Salve. Sono una ragazza di 29 anni e da tanti anni, a periodi alterni, mi trovo a vivere con la gest
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Salve. Sono una ragazza di 29 anni e da tanti anni, a periodi alterni, mi trovo a vivere con la gestione della depressione di mio padre. Ha quasi 60 anni e almeno da 30 anni soffre di depressione e attacchi di panico. Per calmarsi purtroppo ha scelto come cura il bere. È stato ed è tutt'ora seguito da un sert, assume psicofarmaci e medicine appositamente per la gestione del bere. Purtroppo, nonostante la vicinanza dei membri della famiglia e gli anni di terapia, non è mai riuscito ad accettare realmente il problema. O meglio, dice di accettarlo ma continua a mentire e avere un atteggiamento di rifiuto. Non comunica come dovrebbe, frequenta da poco un gruppo anonimo di sostegno sebbene, così come per il sert, non si riconosca con altri alcolisti. I medici del sert ci hanno detto che è un alcolista di secondo livello ma che potrebbe peggiorare. Mia madre, mia sorella ed io siamo stremate. Le abbiamo provate tutte ma ci sentiamo sempre più impotenti, soprattutto io che ormai vivo da due anni in un'altra città. Anzi questo mi ha fatto spesso sentire in colpa e ho iniziato da pochissimo un percorso di terapia che spero mi aiuti a gestire il peso e lo stress che vivo quotidianamente. Volevo però un consiglio da altri professionisti e capire se può essere piu utile per un familiare parlare con qualcuno di specifico. Mia madre lo fa perche di tanto in tanto va con mio padre al gruppo di ascolto, ma anche lei è stanca di tutto arrivando addirittura ad augurare la morte a mio padre. Grazie
Gentile utente,
la situazione che descrive è molto delicata e coinvolge aspetti complessi legati non solo alla dipendenza da alcol e alla depressione di suo padre, ma anche al profondo impatto che tutto ciò ha avuto – e continua ad avere – su di lei e sulla sua famiglia. Vivere per anni accanto a una persona che soffre di una dipendenza e di una patologia psichica importante, senza che vi sia una reale adesione al percorso di cura da parte sua, può generare sentimenti di impotenza, rabbia, frustrazione, senso di colpa e un logoramento emotivo costante.
È molto importante che lei abbia deciso di intraprendere un percorso di terapia personale. Questo è già un grande passo, perché le permette di riconoscere il suo bisogno di aiuto, di prendersi cura di sé e di iniziare a mettere dei confini tra il suo vissuto e la malattia di suo padre. Infatti, spesso i familiari di persone che convivono con dipendenze croniche e disturbi psichici sviluppano una forma di “co-dipendenza” o di coinvolgimento eccessivo, nella speranza di riuscire a “salvare” l’altro. Questo porta però spesso a trascurare i propri bisogni e ad ammalarsi a propria volta.
Rivolgersi a un professionista specializzato nel supporto ai familiari di persone con dipendenza o disturbi psichiatrici è senz’altro utile e consigliato. Esistono psicoterapeuti e servizi (anche gruppi di auto-mutuo aiuto) dedicati proprio ai familiari, che possono offrire uno spazio sicuro dove elaborare emozioni complesse, trovare strategie per proteggere sé stessi e comprendere come relazionarsi in modo più sano con il proprio caro, anche quando lui continua a rifiutare l’aiuto o a negare la gravità del problema.
Anche per sua madre potrebbe essere estremamente utile avere un percorso individuale con un professionista, proprio per aiutarla a gestire la stanchezza e il peso psicologico che racconta, evitando che sentimenti estremi come il desiderio di “fine” prendano il sopravvento.
In conclusione, sì: per un familiare è altamente consigliato parlare con uno specialista, sia per ricevere supporto, sia per imparare a convivere con la situazione senza lasciarsi sopraffare. La sua salute mentale e quella delle persone accanto a lei meritano la stessa attenzione e cura.
Sarebbe utile e consigliato, per approfondire, rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
la situazione che descrive è molto delicata e coinvolge aspetti complessi legati non solo alla dipendenza da alcol e alla depressione di suo padre, ma anche al profondo impatto che tutto ciò ha avuto – e continua ad avere – su di lei e sulla sua famiglia. Vivere per anni accanto a una persona che soffre di una dipendenza e di una patologia psichica importante, senza che vi sia una reale adesione al percorso di cura da parte sua, può generare sentimenti di impotenza, rabbia, frustrazione, senso di colpa e un logoramento emotivo costante.
