Domanda rivolta a psicologi, psicoterapeuti ecc. Vi è mai capitato di avere un paziente che poi si

20 risposte
Domanda rivolta a psicologi, psicoterapeuti ecc.
Vi è mai capitato di avere un paziente che poi si è tolto la vita? Se si poteva evitare? Quali le vostre riflessioni?
Buonasera, non mi è mai capitato per fortuna di avere un paziente che si è tolto la vita, ma lavoro con i depressi e ci arrivano vicino. Naturalmente si evita che accada con un lavoro psicologico accurato e sistematico.
Ricordo sempre le parole di una mia didatta, quando ero in formazione, che ci disse che quando qualcuno minaccia di togliersi la vita, non bisogna mai sottovalutare la cosa, perchè probabilmente non arriverà a farlo, ma se lo farà, cambierà per sempre la nostra vita di terapeuti.
Spero di esserle stata utile e se dovesse avere idee di questo tipo, chieda subito aiuto, non aspetti neanche un minuto. Io o altri miei colleghi siamo qui per questo. Si può uscire da questi pensieri e da questa condizione che sembra irreversibile, ma bisogna chiedere aiuto. Un caro saluto.

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Gentile Utente,
è una domanda scomoda che apre a mille riflessioni che qui non troverebbero lo spazio che meritano. Nella scelta di togliersi la vita entrano in gioco emozioni estreme, e al "si poteva evitare" ricorre chi resta, nel tentativo di spiegarsi un atto che quasi mai ha una spiegazione che davvero lo giustifichi. Può esserci il caso di chi il suicidio lo "annuncia", e chi lo agisce insospettabilmente, ma in tutti i casi parliamo di una fragilità individuale e di un'assenza di speranza che possono precipitare anche a fronte di eventi di apparente poco conto, ma soggettivamente insopportabili. La strada, per noi psicologi/psicoterapeuti, è quello di una prevenzione efficace, di una sensibilità e un'attenzione che ci orienta ad essere ancor più cauti del solito con alcuni pazienti molto vulnerabili. Ma la realtà sarà sempre che ci sono menti che hanno storie pregresse di tale sofferenza e deprivazione, che la voce più calda e l'orecchio più attento potrebbero non riuscire a consolare. Un caro saluto
Buonasera, personalmente non mi è mai capitato. Il nostro lavoro è rivolto alla prevenzione e alla cura del benessere a 360 gradi. Credo che un buon lavoro terapeutico diminuisca al minimo le possibilità che un paziente possa compiere un gesto così estremo, soprattutto se seguito anche farmacologicamente. Non so se le sue domande siano solo dovute ad una curiosità o facciano riferimento in qualche modo a se stesso o ad una persona a lei cara, ma scegliere di farsi aiutare a volte è la strada giusta.
Rimango a sua disposizione se ha necessità.
Dott.ssa Federica Leonardi
Gentile utente, non mi è mai capitato ma chi soffre può avere di questi pensieri e compito di una buona terapia è evitare di ricorrere a simili gesti che sono l'estremo atto di dolore non risolto. Chiunque può uscire dalla propria gabbia di dolore e vedere il mondo e la sua vita con occhi diversi, bisogna però chiedere aiuto professionale.
Dott.ssa Valeria Randisi
Salve, non mi è capitato mai che un paziente si sia suicidato ma seguo pazienti con un tono dell'umore basso che spesso hanno dei pensieri negativi e che non vedono una via di uscita dalla sofferenza e dal dolore. Facendo un buon lavoro psicoterapico i pensieri negativi di un paziente si possono modificare e così può migliorare la sua qualità della vita. Resto a sua disposizione. Cordiali saluti. Dottoressa Barbara Gizzi
Buonasera, la sua è una domanda molto particolare. Aprirebbe una riflessione delicata e innumerevoli commenti clinici che, personalmente, ritengo poco utile discutere in una sede così poco protetta. Se ha a che fare con la sua storia provi a rivolgersi a qualcuno in privato, saremo tutti più attenti a non essere evasivi. Un cordiale saluto Dott Elisa Galantini
Gentile utente, la domanda che lei pone richiederebbe riflessioni complesse e legate alle singole esperienze cliniche dei terapeuti e dei loro pazienti. Pertanto, non è possibile nè corretto risponderle in modo pubblico. Mi chiedo da quali esperienze o riflessioni nasca questa domanda e se sia possibile condividerle, magari in un setting privato e non pubblico come questo, con uno specialista. Cordiali saluti, Dott.ssa Salustri
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Buonasera. Credo che dietro la sua domanda ci sia una risonanza emotiva connotata non da semplice curiosità, ma forse da angoscia e aggressività (è naturale che questa non sia una sede in cui dissertare apertamente con chiunque anonimo della drammatica questione del suicidio). Il tema che lei pone richiede rispetto e umiltà e, quindi, se la domanda ha una radice profonda le va data la giusta e sacra importanza, rivolgendosi nelle sedi proprie. Viceversa, questo portale è composto da professionisti e non è un bar sport ove fare conversazione
Buonasera, la sua domanda apre a molte riflessioni. Il tema della morte è uno dei più delicati e richiede sempre un alto livello di professionalità nella gestione di pensieri suicidari. Ogni intervento è a sé, in quanto ogni persona ha il suo dolore e la sua storia specifica. In generale è bene lavorare in stretta collaborazione con altri professionisti sanitari e far riferimento ai giusti presidi territoriali, come il pronto soccorso e le strutture ospedaliere , quando l'intervento ambulatoriale non risulta essere adeguato per il livello di urgenza e pericolosità. Se ha delle questioni legate a sé o a delle persone a lei vicine, le consiglio di far riferimento a un collega vicino nel più breve tempo possibile. La tempestività è sempre un elemento decisivo. Rimango a disposizione per eventuali chiarimenti, buona serata Dr.ssa Federica D'Avanzo
Buonasera.
