Carissimi dottori. Eccomi di nuovo qui a scrivervi. Sono Michela. Ormai la mia storia già la sape

22 risposte
Carissimi dottori.
Eccomi di nuovo qui a scrivervi.
Sono Michela.
Ormai la mia storia già la sapete.
“Famiglia” se la si può chiamare così senza amore.
Un padre assente, un dolore insopportabile.
Mi distrugge il cuore questa cosa, non potermi confrontare con lui perché non gli interessa di come sto.
Non poter avere un suo abbraccio perché non c’è mai stato e non ci sarà mai.
Un “ fidanzato ossessivo, un fidanzato che mi fa malissimo tante volte ma nello stesso tempo mi da amore, quell’amore che non ho mai ricevuto.
Sono cresciuta con questa persona è mi sono legata, anche con tutte le sofferenze, i litigi il fatto che non sono indipendente per far star bene lui, per non perderlo, perché non riesco ad accettarlo, ho paura, ho tanta paura.
Non voglio più stare male, sono stata male già abbastanza.
Non voglio nulla di materiale, nulla.
Vorrei affetto, attenzioni, amore, vorrei tanto essere felice senza avere la paura di sbagliare.
Non sto bene a casa, sto sempre chiusa in una stanza senza nemmeno mangiare tante volte perché so che non conto nulla e perché non riesco a vedere che c’è affetto fra mio padre e mio fratello più piccolo, mentre io mi sento di troppo, sola.
Io mi sento un peso.
Mio padre mi odia, non mi vuole bene.
Il mio ragazzo come già sapete mi mette alla scelta fra lui o la mia indipendenza, alla quale lui può fare quello che vuole, e alla quale se io scelgo lui, devo stare a casa 24 ore su 24 a subire mio padre che non mi pensa e se lo fa è solo per criticarmi, per offendermi, e non mi fa bene tutto questo.
Se scelgo la mia indipendenza, un lavoro perché io solo quello vorrei perdo il mio fidanzato, perché lui non l’accetta, ed io questo non riesco ad accettarlo.
È vero mi tratta male tante volte, è ossessivo e non sia mai faccia qualcosa che gli può dare fastidio, ma quando sta bene mi da amore, affetto, sto bene, mi sento a casa con lui.
In entrambi i casi io soffro, ed io non voglio più.
Ho quasi 21 anni e mi sento stupida, inutile, mi sento sbagliata, quante volte desidero morire perché non c’è la faccio più.
La mentalità della mia famiglia e anche un po’ del mio ragazzo.
Non mangio sono una vittima, mi lamento sono una vittima.
Sono una vittima per loro.
A casa sopratutto mio padre, mi dicono che ho stancato che se me ne andassi di casa si salverebbero, tante volte dicono che sono la rovina della famiglia.
Il mio ragazzo mi giudica di continuo.
Io non c’è la faccio più, piango per tutto, per ogni singola cosa, mi fa male tutto, ho il cuore a pezzi, forse sarò una vittima, non lo so.
Ma vorrei tanto che ognuno di voi potesse vivere anche un solo giorno di come la vivo io, forse mi capireste, e vedreste con i vostri occhi che non sono una vittima.
Io non sto bene dottori.
Non sto bene.

Con affetto Michela.
Gentile Michela, non conosco gli antefatti della sua vicenda dato che non ho letto i messaggi precedenti scritti nel Portale cui lei sembra fare riferimento qui. La sua giovane età e la difficile condizione che si trova a vivere meritano un ascolto attento da parte di uno psicologo “in carne ed ossa” e un sostegno reale. Può cercare un riferimento privatamente nel web, magari direttamente in questo portale. In alternativa può rivolgersi ad un consultorio della sua ASL o chiedere consiglio al suo medico di base perché sia lui stesso ad indirizzarla. Un saluto cordiale, Marta Corradi.

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Salve
Concordo che la sua condizione richiede un sostegno psicologico, ma rifletta che la sua mancanza di affetto la porta a legarsi ad un altro uomo che con il ricatto dell’affetto la svalorizza la tratta male e non accetta che sia autonoma cercandosi un lavoro, non è amore chi ricatta e chi vuole impedirci di crescere è solo possesso, bisogno di controllo, trovi la forza di farsi aiutare a crescere a pensare a se stessa a creare una propria autonomia, è giovane e può farlo ci può riuscire.
Cordiali saluti
Buonasera
A 21 anni si può scegliere con chi si desidera vivere
Se non si sente di poter esprimere al meglio se stessa con il suo ragazzo che manifesta possessivita’ nel volere che lei non lavori ecc, per come lei ci riferisce, può sempre decidere di proseguire il suo cammino sganciandosi da queste dinamiche svalutative e di sofferenza sia dal lato ‘padre’ che da parte del fidanzato.