È molto importante che lei abbia deciso di intraprendere un percorso di terapia personale. Questo è già un grande passo, perché le permette di riconoscere il suo bisogno di aiuto, di prendersi cura di sé e di iniziare a mettere dei confini tra il suo vissuto e la malattia di suo padre. Infatti, spesso i familiari di persone che convivono con dipendenze croniche e disturbi psichici sviluppano una forma di “co-dipendenza” o di coinvolgimento eccessivo, nella speranza di riuscire a “salvare” l’altro. Questo porta però spesso a trascurare i propri bisogni e ad ammalarsi a propria volta.
Rivolgersi a un professionista specializzato nel supporto ai familiari di persone con dipendenza o disturbi psichiatrici è senz’altro utile e consigliato. Esistono psicoterapeuti e servizi (anche gruppi di auto-mutuo aiuto) dedicati proprio ai familiari, che possono offrire uno spazio sicuro dove elaborare emozioni complesse, trovare strategie per proteggere sé stessi e comprendere come relazionarsi in modo più sano con il proprio caro, anche quando lui continua a rifiutare l’aiuto o a negare la gravità del problema.
Anche per sua madre potrebbe essere estremamente utile avere un percorso individuale con un professionista, proprio per aiutarla a gestire la stanchezza e il peso psicologico che racconta, evitando che sentimenti estremi come il desiderio di “fine” prendano il sopravvento.
In conclusione, sì: per un familiare è altamente consigliato parlare con uno specialista, sia per ricevere supporto, sia per imparare a convivere con la situazione senza lasciarsi sopraffare. La sua salute mentale e quella delle persone accanto a lei meritano la stessa attenzione e cura.
Sarebbe utile e consigliato, per approfondire, rivolgersi ad uno specialista.
Dottoressa Silvia Parisi
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
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Buongiorno a lei e grazie per la sua importante condivisione che può essere di aiuto a molt° nella sua situazione. In generale, ci si comporta proprio come lei, nella maniera più intelligente possibile: ci si fa aiutare. Un° professionista (di qualunque formazione o orientamento psicoterapeutico) può aiutarci proprio a discriminare ciò che si può fare/migliorare da ciò con il quale bisogna imparare a convivere. Un caro saluto.
Buongiorno, da ciò che scrive è evidente la sofferenza, sua e di tutto il nucleo familiare. E' comprensibile sentirsi sopraffatti e impotenti, soprattutto se ci si trova lontani da casa ed il fatto che lei abbia cominciato un percorso di terapia è un passo molto importante che potrebbe aiutarla nel gestire questo carico emotivo nel modo migliore possibile e nel preservare i propri limiti e bisogni.
In queste situazioni è assolutamente consigliabile anche per i familiari rivolgersi a un professionista (magari per un percorso di terapia familiare), il quale potrebbe aiutare a comprendere meglio le dinamiche sottostanti la dipendenza e gestire il senso di colpa, condividendo i vissuti che ognuno di voi prova.
Un caro saluto,
Dott.ssa Santoni Simona
In queste situazioni è assolutamente consigliabile anche per i familiari rivolgersi a un professionista (magari per un percorso di terapia familiare), il quale potrebbe aiutare a comprendere meglio le dinamiche sottostanti la dipendenza e gestire il senso di colpa, condividendo i vissuti che ognuno di voi prova.
Un caro saluto,
Dott.ssa Santoni Simona
Comprendo come la situazione sia complessa e come questa possa far vivere a tutti voi un senso di frustrazione e impotenza. Un sostegno da parte di professionisti potrebbe aiutare gli altri componenti della famiglia a gestire meglio e contenere questo tipo di vissuti.
Gentile utente,
grazie per aver condiviso una situazione così complessa e dolorosa. Vivere accanto a una persona cara che da anni soffre di depressione e dipendenza può generare un profondo senso di impotenza, frustrazione e stanchezza, soprattutto quando gli sforzi familiari sembrano non portare a cambiamenti duraturi.
