Premessa: Sono da più di dieci anni in depressione. Ho avuto diversi psicologi in passato, che non m

21 risposte
Premessa: Sono da più di dieci anni in depressione. Ho avuto diversi psicologi in passato, che non mi hanno aiutato molto. Sono da anni sotto farmaci, ma continuo ad essere psicologicamente fragile, depresso, e ad avere pensieri suicidari. Ho alle spalle un contesto familiare violento (niente abusi sessuali), e dopo aver subito bullismo in età giovane, ho vissuto la mia adolescenza solo e senza amici. Inizialmente, ero contento. Lei è una psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico. Dopo anni di approccio cognitivo comportamentale, anni in cui mi sono aperto completamente davanti a diverse persone, raccontando ogni volta la mia storia, senza sentire di fare dei veri passi avanti, pensavo che l'analisi avrebbe finalmente sciolto i nodi traumatici del mio passato, portandomi finalmente a guarire dalla depressione. La terapeuta fin da subito ha dato credito alle mie parole. Seguendo le mie recenti vicissitudini, si è sempre collocata dalla mia parte, sostenendomi. Ho percepito affetto e vicinanza amicale da parte sua. Dopo alcuni mesi, tuttavia, mi accorsi che con la terapeuta non facevo altro che lamentare passati dolori e sfogarmi su quelli presenti. Ma gli sfoghi non mi portavano da nessuna parte. Tornavo a casa ed ero sempre lì, nell'appartamento che i miei avevano acconsentito a pagarmi (dopo che, a 27 anni, la convivenza era diventata impossibile), sempre da solo, senza amici, senza un lavoro. Sempre fermo in questa vita che non voglio vivere e in cui non trovo speranza. Più volte ho fatto presente alla psicoterapeuta il fatto che il sostegno morale, la possibilità di sfogarsi e di raccontarsi (cosa che avevo già fatto in passato) e anche di raggiungere nuovi livelli di consapevolezza, non bastavano alla terapia. Quando avrei cominciato a fare un vero lavoro su me stesso, a scardinare i meccanismi deleteri incancrenitisi negli anni nella mia mente? Come avrei disciolto la rabbia che mi consuma per il bullismo e l'emarginazione subiti in passato e che tutt'ora mi vedono come vittima? Quando avrei cominciato ad imparare a gestire le mie emozioni, ad essere più assertivo e sicuro di me in mezzo agli altri? Chiedevo inoltre alla mia psicologa di intervenire nei miei discorsi, di offrirmi dei suoi contributi, di propormi nuove linee di pensiero e spunti di riflessione, magari anche dandomi dei "compiti" da svolgere tra le nostre sedute. La mia psicoterapeuta si è mostrata piuttosto a disagio per queste mie richieste/critiche, talvolta anche indispettita. Sulle mie richieste ha preferito glissare, talvolta dichiarandosi disponibile, ma in pratica senza cambiare di una virgola il suo modus operandi. Così, alla fine di ogni seduta, mi ritrovo sempre a chiederle quando cominceremo il lavoro su di me di cui sopra, e ogni volta lei conclude "la prossima volta ne parliamo". Ogni volta che provo a interrompere il flusso dei miei racconti, ricordandole le mie richieste, ricevo silenzi imbarazzanti, oppure commenti che dire scontati è poco. Riguardo al bullismo, che purtroppo ho subito anche recentemente presso il CPS che frequentavo, la psicologa non sa dirmi come affrontare questi "bulli". Dice che non c'è un "sistema" per affrontare un bullo, e che se ci fosse me lo direbbe. A un certo punto, esasperato, le ho detto che stavo pensando di chiudere il nostro percorso se non ci fosse stato un cambio di rotta. Lei non concordava con la mia versione riguardo alle nostre interazioni durante le sedute, e con grande tranquillità si è detta disponibile a chiudere il percorso, se questa era la mia intenzione. Ho cercato di "rattoppare" e per un po' siamo andati avanti. Ma dopo un mese circa abbiamo avuto un acceso scambio e io sono stato un po' troppo veemente. Così è stata lei a decidere di interrompere le sedute. Mi ha detto espressamente che secondo lei non c'erano i presupposti per continuare la terapia e che i suoi "strumenti" di terapeuta erano inadeguati (nonostante la sua lunga formazione). Sono andato in crisi. Non potevo tollerare lo smacco di avere ancora una volta sprecato tempo, energie e denaro (dei miei genitori, che mi mantengono). Pregandola e scusandomi per i miei modi, sono riuscito a convincerla di nuovo a riprendere le sedute. Ma siamo tornati allo status quo.