Essere possessivi non vuol dire essere innamorati.
Lavorare le darebbe maggiore respiro rispetto a se stessa per valutare in tutta serenità le scelte da operare.
Forse andrebbero approfondite con se stessa le dinamiche che le rendono difficile svincolarsi da questi legami dolorosi.
Gentile Michela, comprendo il suo disagio e il suo dolore e proprio per questo voglio spronarla a rialzarsi. Le risorse per chiedere aiuto e riceverlo ci sono attorno a lei, dall'asl ai consultori, fino, in casi disperati di abuso , all'aiuto che può ricevere dalle forze dell'ordine, se la situazione con il suo ragazzo è disperata.
Quindi si faccia aiutare e chieda aiuto, poichè se continua così, diventerà sul serio una vittima, non credo che questo sia ciò che vuole per la sua vita, altrimenti non scriverebbe qui più e più volte. Saluti.
Buongiono Michela, leggendo la sua mail mi è tornata alla mente un'immagine che spesso utilizzo per spiegare cosa intendo per percorso di psicoterapia. La terapia è come cucire insieme dei pezzi di coperta che altrimenti restano disconnessi o che rischiamo di non voler più vedere, ma restano. Per cucire servono tutti i pezzi che abbiamo a diposizione (e i suoi mi sembra ci siano, e lei li veda), la scelta di come accostarli affinché poi la coperta ci piaccia, l'ago e il filo (che sono le parole e i significati che diamo) e un ditale per non pungersi troppo durante tutto il lavoro. E' un lavoro delicato, ed è bene farlo con qualcuno che ci possa ascoltare, non giudicandoci, ma accompagnandoci e sostenendoci. Credo che per lei potrebbe essere davvero significativo iniziare un lavoro di questo tipo. Un primo passo per iniziare lo ha già fatto, riconoscendo di star male e chiedendo aiuto. Come le scriveva anche una collega, è importante che questo aiuto lei lo trovi in una persona in carne ed ossa. Può sicuramente trovare tante offerte, da quelle gratuite a quelle a prezzo calmierato, a quelle private, nella sua zona.
Cara Michela, se ho capito bene la sua storia da queste poche ricghe, il suo malessere nasce da "relazioni difficili". Continuare a ricercare "relazioni difficili", come ad esempio scrivere su un blog di un - acorché efficiente - servizio "online" di consulenza psicologica, potrebbe rivelarsi altrettanto frustrante e inefficace. Si rechi invece in uno studio per un contatto diretto: le relazioni buone, a volte, si trovano coltivando relazioni vere.
Buongiorno Michela, pur non potendo vivere la vita “anche solo un giorno di come la vive lei” sento forte e chiaro il suo grido di dolore. Questo suo grido merita un ascolto attento, accogliente e al tempo stesso mirato a ricercare in lei stessa le origini dei suoi traumi e soprattutto del suo essere in questo momento ‘incastrata’ in una vita ed in relazioni che continuano a non darle l’opportunità di realizzare il suo desiderio di “essere felice senza avere la paura di sbagliare”. A mio avviso per quanto possa essere difficile e impegnativo, la cosa più opportuna che possa fare è rivolgersi ad un professionista ed intraprendere un percorso terapeutico. Le modalità per farlo sono tante, come le hanno suggerito i miei colleghi. La saluto cordialmente . Dott.ssa Daniela La Porta
Cara gentile Michela io mi sento di darti un solo suggerimento data la tua grande sofferenza interiore. Valuta davvero la possibilità di iniziare un percorso che possa aiutarti a trovare l'amore più prezioso che posso esistere, quello per te stessa. E allora tutta la tua vita si trasformerà in autenticità e pienezza.
Buon Natale cara.
Dottoressa Monica Pesenti
Cara Michela, comunicare ad altri la propria sofferenza e il proprio disagio, è il primo passo per iniziare a fare chiarezza dentro e fuori di sé, quindi hai fatto benissimo a scriverci. Non hai una domanda specifica, quindi non ho una possibile risposta da suggerirti, ma vorrei cercare di trasmetterti la mia vicinanza e condividere con te una riflessione che mi è venuta leggendo la tua lunga lettera: se non è la prima volta che scrivi a MioDottore, sicuramente ti sarà già stato suggerito di rivolgerti ad uno psicoterapeuta che possa accompagnarti in un percorso di crescita e conoscenza profonda di te stessa, che ti consenta di superare le tue paure e le tue insicurezze per ripartire nella direzione che desideri davvero, lo hai fatto? Anche io penso che questa sia l'unica via percorribile perché si possa produrre un cambiamento profondo e duraturo dentro e fuori di te, ma se nel frattempo senti che ti aiuta anche il solo scriverci, noi siamo qui…
Buongiorno Michela, leggo la sua richiesta d'aiuto e mi sembra che lei abbia già chiaro cosa nella sua vita dovrebbe essere modificato. Si stima sbagliata, certamente il contesto affettivo che descrive non è funzionale e lei non è sbagliata. Descrive il suo ragazzo "ossessivo" e suo padre come una persona che non mostra affetto nei suoi confronti. Lei sa già cosa vuole, ha bisogno di un aiuto a realizzare i cambiamenti opportuni. Contatti uno psicoterapeuta e inizi un percorso "guidato" al fine di raggiungere i suoi leciti obiettivi. Le faccio i miei migliori auguri affinchè possa "costruirsi" una vita soddisfacente.
