
Dott.ssa Di Costanzo

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Buongiorno, il lavoro con il suo psicologo sta andando bene e può proseguire, anzi, deve proseguire perchè la psicoterapia fa stare meglio e il supporto del suo terapeuta la aiuta a fare progressi. Non abbia timori. Al più quando ha questi pensieri o si sente scissa ne parli con lui.
Alle volte le terapie possono essere anche molto lunghe ed in ogni caso se lei stessa ritiene che sia l'unica presenza in grado di sostenerla è giusto che continui. E' un suo diritto.
Gentile paziente,

durante la terapia si può arrivare al tanto temuto momento in cui ci si fa questa domanda e. in un certo senso, la sua intuizione è giusta: una buona terapia prevede lo sviluppo, per un periodo di tempo, di una "dipendenza positiva" nei confronti del professionista. Essa permette il processo di cambiamento e aiuta la persona a sentirsi sostenuta nella propria crescita personale. Nel suo caso, le sue sensazioni da un lato possono essere un segno che ha investito nel suo percorso a livello più profondo, dall'altro che porta nel suo rapporto con il terapeuta alcune dinamiche relazionali appartenenti al suo passato.
Continui a investire nella sua terapia e parli con il suo professionista di questi dubbi. Il terapeuta da parte sua ha la responsabilità di mantenere questa dipendenza come positiva per lei: una specie di "ricarica" per poi essere libera di proseguire un domani in autonomia.
Un saluto
Buongiorno, grazie per la condivisione, il percorso psicoterapeutico è una crescita, in cui possono esserci momenti di dipendenza affettiva, che poi la aiuteranno a camminare sulle proprie gambe, deve darsi il tempo di aprirsi e fidarsi del altro
Un abbraccio
Buonasera, sei anni di terapia mi sembrano, con i pochi elementi da lei descritti, un percorso piuttosto lungo e i dubbi che si pone li ritengo non solo legittimi ma forse parte di un processo di cambiamento terapeutico, soprattutto nelle sue parole "perché voglio guarire e voglio essere in grado di gestire sola la mia vita, in modo autonomo, dall'altro mi terrorizza e mi rende triste". Se la 'dipendenza' è un indice di legame terapeutico la separazione è ciò che permette al paziente di sentirsi sicuro di aver intrapreso la strada dell'autonomia. Mi sento di suggerirle di parlarne con il suo terapeuta. Gli aspetti di 'amore', di individuazione-separazione e di differenziazione sono essenziali anche nel processo terapeutico. Un caro saluto e a disposizione anche on line nel caso volesse approfondire quanto ho scritto. Maria dr. Zaupa
Buongiorno,
Sviluppare dipendenza dal proprio psicologo è del tutto normale e dovrebbe essere una delle tematiche più importanti da elaborare in terapia,
La invito a farlo con il professionista che la segue.

Cordiali saluti,

Giada Bruni
Lo psicoterapeuta è definito anche come "genitore affidatario" C. Whitaker così lo definisce.
Il legame che si crea, quando si è stabilita l'alleanza terapeutica, è libero dal senso di giudizio, la persona che si affida sa che potrà provare e sperimentare ogni sentimento e nonostante tutto sentirsi accettata.
Il forte legame che evoca quello genitoriale comprende un periodo evolutivo che, per definizione, richiede un'apparente dipendenza, almeno finche ci sia la necessità di sentirsi accolti nelle proprie "fragilità" .
Di fatto comunque il processo terapeutico significa "aiutare il paziente a sviluppare la sua personalità" quella personalità che lo renderà autonomo ma sempre vicino ad un'esperienza unica e avvolgente, che gli ha permesso di conoscere se stesso senza interferenze, per cui rimarrà sempre una risorsa, verso la quale potrà tendere ogni volta che ne avrà necessità.
Questo per dirti che puoi esser fiera del lavoro fatto e di aver accettato di farti aiutare, affidandoti. Puoi farti accarezzare dai pensieri di affetto verso il professionista che ti segue, sicura che il tuo percorso è verso l'autonomia e la capacità di ricorrere a risorse utili, quando ne avrai bisogno nel tuo futuro.
Con affetto Dott'ssa Federica Rododendro
Gentilissima,
dal suo racconto mi pare che la terapia le abbia permesso di affrontare e risolvere parecchi problemi; ritengo sia normale, quindi, che ci siano questi sentimenti di attaccamento, specialmente stante questo lungo periodo di terapia e l'alleanza costruita con il terapeuta. Le consiglio comunque di approfondire la questione durante le sessioni di terapia anche questo tema sarà materiale utile per passare dall "dipendenza" all'autonomia.