Non mi è mai capitato, fortunatamente. Tuttavia ho lavorato con pazienti che hanno tentato il suicidio. Rispetto all'argomento, ampio e complesso per il quale non credo sia sufficiente questo spazio di risposta per una trattazione esaustiva posso solo darle qualche delucidazione clinica generale, non applicabile a tutti i casi nello specifico, proprio perché ogni persona è diversa e unica.
E' importante comprendere con la persona che è eventualmente a rischio suicidale la sua motivazione al rivolgersi a un terapeuta. Se lo sta facendo è spesso perché in qualche modo una possibilità di vivere la vede, forse una piccola luce a volte, ma la vede. Si stabilisce poi una specie di "patto" rispetto a questa chance che la persona si sta dando, sottolineando comunque che la vita è sua, e solo lei può decidere cosa farne. In nessun modo, mai, qualcuno è responsabile della vita altrui, nemmeno il terapeuta nei confronti del paziente. La possibilità di fare una terapia, anche quando sembra che tutte le luci si sono spente, è qualcosa che la persona deve poter cogliere liberamente. Proprio per questo il "patto" stabilisce che se la persona vuole affrontare il percorso di terapia è perché vuole darsi una chance, deve crederci davvero e quindi impegnarsi a "restare viva" finché la terapia è in atto e lei sceglie di portarla avanti.
Un'altra cosa fondamentale è proporre e fare in modo che la persona accetti anche un consulto psichiatrico in modo da poter assumere farmaci che la aiutino con il tono dell'umore o con ciò che serve per "stabilizzare" anche a livello farmacologico. E' necessario coinvolgere tutte le figure professionali necessarie e utili affinché la persona si costruisca una rete di aiuto e supporto in una situazione difficile e delicata come quella del rischio suicidale.
Spero di averLe dato qualche spunto di riflessione utile. Resto a disposizione.
Un caro saluto
Buongiorno, per fortuna non mi è capitato di avere in trattamento un paziente che si è tolto la vita. Ricordo il mio primo paziente durante la mia formazione di specialità che mi parlava spesso di suicidio e dei modi ideati per realizzarlo. Trovarsi in questo tipo di relazione determina nel terapeuta differenti emozioni, tra cui sentimenti di impotenza e desiderio di aiutare il più possibile. In tutti i casi in cui "compare" il suicidio, menzionato o agito che sia, vi è alla base una fragilità individuale e una sofferenza tale che neanche la presenza del terapeuta più attento e accogliente possono far fronte. Ci si auspica che la persona riesca sempre a chiedere aiuto e inizi un percorso terapeutico. Cordiali saluti, dott.ssa Antonella Di Modugno
Non mi è mai capitato ma è un problema da non sottovalutare quando una persona inizia un percorso di psicoterapia e soffre di disturbi depressivi. Io collaboro da molti anni con un collega psichiatra al quale, se lo ritengo opportuno, invio il mio paziente per una diagnosi e un confronto.
Gentile utente, il suicidio di un paziente è un evento che può capitare e non sempre si può evitare. Al paziente si richiede la responsabilità di contattare il suo psicoterapeuta nel momento in cui sente un impulso suicidario. Non è possibile rispondere in maniera esaustiva alla sua domanda perché ogni caso va considerato all'interno del contesto in cui si presenta.
Mi colpisce molto la sua domanda, andrebbe contestualizzata..io laddove ne intravedo la possibilità che possa accadere, tematizzo sempre il tema suicidio..se ci sono idee relative al togliersi la vita è necessario un invio parallelo a un collega psichiatra, condizione necessaria per poter continuare il percorso psicoterapico.
Mi piacerebbe capire cosa muove la sua domanda, spero di averle dato qualche informazione in più.
Cari saluti dott.ssa Signorelli
Salve, come ha osservato una mia collega, il nostro lavoro ha proprio l'obiettivo di creare le condizioni affinché una persona migliori la qualità della sua vita, e, per quanto possibile anche prevenire situazioni di sofferenza.