Il fatto che suo padre non riesca ad accettare pienamente il problema e continui a negarlo, nonostante i percorsi di cura, è purtroppo una condizione frequente in chi lotta con una dipendenza. E comprendo quanto questo possa essere logorante, soprattutto per chi, come lei, ha scelto di prendersi un po’ di distanza fisica, ma continua a portarne il peso emotivo.
Ha fatto un passo importante iniziando un percorso di terapia personale: può davvero aiutarla a riconoscere e proteggere i suoi confini emotivi, alleggerendosi dal senso di colpa e ricostruendo una posizione più sostenibile all’interno della relazione con suo padre.
Per quanto riguarda il sostegno alla famiglia, le confermo che può essere molto utile rivolgersi a professionisti esperti in dipendenze o partecipare a gruppi di aiuto dedicati ai familiari, come Al-Anon, che offrono uno spazio per confrontarsi, elaborare le emozioni e trovare strategie per affrontare la quotidianità.
A volte, il modo migliore per sostenere chi sta male è smettere di tentare di “salvarlo” e iniziare a prendersi cura di sé.
Resto a disposizione per qualsiasi ulteriore confronto.
Un caro saluto
grazie per aver condiviso una situazione così complessa e dolorosa. Vivere accanto a una persona cara che da anni soffre di depressione e dipendenza può generare un profondo senso di impotenza, frustrazione e stanchezza, soprattutto quando gli sforzi familiari sembrano non portare a cambiamenti duraturi.
Il fatto che suo padre non riesca ad accettare pienamente il problema e continui a negarlo, nonostante i percorsi di cura, è purtroppo una condizione frequente in chi lotta con una dipendenza. E comprendo quanto questo possa essere logorante, soprattutto per chi, come lei, ha scelto di prendersi un po’ di distanza fisica, ma continua a portarne il peso emotivo.
Ha fatto un passo importante iniziando un percorso di terapia personale: può davvero aiutarla a riconoscere e proteggere i suoi confini emotivi, alleggerendosi dal senso di colpa e ricostruendo una posizione più sostenibile all’interno della relazione con suo padre.
Per quanto riguarda il sostegno alla famiglia, le confermo che può essere molto utile rivolgersi a professionisti esperti in dipendenze o partecipare a gruppi di aiuto dedicati ai familiari, come Al-Anon, che offrono uno spazio per confrontarsi, elaborare le emozioni e trovare strategie per affrontare la quotidianità.
A volte, il modo migliore per sostenere chi sta male è smettere di tentare di “salvarlo” e iniziare a prendersi cura di sé.
Resto a disposizione per qualsiasi ulteriore confronto.
Un caro saluto
Gentile utente,
la situazione che descrive è profondamente dolorosa e purtroppo comune a molte famiglie che si trovano a convivere con una dipendenza cronica. L’alcolismo, come la depressione, è una malattia complessa che coinvolge non solo chi ne soffre in prima persona, ma anche tutto il nucleo familiare, spesso per lunghi periodi e con grande impatto emotivo.
È molto importante che lei abbia scelto di intraprendere un percorso di terapia personale: è un passo fondamentale per riconoscere e legittimare il suo vissuto, e per alleggerire quel senso di colpa e impotenza che spesso accompagna i familiari.
In casi come questo, può essere estremamente utile che anche i familiari ricevano un sostegno specifico, rivolgendosi a professionisti esperti in dinamiche familiari e dipendenze, oppure partecipando a gruppi di auto-aiuto per familiari di persone con dipendenze (come Al-Anon, ad esempio). Spazi del genere offrono ascolto, strumenti e condivisione, aiutando a ricostruire un equilibrio personale e relazionale.
Il suo dolore, la sua stanchezza e la sua richiesta di aiuto sono legittimi. Non siete sole, e prendersi cura di sé è il primo passo per affrontare, con maggiore forza, anche la sofferenza altrui.
CORDIALI SALUTI DOTT.SSA DI MAGGIO FEDERICA
la situazione che descrive è profondamente dolorosa e purtroppo comune a molte famiglie che si trovano a convivere con una dipendenza cronica. L’alcolismo, come la depressione, è una malattia complessa che coinvolge non solo chi ne soffre in prima persona, ma anche tutto il nucleo familiare, spesso per lunghi periodi e con grande impatto emotivo.
