Perché lo sport è utile per combattere il bullismo

Esperto Massimo A. ManciniPsicologia • 26 settembre 2016 • Commenti:

Dopo alcuni anni di lavoro e di esperienze (sia professionali che personali) a contatto con molti ragazzi nelle scuole e in ambiti sportivi, mi sono reso conto ben presto della portata di un problema grave che affligge  la nostra società ed i nostri ragazzi: il "bullismo".

Ogni giorno, infatti,  sia la televisione che Internet  riportano l’ennesimo episodio di bullismo o di semplice crudeltà verso qualcuno più debole o indifeso.

Il bullismo viene sempre più pubblicizzato attraverso i Media stessi, che enfatizzano sempre più  questa  forma di voyeurismo moderno, che ci riguarda un po' tutti ma che sembra al contrario così lontano da noi stessi, almeno fino a quando non ci tocca da vicino attraverso i nostri figli o i nostri cari. In molti casi, inoltre, possiamo essere testimoni di episodi di bullismo anche nella nostra vita di adulti.

Cosa scatena gli episodi di bullismo

Il bisogno di apparire, di conferme sociali, di approvazione altrui e (non meno importante) quello di ottenere rispetto e considerazione da parte di pari ed adulti, rappresentano quelle necessità basilari e vitali che caratterizzano molti  ragazzi con cui ho lavorato, per insegnare loro a riconoscere e gestire quelle emozioni più violente ed aggressive che sono alla base del bullismo.

Lavorando con ragazzi di scuole elementari, medie e superiori, tra le motivazioni che i ragazzi riportavano vi erano spesso quelle legate al "salvare la faccia" oppure ad un'ipotetica/reale "reputazione" strettamente dipendente dall'approvazione sociale di altri (compagni di scuola, gli amici o i compagni di squadra in ambito sportivo).

Come il grande ricercatore e primo psicanalista infantile di Boston, Erik Erikson, sosteneva nella sua Teoria dello Sviluppo Psicosociale, al 5° stadio di tale sviluppo (definito “Identità Opposta”) si verifica una dispersione e confusione di ruoli (fase genitale freudiana) fra preadolescenza e adolescenza.

Il compito fondamentale dell'adolescente in questa fase è conquistare la propria identità.  L'adolescenza è considerata la fase della "crisi di identità".

I genitori, dunque, non devono adottare comportamenti ambigui con i ragazzi, relazionandosi con loro a volte come se fossero bambini e a volte come se fossero adulti.

Il bullismo e il ruolo della famiglia

I genitori dovrebbero osservare l'evoluzione rapida del fanciullo investito dalla tempesta ormonale tipica di quel periodo e adeguare il modo di rapportarsi con lui armonizzandolo ai cambiamenti stessi.

Quando i genitori non adottano comportamenti ambigui e disorientanti nei confronti dell'adolescente e assecondano con opportunità, equilibrio e amore le micro-fasi di questo periodo, i ragazzi potranno ricevere un aiuto fondamentale e conquistare la loro identità.

Questa fase (che si aggira tra in 12-18 anni) è molto cruciale, perché nella ricerca di questa identità, spesso il/la ragazzo/a assume ruoli o identità di prova che cambiano continuamente, come si potrebbe cambiare un vestito: in base alle risposte che riceve dall'esterno (genitori o amici) l’adolescente può decidere se mantenere o meno quella maschera o vestito che si è scelto.

Se a tutto ciò aggiungiamo la mancanza di una struttura chiara e ben definita data dalla famiglia (che definisce non solo i valori, ma le regole stesse che il ragazzo dovrà per forza di cose incontrare nella stessa società  e a cui dovrà adattarsi), si crea quel "cocktail" esplosivo che sottostà alla base del comportamento del "bullo".

Essere bullo significa spesso ricevere un riconoscimento positivo e gratificante che il ragazzo riceve dai suoi pari: essere un "figo", uno con coraggio, pronto a sfidare tutto e tutti, dalle figure che rappresentano l'autorità (genitori, insegnanti, allenatori o adulti in generale) ai suoi compagni/amici che lo apostrofano in modo provocatorio o sostegono il suo sguardo senza timore, tutti atteggiamenti che vengono tradotti dal bullo come una mancanza di rispetto, che lui non può assolutamente tollerare.

Dalle mie esperienze professionali, ho potuto constatare spesso che coloro che sono considerati "i soggetti peggiori" nella scuola o nella squadra, che creano più problemi, litigano e manifestano un atteggiamento provocatorio, sono spesso quelli più sensibili ed incompresi, ma spesso i più intelligenti e svegli del gruppo, che riscontrano con la loro "faccia tosta”, o atteggiamento “da duro" un grande riscontro popolare tra  compagni di scuola ed amici.

Troppo spesso hanno inoltre alle spalle delle situazioni alquanto catastrofiche: genitori inesistenti sia fisicamente che emotivamente/psicologicamente, su cui dunque non possono contare per quel sostegno fondamentale in questa delicatissima età e che non sanno insegnare/comprendere/imporre delle regole chiare e precise, che potrebbero fornire al ragazzo quelle linee guida che definiranno quella “spina dorsale” su cui costruire la sua intera personalità ed esistenza.

Perché lo sport è un grande alleato contro il bullismo

Lo sport, al contrario, nasce e si sviluppa in un contesto ben definito fatto di regolamenti, etica e comportamenti approvati e riconosciuti pubblicamente da tutti dagli stessi genitori, allenatori, compagni di squadra ed amici che permettono una canalizzazione di energie eccessive, che spesso, se non controllate,  si rivelano auto-distruttive.

Tutti gli sport, specie quelli che permettono lo sfogo di queste "energie extra" (come quelli di contatto: dalla lotta, alla box, alle arti marziali, ecc.) fanno sì, che questa più o meno nascosta aggressività  trovi una via di sfogo accettabile, in un contesto sociale con regole e strutture condivise alle quali anche il più incallito ribelle deve sottostare, con conseguenti vantaggi personali, che permetteranno  la crescita e un cambiamento nell'atteggiamento del "Bullo".

In qualità di ex-atleta, ho potuto apprendere personalmente come lo sport e la mia esperienza personale mi abbiano insegnato molto a capire me stesso ed i miei compagni di squadra, ma ciò  che più ho potuto comprendere è stata l'auto-disciplina richiestami per poter praticare tali attività sportive.
Il karatè mi ha insegnato molto, soprattutto ad affrontare le mie paure e le mie incertezze, ma soprattutto a controllare i miei stati emotivi, come la rabbia o gli atteggiamenti provocatori: atteggiamenti che, senza una buona guida e struttura familiare, possono trasformarsi per i ragazzi in atteggiamenti antisociali, che rientrano nella definizione di "bullismo".

Esperto

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