HIV: può influire sul parto?

Ginecologia • 23 marzo 2017 • Commenti:

Cos’è l’HIV?

Il virus dell'immunodeficienza umana (HIV) appartiene alla famiglia dei retrovirus ed è l’agente patogeno responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). I retrovirus possiedono un patrimonio genetico a RNA e sono dotati di un particolare enzima, chiamato trascrittasi inversa, in grado di integrare il genoma virale nel DNA delle cellule che infettano, permettendone la replicazione.

Il virus dell’immunodeficienza infetta un particolare sottotipo di linfociti T, determinando un malfunzionamento del sistema immunitario. L’infezione dei linfociti può rimanere a lungo silente quindi esprimersi improvvisamente tramite la trascrizione del genoma del virus, che porta la cellula ospite a produrre nuove particelle virali. Il linfocita va infine incontro a lisi cellulare e libera i virus maturati al suo interno, che possono quindi andare ad infettare altre cellule.

HIV e gravidanza - rischi e trasmissione dell’infezione

Una donna sieropositiva può trasmettere l'infezione di HIV sia durante la gravidanza (trasmissione transplacentare), che al momento del parto o dopo la nascita tramite l'allattamento al seno, poiché il virus è contenuto nel latte materno. Nonostante esista il rischio di trasmettere l’HIV, è comunque possibile portare a termine una gravidanza seguendo degli adeguati accorgimenti per scongiurare la trasmissione.

È fondamentale chiedere subito consiglio medico, dal momento che sono disponibili diversi farmaci in grado di ridurre le probabilità di trasmissione dell’HIV al bambino. In particolare, per le donne che stanno già seguendo una terapia antiretrovirale, è necessario rivolgersi immediatamente al ginecologo per verificare se la terapia in atto è sicura per il bambino e, nel caso sia necessario, trovare una terapia alternativa. Una volta definiti insieme al medico i farmaci antiretrovirali da utilizzare, la terapia può continuare per tutta la gravidanza, compresi il travaglio ed il parto.

Come accennato precedentemente, le madri sieropositive possono contagiare il figlio in tre modi differenti:

  • durante la gravidanza;

  • durante il parto;

  • tramite l’allattamento al seno.

In ogni caso, seguendo una terapia adeguata, il rischio di trasmettere il virus HIV ai figli può essere ridotto considerevolmente:

se la madre sieropositiva non assume farmaci antiretrovirali, esegue un parto naturale ed allatta al seno vi è il 25% di probabilità di trasmettere il virus al figlio, mentre seguendo la terapia antivirale (durante la gravidanza, il travaglio e il parto), eseguendo un parto cesareo ed evitando l’allattamento al seno, la probabilità di infettare il bambino con HIV diminuisce fino al 2%.

Seguendo queste linee guida, è possibile prevenire l’infezione del bambino anche nel caso di donne incinte che scoprono di essere sieropositive solo poco prima del parto.

Se la madre è sieropositiva risulta comunque necessario sottoporre il neonato a dei test di controllo per verificare l’infezione del virus, tramite analisi che risultano differenti dai normali test per l’HIV utilizzati per gli adulti:

la maggior parte dei test, infatti, individua gli anticorpi diretti contro il virus HIV, ma non il virus vero e proprio. Questi esami risultano inutili per i bambini nati da madri sieropositive, poiché gli anticorpi anti-HIV della madre passano nel sangue del bambino durante la gravidanza, portando a risultati positivi a prescindere dall’effettiva trasmissione del virus al neonato.

Per questo motivo sono stati sviluppati particolari test per HIV da effettuare su bambini di età inferiore ai 18 mesi, in grado di rilevare la presenza di minime quantità di virus nel sangue. Ciononostante, per essere certi della validità del risultato, questo test dovrebbe essere ripetuto tre volte:

  • nella terza settimana dopo la nascita;

  • dopo uno o due mesi dal parto;

  • dopo i tre mesi d’età.

In ogni caso, anche se i risultati degli esami sono negativi, è consigliabile mantenere a lungo il bambino sotto controllo medico.

Terapia anti-HIV durante la gravidanza

Le donne sieropositive sono probabilmente già in terapia da prima del concepimento e possono continuare ad assumere i farmaci anti-HIV, con i necessari accorgimenti, durante tutta la gravidanza, mentre per prevenire la trasmissione del virus al bambino è possibile iniziare la terapia dopo il terzo mese di gravidanza.

Le donne che scoprono di essere sieropositive nelle ultime fasi della gravidanza, infine, dovrebbero iniziare la terapia antivirale il prima possibile.

La terapia prevede spesso l’uso di diversi farmaci in combinazione, anche se gli specifici principi attivi da utilizzare vengono definiti dal medico in base alle particolari necessità della paziente ed ai potenziali effetti collaterali sul bambino.

È molto importante, infatti, evitare di assumere alcuni farmaci che presentano effetti teratogeni e che possono determinare malformazioni e problemi nel neonato, in particolare nei primi mesi della gravidanza.

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