È molto importante che lei abbia scelto di intraprendere un percorso di terapia personale: è un passo fondamentale per riconoscere e legittimare il suo vissuto, e per alleggerire quel senso di colpa e impotenza che spesso accompagna i familiari.
In casi come questo, può essere estremamente utile che anche i familiari ricevano un sostegno specifico, rivolgendosi a professionisti esperti in dinamiche familiari e dipendenze, oppure partecipando a gruppi di auto-aiuto per familiari di persone con dipendenze (come Al-Anon, ad esempio). Spazi del genere offrono ascolto, strumenti e condivisione, aiutando a ricostruire un equilibrio personale e relazionale.
Il suo dolore, la sua stanchezza e la sua richiesta di aiuto sono legittimi. Non siete sole, e prendersi cura di sé è il primo passo per affrontare, con maggiore forza, anche la sofferenza altrui.
CORDIALI SALUTI DOTT.SSA DI MAGGIO FEDERICA
Buongiorno, grazie per la sua condivisione. Io credo che potrebbe essere utile partecipare a gruppi terapeutici per familiari di alcolisti, ma in particolare penso che potrebbe essere utile attivare una terapia familiare per il vostro nucleo, credo che potreste giovarne tutti, proprio perchè il problema sembra riguardare solo il papà ma in realtà vi coinvolge tutti in prima persona. Se avesse altre domande mi trova a disposizione. Un caro saluto, dott.ssa Elena Gianotti
Quello che stai vivendo è il risultato di una fatica che va avanti da anni, una fatica che non si vede ma si sente in profondità. Convivere con la depressione e la dipendenza di un genitore è qualcosa che segna, soprattutto quando si continua a sperare in un cambiamento che sembra non arrivare mai.
Hai fatto bene a cercare un aiuto per te. Il senso di colpa è comune, ma non giustificato: non sei responsabile della sua guarigione, e prenderti cura della tua vita non è un abbandono, è una forma di amore anche verso di lui.
Esistono percorsi di supporto pensati per familiari di persone con dipendenze oppure alcuni professionisti che conoscono molto bene il tipo di vissuti che stai attraversando e possono aiutarti a gestire lo stress e il dolore, senza dover “salvare” nessuno. Anche tua madre, per quanto esasperata, probabilmente ha bisogno di uno spazio suo dove essere vista nella stanchezza che si è accumulata negli anni.
A volte aiutare davvero significa anche accettare i propri limiti, e lasciarsi aiutare.
Hai fatto bene a cercare un aiuto per te. Il senso di colpa è comune, ma non giustificato: non sei responsabile della sua guarigione, e prenderti cura della tua vita non è un abbandono, è una forma di amore anche verso di lui.
Esistono percorsi di supporto pensati per familiari di persone con dipendenze oppure alcuni professionisti che conoscono molto bene il tipo di vissuti che stai attraversando e possono aiutarti a gestire lo stress e il dolore, senza dover “salvare” nessuno. Anche tua madre, per quanto esasperata, probabilmente ha bisogno di uno spazio suo dove essere vista nella stanchezza che si è accumulata negli anni.
A volte aiutare davvero significa anche accettare i propri limiti, e lasciarsi aiutare.
Buonasera, capisco la sua enorme fatica e mi sembra che stiate facendo già molto. La dipendenza dall'alcol non può che essere affrontata con il supporto del SerD che in genere fornisce sostegno anche ai familiari. Inoltre ha iniziato una psicoterapia e questo senza dubbio le sarà di aiuto. il solo suggerimento che mi sento di offrirle è quello di verificare se sul suo territorio sono attivi gruppi di ascolto solo per familiari. Questo potrebbe essere un sostegno uleriore. Le auguro giorni più sereni. Dott.ssa Vocaturi
Buongiorno, la situazione è sicuramente estenuante per tutti. Probabilmente lo sarà ancora di più fino a che suo padre non smetterà di essere coccolato come un bambinone che vuole il ciuccio. Spesso il concetto di prendersi cura dell'altro deve passare dalla porta della fermezza e del richiamo all'ordine, altrimenti la profezia di sua madre si avvererà non troppo tardi. So che tiene a suo padre, pertanto raccomanderei un percorso di terapia familiare (suo padre, sua madre, sua sorella e lei) nel quale suo padre possa prendere contatto con il reale ruolo che sta svolgendo in questa famiglia, con ciò che ha attualmente e con ciò che sta perdendo. Resto a disposizione per le sue necessità.
