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Esperienze

Su di me

Psicologa clinica specializzata in Psicoterapia cognitiva psicodiagnosta clinica giuridico peritale.
Laura conseguita presso UPS Roma Psicotera...

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Specializzazioni

  • Psicoterapia cognitivo comportamentale
  • Psicodiagnostica

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Risposte ai pazienti

ha risposto a 7 domande da parte di pazienti di MioDottore

Buongiorno,
ho 32 anni e per 5 mesi ho frequentato una ragazza di 26 la quale sta vivendo - da quando aveva 14 anni circa - in una condizione di accudimento invertito: madre che abbandona la famiglia e padre che l’ha relegata in un rapporto morboso al ruolo di moglie surrogata.
Lo stesso schema si è ripetuto più di recente (circa 2 anni fa) alla morte della nonna, per cui si ritrova oggi e dover badare anche al nonno non più completamente autosufficiente.
Questa ragazza soffre inoltre di afefobia in quanto - per sua dichiarazione - da bambina veniva sempre respinta dai genitori ogni volta che cercava abbracci e coccole.
Tutto questo ha portato a sviluppare in lei ansia, eccessiva rigidezza di ragionamento, profondi sensi di colpa e malessere al solo pensiero ipotetico di abbandonare il tetto famigliare (anche solo andando a vivere a pochi chilometri dal padre) e altre fobie legate a ordine, igiene e socialità.
La relazione si è bruscamente interrotta per l’impossibilità di riuscire a trovare qualunque compromesso con questa ragazza, ma non è questo il punto.
Sebbene mi renda conto di quanto sia difficile esprimere un parere sulla base di queste pochissime informazioni, tengo molto a questa persona e vorrei porvi alcune domande per comprendere meglio il suo punto di vista e se possibile aiutarla.
In linea del tutto teorica e sulla base della letteratura nota ad oggi:
1) chi soffre di afefobia, prova maggiore disagio nel momento in cui riceve gesti intimi oppure per il fatto di non riuscire a riceverli come vorrebbe?
2) come si comporterà questa persona con un eventuale figlio: si concederà almeno con lui gesti di intimità oppure risulterà anaffettiva e distaccata?
3) nel caso di accudimento invertito, il partner e l’eventuale nucleo famigliare che questa persona si creerà, saranno sempre relegati ad un ruolo marginale rispetto al genitore accudito?
4) poiché questa persona risulta conscia di tale situazione e considerata l’età di 26 anni, è ancora possibile intraprendere un percorso con uno specialista?
Grazie fin da ora per la pazienza e disponibilità ad analizzare il caso.
Saluti

Salve,
dovrebbe consigliare un percorso psicologico dove approfondire le problematiche riportate. Iniziando il percorso psicologico potrebbe gestire diversamente le relazioni.

Dott.ssa Tiziana Tropeano

Dopo sei mesi e oltre di tcc, mi pare che alcune crepe nel rapporto con la psicologa che mi segue stiano emergendo, soprattutto sul piano della fiducia. Soffro di ossessioni incentrate sulla paura del suicidio e sulla paura di sviluppare idee deliranti; tuttavia, tali ossessioni avverto che si sono andate facendo meno invasive: hanno perso virulenza e intensità, e io mi soffermo molto meno su di esse rispetto a qualche mese fa. Ciò sarebbe in apparenza un successo, ma secondo la dottoressa tale risultato non è stato guadagnato tramite la via giusta: le ho infatti detto che da alcune settimane mi sento stanco di pensare alle mie ossessioni e di combatterle, e che fatico a stare a lungo ad analizzarle, quasi per un venir meno della mia capacità di concentrazione... Le ho detto che mi sembra che se ora sto meglio non è perché ora so come fronteggiare il doc, nel caso si ripresenti, ma perché ho l'impressione che sia il doc a lasciarmi stare. La dottoressa mi ha chiesto perciò a cosa stiano servendo questi sei mesi di terapia, se io mi sento come all'inizio in balia del doc, e mi sembra di essere migliorato solo perché questa sorta di bullo interiore in questo momento ha deciso di risparmiarmi e di darmi tregua; a suo parere, dovrei aver appreso, grazie alla terapia, le strategie opportune a non soccombere al doc qualora si ripresenti, invece che stare alla sua momentanea benevolenza. Tali strategie consistono negli esercizi di defusione, nel visualizzare ad esempio i brutti pensieri portati da una corrente, o nell'immaginare il me stesso adulto che consola e sostiene il me bambino, onegli esercizi di respirazione e di rilassamento di jakobson... Io non ho mai adottato queste tecniche: mi sembra che servano a poco. La dottoressa mi ha quasi rimproverato di averle fatto perdere tempo, spazientita che io mi senta disarmato come all'inizio di fronte alle ossessioni, e mi ha fatto capire che per vincere il doc devo usufruire dei suoi strumenti. Sa che assumo sertralina, ma non considera che potrebbe esser merito della molecola se questi pensieri si sono sgonfiati . A sto punto non so che fare: chiudere con lei e ammettere che non mi sono stati di beneficio i suoi suggerimenti? Nell'ultima seduta, avendo paura di contraddirla, ho finito per compiacerla, correggendo il mio resoconto col dire che ora ho più coscienza del doc e so come affrontarlo. Ma me tivo: era solo per farla contenta, perché non so affrontare il contraddittorio... E del resto ho paura a interrompere le sedute, perché non so se peggiorerei senza quel riferimento settimanale che ormai è diventato una mia abitudine...

Salve
È necessario che ne parli con la collega e ridefiniti gli obiettivi della terapia.
Saluti

Dott.ssa Tiziana Tropeano

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