Personalmente non mi è mai capitato. Tuttavia l'esperienza mi ha insegnato che a volte le persone mettono in atto dinamiche autosabotanti. A volte così severe che equivalgono ad un "suicidio" anche se manca il vero e proprio passaggio all'atto.
Spero di avere in qualche modo risposto alla sua domanda.
Cordiali saluti Dottor Emanuele Grilli, Psicologo e Psicoterapeuta.
A volte capita che certi pensieri si affaccino, proprio nel momento in cui le cose iniziano ad andare meglio. La Personalità tende ad incastrarsi in alcuni schemi di funzionamento e, quando si avvicina il cambiamento, trema. Ho accompagnato diverse persone alla morte e molti miei pazienti hanno tentato il suicidio prima di rivolgersi a me. Ho una visione molto ampia rispetto al rapporto tra la Vita e la Morte e quando mi viene chiesto, cerco di trasmettere la mia serenità rispetto a questi temi. Quando però un paziente è sul punto di suicidarsi c'è un grande lavoro di ascolto da fare, a tutti i livelli: rispetto all'andamento del percorso terapeutico, della relazione terapeutica, dello svolgimento della professione da parte del terapeuta, che è umano, e di fronte a certi eventi, per quanto preparato, può essere sconvolto.
Cosa si può evitare? Fino a che punto un terapeuta può spingersi a dire "fai" oppure "non fare?", perché non è che al suicidio si arriva in un attimo: può essere un'idea serpeggiante, che si rinforza nelle situazioni, nelle relazioni e nelle azioni in ciascuno di questi contesti, nei quali il nostro lavoro è aiutare le persone a trovare significati, non quelli "giusti", ma semplicemente i propri, nel massimo rispetto possibile.
A volte ci si suicida vivendo una vita che non desideravamo vivere.
Pace
Sara Nardini
Buon giorno
Argomento scivoloso per una chat.
A mio avviso può essere utile non ridurre il dibattito alla mera valutazione a posteriori di " ciò che non è stato fatto" mai esente da stentate semplificazioni.
Quel tipo di ragionamento a posteriori può essere utile ma lo è di più la prevenzione e il ruolo congiunto delle istituzioni soprattutto nell' individuare i fattori protettivi che non sono di natura psichica ma pratica. Il tema della rinuncia alla vita tuttavia a mio avviso può travalicare i confini in cui si muovono i ragionamenti della dimensione di cura. In questi casi siamo all' interno più che in altri casi di temi morali, etici e sicuramente anche filosofici. Cari saluti
Buongiorno gentile utente, minacce di suicidio o tentativi falliti di suicidio mi sono capitati. Anche solo il pensiero di togliersi la vita ma poi di non farlo realmente o di non avere la progettualità di farlo mi è capitato. Il mio lavoro prevede anche questo e accolgo con attenzione, presenza, empatia queste situazioni... Si fa un lavoro molto delicato, rispettoso ed attento.. Quello che dico però sempre ai pazienti... È che già chiedere aiuto, parlarne in studio, condividere è un passo importante, vuol dire che in quel momento ci si ama di più e ci si sta prendendo cura di sé stessi... Le auguro buona giornata e le mando tanta luce positiva dott. Ssa Annalisa Allocca
Buonasera, mi incuriosisce molto immaginare che tipo di interesse ci sia dietro questa domanda.
Non c'è una risposta, o forse si. Se una persona ha deciso di suicidarsi non c'è nessuno che può fermarla. Per quanto di possa fare (e si può fare tanto!), conosco situazioni che sfuggono al controllo. Il terapeuta ha la responsabilità delle sue competenze, il paziente della sua vita. E questo fa parte dei limiti dell'essere umano. E noi con l'impotenza ci facciamo i conti tutti i giorni. Ma tra l'impotenza e l'onnipotenza di salvare vite in mezzo c'è un potere. Il potere della relazione, dell'alleanza, dell'amorevolezza che si crea durante un percorso terapeutico. Se tutto ciò le riguarda, se ne occupi con cura. E chieda aiuto.
Gentile utente, il suicidio è un tema molto complesso e non facile da affrontare. C'è un bellissimo libro " Il mito di Sisifo" di Albert Camus ( un saggio sull'assurdo), che è un filosofo esistenzialista, che dice che la miglior ragione di vivere, può diventare, aihmè, la miglior ragione per morire. Fortunatamente, non mi è mai capitato, ma capire i punti di rottura dei miei pazienti è sempre stata una mia riflessione, proprio per poter anticipare, se possibile, un passaggio all'atto così devastante, per se stessi e per le persone a cui si è legati. Nel suicidio c'è sempre un atto accusa all altro ( madre, padre, amante, amico, etc.), ma anche alla società, ecco perché è così sconvolgente e dilaniante.

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