Cosa ne pensate? Avete consigli (tutti ben accetti) da elargirmi?

Saluti e grazie.
Dott. Salvatore Augello
Psicologo, Psicologo clinico, Psicoterapeuta
Palermo
Salve, le chiederei di riflettere con attenzione sul percorso svolto con la sua ultima terapeuta. Se effettivamente non le ha fatto notare dopo tutto questo tempo i suoi meccanismi difensivi, i suoi errori, sostenendola e validandola senza andare mai oltre, allora è un lavoro monco e lei ha tutto il diritto di pensarla nel modo che ha esplicitato. Rifletta su questo e decida perché non sembra aver elaborato con la sua terapeuta il suo vissuto dato che non sta cambiando nulla nella sua vita.
Se cosi, le consiglierei vivamente di cambiare professionista.
Cordiali saluti

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Dott.ssa Silvia Parisi
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Torino
Grazie per la tua chiarezza: hai scritto una cosa molto coraggiosa e importante, e ti ascolto. Metto qui una risposta pratica e rispettosa di quanto racconti — con consigli concreti che puoi provare subito.

Prima di tutto — se in questo momento hai pensieri suicidari o senti di poter farti del male: contatta subito i servizi di emergenza (118 in Italia) o la linea di emergenza/psicologica locale; se preferisci, vai al pronto soccorso più vicino. Se non sei in grado in questo momento di farlo, prova a metterti in contatto con un familiare di fiducia ora stesso. La tua sicurezza viene prima di tutto.

Cosa leggo nella tua storia (riassunto):

depressione cronica da >10 anni, trattamento farmacologico ma persistenza di fragilità emotiva e pensieri suicidari;

storia familiare violenta, emarginazione e bullismo in adolescenza e anche recentemente;

diversi percorsi terapeutici che non hanno portato il cambiamento fermo che desideri;

con l’attuale terapeuta psicoanalitica senti molte conferme empatiche ma poco lavoro attivo su strategie, comportamenti ed emozioni; richieste di interventi pratici (compiti, interventi, role-play, feedback) non accolte;

escalation conflittuale che ha portato a interruzioni e riprese del percorso, con forte frustrazione da parte tua.

Cosa potrebbe essere successo (perché non avanzi):

Mismatch terapeutico: ci sono approcci (psicoanalitici, centrati sull’esplorazione del passato) che puntano su processi aperti e a volte più lenti; altri approcci (CBT, terapie focali sui traumi, terapie comportamentali e di abilità) sono più strutturati, con obiettivi e compiti concreti. Hai chiaramente espresso il bisogno di uno stile più attivo e orientato al cambiamento — se il terapeuta mantiene uno stile diverso, è difficile che tu ottenga ciò che cerchi.

Ripetizione di dinamiche relazionali: il sentirsi accolto ma non "allenato" a cambiare può mantenere la posizione di vittima/sofferente invece di promuovere nuove abilità.

Possibile esaurimento/controtransfert del terapeuta: alcuni terapeuti faticano quando il paziente chiede interventi più direttivi; questo può generare silenzi, frustrazione o chiusure reciproche.

Suggerimenti pratici da applicare ora (lista concreta):

Sicurezza prima di tutto: crea (o aggiorna) un piano di sicurezza scritto: nomina 3 persone da chiamare, numeri utili, tecniche di grounding (respirazione 4-4-4, ancoraggio sensoriale), e il numero di emergenza. Tieni questo foglio sempre a portata di mano.

Revisione farmacologica con psichiatra: chiedi una valutazione aggiornata del trattamento farmacologico (efficacia, effetti collaterali, possibili aggiustamenti). A volte piccoli cambiamenti farmacologici o l’aggiunta di strategie psicoterapiche combinate possono dare risultati.

Cerca un percorso strutturato parallelo o sostitutivo: terapie come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), Terapia focalizzata sul trauma (es. EMDR, che hai detto di conoscere), Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT) per gestione emozioni/pensieri suicidari, o programmi di behavioral activation sono orientate all’azione, con compiti e tecnica. Puoi cercare terapeuti che dichiarino esplicitamente l’uso di queste tecniche.

