Buonasera, non so se potete aiutarmi. Ho 26 anni, sono un ragazzo abbastanza dinamico con voglia di

10 risposte
Buonasera, non so se potete aiutarmi. Ho 26 anni, sono un ragazzo abbastanza dinamico con voglia di imparare sempre nuove cose. Sono un Infermiere, laureato nel 2022. Questo percorso è stato fatto in quanto nel mio profondo ho un senso di empatia e aiuto nei confronti delle persone. Le mie passioni sono dedicarmi allo sport, uscire, coltivare l orto e fare delle passeggiate durante il tempo libero. Scrivo qui perché attualmente ho un problema esistenziale. Che cosa voglio fare da grande?? Uscito dall università ho sperimentato diversi lavori sempre in ambito infermieristico tra i quali assistenze domiciliari, collaborazioni con diverse cooperative fino a che non ho collaborato con un ospedale privato convenzionato per il quale svolgevo attività prettamente di tipo ambulatoriale. Inizialmente dovevo capire bene come funzionasse quella tipologia di realtà, sono passati due anni da allora fino a quando non vinsi un concorso pubblico per andare a lavorare in un ospedale importante della regione. Giunto il momento di andare a lavorare in questo ospedale, ol passare dei giorni lavorativi ho capito che la vita di reparto forse non faceva per me. Mi sono interrogato da qui a dieci, vent’anni e mi sono chiesto se effettivamente era questa la vita che volevo fare ( turni notturni, festività ,eccc). Mi sono dato la risposta e ho capito che non faceva al caso mio. Dopo circa tre mesi ho dato le dimissioni da questo importante ospedale, con molta consapevolezza. Visti i precedenti, avevo capito che la tipologia di lavoro che potesse andarmi bene era l infermiere di tipo ambulatoriale. Date le dimissioni da questo importante ospedale, ho trovato un impiego che tutto ora svolgo, ma che non mi aggrada per nulla(sia come impiego che come paga). Sono infermiere in uno studio ambulatoriale che svolge anche mansioni di tipo amministrativo( prendere appuntamenti, segretario). Arrivato a questo punto sto valutando se effettivamente è questa la strada che voglio percorrere; lavorare come infermiere o cambiare tipologia di lavoro. È un problema che si ripercuote da quando sono entrato a lavorare nel pubblico. Aggiungo che l impatto che ho avuto nella struttura pubblica è stato importante, venendo da una realtà piccola privata di tipo ambulatoriale. Posso peró anche dire che forse quell’esperienza nel pubblico mi ha aiutato a capire se effettivamente quel lavoro di reparto potesse fare per me. Detto cio, non so come continuare, ho forti dubbi sul mio futuro e sulla vita quotidiana, Grazie a chi mi aiuterà
Dott. Lauro Quadrana
Neuropsicologo, Neuropsichiatra infantile, Psicoterapeuta
Roma
Buonasera,
Quello che sta vivendo è un momento complesso ma molto significativo, che tocca profondamente il tema delle scelte di vita e, nello specifico, il bisogno di trovare una direzione coerente con i propri valori, desideri e limiti personali.Il nodo centrale che emerge dal Suo racconto è la difficoltà nel consolidare alcune scelte importanti, specialmente in ambito professionale, e una tendenza a dover cambiare direzione dopo aver raggiunto un obiettivo significativo. Ciò può essere legato a una spinta impulsiva: la necessità di rispondere subito a un disagio o a un’insoddisfazione, senza concedersi un tempo reale di riflessione prima di agire.
Questo atteggiamento, seppur mosso da un genuino desiderio di autenticità, può portare a vivere ogni esperienza come una fase di passaggio, più che come un progetto da costruire e approfondireLe scelte professionali importanti ,come quelle che riguardano il ruolo, il contesto lavorativo, o perfino un cambio di mestiere ,dovrebbero avvenire in un momento di chiarezza e non sotto pressione emotiva. Agire per “fuga” rischia di attivare un ciclo ripetitivo: si cambia per evitare un disagio, ma senza affrontarne le cause profonde.Il fatto che Lei abbia già sperimentato diverse realtà, tra cui il servizio ambulatoriale e il lavoro in reparto, è una risorsa preziosa. Ogni esperienza Le ha dato elementi di comprensione, anche se magari non ha portato al risultato desiderato. Il problema non è l’aver cambiato, ma la sensazione di doversi muovere continuamente, come se restare in una posizione fosse una forma di rinuncia. Alla luce del Suo vissuto potrebbe essere molto utile intraprendere una valutazione psicodiagnostica. Saluti

