Violenza negli stadi e mentalità di gruppo: un'analisi psicologica

Esperto Massimo A. ManciniPsicologia • 26 settembre 2016 • Commenti:

Molto spesso, un nuovo episodio di violenza  negli stadi riportato dalla cronaca riaccende tristemente le polemiche ed i tristi ricordi di altrettanti episodi accaduti alcuni anni fa, dall'uccisione di un agente di polizia nella partita Catania/Palermo (nel Febbraio del 2007), all'uccisione di quel tifoso Laziale nell'area di servizio dell'autostrada Roma/Firenze, che ha scatenato e suscitato tante reazioni violente per tutta la città di Roma e successivamente tante polemiche mediatiche: dalla sicurezza negli stadi, agli stadi chiusi e tutte le vittime ad esse collegate.

Potremmo andare avanti per ore (o per anni) descrivendo questi episodi, ma il risultato sarebbe sempre lo stesso: tanta tristezza che va ad inquinare lo sport in generale e tutti coloro che, invece, credono nello sport ed in quei valori che esso rappresenta e che, nel loro lavoro quotidiano con i ragazzi, cercano di trasmettere quel senso di correttezza, sacrificio, dovere, disciplina ed altruismo che hanno forgiato e definito il termine “sportivo” nella sua più pura essenza.

La violenza negli stadi come fenomeno “di gruppo”

Tornando alla violenza negli stadi ed alle sue manifestazioni, esse sono quasi sempre il risultato delle azioni di un gruppo di persone, tifosi e non, che si ritrovano in gruppo: forti della loro comunione di passioni ed interessi, i tifosi violenti sembrano in grado di compiere azioni  che molto probabilmente, da soli, non riuscirebbero a fare.

A tal proposito, nel tentativo di riuscire a comprendere meglio come il gruppo possa trasformarsi in una forza così distruttiva e spesso legata a significati negativi vorrei cominciare ad analizzare le personalità e tipologie del tifoso.

Cos’è il “gruppo” e come agisce da catalizzatore di frustrazione e violenza

Secondo il ricercatore Wilfred Ruprecht Bion, psicoanalista britannico noto per le sue ricerche sui gruppi, possiamo definire il gruppo come: "un sistema composito integrato dalle distinte dinamiche dei componenti che sinergicamente contribuiscono alla costituzione in apparato psichico sovraordinato all'individuale, dal funzionamento tendenzialmente psicotico” .

I gruppi con Leader sono gruppi di lavoro, di persone che si mettono insieme per uno scopo comune.

Il gruppo di Bion è senza Leader, cioè senza un compito preciso da svolgere, senza uno scopo definito.

Il gruppo permette la rappresentazione esterna e la drammatizzazione del “senso di gruppo” interno di ciascun componente che così può dare espressione a parti della sua personalità in conflitto con i compromessi necessari alle relazioni inter-individuali, di coppia, familiari, gruppali e sociali.

Dai gruppi senza Leader emerge lo spaccato profondo della mente e della vita affettiva delle persone stesse.

Il conflitto individuo-società, per Bion, è in primo luogo intrapsichico e come tale può essere rivelato e risolto nel lavoro del gruppo. Assunti di base del gruppo  sono Fantasie gruppali di tipo onnipotente e magico sulla possibilità di raggiungimento degli scopi.

Coincidono con stati emotivi tendenti ad evitare la frustrazione connessa all'apprendimento dell'esperienza stessa.

Infatti, mentre la mentalità del gruppo è il Contenitore, gli assunti di base sono il contenuto dell'opinione del gruppo:

  • il benessere del gruppo prevale su quello individuale,

  • il gruppo fornisce e sopperisce a quei bisogni individuali di coloro che non hanno una identità ben definita, che viene quindi ricercata nel gruppo stesso.

Come la mentalità di gruppo legittima e autorizza la violenza

Nel gruppo tendono a prevalere le esigenze e le necessità di quest'ultimo, sia in positivo che in negativo: le caratteristiche dell'individuo tendono ad essere sostituite e rinforzate da quelle del gruppo, il quale, oltre a permettere la libera espressione delle proprie caratteristiche positive (come il sostegno ed il senso di appartenenza, che implicano allo stesso tempo la sensazione di essere importante, onnipotente per gli altri, legato alla condivisione di esperienze, passioni ed ideali comuni) anche le caratteristiche negative.

Queste ultime trovano una loro espressione in una inibizione di quei freni personali, che individualmente si hanno se ci si trova da soli.