Chiedi un contratto terapeutico chiaro: con il tuo terapeuta (nuovo o attuale) proponi di scrivere insieme obiettivi concreti, tempi e “compiti a casa” — ad esempio: entro 8-12 sedute vorrei lavorare su X (es. assertività), con esercizi pratici e role-play. Se non si riesce a concordare un “contratto”, è un segnale che il setting non è adeguato ai tuoi bisogni.

Allenamento alle abilità: cerca percorsi specifici (gruppi di assertività, gruppi di social skills, gruppi di supporto per vittime di bullismo) — il lavoro in gruppo permette pratica reale e feedback.

Tecniche pratiche da inserire subito: behavioral activation (programmare attività piacevoli o significative ogni giorno, anche piccole), esercizi di esposizione graduale per situazioni sociali temute, giornale delle emozioni e delle risposte (tenere traccia di situazioni, pensieri e risultati) per individuare schemi e testare nuove ipotesi.

Affrontare il bullismo: non esiste un’unica “ricetta”, ma esistono strategie concrete: documentare gli episodi (date, testimoni), coinvolgere figure istituzionali quando possibile, allenare risposte assertive con role-play, usare la rete di supporto e — se il bullismo è in un servizio sanitario o scolastico — segnalare formalmente con prove. Un terapeuta orientato alle abilità può fornirti script e esercizi pratici.

Valuta un cambio terapeutico senza senso di fallimento: interrompere una relazione terapeutica che non produce cambiamento è una scelta legittima e spesso terapeutica: il “match” terapeuta-paziente è uno dei fattori più importanti per il risultato. Puoi considerarlo come ricerca attiva della cura giusta, non come uno spreco.

Come parlare con la terapeuta attuale (se vuoi provarci ancora):

chiedi un incontro chiarificatore per mettere sul tavolo obiettivi misurabili e un piano di lavoro (es. “entro 12 sedute voglio essere capace di fare X”; “mi servono 3 tecniche concrete per gestire la rabbia nei confronti dei bulli”);

se lei rifiuta o continua a non fornire strumenti, prendi questa come informazione utile: è il momento di cercare un altro professionista il cui approccio sia più aderente ai tuoi bisogni.

Infine, alcuni segnali che è il momento di cambiare terapeuta:

non si concordano obiettivi concreti;

non ti vengono proposti strumenti pratici o compiti di lavoro tra sedute;

ti senti ripetere la stessa dinamica di vittima senza progressi;

la relazione terapeutica diventa fonte di ansia o crisi frequente senza che questo conduca a un lavoro terapeutico che permetta la trasformazione.

Se vuoi, posso aiutarti a scrivere un messaggio al tuo/la tua terapeuta per chiedere un incontro chiarificatore o una lettera per cercare un altro professionista (puoi incollarmi il testo e lo rendo chiaro e assertivo).

Sarebbe utile e consigliato per approfondire rivolgersi ad uno/a specialista.