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Dott.ssa Laura Manzini
Psicologo, Neuropsicologo, Psicologo clinico
Magenta
Buongiorno,
la sua riflessione è tutt’altro che banale. Essa tocca aspetti identitari, vocazionali e di equilibrio tra vita professionale e personale che molti professionisti della salute, specialmente giovani infermieri e operatori sanitari, si trovano a vivere — ma spesso faticano ad affrontare apertamente.

Il fatto che lei, a soli 26 anni, si stia ponendo domande così importanti sul proprio futuro professionale e sulla qualità della propria vita non è un segno di debolezza, ma di maturità. Lei ha già fatto passi significativi: ha esplorato ambienti diversi (privato, pubblico, ambulatoriale, domiciliare), si è messo in gioco, ha avuto il coraggio di lasciare un posto sicuro in un ospedale importante — con tutto ciò che questo implica, anche sul piano emotivo e sociale — e oggi si trova in un punto di snodo, dove la domanda non è semplicemente “cosa fare?”, ma “chi voglio diventare attraverso il mio lavoro?”.

Dal punto di vista psicologico adleriano, questo tipo di crisi può essere letta non come un fallimento ma come una fase evolutiva. In Adler chiamiamo questo passaggio "crisi di stile di vita", un momento in cui l’individuo si rende conto che le scelte fatte finora non rispondono più ai propri valori profondi o alle esigenze attuali. In questi casi, l’invito non è tanto “resistere e adattarsi”, ma fermarsi e ascoltarsi in modo autentico. Il lavoro, per lei, è chiaramente legato a un significato personale: empatia, contatto umano, utilità sociale. Ma questo non significa che debba tradursi in una specifica forma lavorativa “tradizionale” dell’infermieristica.

A livello pratico, ci sono alcuni passaggi che potrebbero aiutarla. Il primo è distinguere ciò che non vuole più (già molto chiaro) da ciò che potrebbe desiderare — anche se ancora vago. Le consiglio di prendere in considerazione un confronto con un* psicoterapeuta (anche brevemente). Questo per aiutarla a dare un nome più preciso a ciò che oggi le crea insoddisfazione e a riattivare risorse personali su cui fare leva.

Un altro aspetto utile può essere approfondire le alternative professionali per infermieri fuori dal contesto clinico tradizionale: formazione, prevenzione, educazione sanitaria, ambiti sociosanitari territoriali, ruoli di case management, infermieristica scolastica, lavoro con associazioni del terzo settore, anche progetti in ambito sportivo o naturalistico (in cui può coniugare la sua passione per l’orto e la vita all’aria aperta). Si stanno ampliando anche le possibilità in ambito digitale e sanitario, come la telemedicina, il coaching sanitario o la consulenza in startup mediche. Una consulenza di orientamento professionale, anche presso l’ordine degli infermieri (OPI), potrebbe fornirle riferimenti concreti.