Buongiorno. se si trova bene con lo psicoterapeuta e trova utile la sua relazione con lei, non si faccia scrupoli e continui. Il fatto di pensare alle sedute e di sentire una certa dipendenza sono fatti più che normali e utili al buon successo della sua evoluzione personale. Non si faccia neppure scrupoli sul tempo trascorso, perché ognuno ha i suoi tempi (eterocronie) per "risolversi". Cerchi di informare sempre il suo terapeuta dei suoi sentimenti, senza remore. Più è chiaro e diretto il vostro rapporto, più facilmente raggiungerete buoni risultati. I miei migliori auguri si una buona soluzione. Dott. Enrico Piccinini.
Buongiorno,
Considerando l'inevitabile legame che si viene a creare tra la figura del terapeuta e quella del paziente in qualsiasi situazione, riterrei più che normale che, nel suo quadro di dipendenza affettiva, questo legame si sia creato in maniera, peraltro, piuttosto accentuata.
Riterrei, dunque, questa, l'occasione giusta per portare in sede di terapia questo argomento, senza per forza problematizzarlo. Piuttosto, potreste valutare, lei e il terapeuta, quali bisogni, in particolare, sente più soddisfatti all'interno di questa relazione terapeutica, nell'intento di trovare il modo che sia lei a diventare, in futuro, capace di riconoscere e dar soddisfazione a quei bisogni in autonomia, fasi queste preliminari ad un progressivo processo di emancipazione.

Sperando di esserle stata d'aiuto,
Dott.ssa Elisa Folliero



Buonasera,
La ringrazio di aver condiviso le Sue riflessioni rispetto ai sentimenti in relazione alla Sua terapia.
Da quello che racconta, immagino che non ha mai veramente potuto fare esperienza di una vera vicinanza calda e di comprensione, come è quella con il Suo terapeuta.
Questo sentimento nuovo La disorienta e non riesce a dare la giusta dimensione.
Da un lato desidera questo calore, dall'altra La spaventa.
Le consiglio di fidarsi del Suo terapeuta e di parlarne con lui e vedere che poi costruirà la capacità di una vicinanza funzionale che non la impaurirà più, ma sarà una risorsa per Sè e per l'altro.
Le faccio tanti auguri e rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento
Dott.ssa Monika Elisabeth Ronge
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Cara utente,
Non abbia paura.
Il rapporto terapeutico è un legame di vita insostituibile.
Affronti con il suo terapeuta i suoi dubbi!
Non abbia paura
Un caro saluto
Buonasera! A parer mio, per rafforzare l'alleanza terapeutica con il tuo psicologo, è fondamentale raccontargli ciò che hai scritto. Sicuramente non ti giudicherà ma anzi, ti aiuterà a gestire questi pensieri.
Da ciò che racconti, si può notare un "sovraccarico cognitivo", nel senso che hai molti pensieri che tendono ad accavallarsi uno sull'altro in un circolo vizioso che ti fa stare male (il cosiddetto "rimuginio"). I tuoi pensieri, tuttavia, non devono fondersi con te: devi pensare che sono transitori, separati dal tuo "Sè" e, anche se hanno qualcosa di verosimile alla realtà, sono comunque pensieri, indipendenti dalla realtà. Il tuo terapeuta, specialmente se di orientamento cognitivo-comportamentale, può aiutarti in questo, con, ad esempio, un training attentivo e la "detached minfulness". In questo modo, vedrai te stessa da osservatrice esterna e imparerai a relazionarti ai tuoi pensieri in modo nuovo, vivendoli diversamente. Esprimendo al tuo terapeuta cosa pensi, come stai, cosa stai percependo, anche di lui, potrai conoscerti ancora meglio e relazionarti a te stessa e al mondo in maniera diversa, più serena. Stai mettendo molto impegno in ciò che fai, si percepisce che vuoi stare meglio, vai avanti così e starai meglio!
Chiara Lo Re
Psicologa Psicoterapeuta
Torino (TO)
Asti (AT)
Gentilissima utente, alla sua domanda, cioè se si trova in una relazione di dipendenza con il suo terapeuta, mi sembra si possa dare una risposta affermativa ed è giusto così. Il percorso terapeutico prevede di ripercorrere gli aspetti critici e di sofferenza, nel suo caso relazionali con le figure di riferimento, i propri genitori, al fine di compiere una progressione e crescita emotiva. Le suggerisco di continuare il percorso intrapreso. Il fatto che si senta diviso, può essere letto come un buon segno, una progressione. Non c'è solamente la dipendenza ma in una parte di sé emerge anche il desiderio di autonomia, e questo è un bene. Da questo può nascere la preoccupazione che si interrompa la relazione con il terapeuta.
Aggiungo, se capisco bene, lei, in questi anni, ha pagato di nascosto la terapia rimanendo in difficoltà economiche. Forse suo padre, non sapendo questo, pensa che lei abbia gestito male i soldi e le attribuisce una responsabilità. Mentre, a mio parere, li ha utilizzati al meglio perché li ha dedicati alla propria salute e quindi ha investito sul proprio futuro. Se così fosse, rifletta sulla possibilità di parlarne con suo padre.
Rinnovo il mio suggerimento di proseguire il percorso che sta compiendo.
Le auguro serenità.
Dott. Fabrizio Capra Psicoterapeuta della relazione online e in studio
Buonasera, sembra che il percorso di psicoterapia stia creando tutti i presupposti per poter affrontare insieme le risorse e le criticità della relazione che ognuno di noi ha con l'altro: il bisogno di autonomia, la paura della separazione, il timore della dipendenza. Solo una sana dipendenza infatti ci permette di allontanarci non sentendoci vuoti ma pieni anche quando separati. Forza, mi sembra sulla buona strada!
Un abbraccio
Claudia Rasetti

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