Cordiali saluti,
DOTTORESSA SILVIA PARISI, PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA SESSUOLOGA
Dott.ssa Caterina De Galitiis
Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo
Pescara
Salve,
non entro nel merito del lavoro della collega, che sicuramente avrà scelto il suo approccio in base a ciò che ritiene più utile e terapeutico per lei. Quello che però mi colpisce dal suo racconto è una dinamica di continua ricerca di soluzioni esterne: dai genitori, dalla terapeuta, da chi la circonda. Forse proprio qui sta una parte dell’inghippo.
La terapia è uno strumento prezioso, capace di offrire supporto, nuove chiavi di lettura e strumenti per affrontare i propri vissuti. Ma non è “magica”: non può sostituirsi alla persona. Può fornire possibilità, ma il lavoro di metterle in pratica, di sperimentarsi e costruire nuovi modi di stare nel mondo, rimane nelle sue mani.
Forse, invece di chiedersi solo “cosa fa la terapeuta per me?”, potrebbe essere utile cominciare a chiedersi “cosa posso fare io, con ciò che imparo in terapia, anche se poco alla volta?”. Questo passaggio — per quanto difficile — è spesso quello che segna la vera differenza in un percorso.
Detto questo, non tutti gli approcci funzionano allo stesso modo per tutte le persone, e non sempre la “giusta” combinazione di terapeuta e metodo arriva subito. A volte servono tentativi, aggiustamenti, o anche integrare il lavoro psicoterapico con altri tipi di esperienze e supporti (attività sociali, gruppi terapeutici, percorsi psicoeducativi, ecc.).
La sua determinazione a non arrendersi è già una risorsa importante. Continuare a cercare l’aiuto più adatto, chiarendo obiettivi e modalità di lavoro, e impegnandosi anche personalmente nell’applicare gli strumenti proposti, può davvero aprire nuove strade.
Dott.ssa Francesca Torelli
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Milano
Buongiorno,
la relazione terapeutica è una relazione, forse talvolta ci sono persone che non sono compatibili. E' importante trovare nella terapia un posto accogliente, dove ci si trova a proprio agio e che aiuti a superare i momenti di crisi comprendendoli. Se questi elementi mancano forse può essere che ci sia un'incompatibilità.
Cordiali saluti
Dott.ssa Francesca Torelli
Dott. Alessandro D'Addazio
Psicologo, Psicologo clinico
San Benedetto del Tronto
Buon pomeriggio. Innanzitutto, grazie mille per aver condiviso le sue preziose esperienze. Si percepisce nel suo racconto un buon grado di motivazione al cambiamento ed anche la presenza di obiettivi terapeutici piuttosto chiari. Dato che un percorso di psicoterapia coinvolge almeno due individui, non ci si può esimere da momenti di negoziazione, come quelli che lei ha descritto. Come avviene anche in altre relazioni interpersonali, qualora non si riesca a trovare una direzione comune, la possibilità più salutare per entrambe le parti sembra essere quella di andare avanti per vie separate. Come sa, esistono diversi approcci alla psicoterapia e può darsi che altre modalità potrebbero meglio adattarsi alle sue esigenze.
Le auguro una buona giornata!
Dott.ssa Valentina Menta
Psicoterapeuta, Psicologo clinico, Psicologo
Roccabianca
Buongiorno, grazie della condivisione di un pezzo della tua storia pesante ma anche molto interessante. Incrociando il tuo racconto con la mia formazione, mi viene da domandarti se hai mai fatto EMDR in terapia e se sai di cosa si tratta. Te lo dico perchè, da quanto hai scritto, penso che gli episodi di bullismo subiti e, ancora prima, il contesto familiare che definisci violento, a mio avviso, sono traumi che ti stai portando dietro e che ti hanno probabilmente portato a funzionare come stai funzionando adesso. Questi traumi, essendo stati eventi "stressanti" per la tua persona, non sono stati elaborati e sono rimasti in un "limbo", tornando a irrompere nella vita quotidiana quando uno stimolo richiama alla mente qualcosa di quell'episodio. E da qui è come se ti sentissi risucchiato nel passato, fermo ancora a quei momenti faticosi e pesanti che hai vissuto e che continui a vivere con gli stessi meccanismi e le stesse percezioni di allora. Con questo non voglio essere riduttiva pensando che con l'EMDR risolvi qualsiasi cosa, ma, a mio avviso, questo intanto ti permetterebbe di fare un passettino in più rispetto ad alcuni nodi del passato. Rivisitare come mi sono sentito, cosa penso di me, cosa ho provato durante quei momenti, elaborando un blocco che mi tiene fermo lì, potrebbe farmi sviluppare nuove consapevolezze e portare queste credenze su di me "negative" ad essere elaborate creando spazio a nuove credenze positive. Spero in qualche modo di esserti stata utile. Buona giornata
Dr. Maria Tiziana Maricchiolo
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
San Giovanni la Punta
Premesso che ci può stare che un percorso "esaurisca" le energie ed i benefici ottenibili da quella relazione terapeutica, credo potrebbe essere utile un lavoro psico-corporeo e l'approccio psicoterapeutico fornito dall'analisi bioenergetica che la aiuti a rilasciare le memorie corporee collegate ad eventi traumatici che le portano a soffrire della sintomatologia da lei riportata, al fine di restituirle ritrovata vitalità e desiderio. Dr. Maria Tiziana Maricchiolo