Infine, le consiglio di prendersi un tempo definito per valutare, con metodo e senza sentirsi “in ritardo”. Anche solo un mese in cui osservare cosa le dà energia e cosa la scarica può essere già un inizio. Annoti ciò che le piace, anche al di fuori del contesto infermieristico, e non si limiti subito a cercare soluzioni definitive: le decisioni durature arrivano spesso da piccoli segnali ben ascoltati.
La sua storia non è un blocco: è un bivio. E nei bivi, si cresce davvero.
Un caro saluto e buon cammino.
Dr. Alessio Fogliamanzillo
Psicologo, Psicologo clinico, Neuropsicologo
Casagiove
Buonasera. Può non essere facile trovare un posto nel mondo, la cosa quindi può essere diciamo un problema "oggettivo", vive in un ambiente non adeguato e non ha potuto orientarsi, ed allora la soluzione è pratica, in tal caso le direi di fare orientamento aprendosi ai tanti mestieri che esistono (provi ad esempio a cercare openday e jobday nella sua zona, o chiedere aiuto ad un centro per l'impiego, hanno test per questo); alternativamente è un fatto "soggettivo", ovvero un problema psicologico che ora di sta rappresentando in termini di dubbi sul lavoro ma in realtà si riferisce ad altro; in questo secondo caso, comincerei dal perché è, come dice lei, empatico e con senso di aiuto verso le persone, è possibile che queste sue spinte nascondano un'angoscia, e se a motivarla sono angosce e non bisogni, allora nessuna sorpresa che non sia soddisfatto (pensi a chi fa tornei di combattimento perché sente di essere debole e vuole sfidare il mondo per dirsi forte: avrà sempre qualcuno di più forte e pure se vincesse mai tutto, poi invecchierebbe e tornerebbe a sentirsi debole, senza mai una conclusione); in tal secondo caso, le direi di iniziare un percorso psicologico
Dott.ssa MARIELLA BELLOTTO
Psicoterapeuta, Neuropsicologo, Psicologo
Vicenza
Intanto, ti ringrazio per la fiducia con cui racconti tutto questo. È evidente che stai attraversando un momento di grande riflessione, e che non stai vivendo tutto questo con superficialità, ma con consapevolezza, anche se accompagnata da confusione o fatica.