Dott. Simone Festa
Dott. Simone Festa
Salve, comprendo che sia una situazione molto complessa e dolorosa, soprattutto perché da parte di suo padre non sembra esserci mai stata la possibilità di un vero processo di guarigione. In questi casi, lo sguardo è evidentemente stato rivolto da voi solo a lui, dimenticandovi e prosciugandovi di voi stesse. In tal senso mi sembra che la sua scelta di intraprendere la psicoterapia sia fondamentale, e anche sua mamma e sua sorella farebbero bene a prendersi cura di loro stesse chiedendo un aiuto psicoterapico. Da soli non ci si salva.
Gentile utente, quello che racconta è il vissuto, purtroppo comune, di chi si trova accanto a una persona che convive da anni con una dipendenza. La sensazione di impotenza, il senso di colpa per essersi allontanati fisicamente, la stanchezza profonda… sono reazioni comprensibili, soprattutto quando ci si sente soli nel reggere un peso così grande.
In questi casi, è importante che anche i familiari possano avere uno spazio di ascolto e di rielaborazione, non solo per “resistere meglio”, ma per trovare un proprio modo di stare nella relazione, che non sia solo sacrificio.
Può essere utile rivolgersi a un professionista con esperienza in ambito di dipendenze e dinamiche familiari, anche solo per un confronto iniziale.
In questi casi, è importante che anche i familiari possano avere uno spazio di ascolto e di rielaborazione, non solo per “resistere meglio”, ma per trovare un proprio modo di stare nella relazione, che non sia solo sacrificio.
Può essere utile rivolgersi a un professionista con esperienza in ambito di dipendenze e dinamiche familiari, anche solo per un confronto iniziale.
Salve,
ha già fatto la scelta giusta nel consultare un terapista per iniziare un percorso di psicoterapia. La aiuterà a trovare la strada per lo svincolo dalle problematiche familiari.
Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
ha già fatto la scelta giusta nel consultare un terapista per iniziare un percorso di psicoterapia. La aiuterà a trovare la strada per lo svincolo dalle problematiche familiari.
Cordiali Saluti
Dott. Diego Ferrara
Buon pomeriggio,
spiacente per la situazione familiare che vive. Ci tengo specificando che ognuno (adulto) è responsabile per se e il proprio benessere. Questo perchè lavorando con i caregivers spesso sento di situazioni in cui si sacrifica molto, troppo, della propria vita (personale, lavorativa, emotiva, svago ecc) cercando in continuazione di tamponare.
Spero possa questa prima considerazione esserLe di alleggerimento (ad es. ci fossero vissuti come responsabilità? carico percepito? fatica?).
Quello che posso consigliare, dato il contesto, potrebbe essere un supporto individuale o familiare per comprendere come, quanto ecc essere di supporto.
A volte con le migliori intenzioni si può rischiare di mantenere equilibri faticosi per tutti.
Un saluto
spiacente per la situazione familiare che vive. Ci tengo specificando che ognuno (adulto) è responsabile per se e il proprio benessere. Questo perchè lavorando con i caregivers spesso sento di situazioni in cui si sacrifica molto, troppo, della propria vita (personale, lavorativa, emotiva, svago ecc) cercando in continuazione di tamponare.
Spero possa questa prima considerazione esserLe di alleggerimento (ad es. ci fossero vissuti come responsabilità? carico percepito? fatica?).
Quello che posso consigliare, dato il contesto, potrebbe essere un supporto individuale o familiare per comprendere come, quanto ecc essere di supporto.
A volte con le migliori intenzioni si può rischiare di mantenere equilibri faticosi per tutti.