Cara Michela, lei non "FA la vittima", lei "E' vittima" :
-in primo luogo è vittima della sua famiglia a causa della loro ignoranza e mancanza di intelligenza quantomeno di tipo emotivo ;
-poi è vittima del suo ragazzo, una persona che le fa credere che "gli arresti domiciliari" siano il prezzo da pagare per essere amata, per ora, chissà in futuro.. ;
-infine è vittima di se stessa perché si condanna inconsapevolmente ad essere carne da sacrificio in pasto ad una famiglia cieca e sorda ed un ragazzo egoista.
La sua sofferenza è enorme e ciò che mi viene da dirle è che non troverà nessun salvatore. Nessuno sfogo momentaneo su un sito di dottori potrà risolvere il suo problema. L'unica che possa scegliere di salvarsi è sè stessa! È solo lei che può scegliere se farsi morire o farsi aiutare da un terapeuta professionista. Ma anche nel secondo caso, lo deve volere con tutta se stessa, perché il sostegno terapeutico senza il suo impegno, non serve a nulla. Scelga una persona di cui potersi fidare e provi a darsi realmente una possibilità. Infondo lei è viva, mica deve chiedere il permesso per essere felice?

Cara Michela, noto molte contraddizioni che non le permettono di uscire da un imbozzolamento. C'è bisogno di una psicoterapia per sciogliere i nodi che la tormentano anche in questo portale.
Cordiali saluti
Buongiorno! Seguo la sua storia con attenzione e so che ha già scritto precedentemente su questo portale. Lo sottolineo perché mi sembra che questa sia una finestra, forse una delle poche, in cui lei può circoscrivere il suo dolore. Come già detto dai colleghi, sarebbe necessario un supporto psicologico per uscire fuori da questi circoli viziosi relazionali. Prenda seriamente in considerazione un aiuto reale per poter finalmente prendere le redini della sua vita. Un caro saluto
Cara Michela, dal canto nostro facciamo il possibile per arginare le situazioni come quella da te descritta, ma penso che né io né i colleghi qui sopra veniamo dalle famiglie del mulino bianco. Certo dispiace leggere cosa stai passando, è indubbiamente frustrante, forse addirittura umiliante. Il fatto che voglia parlarne è già un segno di forza. I colleghi sopra hanno già accennato alle varie opzioni. I consultori e i centri antiviolenza sono valide alternative cui puoi rivolgerti anche se non hai risorse per uno studio privato. La collega Pugina ha fatto un'ottima metafora. Se stai con una persona deve esserci un motivo: forse sembra dare qualcosa che ti è mancato da parte di tuo padre, una sorta di accudimento, ma al contempo ti svalorizza (proprio come tuo padre). Ebbene, per chi è più importante che tu ti valorizzi? Cosa succederebbe se iniziassi a renderti autonoma? Ovviamente, quale che sia la difficoltà a rispondere, trovare le risposte è un compito tuo. Rivolgerti a un professionista è quell'aiuto in più per capire quali siano effettivamente le domande più importanti cui dare risposta. Il dubbio e la confusione sono comprensibili quando si vive un tale disagio, ma aver capito di dover chiedere aiuto ti rende meno debole di quanto pensi.
Salve, già ho letto la sua storia in una precedente domanda scritte da lei. Capisco la sua storia molto dolorosa, ma dato la sua giovane età non penso che sia impossibile scrollarsi di dosso la sua situazione e tutte le persone che le stanno intorno, che non credo affatto che ci tengono a lei, specialmente il suo ragazzo. Non credo che i loro comportamenti dimostrano amore, il possesso, la gelosia ed un comportamento così altalenante fra aggressività ed apparente interesse nei suoi confronti. A 21 anni potenzialmente lei potrebbe fare tutto e dare una svolta alla sua vita, deve solo acquistare più sicurezza e coraggio ed uscire da quella situazione, come lei descrive, altamente distruttiva. Dato che non lavora potrebbe prendere un appuntamento, in un centro di igiene mentale della sua zona con una psicoterapeuta per farsi aiutare a trovare la forza per allontanarsi da persone che non la amano ma che le fanno del male e soprattutto imparare ad amarsi. la saluto cordialmente, dott. Eugenia Cardilli.