Mi colpisce la tua capacità di ascoltarti: hai riconosciuto che certi ambienti e modalità lavorative non ti fanno bene, e hai avuto il coraggio di prendere decisioni difficili, anche se non erano quelle ‘convenzionalmente giuste’. Questo è già un segno importante di contatto con te stesso.Quello che stai vivendo non è solo un “dubbio lavorativo”: è qualcosa che tocca in profondità il tuo senso di identità, di futuro, di coerenza tra ciò che fai e ciò che sei. Non è strano sentirsi smarriti in questi passaggi. In effetti, sono momenti che possono far emergere anche interrogativi più grandi: “Chi sono io, al di là del mio ruolo?”, “Cosa dà senso alla mia vita quotidiana?”, “Quale forma di contributo mi fa sentire utile e vivo allo stesso tempo?”Se ritieni potremmo iniziare a esplorare insieme proprio questo: da dove nasce il tuo senso di disagio, e cosa invece ti dà energia, motivazione, desiderio. Non per trovare subito “la risposta giusta”, ma per aiutarti a costruire una direzione più allineata con chi sei oggi – che è una persona diversa da chi eri quando hai scelto infermieristica.È possibile anche lavorare su due livelli: uno più pratico, per aiutarti a orientarti meglio nel presente, e uno più profondo, per comprendere le radici del tuo vissuto, i tuoi valori, e magari anche quei modelli o aspettative (familiari, sociali, personali) che oggi potrebbero non rispecchiarti più.Tu non devi sapere già oggi ‘cosa vuoi fare da grande’. Il nostro lavoro può essere proprio quello di aiutarti a scoprirlo, un passo alla volta, a partire da dove sei ora.
A disposizione
Mariella
Dott.ssa Susanna Scainelli
Psicologo, Psicologo clinico, Neuropsicologo
Albino
Buongiorno, prima di tutto comprendo quanto possa essere importante e difficile allo stesso tempo capire quale è la propria strada lavorativa. Per arrivare ad una risposta le consiglierei di intraprendere un percorso di supporto psicologico che possa aiutarla a conoscersi profondamente. Se avesse bisogno sono a sua disposizione in presenza o online, per una terapia di tipo relazionale integrata, con il supporto di varie tecniche personalizzate in base al paziente, ai suoi bisogni ed obiettivi con evidenza scientifica. Dott.ssa Susanna Scainelli
Dott. Mirco Forigo
Psicologo, Neuropsicologo, Psicologo clinico
Verona
Gentile utente,
In questo caso potrebbe essere utile iniziare a comprendere se i suoi dubbi partono da un ambiente di lavoro non in linea con la sua persona o dal lavoro di infermiere in sé. Lavorare come infermiere, tolto il contesto nel quale non si sente realizzato, le piace oppure non lo vede come un’orizzonte percorribile?
Un percorso mediante l’aiuto di un professionista potrebbe portarla a comprendersi maggiormente e trovare delle risposte a questa, come ad altre domande che le fanno vivere il blocco esistenziale che sta provando.
Rimango a disposizione e auguro una buona continuazione.
Dott. Mirco Forigo
Dott. Dario Papa
Psicologo, Psicologo clinico, Neuropsicologo
Ferrara
Carissimo,
prima di tutto grazie per aver condiviso con così tanta sincerità il tuo percorso. Quello che scrivi è tutt’altro che banale: stai attraversando un momento molto comune ma spesso sottovalutato, quello in cui ci si ferma per chiedersi se la strada intrapresa è davvero “la propria”.
E la tua è una domanda sana, importante, che dimostra coraggio e consapevolezza, non confusione.
Hai scelto infermieristica spinto da empatia e desiderio di aiutare: questo dice tanto su di te. E hai già esplorato diversi contesti, dal domicilio al privato, fino al pubblico. Questo non è “instabilità”, ma ricerca, tentativi concreti di ascoltare ciò che senti e vedere dove ti senti a casa. Hai provato, sperimentato, riflettuto. Ti sei persino dimesso da un posto sicuro, con lucidità. Non tutti riescono a farlo.
Adesso sei in una fase cruciale: quella in cui il lavoro non ti rispecchia, e senti il bisogno di capire cosa vuoi davvero costruire. È una fase delicata ma anche preziosa, perché può essere il punto di partenza di una direzione più autentica.
La domanda che ti consiglio di porti è: “Come voglio sentirmi nella mia giornata-tipo?”
Non solo cosa vuoi fare, ma che esperienza di vita vuoi avere ogni giorno. Che valori vuoi mettere in pratica. Che tipo di ambiente ti stimola. Che margini di crescita, di equilibrio, di autonomia ti servono per stare bene.
Non escludere di restare in ambito sanitario, magari in contesti più organizzativi, educativi, territoriali. Oppure, potresti prendere in considerazione percorsi ibridi: formazione, consulenza, management, libera professione.
A volte non è il “mestiere” in sé a essere sbagliato, ma il contesto in cui lo viviamo.
Ti consiglio davvero di farti accompagnare in questo momento da un professionista: un colloquio di orientamento psicologico al lavoro o un percorso di counseling mirato può aiutarti a fare chiarezza, valorizzare le tue competenze e costruire un progetto più su misura per te.
Perché no, non sei bloccato: sei in un punto in cui qualcosa dentro di te vuole più verità, più coerenza. E questo è un ottimo segnale.
Se vuoi parlarne meglio, io ci sono. Scrivimi pure.