Dott.ssa Sandra Petralli
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Pontedera
Salve, è importante innanzitutto che, vista la presenza di pensieri suicidari, lei mantenga un contatto costante con lo psichiatra di riferimento. Quando questi pensieri diventano più frequenti o difficili da gestire, è fondamentale rivolgersi subito a un professionista in presenza o recarsi al pronto soccorso. Rispetto al percorso terapeutico, comprendo la frustrazione che prova. Ha investito molto, si è messo in gioco e ha espresso un bisogno preciso: non solo essere ascoltato, ma sentirsi aiutato concretamente a trasformare il suo malessere. Quando una terapia si cristallizza nel racconto e non evolve verso un cambiamento tangibile, può diventare dolorosa e disilludente. Ogni approccio ha i suoi limiti e non sempre si adatta alle necessità di tutti. Per alcune persone, come lei, può essere utile un lavoro più attivo e diretto, in cui il terapeuta fornisca anche strumenti pratici, proposte, interventi mirati. Approcci come l’EMDR possono aiutare a elaborare traumi e vissuti di esclusione, mentre la psicoterapia umanistica o l’analisi bioenergetica favoriscono un’espressione più piena delle emozioni e del corpo. Anche la Mindfulness può aiutare a costruire uno spazio mentale più stabile e centrato. La sua richiesta è legittima e può trovare risposta in un setting diverso, più orientato all’azione e alla trasformazione. Il percorso finora non è stato inutile: le ha permesso di capire con più chiarezza cosa cerca in una relazione terapeutica. Saluti, dott.ssa Sandra Petralli
Salve paziente anonimo
Sono una psicoterapeuta da quanto lei descrive la riflessione che mi stimola è che secondo me ( in base anche alla mia formazione) credo che il suo disagio è le sue richieste legittime per altro non combaciano con gli obiettivi e scopi della terapia che avreste dovuto stabilire alle prime sedute ma se non è stato fatto la formazione psicoanalitica della collega non consente di rispondere alle sue richieste mi spiego meglio
La psicoanalisi è molto vincolata al percorso terapeutico e al ruolo del terapeuta che il più delle volte ascolta osserva e da di tanto intento degli stimoli alla persona
Diaciamo che ha un ruolo meno attivo
Ciò non significa che lei ha perso tempo o non avrà risultati.. Ma semplicemente ci vuole più tempo
Quello che secondo me invece è compromesso è il rapporto di fiducia con la sua terapeuta e a volte è proprio questo che non fa fare passi avanti in quanto mette in dubbio la validità del percorso che sta facendo e mina la base della riuscita
Ci sono altre tecniche molto più mirate a risolvere la depressione e a svincolarla dalla dipendenza dai genitori e dalla sua terapeuta! Sempre se vuole..solo lei può decidere cosa è meglio per lei
In bocca al lupo
Dott.ssaLorenzini Maria santa psicoterapeuta
In bocca al lupo
Dott.ssa Iolanda Lo Bue
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Gentile per le problematiche riportate la psicoterapia cognitiva comportamentale non è adeguata. Presenta molti limiti ed andrebbe integrata come ha ben capito. Io sono della Gestalt Therapy integrata alla psicoanalisi e lavora molto sulla cura delle ferite e dei traumi. La scelta tocca alla persona che deve intraprendere la cura.
Dott.ssa Valentina Sciubba
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Continuare a fare cose inefficaci, di norma non porta cambiamenti. Capisco il dolore e lo smacco di interrompere una relazione di sostegno, ma la invito a considerare altri approcci probabilmente più adatti a lei come la Terapia Breve Strategica (TBS), la Terapia Interpersonale (IPT), la Terapia strategico-gestaltica che applico personalmente e che si avvale di due approcci: la TBS e la Terapia della Gestalt. Su internet e sul mio sito può trovare maggiori informazioni su questi approcci. Tenga anche presente che le sedute on line hanno in genere stessi risultati di quelle in presenza.
Dott.ssa Alessandra Domigno
Psicoterapeuta, Psicologo clinico, Psicologo
Roma
Buongiorno caro Utente, io credo che l'aspetto più importante in un percorso psicoterapeutico sia la relazione paziente/terapeuta. La relazione terapeutica si costruisce nel tempo, conoscendosi reciprocamente, consolidando disponibilità al lavoro e fiducia, ascoltandosi reciprocamente se con la persona che si ha di fronte c'è sintonia, empatia, ecc. Ovviamente questo poi può mutare nel tempo ma il mio pensiero è che se viene a decadere la relazione si frena anche il percorso psicoterapeutico. Affrontare temi come depressione e bullismo e lavorare intorno a questi richiede tempo e il percorso spesso non è lineare e non è necessariamente caratterizzato da "compiti a casa" ancor di più se la terapia è di indirizzo psicoanalitico.
Volevo aggiungere inoltre che non è mai tempo perso perchè quel che sta affrontando ora con la sua terapeuta esprimendo tutto il suo dissenso è indice di desiderare il suo benessere e ricercarlo.
Comunque il mio suggerimento è di ascoltarsi relativamente a questo percorso con il suo terapeuta e sentire se può e vuole proseguire senza giudicarsi troppo.