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Salve Michela, dovrebbe rivolgersi di persona a uno specialista psicoterapeuta (nel privato o nel pubblico) in quanto evidentemente il solo supporto online non può esserle realmente di aiuto.
Cara Michela, mi parla di due figure significative nella sua vita, due figure maschili... Mi sembra che lei stia delegando il "suo potere" a questi uomini, perdendo di vista ciò che realmente è e ciò che potenzialmente potrebbe essere. Premetto che in ogni legame significativo è presente una piccola quota di dipendenza ed ognuno di noi è in parte dipendente all'altro; abbiamo cioè tutti bisogno di riconoscimento. Ma nella dipendenza affettiva il legame con l'altro mina il benessere psicofisico della persona perchè diventa indispensabile per la vita, e ciò causa disagio e frustrazione. E' facile, se non si interviene con un trattamento specifico, ricadere in relazioni "tossiche" dove, per compensare il dolore o la paura dell'abbandono, si possono attuare condotte altamente disfunzionali ( ad esempio lei parla del fatto che non mangia, che si chiude in stanza in completa solitudine). Forse alla base di questo suo comportamento c'è una bassissima autostima o una grande paura di non farcela da sola e forse per questo a volte si "aggrappa" all'altro. Cara Michela le faccio una domanda: forse in lei c'è la convinzione che si può amare qualcun altro mettendo da parte se stessi? Se si, forse è proprio questa l'idea di fondo che la fa vivere nella dipendenza e nel "ricatto". Mi perdoni, il termine audace (ricatto) ma forse riesco a rendere bene l'idea di cosa può succedere quando si smette di riconoscere se stessi o quando non ci si guardati con amore.... Credo in generale che, se non amo me stesso, se non mi ri-conosco, difficilmente riuscirò ad amare e a farmi amare dagli altri. Noi ci cerchiamo perché abbiamo bisogno di riconoscimenti, la carezza infatti è l'unità di riconoscimento di ogni relazione. Ma come posso ricevere questo riconoscimento se per prima non lo riconosco in me? La invito pertanto a lavorare su se stessa, conquistando l'amore verso di se per prima e dando valore al suo potere, che solo lei può gestire ( ognuno è padrone del suo potere e solo noi possiamo gestirlo in modo efficace per soddisfare i nostri bisogni relazionali). E' necessario un trattamento dove possa riconoscersi come persona unica ed irripetibile. E' necessario un lavoro che passi dall'accettazione alla gratitudine verso ciò cheè e che forse spesso non vede o svaluta. In questo lavoro è importante integrare corpo, mente ed emozioni. Lo sviluppo armonico di questi tre aspetti della persona infatti aumenta la consapevolezza del proprio senso di identità, avvicinandola allo "spazio del cuore". Se vuole essere riconosciuta dall'altro deve quindi prima riconoscere se stessa e la bellezza che lei è e che forse non ha sufficientemente sentitonel corso della sua storia di vita. la invito ad intraprendere una psicoterapia ad orientamento analitico-transazionale. L'abbraccio, Michela.
Rossella
Salve,
posso solo immaginare la sofferenza ed il dolore che traspare dalle tue parole, che, a mio avviso, sembrano a chiare lettere una richiesta d'aiuto.
Contatti, quindi, uno psicoterapeuta della sua zona per iniziare un percorso che possa aiutarla ad elaborare il suo vissuto.
Saluti.
Se vuole risolvere i suoi problemi e contenere la sua sofferenza non può continuare solo a chiedere pareri, sembra che voglia sfogarsi, e lo comprendo, ma un apporccio terapeutico li offrirebbe molto di più. Approfondire insieme diagnosi e strada da percorrere per una risoluzione è una espreienza significativa, importante che va ben oltre il sollievo che lei può provare continuando a scrivere. Certo io non ho letto gli antefatti, ma l'esperienza mi porta a concludere che uan consulenza prima, una terapia poi l'aiuterebbo molto a comprendere lei che ha difronte come famiglia e soprattutto come padre. Le auguro una buona giornata e reso a disposizione lb
Salve,
è importante saper chiedere aiuto. Mi fa piacere che lei lo stia facendo usando questo spazio.
Allo stesso tempo il consiglio rimane il medesimo: consulti un professionista.
Vedrà che andrà molto meglio.
MMM
Salve Michela, come procede la situazione oggi? Ci sono stati dei miglioramenti?
Buona giornata.
Dott. Fiori
Buonasera, penso che al momento attuale, rivolgersi ad uno psicologo potrebbe esserle di aiuto per fare chiarezza e avere maggiore comprensione del periodo e della difficoltà che sta vivendo. Un saluto, Dott. Alessandro D'Agostini

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