Dott. Dario Papa.
Dott. Leonardo Dalla Costa
Psicologo, Psicoterapeuta, Neuropsicologo
Zugliano
Grazie per la condivisione. Stai vivendo una fase di riorientamento in cui emergono dubbi autentici sul tuo percorso. È importante accogliere questi vissuti senza giudizio e comprenderne il significato. Un percorso terapeutico potrebbe aiutarti a esplorare meglio cosa è davvero importante per te oggi, e a ritrovare coerenza tra valori personali e scelte professionali.
Dott.ssa Federica Migliorini
Psicologo, Psicologo clinico, Neuropsicologo
San Bonifacio
Ciao, ti ringrazio per aver condiviso la tua esperienza.Capisco che non sia facile trovarsi in questa situazione.
Quello che stai vivendo in realtà è molto più comune di quanto pensi: dopo la laurea e i primi lavori ci si accorge spesso che la realtà non coincide con l’idea che avevamo, e allora arrivano i dubbi.
Da quello che scrivi però si vede che hai già fatto un lavoro importante: hai saputo riconoscere cosa non ti fa stare bene (il reparto, i turni, certi ritmi) e hai avuto il coraggio di cambiare. Questo è un segnale che sai ascoltarti.
Ora sei in una fase di ricerca: stai cercando di capire quale tipo di lavoro ti rispecchi davvero. Non viverla come un fallimento, ma come un passaggio naturale per conoscerti meglio. Chiediti: cosa mi fa sentire vivo, motivato, in equilibrio? E cosa invece mi toglie energie? Le risposte arriveranno poco a poco.
Non serve avere tutto chiaro subito: sei giovane e hai tempo per sperimentare. Può anche essere utile confrontarti con qualcuno per fare chiarezza.
Intanto concediti di vedere questo momento non come un blocco, ma come un’occasione per costruire una strada più tua.
Dott.ssa Cecilia Scipioni
Psicologo, Neuropsicologo
Casalgrande
Buonasera, grazie per aver condiviso con così tanta chiarezza e sincerità il percorso che sta vivendo. Da quello che racconta, emerge una grande consapevolezza di sé, delle proprie passioni e dei propri limiti: sa cosa le piace, cosa la motiva e cosa, invece, le pesa. Questo è già un passo importante, perché spesso il problema principale non è la mancanza di competenze, ma la difficoltà di riconoscere ciò che ci fa stare bene e ciò che invece ci svuota emotivamente.

Quello che descrive, infatti, è una fase molto comune nelle persone giovani che si affacciano al mondo del lavoro: dopo anni di studio, si entra in un contesto che non corrisponde esattamente alle aspettative o alla propria visione della vita, e questo genera dubbi e incertezze sul futuro. Il fatto che abbia sperimentato sia il lavoro ambulatoriale privato sia quello ospedaliero pubblico le ha dato informazioni preziose su ciò che può tollerare e su ciò che invece le genera disagio, come i turni, le responsabilità in reparto o il ritmo della vita ospedaliera.

Da un punto di vista neuropsicologico e psicologico, ciò che descrive rientra in una fase di ricerca di congruenza tra identità personale e ruolo lavorativo. Non è raro sentirsi bloccati o incerti: il cervello sta elaborando una serie di informazioni emotive e cognitive, cercando di capire quale percorso sia sostenibile nel lungo periodo, in termini di motivazione, energie, soddisfazione e qualità della vita.

In questa fase, può essere utile affrontare il percorso in due direzioni complementari. La prima è l’esplorazione consapevole delle proprie preferenze e delle alternative professionali: cosa la fa sentire realizzato? Quali ambienti di lavoro, mansioni e ritmi sono compatibili con il suo stile di vita e con le sue passioni? La seconda è la pianificazione graduale di piccoli esperimenti lavorativi o formativi, in cui testare nuove attività o ruoli senza dover prendere decisioni definitive, raccogliendo dati concreti su ciò che funziona per lei.

Parallelamente, può essere molto utile lavorare con un professionista (psicologo o coach professionale) per chiarire valori, motivazioni e priorità: strutturare un percorso che non sia solo basato su “cosa devo fare” ma su “cosa voglio e posso fare”, senza colpe o pressioni esterne. Questo tipo di lavoro può ridurre l’ansia legata al futuro e trasformare l’incertezza in opportunità di crescita.

In sintesi, ciò che sta vivendo non è un fallimento, ma una fase di scoperta e definizione della propria strada professionale e personale. Il fatto che abbia già sperimentato diversi contesti le fornisce informazioni preziose su sé stesso e sul tipo di ambiente in cui può prosperare. Con un approccio strutturato, riflessivo e guidato, è possibile trovare un percorso che coniughi realizzazione professionale, soddisfazione personale e benessere quotidiano.

Se vuole, posso aiutarla a costruire un piccolo percorso di esplorazione pratica e riflessione, che le consenta di chiarire le priorità e valutare concretamente le alternative lavorative più adatte a lei.
Resto a disposizione e intanto le auguro di superare questo momento di blocco.
Le ricordo che non è solo e che questo momento è molto comune, non per sminuire la situazione ma per farle capire che è una situazione molto comune dovuta a molti fattori,esterni ed interni a sè.
Saluti

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