Sesso femminile; Anni:85 (appena compiuti); Esordio della malattia di Parkinson: 55 anni; Interventi

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Sesso femminile; Anni:85 (appena compiuti); Esordio della malattia di Parkinson: 55 anni; Interventi: Stimolazione Cerebrale Profonda (DBS)

ANAMNESI
All’età di 55 le è stato diagnosticato il Parkinson. Presentava tremori costanti nonostante il trattamento farmacologico con Levodopa. Nel 2001 è stata sottoposta a intervento chirurgico DBS presso l’ospedale di Ferrara, il quale ha significativamente ridotto i sintomi fino all’età di circa 75 anni. Successivamente, si sono presentati problemi nella deambulazione e nella coordinazione dei movimenti. All’età di circa 79 anni la pz è stata introdotta presso un istituto gestito da suore, in quanto considerata non più autosufficiente. Durante il suo soggiorno nella struttura, ha perso progressivamente la capacità di deambulare ma era in grado di spostarsi, se supportata, in sedia a rotelle. La pz era in grado di riconoscere familiari e amici che venivano a trovarla regolarmente. Presentava progressivamente maggiore difficoltà nella deglutizione e nella produzione verbale. Negli ultimi 2 anni, ha riscontrato ulteriori difficoltà nella masticazione e deglutizione, per cui le è stato somministrato solamente cibo in forma di omogeneizzato o liquida. Da quando le è stata diagnosticata la malattia, ha sempre assunto terapia a base di Levodopa e Amantadina.

EPISODIO CRITICO
Tra la prima e la seconda settimana di giugno 2025, la pz ha subito un brusco calo improvviso delle capacità cognitive e motorie. A detta delle suore che la tengono sotto osservazione, quest’ultimo le sarebbe stato causato da un colpo di calore improvviso a causa del brusco aumento delle temperature. Successivamente, notando la difficoltà di deglutizione della paziente, le suore dell’istituto hanno smesso di fornirle la terapia farmacologica. Quest’ultima, insieme alla somministrazione di cibo, è stata cessata circa verso la fine della seconda settimana di giugno. Attualmente, la paziente viene alimentata unicamente attraverso flebo.
Successivamente alla sospensione terapeutica, la paziente si è ulteriormente aggravata e si trova attualmente allettata. Presenta respirazione affannata e la risposta agli stimoli circostanti è minima. Le vocalizzazioni sono praticamente assenti e, se presenti, dimostrano spesso scarsa o assente lucidità (es. vedendo suo fratello con il braccio fasciato la settimana scorsa ha chiesto per 2 volte se fosse caduto dalle scale nonostante gli fosse già stato ribadito che fosse stato operato al tunnel carpale). Alterna momenti in cui la risposta è completamente assente.

RICHIESTA
Attualmente c’è confusione tra i familiari rispetto alla decisione di richiedere un ricovero. Le suore hanno indicato come quest’ultimo, a loro avviso, non porterebbe giovamento alla paziente. Inoltre, le suore hanno rifiutato di riprendere in cura la paziente nel caso in cui venisse ricoverata poiché considerata a quel punto troppo grave per essere supportata dalla struttura.
Considerando il quadro clinico del paziente si richiede, dunque, un papere medico rispetto alle seguenti perplessità emerse nei familiari:

- Sarebbe possibile, durante il ricovero rispristinare la terapia farmacologica attraverso vie alternative a quelle orali? Le suore hanno infatti ribadito più volte che la Levodopa e la Amantadina possono essere somministrate solo in forma orale. La scrivente, d’altro canto, è a conoscenza dell’esistenza di terapie alternative per via transdermica (cerotti), come ad esempio la Rotigotina in sostituzione (o almeno parzialmente) alla Levodopa per via orale; e della possibilità di assunzione di Amantadina per via endovenosa.

- Nel caso di recupero parziale della paziente una volta somministrata la terapia, potrebbe essere un candidato idoneo all’operazione PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea)? Mi rendo conto che le informazioni fornite sono molto marginali per presentare una risposta a riguardo, ma resto a disposizione per fornirne ulteriori nel caso venisse richiesto qualcosa nello specifico.

- La richiesta di un ricovero potrebbe giovare alle condizioni della paziente, o potrebbe influenzare ulteriormente in maniera negativa il suo stato attuale? Questa è una domanda che sorge in maggior misura tra i familiari, che in questo momento vedono il ricovero come un fattore di stress significativo. In quanto nipote della pz, ho sempre visto mia zia come una persona decisa a lottare per la vita (lo ha dimostrato nella sua scelta di sottoporsi a DBS nonostante i medici l’avessero avvertita di tutti i rischi che incorreva e nonostante i familiari non fossero d’accordo con il pericolo che stava per assumersi). Perciò, personalmente reputo le capacità di resilienza della paziente in grado di affrontare un eventuale fattore di stress al fine di poter riacquistare un maggior benessere.

Ringrazio per l’attenzione e per il supporto a riguardo. Attualmente, mi trovo in difficoltà a comprendere le conseguenze di un eventuale ricovero, ma credo che tra i familiari ( me compresa) i dubbi siano alimentati dalla scarsa comprensione dei possibili costi/benefici. D'altra parte, trovo personalmente controproducente non fare un tentativo.

Distinti saluti
Buongiorno, scelte importanti come un ricovero, il posizionamento di peg o una ottimizzazione della terapia medica richiedono la valutazione diretta della paziente e della documentazione delle sue visite precedenti in modo da chiarire le possibilità prognostiche e riflessioni sulla qualità di cosa. Le posso dire senxa dubbio che rotigotina cerotto e amantadina ev, nel caso della paziente, sono sicuramente inutili, se non controproducenti.

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