Il fatto di essere in molti  permette una sorta di legittimazione di quei sentimenti, difficili ed aggressivi (rivelatori di un conflitto profondo ed interiore) che generalmente vengono tenuti sotto controllo: nel gruppo vengono invece quasi autorizzati.

Ecco, così, che vengono legittimati molti di quei conflitti interiori che trovano espressione proprio nel gruppo, dove la forza del numero sembra giustificare l'agire, sia esso legale o meno.

E' sufficiente guardare al passato per poter riscontrare molti esempi in vari settori: da quello militare (durante le guerre attuali o passate) a quello civile riportato dalla cronaca. In tali contesti, gli studiosi hanno riportato episodi di violenze atroci di gruppo, con livelli inimmaginabili di crudeltà: non è passato molto tempo dalla seconda guerra mondiale dove in nome di ideali o falsi valori si giustificavano atti e gesti inconsulti.

Il tifo violento e la mentalità di gruppo

Tornando al nostro tifoso violento ed a quelle motivazioni e necessità che lo portano ad aderire ad un gruppo, esse trovano una giustificazione, un senso di solidarietà ed appartenenza: un sostituto della sua pseudo-famiglia mancante, quella comprensione, e quel sostegno sia psicologico che motivazionale, che gli permette di capire chi è, di trovare inoltre una sua identità, probabilmente il risultato di una carenza a livello personale interiore che rispecchia il famoso conflitto cui parlava Bion nella sua ricerca.

Come evidenziato da altre ricerche ( ad esempio, quelle della criminologa Dr.ssa Calzolari Silvia) le emozioni provocate dalla partita favoriscono le condotte aggressive solo se queste fanno già parte del repertorio comportamentale del tifoso.

La teoria catartica afferma che l'aggressività del tifoso rappresenta una compensazione alle frustrazioni. In realtà la caratteristica del tifoso violento è l'eccitazione emotiva più che la frustrazione.

Violenza negli stadi: il ruolo delle motivazioni inconsce

L'invidia inconscia è alla base della tensione emotiva che accompagna molti tifosi violenti, che si vogliono aggiudicare un pezzettino di spettacolo.

Meccanismi difensivi psichici primitivi (scissione, identificazione proiettiva) hanno un ruolo importante in tale processo. Nel tifo c'è una forte componente di virilizzazione.

Da tutto questo si evince che non è facile riuscire ad identificare un unico motivo o spiegazione che giustifichi il comportamento del gruppo, ciò che abbiamo analizzato fino ad ora, è la componente personale del tifoso che influisce fortemente sulla sua scelta di associarsi al gruppo con tutte le conseguenze già citate in precedenza, a cui vorrei aggiungere una nuova componente di tipo sociale.

Come le situazioni personali influenzano la violenza nello sport e nel quotidiano

In seguito ad una mia considerazione (legata sia alla mia esperienza professionale che personale) sulla  società moderna, un aspetto che merita particolare attenzione è quello legato al livello di rabbia/rancore e risentimento che caratterizza noi tutti, come risultato di situazioni sia personali sia sul piano familiare, che personale che lavorativo.

E' sufficiente guardarsi intorno per verificare come nelle nostre relazioni quotidiane con amici, parenti compagni di scuola, di squadra o colleghi di lavoro, spesso le persone tendano a manifestare una sempre più crescente aggressività implosa verso il prossimo, che sembra cercare solo una nuova occasione per esplodere colpendo chiunque ci si trovi davanti, oppure possa solo incidentalmente ostacolarlo.

Anche nel quotidiano non mancano esempi concreti di queste dinamiche: sono tanti gli episodi di cronaca nera descritti dai giornali, in cui da piccole dispute o discussioni nascono vere e proprie tragedie fatali. Potremmo procedere per ore descrivendo vari episodi all'infinito, il risultato sarebbe sempre lo stesso.

Credo che, a questo punto, sia assolutamente necessario riuscire ad osservarsi più da vicino su quelle che sono le nostre difficoltà personali quotidiane, che anche troppo spesso proiettiamo/scarichiamo sul prossimo che possa identificarsi nelle persone che ci vivono accanto, oppure a quelle più lontane degli amici, compagni o infine gli estranei stessi.
Concludendo, di chi è la colpa di tutto ciò? C’è solo un colpevole o tali episodi di violenza collettiva sono da imputare a un sistema più complesso? A voi la risposta.

Esperto

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