Un saluto
Buongiorno, ha descritto molto bene la situazione famigliare e risultano chiari la fatica e anche l'impegno che tutti state mettendo per provare a stare bene. La psicoterapia personale per lei ed il Sert con i gruppi di mutuo aiuto per il papà e la mamma mi sembrano servizi adatti e i più indicati alla vostra situazione. E' difficile, pertanto, dare consigli che possano essere davvero utili, visto che è diverso tempo che siete seguiti. Mi colpisce il discorso sulla depressione e l'ansia del papà: sicuramente ha già seguito una cura farmacologica con uno psichiatra abbinata alla psicoterapia per curarsi. Se non l'avesse fatto o l'avesse fatto in modo discontinuo o per un periodo troppo breve, ritengo che varrebbe la pena di provare: magari oggi il papà è maggiormente motivato a fare una cura medica per la sofferenza che sarebbe all'origine della dipendenza. Auguro a tutti voi di trovare la via per la serenità
Buonasera,
la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità una parte così complessa e dolorosa della sua storia familiare. Comprendo profondamente il senso di stanchezza, impotenza e anche colpa che descrive: convivere con una dipendenza, soprattutto se protratta nel tempo e accompagnata da negazione e sofferenza emotiva, può lasciare ferite profonde in chi sta accanto.
Credo sia molto importante che lei abbia scelto di iniziare un percorso personale: è un atto di cura verso se stessa, ma anche un modo per interrompere un circolo che rischia di travolgere tutta la famiglia.
Le suggerirei, accanto alla terapia individuale, di valutare anche un supporto specifico per familiari di persone con dipendenza, come gruppi o consulenze familiari con un professionista esperto in dinamiche di dipendenza. Spesso questi percorsi aiutano a ristabilire confini più sani, riconoscere i propri bisogni e smettere di caricarsi del peso che non si può – né si deve – portare da soli.
Il dolore e la fatica che racconta meritano ascolto, senza giudizio.
Resto a disposizione, se lo desidera.
Con stima,
Dott.ssa Danila Bardi
la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità una parte così complessa e dolorosa della sua storia familiare. Comprendo profondamente il senso di stanchezza, impotenza e anche colpa che descrive: convivere con una dipendenza, soprattutto se protratta nel tempo e accompagnata da negazione e sofferenza emotiva, può lasciare ferite profonde in chi sta accanto.
Credo sia molto importante che lei abbia scelto di iniziare un percorso personale: è un atto di cura verso se stessa, ma anche un modo per interrompere un circolo che rischia di travolgere tutta la famiglia.
Le suggerirei, accanto alla terapia individuale, di valutare anche un supporto specifico per familiari di persone con dipendenza, come gruppi o consulenze familiari con un professionista esperto in dinamiche di dipendenza. Spesso questi percorsi aiutano a ristabilire confini più sani, riconoscere i propri bisogni e smettere di caricarsi del peso che non si può – né si deve – portare da soli.
Il dolore e la fatica che racconta meritano ascolto, senza giudizio.
Resto a disposizione, se lo desidera.
Con stima,
Dott.ssa Danila Bardi
Cara Ragazza,
il suo coinvolgimento e la fatica che descrive sono comuni tra i familiari di persone con dipendenza cronica. Ha fatto un passo fondamentale iniziando un percorso individuale: è da lì che può iniziare a tutelare il suo benessere, ricostruendo confini emotivi più sani.
Le suggerisco di valutare anche un percorso di terapia familiare, che può offrire uno spazio protetto per affrontare insieme dinamiche bloccate da tempo, senza delegare tutto il cambiamento alla persona con dipendenza.
Prendersi cura di sé è spesso il primo atto concreto per trasformare anche le relazioni intorno.
il suo coinvolgimento e la fatica che descrive sono comuni tra i familiari di persone con dipendenza cronica. Ha fatto un passo fondamentale iniziando un percorso individuale: è da lì che può iniziare a tutelare il suo benessere, ricostruendo confini emotivi più sani.
Le suggerisco di valutare anche un percorso di terapia familiare, che può offrire uno spazio protetto per affrontare insieme dinamiche bloccate da tempo, senza delegare tutto il cambiamento alla persona con dipendenza.
Prendersi cura di sé è spesso il primo atto concreto per trasformare anche le relazioni intorno.