A disposizione per approfondimenti, invio cari saluti.

Dott.ssa Alessandra Domigno
Dott.ssa Benedetta Bartoli
Psicologo clinico, Psicologo, Psicoterapeuta
Firenze
Salve, sembra che il rapporto con la sua terapeuta stia virando quasi verso un rapporto dí dipendenza, vorrebbe che cambiasse qualcosa ma nonostante ciò non accada e la collega stessa abbia riconosciuto di non riuscire forse a darle altro, sembra che questo rapporto non si riesca a sciogliere. Comprendo la frustrazione per il tempo e il denaro investiti, d’altra parte andare avanti senza trarre benefici rischierebbe di peggiorare questa frustrazione e rendere ancora più difficile sciogliere il rapporto. Provi a parlare con la sua terapeuta rispetto a quali siano gli obiettivi del vostro e dove sentite di essere arrivati rispetto a questi, per poi rendere una decisione che la tolga da questo impasse. Eventualmente potrebbe anche valutare un diverso approccio terapeutico che miri maggiormente a sciogliere i nodi della sua storia per aiutarla a riprendersi in mano la sua vita. La saluto caramente. Dott.ssa Benedetta Bartoli
Dr. Jonathan Santi Pace La Pegna
Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo
Palermo
Salve Gentile Utente, la sua domanda porta con se tanta chiarezza e profondità, trasmettendo non solo la sofferenza, ma anche la frustrazione dovuta ad anni di tentativi che pare non abbiano hanno portato al cambiamento che desiderava. E' significativo il fatto che lei non stia cercando “consolazioni” ma un lavoro terapeutico più incisivo, capace di andare oltre lo sfogo e l’ascolto empatico; questo è un segnale molto importante in realtà, che indica che non si è rassegnato, ma che una parte di Lei crede ancora sia possibile cambiare.
La sua richiesta terapeutica non è banale: lei chiede di non limitarsi a un ascolto partecipe, ma di sviluppare interventi, strumenti, indicazioni concrete e compiti. È comprensibile che un approccio rigidamente psicoanalitico possa non soddisfare queste attese. Alcuni orientamenti di psicoterapia e terapeuti, soprattutto i più classici, ritengono che il loro compito sia soprattutto interpretare e sostenere, senza “dare compiti” per lavorare sulle difficoltà del paziente o senza illustrare possibili linee di azione e loro ipotetiche conseguenze; questo può diventare frustrante per chi ha bisogno di sentirsi più attivamente/praticamente accompagnato.
Il fatto che la terapeuta non abbia accolto fino in fondo le sue richieste, anzi si sia irrigidita, ha probabilmente aumentato la sua sensazione di non essere capito. Inoltre da quello che racconta, lei porta una storia di traumi relazionali precoci (famiglia violenta, bullismo, solitudine); è chiaro quindi che la difficoltà più grande non sia soltanto la depressione, ma il sentirsi da sempre escluso, senza legami di fiducia e senza strumenti per affrontare chi la sminuisce o la attacca.
Considetato tutto ciò, è naturale che la sua richiesta terapeutica sia di aiutarla a sviluppare competenze emotive e relazionali, più che raccontare ancora e ancora ciò che ha già espresso. Infine pare che Lei senta di portare dentro una collera profonda per le ingiustizie subite e per la vita che si sente costretto a vivere. Una buona terapia dovrebbe consentirle non solo spazio per riconoscerla, ma anche strumenti per trasformarla: non è sufficiente verbalizzarla, bisogna incanalarla in un lavoro che diventi funzionale, generativo e produttivo, non autodistruttivo.
Se un approccio non ha funzionato, non è perché lei sia “irrecuperabile”, ma perché probabilmente non c'è stata una reale corrispondenza fra le sue esigenze e il tipo di terapia che le è stato proposto. Trovare un terapeuta che sia capace di integrare profondità e strumenti pratici potrebbe essere sicuramente più adatto a lei.
Non in ultimo per importanza, è a mio avviso fondamentale tenere conto che la depressione cronica di cui parla e i pensieri suicidari richiedono attenzione non solo psicologica ma anche psichiatrica: avere un riferimento medico che monitori i farmaci e li adatti alle varie fasi che attraversa, è parte integrante di una psicoterapia efficace.
Con un percorso psicoterapeutico adatto potrà sviluppare maggiore fiducia, assertività, e una posizione nuova e costruttiva nel presente.
Qualora avesse ulteriori dubbi o domande non esiti a contattarmi.
Un caro saluto.
Dott.ssa Jessica Sesti
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Vimodrone
Ti ringrazio per la sincerità con cui hai raccontato la tua esperienza: non dev’essere facile mettere nero su bianco tutta questa fatica e la delusione legata a un percorso che speravi ti avrebbe finalmente dato sollievo.
Quello che descrivi tocca temi molto importanti: la cronicità della sofferenza depressiva, la difficoltà a trovare uno spazio terapeutico che senta davvero “tuo”, il senso di tempo e risorse sprecate, e la paura di rimanere intrappolato in una vita che percepisci senza sbocchi.