Gentile Utente,
innanzitutto la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità parte della sua storia. Anche dalle poche righe che ha condiviso, è evidente la complessità della situazione della sua famiglia. Il peso che lei, come sua madre e sua sorella, portate da molti anni e che diventa sempre più pesante. Sicuramente potrebbe essere d'aiuto per sua madre e sua sorella (come ha iniziato a fare da poco lei) avere uno spazio di supporto personale con un professionista per gestire la complessità e il contrasto emotivo che tutta questa situazione porta con se.
innanzitutto la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità parte della sua storia. Anche dalle poche righe che ha condiviso, è evidente la complessità della situazione della sua famiglia. Il peso che lei, come sua madre e sua sorella, portate da molti anni e che diventa sempre più pesante. Sicuramente potrebbe essere d'aiuto per sua madre e sua sorella (come ha iniziato a fare da poco lei) avere uno spazio di supporto personale con un professionista per gestire la complessità e il contrasto emotivo che tutta questa situazione porta con se.
La sua è una frase potente: “Abbiamo provato tutto, ma ci sentiamo sempre più impotenti.”
E in effetti, cos’altro dovrebbe sentire una figlia che da anni vive dentro un sistema familiare bloccato, dove il dolore si ripete, il problema si riconosce ma non si trasforma, e le energie si consumano senza produrre libertà? Sua madre — da quello che scrive — ha già scontato la pena più lunga: non quella inflitta da un tribunale, ma quella dell’anima, che dura da trent’anni. Una condanna silenziosa, senza appello, senza scarcerazione anticipata. Eppure continua a fare “il necessario”. Ma è abbastanza Adesso è tempo che ognuno si riprenda la propria vita. Lei ha già fatto il primo passo: ha iniziato una terapia. Questo vuol dire che qualcosa, dentro di lei, non vuole più restare seduta su quella panchina, in quella stazione dismessa dove i treni non passano più. Non si tratta di abbandonare suo padre — si tratta di non abbandonare più se stessa.
Il problema non è più il “bere” di suo padre.
Il problema è: quanto di quel dolore le impedisce oggi di godere, di sentirsi viva, giovane, libera?
Di assaporare una giornata di sole, un gesto d’amore, una risata che non sia un sollievo, ma una scelta. Lei ha già detto tutto. La vera domanda, ora, è: vuole vivere davvero? Oppure vuole che la sua vita si consumi nell’alcol bevuto da un altro? O sta ancora aspettando di “salvare qualcuno”, pagando con la propria vita un biglietto che non serve più?
Se vuole, possiamo parlarne. Anche online, o a Napoli.
Io ci sono.
E in effetti, cos’altro dovrebbe sentire una figlia che da anni vive dentro un sistema familiare bloccato, dove il dolore si ripete, il problema si riconosce ma non si trasforma, e le energie si consumano senza produrre libertà? Sua madre — da quello che scrive — ha già scontato la pena più lunga: non quella inflitta da un tribunale, ma quella dell’anima, che dura da trent’anni. Una condanna silenziosa, senza appello, senza scarcerazione anticipata. Eppure continua a fare “il necessario”. Ma è abbastanza Adesso è tempo che ognuno si riprenda la propria vita. Lei ha già fatto il primo passo: ha iniziato una terapia. Questo vuol dire che qualcosa, dentro di lei, non vuole più restare seduta su quella panchina, in quella stazione dismessa dove i treni non passano più. Non si tratta di abbandonare suo padre — si tratta di non abbandonare più se stessa.
Il problema non è più il “bere” di suo padre.
Il problema è: quanto di quel dolore le impedisce oggi di godere, di sentirsi viva, giovane, libera?
Di assaporare una giornata di sole, un gesto d’amore, una risata che non sia un sollievo, ma una scelta. Lei ha già detto tutto. La vera domanda, ora, è: vuole vivere davvero? Oppure vuole che la sua vita si consumi nell’alcol bevuto da un altro? O sta ancora aspettando di “salvare qualcuno”, pagando con la propria vita un biglietto che non serve più?
Se vuole, possiamo parlarne. Anche online, o a Napoli.
Io ci sono.
Non sarà facile lottare tra l'impotenza e la rabbia di qualcosa che va come non dovrebbe. Capisco quanto sia dolorosa la sua posizione di figlia che vorrebbe scuotere ma che si ritrova con le mani legate e con sensi di colpa opprimenti. Penso che stiate già facendo molto, in fondo suo padre è seguito da professionisti ed anche lei, a suo modo, sta provando a prendersi cura di se stessa. Già questo è una grande protezione.
Cordialmente, Dott.ssa C. G.
Cordialmente, Dott.ssa C. G.
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