Ti condivido alcune riflessioni e possibili direzioni:

La tua frustrazione è legittima.
Non c’è nulla di sbagliato nel sentire che un percorso terapeutico non sta funzionando per te. È normale desiderare più concretezza, interventi più attivi, strumenti pratici. Alcuni approcci psicoterapeutici sono più centrati sull’ascolto e l’interpretazione, altri sul “fare” e sull’allenamento di nuove competenze. Non esiste un metodo giusto per tutti: esiste il metodo giusto per te in questo momento della tua vita.

Il rapporto con la terapeuta:

Hai provato a negoziare un cambiamento, ma la tua terapeuta sembra non poter o non voler modificare il suo approccio. Questo non significa che tu sia “irrecuperabile” o che la terapia non funzioni mai con te, ma che probabilmente non è il match giusto. È doloroso accettarlo, soprattutto dopo aver investito tanto, ma può anche aprire la strada a nuove possibilità più adatte.
Capisco benissimo le richieste da te espresse alla collega poichè il tuo obiettivo è chiaro e delineato e la psicoanalisi ha un modus operandi diverso.
Posso consigliarti di riprovare un approccio cognitivo-comportamentale fissando bene i tuoi obiettivi nel raggiungimento degli stessi; o anche un approccio integrato (Cos’è la psicoterapia integrata

È un modello flessibile, che non si limita a un unico orientamento (solo psicoanalisi, solo cognitivo-comportamentale, ecc.), ma combina tecniche diverse in base ai bisogni della persona.

L’idea di fondo è che i problemi complessi (come una depressione cronica intrecciata a traumi, bullismo, difficoltà relazionali e familiari) spesso non si risolvono con un solo strumento.

Ogni fase del percorso può richiedere un “registro” diverso: ascolto e sostegno in certi momenti, tecniche pratiche e compiti in altri, lavoro sul trauma in altri ancora.
Dal tuo racconto emerge chiaramente che tu sai cosa ti serve: più intervento, più guida, più strumenti pratici. Questo è un punto di forza enorme. Potresti portarlo con chiarezza al prossimo terapeuta, quasi come fosse una “condizione iniziale”: “Ho bisogno che tu non stia solo in ascolto, ma che mi dia strumenti e compiti concreti”. Un professionista che lavora in modo flessibile accoglierà questa richiesta.
Non sei solo, e la tua vita vale molto più della sofferenza che ora ti fa pensare il contrario
Dott.ssa Francesca Gottofredi
Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Bologna
Riconosco la frustrazione e lo smarrimento che stai provando. È chiaro che hai investito tempo ed energia in un percorso che non ti sta dando i risultati che cerchi, e questo può essere profondamente deludente.

Piuttosto che continuare a cercare nella stessa direzione che non ha portato ai cambiamenti desiderati, sarebbe utile riflettere su un punto chiave.

Se la soluzione per te non è "raccontarsi" o "comprendere le cause", cosa avresti bisogno di fare da domani mattina per sperimentare anche un minimo, seppur piccolo, cambiamento concreto nella tua vita?
Dott.ssa Cristina Sinno
Psicoterapeuta, Psicologo, Psicologo clinico
Napoli
Gentile utente, grazie per aver condiviso con tanta sincerità la tua esperienza. Le tue parole raccontano un passato personale doloroso e una ricerca instancabile di un aiuto autentico. Capisco perfettamente quanto può essere frustrante avere la sensazione di tornare al punto di partenza nonostante il lungo impegno. Nel mio approccio fenomenologico-esistenziale, ciò che è centrale, non è tanto "aggiustare" la persona, ma creare uno spazio in cui il vissuto personale possa emergere nella sua complessità, senza essere ridotto a una diagnosi. Se vorrai intraprendere un percorso con me, sarai accolto nella tua interezza, con rispetto per ciò che hai vissuto e anche per ciò che ancora non trova voce. Per qualsiasi informazione non esitare a contattarmi, sono disponibile anche per terapie online ed ho aderito anche al programma del bonus psicologo. Un caro saluto, d.ssa Cristina Sinno
Dott.ssa Chiara Ronchi
Psicologo, Psicoterapeuta
Milano
Ciao, grazie per aver condiviso con tanta sincerità la tua esperienza. È evidente che tu abbia già investito molta energia nel cercare di comprendere e cambiare le dinamiche interiori che ti pesano da anni. È comprensibile sentirsi bloccati, anche dopo aver parlato tanto del proprio passato: a volte raccontare la propria storia diventa un rituale di sfogo che, da solo, non produce cambiamenti concreti.

La tua osservazione sui compiti pratici, sulle alternative di pensiero e sugli spunti concreti è molto importante: è proprio ciò su cui si basa la psicoterapia cognitivo-comportamentale, che mira a offrire strumenti utili da applicare nella vita quotidiana, e non solo a raccontare il passato. A questo punto, potrebbe essere utile riflettere anche sui percorsi precedenti: quanto sono durati, quali passi concreti ti hanno permesso di fare, e se le tue aspettative erano realistiche rispetto ai tempi necessari per vedere dei cambiamenti significativi.

In generale, continuare a cambiare terapeuta o approccio frequentemente può dare l’impressione di cercare subito risultati tangibili, ma a volte rallenta il lavoro reale su di sé. Può essere utile fare una pausa, valutare cosa realmente funziona per te e cosa vuoi ottenere nel medio-lungo termine, magari definendo insieme al terapeuta obiettivi concreti e piccoli passi da fare tra le sedute.

Ricorda che è legittimo, secondo il codice deontologico, valutare un altro terapeuta se ritieni che possa essere più adatto al tuo bisogno attuale. L’importante è cercare strumenti e modalità che realmente supportino il cambiamento e la crescita personale, rispettando i tuoi tempi e le tue necessità.
Dott.ssa Ornella Prete
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Roma
Gentile signore,
Dott. Ubaldo Balestriere
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Milano
Ciao,
grazie per aver condiviso la tua storia con tanta sincerità. Ciò che racconti mostra non solo la tua sofferenza, ma anche una grande forza e resilienza: continuare a cercare aiuto e a riflettere su te stesso dopo anni di difficoltà richiede coraggio.
È comprensibile sentirsi bloccati quando le terapie precedenti non hanno portato progressi concreti: a volte serve un approccio più integrato, che unisca sostegno emotivo, strumenti pratici e lavoro diretto sulle emozioni e sul corpo. Questo non significa che tu abbia “sbagliato” in alcun modo; indica solo che ogni percorso è unico e richiede il giusto approccio per la singola persona.
In Biotransenergetica consideriamo il legame profondo tra corpo, mente ed emozioni: la sofferenza che descrivi spesso si manifesta anche a livello corporeo, sotto forma di tensioni, rigidità o blocchi. Lavorare su questi aspetti può aiutare a sciogliere gradualmente rabbia, frustrazione e vissuti traumatici, creando nuovi spazi di consapevolezza e libertà emotiva. Attraverso esercizi mirati, attenzione al respiro, movimenti espressivi e pratiche esperienziali, diventa possibile trovare modi concreti per gestire le emozioni, sviluppare assertività e costruire maggiore sicurezza nel rapporto con gli altri.
Se hai piacere, possiamo fare un colloquio conoscitivo gratuito, senza impegno, per valutare insieme se e come intraprendere un lavoro più concreto e mirato su di te. L’idea sarebbe creare uno spazio in cui non solo raccontare, ma anche agire su emozioni e schemi che ti limitano, per cominciare a vedere risultati reali nella tua vita quotidiana.
Ricorda che anche piccoli passi, fatti con costanza e consapevolezza, possono portare a cambiamenti significativi: la strada della crescita e del benessere è spesso lenta, ma ogni passo conta.

Cordiali saluti

Ubaldo Balestriere
Dott.ssa Valeria Randisi
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicologo clinico
Casalecchio di Reno
Buonasera, penso che sia fallito qualcosa nel rapporto terapeutico. Io, a questo punto, le suggerirei un percorso Emdr. Mi sembra l'indicazione più proficua.
Cordiali saluti
Dott.ssa Valeria Randisi

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